REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCALI Piero
Dott. IACOPINO Silvana Giovanni
Dott. FOTI Giacomo
Dott. MASSAFRA Umberto
Dott. MARINELLI Felicetta

- Presidente
- Consigliere
- Consigliere
- rel. Consigliere
- Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) M.R. N. IL ***;
avverso la sentenza n. 1127/2008 CORTE APPELLO di CALTANISSETTA, del 06/10/2009;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/05/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO MASSAFRA;
udito il P.G. in persona del Dott. DI POPOLO Angelo che ha concluso per l'annullamento senza rinvio perché il fatto non costituisce reato in relazione al reato di cui all'articolo 590 c.p. e per il rigetto del resto;
udito il difensore avv. Maira Raimondo Luigi del Foro di Caltanissetta, difensore di M.R. che conclude per l'accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 6.10.2009 la Corte di Appello di Caltanissetta, in parziale riforma della sentenza in data 28.4.2008 del locale Tribunale in composizione monocratica, dichiarava l'improcedibilità nei confronti di M.R. in ordine al reato contravvenzionale di cui al capo b) per estinzione per prescrizione e riduceva la pena inflitta a M.R. per il residuale delitto di lesioni colpose aggravate ascrittole al capo a) ad euro 600,00 di multa.

Segnatamente, alla M. era contestato (A) di avere, nella qualità di responsabile del Dipartimento di Salute Mentale e di datore di lavoro, cagionato per colpa consistita nella violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 8, comma 9 come sostituito dal Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 33, comma 3 alla dipendente T.R. lesioni personali consistite nella frattura del margine posteriore acetabolo destro con incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni superiore ai 40 giorni e inabilità al lavoro a tutto il 19 novembre 2003. In particolare, ometteva di comunicare tempestivamente al competente servizio tecnico lo stato di sconnessione delle piastrelle costituenti la pavimentazione del cortile interno di passaggio adiacente al luogo di lavoro, di tal che la T. si procurava le suddette lesioni inciampando su di una mattonella sconnessa e cadendo a terra; (B) nonché la contravvenzione p. e p. dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 8, comma 9 e articolo 389, lettera c) per avere, nella qualità di responsabile del Dipartimento di Salute Mentale e di datore di lavoro, omesso di comunicare al competente servizio tecnico lo stato di sconnessione delle piastrelle costituenti la pavimentazione del cortile interno di passaggio adiacente al luogo di lavoro (in ***).

Avverso tale sentenza della Corte nissena ricorre per cassazione il difensore di fiducia di M.R. adducendo i seguenti motivi.

1. La violazione di legge con riferimento all'articolo 603 c.p.p. e il vizio motivazionale, per non aver ammesso la richiesta rinnovazione dell'istruzione dibattimentale onde consentire l'esame di due testi.

2. La violazione di legge in relazione agli articoli 129, 192 e 530 c.p.p. e articolo 590 c.p.p., commi 2 e 3 con riferimento al Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 8, comma 9, come sostituito dal Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 33, comma 3, e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 8, comma 9 e articolo 389, lettera c), nonché il vizio motivazionale.

A tal riguardo, assume che non avrebbe dovuto essere applicata la prescrizione, laddove la ricorrente avrebbe dovuto essere assolta poiché non poteva essere considerata quale datrice di lavoro della parte offesa né responsabile del rispetto delle norme antinfortunistiche perché priva di delega specifica rilasciata dal direttore generale e legale rappresentante dell'ASL e non dotata di mezzi finanziari per eliminare le condizioni di pericolo: infatti la nota del 4.6.2002 con la quale la M. era stata nominata responsabile del Servizio Mentale escludeva che fosse stata nominata responsabile della tutela antinfortunistica, cosa che invece era stata fatta 17 mesi dopo l'evento con apposita nota del 6.2.2004.

Altrettanto si ricava dalla deposizione del teste C.C., all'epoca capo settore servizio di Prevenzione e Protezione dell'ASL n. *** nonché da quelle dei testi C.F., S.S. e S.R. , ribadendosi che il cortile nel quale era avvenuto l'infortunio è comune a diversi uffici dell'ASL: di qui l'indeterminatezza e l'omessa indagine del soggetto responsabile della struttura edilizia comune.

Osserva, ancora, che non era stata acquisita alcuna prova sulle effettive modalità di caduta di T.R. e che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955 era stato abrogato dal Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 304, comma 1, lettera a) ad eccezione delle disposizioni tecniche in esso contenute ex articolo 3, comma 3, stesso Decreto Legislativo tra le quali non sono annoverabili quelle contestate alla M..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Deve preliminarmente osservarsi che per il reato di cui al capo A), per effetto dei periodi di sospensione, pari a giorni 46, non sono ancora decorsi i previsti termini di prescrizione (di anni sette e mesi sei, che verrebbero, quindi, a scadere l'11.5.2010).

Nel merito, il ricorso è infondato e dev'essere rigettato.

Quanto alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale per l'escussione dei due testi, premesso che la rinnovazione è istituto di carattere eccezionale, si osserva, anzitutto, come la stessa sia stata prospettata ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., comma 1, sicché la Corte avrebbe potuto ammetterla solo qualora avesse ritenuto di non essere in grado di decidere allo stato degli atti. Peraltro è da rammentare che, in tema di rinnovazione, in appello, dell'istruzione dibattimentale, mentre la decisione di procedere a rinnovazione deve essere specificatamente motivata, occorrendo dar conto dell'uso del potere discrezionale, derivante dalla acquisita consapevolezza della rilevanza dell'acquisizione probatoria, nella ipotesi di rigetto, viceversa, la decisione può essere sorretta anche da una motivazione implicita nella stessa struttura argomentativa posta a base della pronuncia di merito, che evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in ordine alla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento (Cass. pen. sez. 6, 18.12.2006, n. 5782, Rv. 236064).

Il Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 304, comma 1 ha abrogato il Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955 il cui articolo 4 prevede la responsabilità dei dirigenti e gli articoli 8 e 389 la contravvenzione sub B, fatte salve (articolo 3, comma 3) "le disposizioni tecniche" di esso fino al termine del 2 comma dell'articolo 3 dell'aprile 2009 (12 mesi dall'entrata in vigore del decreto).

La norma di cui al capo B) è stata sostituita dal Decreto Legislativo n. 626 del 1994 (anch'esso abrogato ut supra) i termini consimili.

Quindi si deve rilevare che le disposizioni del testo legislativo in base al quale sono stati formulati i capi di imputazione sono stati abrogate dal Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, articolo 304, comma 1, lettera a). Ma le violazioni ascritte all'imputata trovano tutte testuale rispondenza nelle previsioni del citato decreto legislativo e precisamente la contravvenzione contestata al capo B) in quella di cui all'articolo 64, lettera a) e c), laddove le sanzioni sono previste dall'articolo 68, comma 1, lettera b), Decreto Legislativo citato, che commina pene più gravi (pena pecuniaria superiore e in alcuni casi anche quella detentiva), sicché vi è piena continuità normativa, ai sensi dell'articolo 2 c.p., tra la previsione delle fattispecie penali abrogate e quelle attualmente vigenti.

Per un caso analogo: "In tema di prevenzione infortuni ed igiene del lavoro, sussiste continuità normativa tra le fattispecie penali in materia di luoghi di lavoro (prima previste dal Decreto Legislativo 19 settembre 1994, n. 626, articolo 32, comma 1, lettera b) dal Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, articolo 13, comma 10, e dal Decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303, articoli 20 e 21) e quelle, più gravemente punite, oggi contemplate per il datore di lavoro dal Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, articolo 68, comma 1, lettera b) (recante "Attuazione della Legge 3 agosto 2007, n. 123, articolo 1, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro")" (Cass. pen. Sez. 3, 10.10.2008 n. 41367, Rv. 241536).

Altrettanto vale in ordine al Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 4, soppiantato dal Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 2, comma 1, lettera b), laddove definisce il "datore di lavoro": "Nelle pubbliche amministrazioni di cui al Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 1, comma 2, per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale nei soli casi in cui quest'ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale...".

Orbene, come osservato dai giudici di merito, era del tutto inutile una delega espressa circa le funzioni di controllo del rispetto delle norme antinfortunistiche nel caso di specie.

Infatti le argomentazioni addotte dalla Corte territoriale per disattendere l'analoga censura in quella sede formulata, risultano del tutto adeguate ed esenti da vizi logici e giuridici. Così per quel che concerne - pur nella rappresentata assenza di mezzi economici - la mancata tempestiva richiesta d'intervento degli uffici competenti (cioè l'ufficio tecnico dell'USL e ciò a prescindere dall'eventuale pregressa segnalazione effettuata da terzi, ai fini dell'integrazione della colpa) e l'irrilevanza della nomina dirigente del dipartimento di Igiene mentale solo tre mesi prima dell'incidente, in quanto sulla ricorrente incombeva comunque l'obbligo di "prendere cognizione dei luoghi di lavoro del predetto dipartimento per metterlo in sicurezza" onde salvaguardare l'incolumità dei suoi dipendenti ed il detto periodo di tre mesi è stato insindacabilmente (trattandosi di peculiare valutazione di fatto) apprezzato dai Giudici di merito come sufficiente ad eliminare eventuali inconvenienti esistenti. Del resto, l'amministratore o il legale rappresentante di un ente pubblico o privato non può essere automaticamente, ed in via esclusiva, ritenuto responsabile, a causa della carica ricoperta, di tutti gli eventi penalmente rilevanti verificatisi nella gestione dell'ente qualora l'attività del medesimo sia stata preventivamente suddivisa in settori ai cui preposti sia stata - come deve ritenersi nel caso di specie - attribuita autonomia organizzativa e di esecuzione almeno sufficienti a prevenire il verificarsi di eventi ricadenti topograficamente nello specifico settore di pertinenza di ciascuno (cfr. Cass. Pen. Sez. 4, 27.9.2007, n. 37642, Rv. 237889).

Anche la deduzione difensiva relativa alla presunta competenza di diversi altri uffici dell'A.S.L. *** che affacciavano nel medesimo cortile ha trovato una compiuta e corretta risposta da parte della Corte di appello laddove ha ribadito (e ciò chiaramente al di là delle finalità defensionali perseguite), sulla scorta di quanto già osservato dal giudice del Tribunale, che ciò avrebbe comportato "una chiamata in correità" ma giammai l'esonero da ogni responsabilità della M. e il suo conseguente proscioglimento, e tanto, deve intendersi, nemmeno "ai sensi dell'articolo 530 c.p.p., comma 2, prima parte" (come esplicitato nell'atto di ricorso), attesa la rilevata sua posizione di garanzia.

Quanto alle pretesa carenza di prova circa le "effettive modalità della caduta" di T.R., occorre osservare che i Giudici di merito hanno ricostruito i fatti assumendo che la predetta, nel cortile antistante i locali di alcuni dipartimenti dell'A.S.S. n. *** di Caltanissetta "mentre si recava verso l'uscita inciampava su di un mattone divelto cadendo rovinosamente a terra" (sentenza di 1 grado, pag. 2).

Orbene, le argomentazioni difensive al riguardo si pongono, specie laddove richiamano le "neutre" deposizioni di taluni testi al riguardo, come tentativo di contrapporre alla ricostruzione e l'eziologia del sinistro, quale operata dai giudici di merito, una propria lettura degli accadimenti, peraltro basata su mere ipotesi: ma tanto non è consentito in questa sede, dal momento che il significato delle prove e la ricostruzione dei fatti devono essere stabiliti dal giudice del merito laddove ciò è precluso al giudice di legittimità sulla base della lettura necessariamente parziale suggeritagli dal ricorso per cassazione.

Infatti, non spetta alla Corte di cassazione "rivalutare" il modo specifici mezzi di prova siano stati apprezzati dal giudice di merito, giacché, attraverso la verifica del travisamento della prova il giudice di legittimità può e deve limitarsi a controllare se gli elementi di prova posti a fondamento della decisione esistano o, per converso, se ne esistano altri inopinatamente e ingiustamente trascurati o fraintesi (Cass. pen. sez. 4, 12.2.2008, n. 15556, rv. 239533).

Ciò peraltro vale nell'ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado, in quanto nell'ipotesi di doppia pronunzia conforme - come nel caso di specie, quanto alla responsabilità degl'imputati - il limite del devolutimi non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva l'ipotesi in cui il giudice d'appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (Cass. pen., Sez. 4, 3.2.2009, n. 19710, Rv. 243636; Sez. 2, 15.1.2008, n. 5994, N. 5223 del 2007 Rv. 236130, N. 24667 del 2007 Rv. 237207).

Si deve, peraltro, rilevare che in buona parte i motivi di ricorso hanno riproposto in questa sede sostanzialmente le medesime doglianze rappresentate in grado di appello e da quel giudice disattese con motivazione ampia e congrua, immune da vizi ed assolutamente plausibile.

Ed è stato affermato che è addirittura "inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev'essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione..." (Cass. pen. Sez. 4, 29.3.2000, n. 5191 Rv 216473 e successive conformi, quale: Sez. 2, 15.5.2008 n. 19951, Rv. 240109). Ad ogni modo, attesa la commistione di ragioni di infondatezza e d'inammissibilità, deve conseguire il rigetto del ricorso e, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.