Tribunale Ivrea, Sez. Lav., 20 agosto 2021 - Il datore di lavoro ha il potere di sospendere il lavoratore non vaccinato


 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI IVREA

Sezione civile - lavoro

ORDINANZA CAUTELARE



nel procedimento ex art. 700 c.p.c. iscritto al numero di R.G.L. n. 674 del 2021 promosso da

xxxxx, ass. avv. xxx

- PARTE RICORRENTE -

CONTRO

xxxx ., ass. avv. ROBERTO FERRERO

- PARTE CONVENUTA -

Il giudice,

sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 21 luglio 2021

 

FattoDiritto


1. La signora xxx - dipendente di xxx. con mansioni di OSS e addetta all'appalto presso la R.B. - ha instaurato il presente giudizio in via d'urgenza lamentando l'illegittimità del provvedimento datoriale del 9.4.2021 con il quale la stessa era stata sospesa dal servizio e dalla retribuzione per aver rifiutato di sottoporsi al vaccino per il Covid-19 messole gratuitamente a disposizione dalla società.

A sostegno della propria tesi ha esposto i seguenti argomenti: 1) insussistenza dell'obbligo vaccinale per gli OSS in forza del disposto dell'art. 4 D.L. n. 44 del 2021 come modificato dalla L. di conversione n. 76 del 2021; 2) carenza del potere in capo al datore di lavoro di disporre la sospensione dal servizio in quanto di competenza dell'A.; 3) insussistenza dell'obbligo vaccinale in ragione dell'assenza di un vaccino che prevenga l'infezione da Sars-CoV-2; 4) impossibilità per il datore di lavoro, anche ai sensi dell'art. 2087 e 2043 c.c., di imporre l'utilizzo di farmaci ai lavoratori, soprattutto nel caso di specie stante il carattere sperimentale del prodotto; 5) contrasto della normativa de quo con disposizioni nazionali e sovranazionali di rango superiore; 6) irrazionalità della norma in ragione dell'esistenza di cure efficaci contro il covid; 7) violazione del principio di precauzione in quanto la sospensione dal servizio e dalla retribuzione di risolverebbe per la lavoratrice in una "condanna certa alla morte d'inedia" (cfr. pag. 22) a fronte del limitato rischio di morire per covid; 8) violazione del principio di proporzione in ragione del crescente numero dei guariti; 9) errato bilanciamento dei diritti costituzionalmente garantiti, anche in ragione dei rischi della particolare situazione clinica della ricorrente la quale ha già contratto in virus; 10) violazione del diritto all'obiezione di coscienza; 11) violazione degli artt. 5 e 8 St. Lav per avere il datore di lavoro dapprima effettuato indagini non consentite sulle scelte della ricorrente relative alla propria salute e poi averla discriminata in ragione delle stesse; 12) possibile inefficacia del vaccino; 13) limitata diffusione del virus nella Regione Piemonte.

In ordine al periculum in mora ha dedotto come ella sia priva di ulteriori redditi rispetto quelli derivanti dal proprio lavoro e debba far fronte ad un canone di locazione dell'importo di Euro 300 oltre al mantenimento della figlia.

Ha, quindi, chiesto al Tribunale di: "I) inaudita altera parte sospendere il provvedimento datoriale di assegnazione di ferie forzate, sospensione da lavoro e retribuzione comminato alla ricorrente con lettera raccomandata a mani del 12.4.2021, e per l'effetto ordinare la reintegra della ricorrente nelle mansioni abituali (in subordine, in altre equivalenti o perfino inferiori) con immutata retribuzione;

II) far cessare, siccome contraria alla legge, ogni condotta datoriale volta ad indagare lo stato di salute della ricorrente e a discriminarla per le sue scelte di salute, in violazione dei divieti di cui agli art. 5 e 8 dello Statuto dei lavoratori;

III) far cessare, siccome contraria alla legge, ogni condotta datoriale usurpativa dei poteri di indagine sanitaria e di imposizione del "vaccino covid", riservati rispettivamente alla Regione Piemonte (nella specie) ed alla A. di residenza, quali soggetti aventi competenza esclusiva art. 4 commi IV e V D.L. n. 44 del 2021;

IV) ordinare che la società resistente xxx S.r.l. reintegri la ricorrente xxx nelle ferie e permessi ingiustamente imposti dal giorno 12.4.2021 (o in subordine risarcisca come sopra per equivalente);

V) ordinare che la società resistente xxx S.r.l. corrisponda alla sig.ra xxx quanto dovuto a titolo di retribuzioni ed oneri accessori non pagati, a decorrere dal giorno 12.4.2021 e fino alla data dell'effettiva reintegrazione nel posto di lavoro, oltre interessi e rivalutazione monetaria".

2. xxxx s.r.l. si è costituita tempestivamente in giudizio difendendo la legittimità del proprio operato, essendosi la stessa limitata a dare applicazione alla normativa in vigore la quale risulta rispettosa di tutti i principi vigenti nell'ordinamento giuridico, anche tenuto conto dell'eccezionalità del contesto pandemico nel quale è stata varata la disposizione. Ha, quindi, concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

3. L'art. 4 D.L. n. 44 del 2021, come convertito dalla L. n. 76 del 2021, recita: "1. In considerazione della situazione di emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2, fino alla completa attuazione del piano di cui all'articolo 1, comma 457, della L. 30 dicembre 2020, n. 178, e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui all'articolo 1, comma 2, della L. 1 febbraio 2006, n. 43, che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2. La vaccinazione costituisce requisito essenziale per l'esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati. La vaccinazione è somministrata nel rispetto delle indicazioni fornite dalle regioni, dalle province autonome e dalle altre autorità sanitarie competenti, in conformità alle previsioni contenute nel piano.

2. Solo in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale, la vaccinazione di cui al comma 1 non è obbligatoria e può essere omessa o differita.

3. Entro cinque giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ciascun Ordine professionale territoriale competente trasmette l'elenco degli iscritti, con l'indicazione del luogo di rispettiva residenza, alla regione o alla provincia autonoma in cui ha sede. Entro il medesimo termine i datori di lavoro degli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche o private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali trasmettono l'elenco dei propri dipendenti con tale qualifica, con l'indicazione del luogo di rispettiva residenza, alla regione o alla provincia autonoma nel cui territorio operano i medesimi dipendenti.

4. Entro dieci giorni dalla data di ricezione degli elenchi di cui al comma 3, le regioni e le province autonome, per il tramite dei servizi informativi vaccinali, verificano lo stato vaccinale di ciascuno dei soggetti rientranti negli elenchi. Quando dai sistemi informativi vaccinali a disposizione della regione e della provincia autonoma non risulta l'effettuazione della vaccinazione anti SARS-CoV-2 o la presentazione della richiesta di vaccinazione nelle modalità stabilite nell'ambito della campagna vaccinale in atto, la regione o la provincia autonoma, nel rispetto delle disposizioni in materia di protezione dei dati personali, segnala immediatamente all'azienda sanitaria locale di residenza i nominativi dei soggetti che non risultano vaccinati.

5. Ricevuta la segnalazione di cui al comma 4, l'azienda sanitaria locale di residenza invita l'interessato a produrre, entro cinque giorni dalla ricezione dell'invito, la documentazione comprovante l'effettuazione della vaccinazione o l'omissione o il differimento della stessa ai sensi del comma 2, ovvero la presentazione della richiesta di vaccinazione o l'insussistenza dei presupposti per l'obbligo vaccinale di cui al comma 1. In caso di mancata presentazione della documentazione di cui al primo periodo, l'azienda sanitaria locale, successivamente alla scadenza del predetto termine di cinque giorni, senza ritardo, invita formalmente l'interessato a sottoporsi alla somministrazione del vaccino anti SARS-CoV-2, indicando le modalità e i termini entro i quali adempiere all'obbligo di cui al comma 1. In caso di presentazione di documentazione attestante la richiesta di vaccinazione, l'azienda sanitaria locale invita l'interessato a trasmettere immediatamente e comunque non oltre tre giorni dalla somministrazione, la certificazione attestante l'adempimento all'obbligo vaccinale.

6. Decorsi i termini per l'attestazione dell'adempimento dell'obbligo vaccinale di cui al comma 5, l'azienda sanitaria locale competente accerta l'inosservanza dell'obbligo vaccinale e, previa acquisizione delle ulteriori eventuali informazioni presso le autorità competenti, ne dà immediata comunicazione scritta all'interessato, al datore di lavoro e all'Ordine professionale di appartenenza. L'adozione dell'atto di accertamento da parte dell'azienda sanitaria locale determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2.

7. La sospensione di cui al comma 6 è comunicata immediatamente all'interessato dall'Ordine professionale di appartenenza.

8. Ricevuta la comunicazione di cui al comma 6, il datore di lavoro adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio. Quando l'assegnazione a mansioni diverse non è possibile, per il periodo di sospensione di cui al comma 9 non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato.

9. La sospensione di cui al comma 6 mantiene efficacia fino all'assolvimento dell'obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021".

4. La disposizione in commento, al dichiarato fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza ha, dunque, previsto l'obbligatorietà del vaccino per gli esercenti le professioni sanitarie e per gli operatori di interesse sanitario, considerando la vaccinazione per il Covid-19 requisito essenziale per l'esecuzione della prestazione lavorativa.

Alla luce di ciò non pare possa esservi dubbio sul fatto che il legislatore, nel varare la norma in commento, intendesse riferirsi ai vaccini B.P., Moderna e Astrazeneca, essendo quelli i soli all'epoca disponibili, oltre agli eventuali altri vaccini che venissero in futuro commercializzati.

Non sembra, invece, in alcun modo condivisibile la tesi della ricorrente che parla di impossibilità giuridica di attuazione della norma. Secondo la lavoratrice, infatti, considerato che i ritrovati attualmente in commercio non proteggono dall'infezione ma esclusivamente dalla manifestazione della malattia in forma grave, gli stessi non possono tecnicamente definirsi vaccini; conseguentemente l'obbligo di legge sarebbe inattuabile per impossibilità giuridica dell'oggetto, non esistendo allo stato alcun vaccino per il covid.

La fallacia dell'interpretazione proposta dalla ricorrente, a prescindere da ogni disquisizione di natura tecnico-scientifica sulla definizione di vaccino, è resa palese dalla semplice osservazione che nessun senso avrebbe emanare un decreto legge - che tra i suoi requisiti costitutivi richiede la necessità e l'urgenza dell'intervento - per porre un obbligo giuridico condizionato ad una scoperta scientifica futura e incerta.

5. Non è, inoltre, fondata la tesi secondo la quale gli OSS non rientrerebbero tra i destinatari dell'obbligo non essendo l'OSS un operatore sanitario e non potendo neanche essere qualificato operatore di interesse sanitario mancando una legge o altro provvedimento della regione Piemonte che lo qualifichi tale.

La qualifica di operatore di interesse sanitario in relazione alla figura dell'OSS può, infatti, essere ricavata già dall'accordo Stato Regioni del 2001. Inoltre lo stesso Consiglio di Stato, nell'escludere gli OSS dal novero degli esercenti professioni sanitarie, ne ha affermato la natura di operatori di interesse sanitario (cfr. Cons. Stato, n. 4340/2021).

6. Alla luce di quanto si n qui esposto, deve concludersi che la signora xxx rientra tra i soggetti destinatari dell'obbligo vaccinale previsto dall'art. 4 D.L. n. 44 del 2020 poiché svolge le mansioni di operatrice socio sanitaria all'interno di una residenza per anziani . La stessa, inoltre, non può giovarsi della previsione di esenzione dall'obbligo prevista dal comma 2 del medesimo articolo.

La ricorrente, infatti, ha allegato di trovarsi in condizione di salute incompatibili con la somministrazione del vaccino in ragione dell'alto livello di anticorpi AbI SARS CoV2 IgM e IgG - S1/RBD nel proprio sangue, conseguenti dall'aver contratto l'infezione in forma asintomatica. Ha, poi, prodotto un certificato medico della dott.ssa B.R. che "sconsiglia vivamente di fare il vaccino" sulla base dell'esame sierologico. Tale documentazione, però, non è sufficiente per ritenere integrata la fattispecie di esenzione prevista dalla norma. Ai sensi del comma 2 dell'4 D.L. n. 44 del 2020, infatti, la vaccinazione può essere omessa "in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale".

La norma, dunque, è chiara nel demandare al medico di medicina generale il giudizio circa la potenziale pericolosità del vaccino. Nel caso di specie, però, non solo manca un vero e proprio giudizio di pericolosità del trattamento, ma il giudizio proviene anche da un soggetto non legittimato a renderlo ai fini che qui interessano: la dott.ssa R., infatti, non è un medico di medicina generale.

Considerato, dunque, che l'aver contratto l'infezione non è di per sé circostanza ostativa alla vaccinazione e che non compete al giudice valutare se i livelli di anticorpi presenti nel sangue della ricorrente costituiscano una fonte di pericolo per la sua salute in caso di inoculazione del vaccino anti covid, non può che concludersi circa l'attuale persistenza dell'obbligo. Va da sé che a diverse conclusioni si giungerebbe nel caso in cui la ricorrente producesse un referto redatto dal medico di medicina generale.

7. Le ulteriori argomentazioni della ricorrente fanno leva sul principio dell'autodeterminazione in campo medico e sulla presunta incompatibilità con i principi costituzionale e sovranazionali di una norma, quale quella in esame, che imporrebbe un trattamento sanitario dall'esito dubbio - essendo sperimentale e non potendo essere assicurata una copertura al 100% dall'infezione - e potenzialmente foriera di maggiori rischi per la ricorrente rispetto a quelli che la stessa incorrerebbe qualora contraesse l'infezione, considerate anche le limitate possibilità di contagio nell'attuale situazione epidemiologica in atto.

Anche queste argomentazioni non appaiono fondate.

In primo luogo occorre rilevare l'infondatezza della tesi di parte ricorrente laddove, in sede di discussione, dopo aver denunciato l'incompatibilità dell'obbligo vaccinale sancito dall'art. 4 D.L. n. 44 del 2020 con la risoluzione del Consiglio d'Europa n. 361/2021, ha invocato il principio della disapplicazione del diritto interno in contrasto con il diritto comunitario. La tesi proposta, infatti, sconta un duplice ordine di errori poiché invoca il principio della disapplicazione in relazione ad un atto privo di efficacia vincolate e non proveniente da un'istituzione dell'unione europea. Il Consiglio d'Europa, infatti, è un'organizzazione internazionale a sé stante - e non un'istituzione dell'unione europea - di cui fanno parte sia stati membri dell'unione sia stati non membri. Oltre a ciò è dirimente la considerazione che la risoluzione invocata, adottata dal parlamento del Consiglio d'Europa, non ha efficacia vincolante per gli Stati.

La normativa in oggetto non contrasta poi neanche con i principi costituzionale e sovranazionali. In proposito non vi è dubbio che il principio di autodeterminazione in campo sanitario sia sancito nell'art. 32 Cost. e che lo stesso ricomprende anche la scelta di rifiutare le cure mediche, anche nel caso estremo in cui dal rifiuto delle cure derivi la morte del soggetto. Altresì vero è poi che il nostro ordinamento abbia recepito la convenzione di Oviedo in tema di consenso informato.

Ciononostante la Corte Costituzionale, in tema di vaccinazione, ha già avuto modo di chiarire che l'art. 32 Cost. impone un bilanciamento tra il diritto alla salute del singolo (anche nel suo diritto di rifiutare cure non gradite) con il pari diritto alla salute dei consociati, intesi come singoli e come collettività; in questi confini, l'obbligatorietà della vaccinazione è legittima qualora la stessa sia diretta non solo a preservare la salute di chi vi è assoggettato, ma anche quella degli altri. È, dunque, lecito comprimere il diritto di autodeterminazione del singolo qualora ciò sia giustificato anche dal fine di preservare la salute della collettività. Secondo la giurisprudenza della corte costituzionale, infatti, "la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l'art. 32 Cost.: se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili; e se, nell'ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria (sentenze n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990)". Inoltre, vista la molteplicità dei valori costituzionali che entrano in gioco in tema di vaccinazioni, la necessità di contemperare gli stessi "lascia spazio alla discrezionalità del legislatore nella scelta delle modalità attraverso le quali assicurare una prevenzione efficace dalle malattie infettive, potendo egli selezionare talora la tecnica della raccomandazione, talaltra quella dell'obbligo, nonché, nel secondo caso, calibrare variamente le misure, anche sanzionatorie, volte a garantire l'effettività dell'obbligo. Questa discrezionalità deve essere esercitata alla luce delle diverse condizioni sanitarie ed epidemiologiche, accertate dalle autorità preposte (sentenza n. 268 del 2017), e delle acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica, che debbono guidare il legislatore nell'esercizio delle sue scelte in materia (così, la giurisprudenza costante di questa Corte sin dalla fondamentale sentenza n. 282 del 2002)" (Corte Cost., sentenza n. 5/2018).

Nel caso di specie, non appare censurabile il bilanciamento di interessi fatto in concreto dal legislatore.

L'obbligo vaccinale è, infatti, stato previsto solo per gli operatori sanitari e per gli esercenti le professioni di interesse sanitario che operino all'interno di strutture ospedaliere, RSA o studi privati. È evidente, dunque, che la scelta della categoria cui è stato imposto l'obbligo vaccinale non è stata casuale: si tratta, infatti, di soggetti che operano a stretto contatto con quella categoria di persone che, una volta infettatasi, sconta un'alta probabilità di sviluppare la malattia in forma grave con esiti anche mortali. Dunque, la scelta del legislatore è stata quella di limitare la libertà di autodeterminazione dell'appartenente a dette categorie al fine di salvaguardare il bene salute dei soggetti più fragili che si trovano costretti ad avere contatti con i primi in quanto bisognosi di cure.

Si consideri, poi, che al singolo è comunque garantito il diritto di non sottoporsi al vaccino, sebbene con le conseguenze sopra evidenziate in ordine all'impossibilità di rendere la prestazione lavorativa. In tale ottica la posizione del singolo è ulteriormente salvaguardata dalla previsione dell'obbligo per il datore di lavoro di adibire il lavoratore a mansioni diverse, se disponibili, e dalla previsione della mera sospensione dal servizio (con conseguente eventuale illegittimità - per stessa volontà legislativa - di un licenziamento irrogato per tali motivi). Da ultimo si consideri come, in caso di accertato rischio per la salute conseguente all'inoculazione del vaccino, l'obbligo cessa di esistere e il lavoratore conserva il diritto di svolgere le mansioni di appartenenza.

Alla luce di quanto esposto, può affermarsi che il legislatore abbia effettuato un equo contemperamento dei diritti in gioco, limitando il diritto di autodeterminazione del singolo in materia sanitaria nella misura in cui i rischi conseguenti all'inoculazione del vaccino appaiono tollerabili per il soggetto a ciò obbligato e al fine di salvaguardare il diritto dei soggetti fragili i quali, qualora infettati, avrebbero un'alta probabilità di incorrere in conseguenze gravi, finanche mortali.

Diversamente, la tesi della ricorrente non presenta alcun bilanciamento tra gli interessi in gioco; tutto il ricorso è, infatti, incentrato sui diritti di libertà del singolo e in nessuna parte di esso si prende in considerazione la posizione dell'ospite della struttura il quale è costretto ad entrate in contatto con il suo personale - essendo bisognoso di cure - e si trova in una situazione di vulnerabilità che necessita di essere tutelata.

8. Non minano il ragionamento sinora esposto gli argomenti della ricorrente che fanno leva sulla mancanza di efficacia al 100% della protezione vaccinale, con conseguente possibilità del soggetto vaccinato di trasmettere la malattia, e sulla possibilità che un soggetto vaccinato non elabori la risposta immunitaria.

Sebbene, infatti, la protezione dalla malattia non risulti totale, secondo la letteratura scientifica maggiormente accreditata, il vaccino, nella maggior parte dei casi, riduce significativamente le possibilità sia di contrarre l'infezione che di trasmetterla. E ciò è sufficiente ai fini che qui rilevano.

9. Non occorre, invece, prendere in considerazione l'argomento circa la presenza di feti abortiti nel preparato e il possibile diritto all'obiezione di coscienza. Né dal ricorso né dalla documentazione versata in atti, infatti, si evince che la signora xxxx abbia rifiutato il vaccino

ritendo che, diversamente, si sarebbe resa complice di un procurato aborto. L'argomento è, invece, proposto solo in maniera ipotetica. Si legge, infatti, "come i musulmani possono legittimamente rifiutarsi di consumare la carne di maiale (...) analogamente (...) la ricorrente potrebbe legittimamente rifiutare di farsi inoculare farmaci estratti da feti umani" (pag. 25 del ricorso).

10. Occorre a questo punto passare ad esaminare le questioni di ordine formale.

La ricorrente ha dedotto l'assenza in capo al datore di lavoro del potere di disporre la sospensione dal servizio atteso che l'art. 4 D.L. n. 44 del 2021 disciplina un articolato procedimento che vede nell'autorità sanitaria il soggetto demandato a esercitare detto potere.

Anche detta tesi non può essere accolta.

In primo luogo la lettera della norma fa ritenere che la sospensione dall'attività lavorativa sia una conseguenza direttamente voluta dalla legge e che all'A. competa solo l'adozione dell'atto di accertamento dell'inadempimento dell'obbligo da cui consegue la prescritta sospensione. In tale ottica, dunque, al datore di lavoro deve essere riconosciuto il potere di sospendere il lavoratore dalla prestazione lavorativa - conformemente da quanto previsto dalla normativa in esame - ove abbia accertato che il dipendente non sia vaccinato. Per altro, avendo la norma espressamente configurato il vaccino quale requisito essenziale per l'esercizio della prestazione lavorativa, non viola le disposizioni di cui all'art. 8 st. lav., il datore di lavoro che si informi circa le determinazioni del lavoratore in tale ambito.

Si osserva, inoltre, come il potere di sospendere il lavoratore non vaccinato da parte del datore trovi fondamento nel principio di prevenzione che è alla base dei comportamenti doverosi dettati in materia dal T.U. n. 81/2008 (per quanto qui di interesse, in particolare, dagli artt. 41, 42 e 279) e dall'art. 2087 c.c. come specificato dall'art. 29-bis D.L. n. 23 del 2020 ed integrato dalle c.d. "misure innominate", ovvero quelle suggerite dalle migliori conoscenze sperimentali o tecniche del momento. Non si deve, inoltre, dimenticare la responsabilità che grava sul datore di lavoro nell'adempiere a precisi obblighi di protezione nei confronti dei terzi che entrino a contatto con la sua organizzazione imprenditoriale.

Come osservato dal Tribunale di Verona in relazione ad una fattispecie sorta in epoca antecedente all'introduzione dell'obbligo vaccinale "non può essere (...) messo in dubbio che già il D.Lgs. n. 81 del 2008 nel capo dedicato alla "sorveglianza sanitaria" per quei lavoratori esposti ad agenti biologici imponga al datore di lavoro su conforme parere del medico competente, di adottare misure protettive "particolari", misure speciali di protezione, fra cui la messa a disposizione di vaccini efficaci (che non significa, però, obbligo di sottoporsi al vaccino) e l'allontanamento temporaneo del lavoratore secondo le procedure dell'art. 42 (art. 279, comma 2, D.Lgs. n. 81 del 2008). Il medico competente, dunque, valutati i compiti svolti dal dipendente ed il contesto aziendale di riferimento, può esprimere un giudizio di inidoneità rivolto al lavoratore nelle ipotesi in cui questi abbia rifiutato di vaccinarsi, con allontanamento temporaneo dello stesso e adibizione ad altre mansioni, anche inferiori, ove possibile. Le procedure previste dagli artt. 41 e 42 tuttavia, nella attuale e perdurante situazione emergenziale di pandemia mondiale, con particolare riferimento ai casi relativi ai dipendenti delle strutture sanitarie e socio-assistenziali, a fronte della possibilità del moltiplicarsi dei rifiuti alla vaccinazione, possono risultare incompatibili e inefficaci nell'immediatezza, tanto da giustificare un intervento cautelativo del datore di lavoro in attesa dell'esito della procedura stessa, consistente proprio nella sospensione del rapporto di lavoro (o nell'eventuale utilizzazione delle ferie residue del lavoratore), in attesa dell'esito di tali procedure. Il datore di lavoro infatti, nell'esercizio dei suoi poteri, può disporre quanto meno in via provvisoria e in attesa dell'espletamento della visita medica e della connessa verifica di idoneità, una diversa collocazione del proprio dipendente all'interno dell'organizzazione dell'impresa, mutando le mansioni, ove possibile o nel caso di impossibilità, sospendendo appunto il rapporto di lavoro" (Tribunale Verona, 16 giugno 2021, n. 3183).

11. Da ultimo prive di pregio sono le considerazioni circa la sperimentalità del vaccino. È vero, infatti, che i preparati sono stati autorizzati sotto condizione e che, necessariamente non sono scientificamente provati gli effetti a medio e lungo periodo, ma è altrettanto vero che gli enti regolatori (EMA e AIFA) hanno approvato la commercializzazione di detti vaccini. Pertanto, gli stessi devono ritenersi passibili di obbligo vaccinale. D'altra parte, nel presente contesto pandemico, la scelta in esame è evidentemente una scelta politica sulla quale il giudice non ha potere di sindacare, in assenza di evidenze circa la loro potenziale ed elevata nocività.

12. In ragione di quanto sopra esposto - e sulla base di un giudizio di verosimiglianza che è proprio del presente procedimento - la domanda non può dirsi fondata. Il difetto di fumus boni iuris giustifica il rigetto del ricorso senza necessità di motivare in punto periculum in mora.

13. La novità e la rilevanza della questione giustifica l'integrale compensazione delle spese del giudizio.

 

P.Q.M.


Visti gli artt. 669 bis e ss. c.p.c.

- Rigetta il ricorso

- Compensa tra le parti le spese del giudizio

Si comunichi.

Così deciso in Ivrea, il 20 agosto 2021.

Depositata in Cancelleria il 20 agosto 2021.