Cassazione Penale, Sez. 3, 28 dicembre 2023, n. 51563 - La condotta anomala del lavoratore si è sostanziata in una concretizzazione sinergica del rischio tipico che le norme cautelari violate miravano a prevenire



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LIBERATI Giovanni - Presidente -

Dott. SEMERARO Luca - Consigliere -

Dott. CORBETTA Stefano - Consigliere -

Dott. MACRI’ Ubalda - rel. Consigliere -

Dott. ANDRONIO Alessandro M. - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

avverso l'ordinanza in data 16/01/2023 della Corte di appello di Genova;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa MACRI' Ubalda;

letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona dell'Avvocato generale, Dott. FIMIANI Pasquale, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

 

Fatto


1. Con ordinanza in data 16 gennaio 2023 la Corte di appello di Genova ha dichiarato inammissibile l'istanza di A.A., volta a ottenere la revisione della condanna definitiva, in seguito alla sentenza n. 45306 del 2019 della Sezione Quarta della Corte di cassazione, per lesioni gravissime ai danni di B.B., dovute a infortunio sul lavoro, per contrasto con l'accertamento della sentenza n. 795 del 2020 del Tribunale di Siena, nel procedimento RGNR 985/2017, a carico di C.C. e D.D..

2. Ricorre per cassazione l'imputato sulla base di un articolato motivo per violazione di norme processuali e vizio di motivazione.

Espone in fatto che il Tribunale di Siena aveva assolto C.C. e D.D. dal reato di falsa testimonianza rispetto all'incidente ai danni di B.B. perchè non aveva creduto alle dichiarazioni della vittima e aveva trasmesso gli atti in Procura.

Aggiunge che il Tribunale aveva accertato che l'infortunio non si era verificato in via (Omissis), ma in via (Omissis), presso un'altra società, e con modalità diverse, da cui si poteva inferire una sensibile riduzione di responsabilità del colpevole.

Infatti, la vittima avrebbe dovuto infilare i manici dei sacchi di concime nelle forche del muletto condotto dall'esperto D.D., ma, aveva improvvidamente usato il muletto come ascensore, anzichè prendere la scala, ciò che aveva provocato l'infortunio. Tale condotta, del tutto eccentrica, non sarebbe stata neutralizzata da alcun DVR, la cui predisposizione, per giunta, non era prevista stante le ridotte dimensioni dell'impresa. A maggior ragione, nessuna ulteriore precauzione del datore di lavoro avrebbe potuto evitare il danno, perchè il lavoratore aveva deliberatamente infranto le regole di cautela. In definitiva, non era esigibile una diversa condotta del datore di lavoro perchè del tutto imprevedibile era là situazione di pericolo da evitare.

Lamenta in diritto che la Corte territoriale aveva travisato la prova, commesso omissionì, compiuto palesi inversioni del ragionamento inferenziale, violato i canoni del giudizio di revisione.
 

Diritto


3. Il ricorso è manifestamente infondato perchè non coglie il tema rilevante dell'ordinanza impugnata, ma reitera gli stessi argomenti di doglianza, già disattesi dalla Corte di appello di Genova con motivazione corretta.

L'istanza di revisione è stata fondata sull'inconciliabilità dei giudicati ai sensi dell'art. 630 c.p.p., comma 1, lett. a).

In questo caso, la giurisprudenza richiede che il giudizio sull'ammissibilità o meno della domanda di revoca della sentenza non può prescindere da una pur sommaria valutazione e comparazione tra le due sentenze che si assumono in contrasto, non potendo il giudice limitarsi a verificare esclusivamente l'irrevocabilità della decisione che avrebbe introdotto il fatto antagonista e la mera pertinenza di tale sentenza ai fatti oggetto del giudizio di condanna (tra le più recenti, Sez. 2, n. 29373 del 18/09/2020, Nocerino, Rv. 280002-01).

La Corte di appello di Genova ha pienamente assolto all'incombente. Ha, infatti, escluso i presupposti legali della revisione, osservando che la sentenza assolutoria del Tribunale di Siena non aveva validato affatto una diversa ricostruzione della vicenda, ma aveva piuttosto evidenziato che D.D. era stato sentito senza le garanzie e gli avvisi, nonostante avesse partecipato al fatto, e che per C.C. la prova raggiunta era contraddittoria. Ha ribadito poi alcuni punti fermi della vicenda: B.B., dipendente della Italfarine Srl , si era infortunato mentre utilizzava un mezzo meccanico senza adeguata formazione professionale, in assenza di idoneo DVR (non era stato nominato neppure il RSPP), in presenza di un carrello elevatore in pessimo stato di manutenzione (segnali acustici e luminosi non funzionanti, condutture idrauliche usurate e altro), privo del libretto di manutenzione e dei certificati di conformità, come verificato dal funzionario dell'ASL verbalizzante, i cui rilievi erano coperti dal giudicato sia della sentenza di condanna che della sentenza di assoluzione. Ha concluso pertanto che, in tale contesto, le circostanze dedotte, in merito al luogo effettivo dell'incidente e al comportamento eccentrico della vittima, non potevano considerarsi rilevanti, perchè il datore di lavoro aveva comunque violato le regole di sicurezza, non aveva predisposto il DVR completo con valutazione dei rischi "propri" e "impropri" del carrello elevatore, non aveva effettuato la manutenzione periodica del mezzo meccanico, non aveva adibito un preposto alla verifica e al controllo delle attività, per cui la condotta anomala del lavoratore "si era sostanziata in una concretizzazione sinergica del rischio tipico che le norme cautelari violate miravano a prevenire".

Il ricorrente non ha specificamente confutato le affermazioni della Corte, con riferimento alle peculiari ragioni dell'epilogo assolutorio della sentenza del Tribunale di Siena e con riferimento alla "doppia" incontrovertibilità (sia nella sentenza di condanna che di assoluzione) dei rilievi ispettivi in merito alle negligenze dello A.A. sulle violazioni non meramente formali delle regole antinfortunistiche e di cautela, ma ha ribadito l'inesigibilità della condotta e l'imprevedibilità dell'evento.

Tale prospettazione non è tuttavia idonea a sostenere l'istanza di revisione, perchè non fondata su elementi desumibili dalla sentenza di assoluzione che, pur nella consapevolezza del comportamento sconsiderato del lavoratore, ha comunque ribadito le gravissime negligenze del datore di lavoro.

La decisione impugnata resiste, quindi, alle censure sollevate.

Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 30 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2023