Tribunale militare di Napoli, Uff. indagini preliminari, 13 marzo 2023 - Ingresso in caserma del militare privo di Green pass.  Inoffensività della condotta rispetto al bene giuridico protetto



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL GIUDICE DELL'UDIENZA PRELIMINARE

presso il Tribunale Militare di Napoli, Dott. Andrea CRUCIANI, all'udienza preliminare del 10 marzo 2023 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente

SENTENZA


nel procedimento penale a carico di:

(...) nato a (...) il (...), residente in (...) Via (...)

libero, assente;

Difeso da:

Avv.(...) , de(...), con studio in (...) avvocato d'ufficio; sostituito in udienza, ex art. 97, comma quarto, c.p.p. dall'(...)

IMPUTATO DI

Forzata consegna (artt. 140, 47 n. 2 c.p.m.p.) perché, (...) in servizio presso il (...) presentatosi in abiti civili in data (...) dinanzi al Corpo di Guardia della(...) sede de (...), e introducendosi clandestinamente nella predetta struttura, dopo che i militari comandati di servizio di vigilanza,(...) gli avevano rappresentato che non poteva accedere in quanto sprovvisto della certificazione verde covid 19 (c.d. Green pass) e gli avevano intimato di attendere al varco di accesso l'arrivo dei superiori, forzava le consegne dei predetti militari che imponevano di vietare l'accesso del personale sprovvisto del relativo certificato. In particolare, approfittando di un momento di distrazione dei militari addetti al controllo, entrava nella palazzina ove è ubicata (...) ed effettuava la vidimazione elettronica della propria presenza in entrata alle or(...) in uscita alle ore (...)

Con l'aggravante del grado rivestito.

 

Fatto


In data 10 giugno 2022 veniva depositata dal P.M. in sede richiesta di rinvio a giudizio dell'imputato per il reato di cui alla superiore rubrica.

All'udienza del 28 ottobre 2022 il procedimento veniva rinviato a data fissa, stante l'imminente decisione, prevista per il 30 novembre 2022, della Corte Costituzionale sulla questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento alle norme introduttive dell'obbligo di sottoporsi a vaccinazione per Sars-Cov 2, di cui al D.L. 1 aprile 2021, n. 44, recante "Misure urgenti per il contenimento dell'epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici". Misure successivamente estese anche ai militari con decreto L. del 21 settembre 2021, n. 127 recante "Misure urgenti per assicurare lo svolgimento in sicurezza del lavoro pubblico e privato mediante l'estensione dell'ambito applicativo della certificazione verde COVID-19 e il rafforzamento del sistema di screening". Le questioni venivano, quindi, dichiarate inammissibili od infondate con le sentenze nn. 14/2023, 15/2023, 16/2023 (udienza pubblica del 30 novembre 2022; decisione del 1 dicembre 2022; deposito del 9 febbraio 2023).

All'odierna udienza, al termine della discussione, il P.M. insisteva nella richiesta di rinvio a giudizio mentre la difesa dell'imputato sollecitava una sentenza di non luogo a procedere con formula di giustizia.

Diritto


Nel procedimento odierno, ad avviso di questo Giudice, alla luce della documentazione in atti, non è possibile, ora ed in dibattimento, giungere ad un diverso esito processuale, stante l'inesistenza di un elemento costitutivo del reato, per essere la condotta contestata inidonea a ledere il bene protetto dalla norma incriminatrice. Ne discende, quindi, una pronuncia di non luogo a procedere, ai sensi dell'art. 425, comma primo, c.p., perché il fatto non sussiste per difetto del requisito di necessaria offensività della condotta.

Il l'atto contestato.

Per la ricostruzione della dinamica dell'episodio e delle circostanze di fatto - così come descritte nel capo di imputazione - rilevano i seguenti documenti:

- comunicazione della notizia di reato del (...)

- consegna per il servizio dei militari addetti al controllo a varco in ordine al controllo all'ingresso del "green pass", (...)

- stampa del SIGE di rilevazione elettronica dell'ingresso in caserma (...)

- relazione di servizio dell'imputato (...)

- verbali di s.i.t dei seguenti militari:

(...) militari al varco di ingresso, impegnati nell'attività di controllo all'ingresso del "green pass", (...)

Nella citata relazione di servizio l'imputato dichiarava infatti che questi: "in data (...) si è presentato in servizio presso la (...) Poiché sprovvisto di "green pass" ha solamente registrato la sua presenza presso detta Struttura, a mezzo di Rilevatore di Presenze Telematico".

Ed in effetti dalla stampa del SIGE, sistema rilevazione, vidimazione e registrazione dell'ingresso ed uscita dalla caserma dei militari ivi in servizio, risulta che in data (...) imputato registrava la presenza in entrata alle or(...) ed in uscita alle or(...) Dai citati verbali di s.i.t emerge che all'imputato, in data (...) all'atto dell'ingresso in caserma, veniva rappresentato dai militari comandati di servizio di vigilanz(...) di non poter accedere in quanto sprovvisto del "green pass", con l'ulteriore indicazione di attendere l'arrivo di un superiore. A questo punto, allorché i militari all'ingresso erano impegnati in altre incombenze, l'imputato faceva comunque ingresso in caserma e vidimava la presenza in ingresso alle ore ore (...) in uscita alle ore (...)er poi uscire dalla caserma dopo "pochi minuti".

Il dubbio sull'autorizzazione all'ingresso in caserma.

Sulla circostanza, pur rilevante, se lo (...) fatto ingresso in caserma senza alcuna autorizzazione e contrariamente quindi alle indicazioni ricevute dai militari preposti alla vigilanza ovvero se lo stesso abbia ottenuto la previa autorizzazione di altro militare - dato pure evidentemente rilevante ai fini della configurabilità o meno del reato di forzata consegna - residua peraltro anche un margine di dubbio.

Sul punto infatti il (...) riporta che il (...) "mi riferì di avere autorizzato lui l'accesso alla struttura militare del (...) assumendosi ogni responsabilità" e "quando mi disse di averlo autorizzato gli chiesi a che titolo lo avesse fatto in quanto ero io il responsabile del conio di guardia e lui mi rispose che il (..) gli aveva rivelato di dover solo prelevare una cosa in caserma per poi uscire subito. A quel punto gli feci presente che il (...) era sprovvisto di Green Pass e lui mi rispose che si sarebbe assunto qualsiasi responsabilità".

Il (...), invece, in sede di s.i.t. del . (...) fornisce una versione diversa dei fatti, precisando che quando incontrava per la prima volta questi "si trovava di fatto già all'interno della struttura militare" e quanto alla richiesta del (...) su chi avesse permesso l'ingresso delle (...) rispondeva di "non essere io deputato a tale controllo e di averlo trovato di fatto già all'interno della struttura militare".

Si tratta quindi di una discrepanza su un profilo non irrilevante o marginale della condotta che non potrebbe, peraltro, prevedibilmente, essere ricomposta in una eventuale, fase dibattimentale, con una ulteriore escussione dei testi, dovendosi ragionevolmente ritenere che gli stessi si manterranno fermi nelle loro posizioni.

Per ciò solo, quindi, residuando un ampio margine di dubbio sulla circostanza che l'imputato fosse stato comunque autorizzato a fare ingresso in caserma, si imporrebbe comunque una sentenza di non luogo a procedere, ai sensi dell'art. 425, comma terzo, c.p.p., perché gli elementi acquisiti non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna.

L'inoffensività della condotta.

Tuttavia, come detto, ed in radice, nel caso odierno va adottata una pronuncia di non luogo a procedere, ai sensi dell'art. 425, comma primo, c.p., perché il fatto non sussiste per difetto del requisito di necessaria festività della condotta.

L'inoffesività della condotta discende in particolare dal rilevo che l'ingresso in caserma dell'imputato - soggetto non vaccinato e quindi sprovvisto di green pass - non ha determinato alcun rischio maggiore per la salute pubblica rispetto all'ingresso di soggetti vaccinati provvisti di green pass.

Sul punto occorre prendere le mosse da alcuni passaggi delle citate recenti pronunce della Corte Costituzionale, analizzando le sole argomentazioni strettamente rilevanti alla decisione del caso sottoposto all'attenzione di questo Giudice.

Al riguardo, va innanzitutto premesso che le sentenze di inammissibilità e infondatezza della Corte Costituzionale, quali sono le mentovate pronunce, non hanno alcun effetto vincolante, a livello interpretativo, per i giudici di merito. L'unico effetto processuale di un provvedimento di rigetto dell'eccezione di illegittimità costituzionale è, in effetti, quello che "l'eccezione può essere riproposta all'inizio di ogni grado ulteriore del processo" e quindi non nuovamente dallo stesso giudice rimettente nel corso del medesimo grado di giudizio (art. 24,L. 11 marzo 1953, n. 87).

Peraltro, come noto, la funzione nomofilattica - tesa ad assicurare "l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, l'unità del diritto oggettivo nazionale" - spetta solo ed esclusivamente alla Corte di Cassazione, quale "organo supremo della giustizia", e non già anche alla Corte Costituzionale (art. 65, comma 1, R.D. 30 gennaio 1941, n. 12).

Fatta questa debita premessa, questo Giudice, per la decisione del caso sottoposto ai suo vaglio, intende adottare una interpretazione diversa delle norme che hanno introdotto obbligo dei "green pass", rispetto a quella fornito dalla Corte Costituzionale con le citate pronunce, facendone discendere una irrilevanza, sotto il profilo penalistico, della condotta contestata all'imputato, per difetto dell'offensività della condotta.

In particolare, nella sentenza n. 15/2023, la Corte Costituzionale ritiene non irragionevole le norme di introduzione dell'obbligo vaccinale e del "green pass" in base all'argomentazione che, "contrariamente, all'assunto del giudice, rimettente, gli stessi dati esposti nei rapporti dell'ISS menzionati nell'ordinanza di rimessione, lungi dall'evidenziare la inutilità dei vaccini, dimostrano come, soprattutto nella fase iniziale della campagna di vaccinazione, l 'efficacia dei vaccino - intesa quale riduzione percentuale del rischio rispetto, ai non vaccinati - sia stata altamente significativa tanto nel prevenire l'infezione da SARS-CoV-2, quanto nell'evitare casi di malattia severa; e come tale efficacia sia aumentata in rapporto al completamento del ciclo vaccinale".

E, prosegue la Corte, "la scelta si è rivelata, altresì, ragionevolmente correlata al fine perseguito di ridurre la circolazione del virus attraverso la somministrazione dei vaccini" ritenendo dimostrato che "in una situazione caratterizzata da una rapidissima circolazione del virus, i vaccini fossero idonei a determinare una significativa riduzione di quella circolazione", di talché l'imposizione dell'obbligo vaccinale "si connota quale misura sufficientemente validata sul piano scientifico".

Sempre sul punto, la Corte Costituzionale nelle sentenza nn. 14/2023 e 15/2023, con pari argomentazioni, rileva: "Sull'efficacia della vaccinazione per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2 si sofferma l'ISS, esponendo che "la vaccinazione anti-COVID-19 costituisce una misura di prevenzione fondamentale per contenere la diffusione dell'infezione da SARS-CoV-2. Numerose evidenze scientifiche internazionali hanno dimostrato l'elevata efficacia dei vaccini anti-COVID-19 disponibili ad oggi, sia nella popolazione generale sia in specifici sottogruppi di categorie a rischio, inclusi gli operatori sanitari" (pagine 2 e 3 della nota dell'ISS). Al di là della fisiologica eterogeneità delle risposte immunitarie dei singoli individui e della maggiore capacità della variante Omicron di eludere l'immunità rispetto alle varianti precedenti, viene attestato che "la protezione rimane elevata specialmente nei confronti della malattia severa o peggior esito" (pagina 3 della nota dell'ISS). L'ISS chiarisce, inoltre, che "anche se l'efficacia vaccinale non è pari al 100%, ma del resto nessun vaccino ha una tale efficacia, l'elevata circolazione del virus SARS-CoV-2 rende comunque rilevante la quota di casi prevenibile" (pagina 5 della nota dell'ISS)".

Ed ancora : "Alla luce dei dati sin qui ripercorsi, deve ritenersi che le autorità scientifiche attestino concordemente la sicurezza dei vaccini per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2 oggetto di CMA e la loro efficacia nella riduzione della circolazione del virus"..."appare evidente, dunque, in coerenza con il dato medico-scientifico che attesta la piena efficacia del vaccino e l'idoneità dell'obbligo vaccinale rispetto allo scopo di ridurre la circolazione del virus, la non irragionevolezza del ricorso ad esso" (sentenza n. 14/2023).

Orbene, questo Giudice intende discostarsi da tale interpretazione, rilevando che i vaccini per SARS-Co.V-2 in commercio non sono strumenti atti in alcun modo a prevenire il contagio dal virus. Qui non si discute, peraltro, come è evidente, della idoneità o meno dei vaccini in commercio a prevenire le forme acute della malattia, che è tutt' altra questione, non di interesse per il presente giudizio, bensì della capacità, o meglio della incapacità, di tali vaccini quale strumento di prevenzione del contagio.

In particolar modo, la Consulta, come detto, richiama, prestandovi quindi piena fede, una affermazione dell'ISS, secondo cui "la vaccinazione anti -

COVID-19 costituisce una misura di prevenzione fondamentale per contenere la diffusione dell'infezione da SARS-CoV-2", "anche se l'efficacia vaccinale non è pari al 100%".

In realtà, l'idoneità dei vaccini attualmente in commercio ad impedire di essere contagiati e di contagiare a propria volta, e quindi quale strumento di prevenzione del contagio, non solo non è pari o vicina al 100% ma si è di fatto rilevata prossima allo zero.

Va in effetti ancora premesso, sul punto, che, la scienza, allorché studia e ricerca un fenomeno ancora ignoto - quale appunto è un nuovo virus - non è costituita da un monolitico blocco di granitica certezza bensì si manifesta piuttosto inizialmente nella forma di ipotesi scientifiche alternative e spesso contrastanti.

Specialmente in tale fase iniziale e sperimentale della ricerca scientifica, quindi, prima che il risultato scientifico, con il passare del tempo e la sedimentazione dei dati raccolti, si consolidi, il Giudice è chiamato a verificare, per la decisione del caso concreto, eventualmente anche tramite apposita perizia (art. 220 c.p.p.), ed anche nella veste di peritus peritorum, quale sia, tra le varie, l'ipotesi scientifica maggiormente accreditabile, da porre quindi a fondamento del giudizio.

Il Giudice quindi non può limitarsi a recepire passivamente e supinamente dei dati scientifici ancora non definitivi e provvisori, sia pure se provenienti dalle autorità nazionali ed internazionali preposte alla ricerca scientifica, con apodittici richiami a tali dati. Al contrario, il Giudice è tenuto ad operare un vaglio critico su tali dati, debitamente illustrando quale ipotesi scientifica ritenga applicabile al caso concreto e per quali motivi.

Nel caso che ci occupa, in affetti, questo Giudice ritiene non provata l'efficacia vaccinale per SARS-CoV-2 quale strumento di prevenzione del contagio - e ciò lo si ripete non solo in una misura prossima al 100% bensì in una qualsiasi misura percentuale superiore allo zero - risultando piuttosto quale fatto notorio, cioè quale dato incontrovertibile emergente dal naturale accadimento dei fatti (id quod plerumque accidit), che i soggetti vaccinati per SARS-CoV-2 possano contrarre e trasmettere contagio e che, di conseguenza, dal punto di vista epidemiologico, vaccinati e non vaccinati, vanno necessariamente trattati come soggetti tra loro sostanzialmente equivalenti.

Sul punto, questo Giudice, quindi, nel prendere le distanze dall'interpretazione fornita dalla Consulta nelle citate sentenze, intende piuttosto conformarsi all'indirizzo giurisprudenziale di merito che ha qualificato come "fatto notorio" la inidoneità dei vaccini in commercio a costituire strumenti di prevenzione del contagio, trattandosi di un fatto che appartiene al normale patrimonio di conoscenze della comunità sociale, in un dato tempo e in un dato luogo, e che può essere, perciò, conosciuto, nella sua distinta identità storica, dal giudice senza uno specifico accertamento, eschidendo la necessità di ulteriori verifiche in punto di prova.

In proposito, e stato infatti sostenuto che "i vaccinati come i non vaccinati si infettano ed infettano gli altri. La scienza ci dice che non è stata fatta alcuna sperimentazione che dimostri come il vaccinato non si contagi e non contagi a sua volta, la comune esperienza di tutti (personale, familiare, della cerchia di conoscenti) conferma il dato evidente che chi non si è vaccinato può infettarsi come chi ha ricevuto una dose, due dosi etc.." (Tribunale di L'Aquila, Settore Lavoro e Previdenza, sentenza del 23 novembre 2022). Ed ancora, sempre la giurisprudenza di merito ha chiarito che "i contagi avvengano comunque e non si sono mai interrotti, nonostante la campagna vaccinale pluriennale; ciò è tanto diffuso, e conosciuto nella percezione comune di questo momento storico da essere fatto notorio, perché tutti sanno che i vaccini non impediscono il contagio; dunque vaccinati e non vaccinati sono vettori virali indistintamente; trovandosi in, situazioni identiche non è pensabile un trattamente) discriminatorio dei non vaccinati" (Tribunale Ordinario di Firenze, Seconda Sezione Civile, sentenza del 31 ottobre 2022).

Nello stesso senso anche le diverse ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale (per tutte, Tribunale di Padova, Settore Lavoro e Previdenza, ordinanza del 28 aprile 2022).

Venendo quindi meno il presupposto, normativo dell'obbligo vaccinale e dell'esibizione del "green pass" nei luoghi di lavoro - per l'inefficacia, in punto di fatto, dei vaccini attualmente in commercio a prevenire che il vaccinato si contagi e contagi a sua volta - ne consegue quindi anche il difetto di offensività delle condotte contrarie a tale disposto normativo ovvero contrarie agli atti amministrativi fondati su tale disposto - quale certamente è la consegna di effettuare il controllo del "green pass" all'ingresso della caserma che l'imputato avrebbe forzato.

Al riguardo, va rilevato, in termini generali, che per effetto del principio di necessaria offensività della condotta (artt. 25, 27 Cost. e 49 c.p.) per concretizzare la rilevanza penale del fatto non è sufficiente che questo risulti formalmente conforme al modello legale, essendo altresì necessario che lo stesso risulti effettivamente e concretamente lesivo e offensivo del bene giuridico, tutelato dalla norma incriminatrice (di recente, e per vicenda in parte analoga. Tribunale Ordinario di Milano, Sezione GIP, sentenza del 12 dicembre 2022).

Con specifico riferimento poi al reato di forzata consegna - così come in quello di violata consegna - è necessaria, infatti, ad una interpretazione costituzionalmente orientata, una effettiva lesione del bene penalmente protetto della tutela del servizio ed una concreta offensività della condotta posta in essere, all'imputato (art. 25 Cost). In effetti, sotto tale profilo, la Corte Costituzionale (sentenza n. 263/2000 dell'11 luglio 2000) ha infatti avuto modo di chiarire, con statuizione di principio condivisa da questo Giudice, che "L'accertamento in concreto della sussistenza dei presupposti che identificano la consegna è invece compito dell'autorità giudiziaria militare, alla quale spetta altresì valutare se tutte le prescrizioni impartite siano, nei singoli casi, finalizzate al corretto svolgimento del servizio comandato; se, cioè, l'eventuale inadempimento del militare ad alcuna di esse sia idoneo a pregiudicare l'integrità del bene protetto ed abbia quindi carattere di offensività anche in concreto. L'articolo 25, quale risulta dalla lettura sistematica a cui fanno da sfondo, oltre ai parametri indicati dal remittente, l'insieme dei valori connessi alla dignità umana, postula, infatti, un ininterrotto operare del principio di offensività dal momento della astratta predisposizione normativa a quello della applicazione concreta da parte del giudice, con conseguente distribuzione dei poteri conformativi tra giudice delle leggi e autorità giudiziaria, alla quale soltanto compete di impedire, con un prudente apprezzamento della lesi vita in concreto, una arbitraria ed illegittima dilatazione della sfera dei fatti da ricondurre al modello legale (cfr. ancora la sentenza n. 360 del 1995, nonché le sentenze nn. 247 del 1997; 133 del 1992; 333 del 1.991, 144 del 1991)".

In conclusione, la condotta dell'imputato soggetto non vaccinato e quindi sprovvisto di "green pass" - di avere fatto ingresso in caserma forzando la consegna relativa al controllo in accesso dell'esibizione del "green pass" non ha leso alcun bene giuridico, non avendo determinato alcun rischio ulteriore per la salute pubblica rispetto all'ingresso dei soggetti vaccinati e provvisti di "green pass", stante l'inidoneità dei vaccini attualmente in commercio a prevenire la diffusione del contagio.

Lo stato di necessità.

Non solo, ma a ben vedere, anche a volere astrattamente ritenere penalmente rilevante la condotta materiale posta in essere dall'imputato, nei suoi confronti andrebbe comunque dichiarato il non luogo a procedere ex art. 425, comma primo, c.p.p., sia pure con la diversa formula "perché il fatto non costituisce reato", per l'esistenza di una causa di giustificazione e segnatamente lo stato di necessità ex art. 54 c.p.

Ne sussistono, infatti, nel caso che ci occupa, tutti i presupposti.

Quanto alla necessità di salvare sé dal pericolo attuale di un danno grave alia persona, anche in tal caso, occorre preliminarmente prendere le mosse dalla recente giurisprudenza della Consulta, per delineare il quadro normativo, e costituzionale di riferimento.

Innanzitutto, va ribadito che la consolidata e pregressa giurisprudenza della Corte Costituzionale (con le sentenze n. 258/1994 e n. 307/1.9.90) - antecedente, alle citate sentenze nn. 14/2023, 15/2023, 16/2023 - ha, a più riprese, affermato il principio di diritto secondo cui: "la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l'art. 32 della Costituzione se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale, ulteriore scopo, attinente alla, salute come interesse della, collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell'uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale. Ma si desume soprattutto che un trattamento sanitario può essere imposto solo nella previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario, e pertanto tollerabili". La stessa Corte Costituzionale in altre occasioni ha pure puntualizzato, ancor più chiaramente, che "nessuno può essere semplicemente chiamato a sacrificare la propria salute a quella degli altri, fossero pure tutti gli altri" (Corte cost., sentenza n. 118/1996).

Di fronte a tali Statuizioni di principio, la Corte Costituzionale, con la citata sentenza n. 14/2023, ne ricava che: "Da, una lettura complessiva degli indicati criteri si evince che il rischio di insorgenza di un evento avverso, anche grave, non rende di per se costituzionalmente illegittima la previsione di un obbligo vaccinale, costituendo una tale evenienza titolo per l'indennizzabilità" e che "la giurisprudenza costituzionale ha affermato con chiarezza (sulla base dei ricordati criteri) che il rischio remoto di eventi avversi anche gravi non possa, in quanto tale, reputarsi non tollerabile, costituendo piuttosto come si è detto titolo per l'indennizzo".

Questo Giudice si discosta invece da tale ultima interpretazione della Consulta, ritenendo piuttosto che le menzionate statuizioni di principio della consolidata e pregressa giurisprudenza della stessa Corte Costituzionale (sentenze nn. 258/1994 e 307/1990), anche utilizzando il mero criterio ermeneutico letterale, vadano interpretate in tutt'altro modo, e più precisamente nel senso che la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l'art. 32 Cost. solo se gli unici effetti negativi prevedibili siano temporanei, di scarsa entità e tollerabili. Giammai quindi allorché effetti avversi gravi, irreversibili o finanche fatali fossero prevedibili.

L'indennizzo, in effetti, a parere di questo Giudice, riguarda proprio gli eventi avversi, anche gravi e fatali, che per essere imponderabili, imprevedibili, fortuiti, non potevano essere previsti dal legislatore in quel dato momento storico e servono, quindi a ristorare quel danno "ulteriore", che non era appunto prevedibile (in tal senso, anche Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, ordinanza 22 marzo 2022, n. 351).

L'art. 32 Cost., anche a voler soffermarsi sul solo tenore lessicale, configura la salute prima come - fondamentale - diritto dell'individuo e, solo successivamente, come interesse della collettività, facendo chiaramente emergere una netta priorità del diritto individuale rispetto all'interesse della collettività. La tutela della salute individuale e la tutela della salute della collettività sono condizioni congiuntamente necessarie, di talché un trattamento sanitario può essere imposto solo nella previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario, e pertanto tollerabili (Corte cost., sentenza n. 307/1990).

Ci si discosta, quindi, con forza dalla recente interpretazione della Corte che ritiene compatibili con il, dettato costituzionale dell'art. 32 Cost. anche quei trattamenti sanitari obbligatori che possano provocare effetti avversi gravi, anche fatali. Un trattamento sanitario obbligatorio inteso in tal senso, ad avviso di questo Giudice, violerebbe "i limiti imposti dal rispetto della persona umana" (art. 32 Cost.), risultando disumano.

Non può quindi che auspicarsi, sul punto, un pronto revirement della giurisprudenza della Corte Costituzionale.

Quanto in particolare ai vaccini per SARS-CoV-2 in commercio essi possono causare effetti collaterali gravi, ed anche fatali, quali miocardite,

pericardite, parestesia, ipoestesia, trombosi, paralisi periferica del nervo facciale, shock anafilattico (fonti EMA, AIFA).

Non solo, ma il verificarsi di un evento avverso grave o fatale non riveste neppure un carattere di assoluta eccezionalità, imponderabilità ed imprevedibilità, bensì, al contrario, rientra tra gli eventi che si verificano in un numero non indifferente di casi e quindi prevedibili.

E ciò per diversi ordini di ragioni.

- Ciascuna tipologia di reazione avversa grave viene classificata dalle autorità preposte conte avente una frequenza da "rara" a "molto rara". Tuttavia, per "raro" si intende l'evento che si verifica in una finestra che spazia da 1/1000 a 1/10.000. Ed è chiaro, quindi, per ciò solo, che quando la frequenza degli eventi si avvicina alla soglia iniziale di riferimento, cioè 1 caso su 1000, non può certo parlarsi di eventi del tutto eccezionali ed imprevedibili.

- Del resto, e soprattutto, gli eventi avversi gravi sono stati classificati come rari o molto rari in un base ad un sistema che si fonda essenzialmente sulla farmacovigilanza passiva (con una insignificante componente di farmacovigilanza attiva). Si tratta di un sistema che - a differenza di quelli fondati principalmente sulla farmacovigilanza attiva perviene ad una notevole sottostima dei casi reali.

Questo Giudice, quindi, sulla scorta del necessario vaglio critico al quale è sempre tenuto, per le ragioni già analizzate in precedenza, allorché si tratti di valutare dati scientifici ancora non definitivi e provvisori, rileva che i vaccini per Sars-Cov-2 in commercio possono causare effetti collaterali gravi, ed anche fatali, in un numero non del tutto marginale ed indifferente di casi.

La condotta dell'imputato di non sottoporsi alla vaccinazione obbligatoria e conseguentemente di far ingresso in caserma senza esibire il "green pass" quindi è scriminato dalla necessità di salvare sé dal pericolo attuale di un danno grave alla propria persona, nel quale l'imputato sarebbe incorso proprio sottoponendosi alla vaccinazione obbligatoria,

Sempre in punto di verifica dei presupposti di applicabilità dell'art. 54 c.p., sussiste altresì la non volontarietà del pericolo, atteso che detto pericolo discende dal provvedimento normativo impositivo del trattamento sanitario. Così come deve ritenersi il fatto proporzionato al pericolo, posto che l'ingresso dell'imputato nel luogo di lavoro, non ha causato, per quanto già detto in merito all'inidoneità dei vaccini per Sars-CoV 2 attualmente in commercio, a prevenire la diffusione del virus, neppure un pericolo per la salute degli altri militari. Del resto, nel caso che ci occupa, va pure al riguardo stigmatizzato che la permanenza dell'imputato nella struttura militare è comunque stata limitata a pochi minuti.

Quanto infine alla circostanza, pur richiesta dall'art. 54 c.p., che il pericolo non fosse altrimenti evitabile, va rilevato in proposito che la sospensione dall'attività lavorativa senza retribuzione alcuna non lascia alcun margine di scelta - e quindi di evitabilità - al lavoratore.

Ed in ciò, ci si deve necessariamente e nuovamente discostare da quanto pur sostenuto nella citata sentenza della Corte Costituzionale n. 14/2023, allorché si afferma che: "l'obbligatorietà del vaccino lascia comunque al singolo la possibilità di scegliere se adempiere o sottrarsi all'obbligo, assumendosi responsabilmente, in questo secondo caso, le conseguenze previste dalla legge":

Una tale interpretazione, esasperatamente formalistica e cinica, finisce anche per svilire la centralità che la stessa Costituzione attribuisce al lavoro, quale imprescindibile mezzo di sostentamento e di sviluppo della persona umana.

Questo Giudice intende piuttosto, adottare un'interpretazione costituzionalmente orientata, valorizzando tutta quella pregressa, costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, nonché giurisprudenza di merito e di legittimità; che, sulla scorta del dettato costituzionale (artt.1, 2, 3, 4 e 35, 36 Cost.) ha avuto modo di chiarire come il lavoro non rappresenti solo un mezzo di sostentamento e di guadagno, ma è altresì un mezzo di estrinsecazione della personalità, costituendo il diritto al lavoro il "fondamentale diritto di libertà della persona umana" ed imprescindibile presidio della dignità umana (C. cost., 31.3.1994, n. 108; Corte Cost. Sentenza n. 41/1962).

Sul lavoro, infatti, si fonda non solo la dignità professionale ma anche la dignità personale dell'essere umano che vuole, mantenersi con le proprie forze, costituendo il reddito da lavoro per lo più il reddito di sussistenza, senza il quale si scivola nel degrado e nella dipendenza (Tribunale di L'Aquila, Settore Lavoro e Previdenza, sentenza del 23 novembre 2022).

E' infatti proprio la natura democratica della Repubblica a richiedere la partecipazione attiva di tutti i cittadini alla vita del Paese, e ciò non può verificarsi senza lo svolgimento di un lavoro, il quale non solo affranca dai bisogni ma è anche strumento di elevazione dei cittadini.

Il lavoro, quindi, per una persona che intende vivere una vita libera e dignitosa, non è una scelta, bensì una necessità. Non vi è quindi margine di scelta alcuno per il lavoratore, il quale se vuole continuare a sopravvivere dignitosamente, si vede costretto a sottoporsi al trattamento sanitario obbligatorio, essendo previsto, per il caso di non adempimento, la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione.

Non altrimenti evitabile quindi anche la condotta di sottrazione a tale obbligo posta in essere dall'imputato - persona non vaccinata e sprovvista di "green pass" - che faceva comunque ingresso in caserma, per svolgere la propria attività lavorativa.

P.Q.M.


Visto l'art. 425, comma primo, c.p.p.

DICHIARA

non luogo a procedere nei confronti di (...) in ordine al reato ascrittogli di forzata consegna perché il fatto non sussiste.

Così deciso in Napoli, il 10 marzo 2023.

Depositata in Cancelleria il 13 marzo 2023.