Cassazione Penale, Sez. 4, 12 gennaio 2024, n. 1425 - Morte del motociclista e limiti alla responsabilità del gestore dell'impianto sportivo



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta da:

Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente

Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere

Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere

Dott. MICCHCHÈ Loredana - Relatore

Dott. MARI Attilio - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA


sul ricorso proposto da:

A.A. nato a C il (omissis)

avverso la sentenza del 16/01/2023 della CORTE APPELLO di TORINO

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere LOREDANA MICCICHE';

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore OLGA MIGNOLO che ha concluso chiedendo

Il Proc. Gen. conclude per l'annullamento con rinvio

udito il difensore

E' presente l'avvocato PAPUZZI DAVIDE del foro di TORINO in difesa di:

PARTE CIVILE ed anche in sostituzione con delega depositata in aula dell'avv BRUNO LUCA.

È presente l'avvocato MIOLETII FABRIZIO del foro di TORINO in difesa di: A.A.

Il difensore presente chiede l'accoglimento del ricorso

 

Fatto


1. La Corte d'Appello di Torino, con sentenza in data 16 gennaio 2023, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Torino, anche aveva assolto dal reato di cui all'art. 589 cod. pen, contestato in cooperazione colposa, B.B., C.C. e A.A., dichiarava non doversi procedere per morte del reo quanto alla posizione di B.B., confermava la pronuncia assolutoria per il C.C. e dichiarava responsabile il solo A.A., condannandolo alla pena di mesi sei di reclusione con i doppi benefici di legge, nonché al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili costituite.

AI predetto imputato era stato contestato che, in qualità di gestore del circuito motociclistico " Le Dune" di T, per colpa, costituita in negligenza, imprudenza e imperizia consistita nel mantenere aperto l'impianto, da considerare insicuro perché privo delle idonee misure di sicurezza che impedissero la fuoriuscita dei motociclisti dall'area, nonché avendo consentito che ivi circolassero motociclisti dilettanti, aveva cagionato la morte del motociclista D.D..

2.I fatti si erano così verificati: il giorno dell'incidente, avvenuto il 20 febbraio 2016, il predetto D.D., dopo aver percorso il rettilineo principale del circuito, salendo il primo tratto della curva sinistrorsa, anziché impostare la curva proseguiva con andamento rettilineo a velocità sostenuta ( circa 70 km/H). II mezzo, pertanto, anziché curvare, si arrampicava sulla Spalletta del terrapieno che delimitava a destra la curva (la cui funzione era quella di accompagnare i motociclisti nella esecuzione della curva); il terrapieno aveva quindi fatto da trampolino causando un volo balistico, il veicolo aveva scavalcato la cd " zona neutra" posta al limitare della pista nonché la recinzione di delimitazione del circuito e, superato il terrapieno, andava ad impattare contro il muro posto a delimitazione della ferrovia limitrofa, precipitando al suolo a circa 5 metri dal punto di impatto. Il D.D. riportava la rottura dell'aorta in politrauma, che ne determinava il decesso.

3.La Corte territoriale, posto ed accertato che il D.D. era motociclista tesserato delle Associazioni sportive italiane (ASI), che aveva provveduto alla omologazione del circuito e che pertanto il circuito poteva essere utilizzato dalla vittima, aveva accolto parzialmente l'appello della Pubblico ministero e delle parti civili. I giudici di secondo grado confermavano l'assoluzione del C.C. che aveva omologato l'impianto per conto della Federazione motociclismo, in quanto il suo compito era di controllare la rispondenza dell'impianto al progetto; pertanto, non poteva ricadere sul C.C.la colpa di eventuali inadeguatezze del progetto relativamente alla previsione di uno Spazio cd " neutro" atto a contenere i rischi in caso di fuoriuscita dalla curva, Spazio che nel caso di specie si era rivelato del tutto insufficiente. La Corte torinese aveva invece ritenuto che incombesse sul A.A., nella sua qualità di gestore dell'impianto, l'obbligo di effettuare uno studio sulla sicurezza dell'impianto e sulla valutazione dei relativi rischi, essendo notoriamente il motocross uno sport di elevata pericolosità, e ciò anche se detto obbligo non era previsto dalla normativa di settore. In particolare, il rischio da valutare era quello di fuoriuscita dalla curva, che era certamente prevedibile, e quindi il A.A. avrebbe dovuto, secondo le ordinarie regole di diligenza e prudenza, individuare tutte le probabili traiettorie di uscita dalla curva da parte dei veicoli, approntando gli idonei accorgimenti di sicurezza. Non sarebbe invero corretta l'individuazione del rischio da coprire soltanto facendo riferimento alle ipotesi di una uscita regolare dalla curva, non salvaguardando l'incolumità dei piloti che, per varie ragioni, non riescono ad impostare la curva, andando dritti, come era avvenuto nel caso di specie. Il A.A. dunque avrebbe dovuto approntare le misure di sicurezza nel caso di pilota che non avesse affrontato la curva, andando dritto, attraverso la realizzazione di una zona neutra più ampia, una diversa inclinazione della sponda, il montaggio di reti di contenimento, la modifica del tracciato per limitare la velocità dei piloti.

4 . Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso l'imputato, a mezzo del difensore di fiducia, per tre motivi.

4.1. Con un primo motivo lamenta vizio di manifesta contraddittorietà della motivazione. La Corte aveva ritenuto che il coimputato C.C. in veste di omologatore del circuito, non fosse chiamato a valutare se la zona neutra (zona che nella curva ove era avvenuto l'incidente del D.D. era larga 180 cm e superava l'ampiezza minima richiesta dal regolamento) fosse adeguata a prevenire il pericolo che un pilota uscito di pista si scontrasse con un ostacolo, poiché egli poteva fare legittimamente affidamento sul fatto che lo studio di pericolosità della curva e i calcoli delle possibili traiettorie di uscita e alla conseguente ampiezza della zona neutra fossero stati fatti in sede di progettazione. Del tutto contraddittoriamente la Corte aveva ritenuto che il A.A. non potesse giovarsi di analogo affidamento.

4.2. Con un secondo motivo deduce vizio di motivazione in ordine alla affermata sussistenza della colpa generica consistente nel non aver eseguito uno studio di sicurezza sull'impianto e sulla valutazione dei relativi rischi. L'espletata istruttoria aveva chiarito, con la perizia redatta dall'ing E.E., che il A.A. aveva adempiuto a tutti gli obblighi facenti al capo al gestore di un impianto, affidandosi al regolamento della Federazione Motociclistica Italiana e alle omologhe del circuito da parte dei tecnici della FMI, che erano i maggiori esperti del settore. Di conseguenza, non era esigibile in concreto da parte del A.A. la ricerca di tecnici con esperienza ancora superiore a quelli del comitato impianti della Federazione. La motivazione della Corte territoriale era viziata da manifesta illogicità, per aver ritenuto che il A.A. avrebbe dovuto effettuare uno studio sulla sicurezza che, per stessa ammissione della Corte d'Appello, non era previsto nemmeno dalla normativa di settore. Pertanto, la sentenza era viziata laddove aveva ritenuto che una prescrizione generica potesse imporre ciò che neppure una prescrizione specifica prevedeva. Con altro e diverso vizio logico, la Corte aveva ritenuto necessario un documento di valutazione dei rischi ai sensi del d.lgs 81/2008, che però, come avvalorato dall'istruttoria espletata, non avrebbe mai affrontato gli aspetti della sicurezza dei piloti, perché limitato alla sicurezza dei dipendenti.

4.3. Con il terzo motivo si denuncia manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta rilevanza causale. La Corte territoriale aveva utilizzato una formula matematica non attinente alla attività sportiva in esame, sostenendo che alcuni correttivi avrebbero determinato conseguenze meno gravi. La formula matematica utilizzata, che aveva calcolato con il parametro 1 il fattore di probabilità e 4 come possibile rischio morte, era applicata per il rischio da infortunio lavorativo, e del tutto inadatta ad essere applicata per incidenti verificabili sulle piste da motocross; inoltre, era del tutto scollegata da verifiche concrete di idoneità ad evitare l'evento l'indicazione delle misure di sicurezza che si sarebbero dovute adottare; valeva come esempio l'indicazione delle reti di contenimento che, secondo il giudizio del perito, non avrebbe evitato con certezza conseguenze severe in capo al motociclista.

Diritto


1. I primi due motivi, che possono esaminarsi congiuntamente per intima connessione logica in quanto attengono all'elemento soggettivo del reato, sono fondati.

2. È stato costantemente affermato da questa Corte che colui che ha la disponibilità di impianti ed attrezzature per l'esercizio delle attività e discipline sportive è titolare di una posizione di garanzia, ai sensi dell'art. 40, comma secondo, cod. pen., ed è tenuto a garantire l'incolumità fisica degli utenti e ad adottare quelle cautele idonee ad impedire il superamento dei limiti di rischio connaturati alla normale pratica sportiva (Sez. 4, n. 22037 del 21/04/2015, P.c in proc. Muraca, Rv. 263823 - 01). Si è però chiarito che il dovere di garanzia non può essere generico ed illimitato e fonte di responsabilità per qualsiasi evento dannoso occorso agli utenti dell'impianto, ma deve comunque essere ricollegabile ad una concreta rimproverabilità della condotta a titolo di colpa, e, quindi, ad una violazione o di una regola cautelare specifica atta a scongiurare il rischio di evento in concreto verificatosi, ovvero, se il rimprovero colposo è mosso a titolo di colpa generica, deve comunque trattarsi dell'omissione di una condotta effettivamente esigibile da parte dell'agente.

3. In particolare, in tema di gestione di un impianto sportivo per le attività di nuoto, questa Corte ha affermato che gestore di una piscina è titolare di una posizione di garanzia, ai sensi dell'articolo 40, comma secondo, cod. pen., in forza della quale è tenuto a garantire l'incolumità fisica degli utenti mediante l'idonea organizzazione dell'attività, vigilando sul rispetto delle regole interne e di quelle emanate dalla Federazione italiana nuoto, le quali hanno valore di norme di comune prudenza, al fine di impedire che vengano superati limiti del rischio connaturato alla normale pratica sportiva (Sez. 4, n. 4462 del 14/12/2005, Calandra, Rv. 233244 - 01); sempre richiamando la casistica sul tema, questa Sezione ha ritenuto, quanto al gestore della pista da sci, che quest'ultimo è titolare di una posizione di garanzia in forza della quale può essere chiamato a rispondere dei reati di omicidio o lesioni colpose" per non aver impedito il verificarsi di un evento lesivo che aveva l'obbligo giuridico di impedire, sempre che sia possibile muovergli un rimprovero a titolo di colpa, derivante dalla violazione di una o più norme cautelari da individuare sulla base delle due direttrici di cui all'art. 3, comma 1, della legge 24 dicembre 2003 n. 363 ( norme in materia di sicurezza nella pratica degli sport invernali da discesa e da fondo) rappresentate dall'obbligo di consentine lo svolgimento delle attività sportive e ludiche in condizioni di sicurezza e dall'obbligo di utilizzare adeguate protezioni e segnalare situazioni di pericolo (Sez. 4 - n. 18333 del 18/01/2019, PM in proc. Soravia, Rv. 275801 ­02). Si è comunque chiarito che l'obbligo di provvedere ad adottare le cautele atte ad eliminare situazioni di pericolo deve essere concretamente esigibile da parte del gestore (cfr. con particolare riferimento ai responsabili degli impianti sciistici, Sez.4, n. 14606 del 15/02/2017, Seber, Rv. 269851 -01, secondo cui la posizione di garanzia che assume il gestore di un impianto sciistico in ordine all'incolumità degli sciatori prevede l'obbligo di recintare la pista ed apporre idonee segnaletiche e protezioni, o, in alternativa, rimuovere possibili fonti di rischio" ma solo in presenza di un pericolo determinato dalla conformazione dei luoghi che determini l'elevata probabilità di un'uscita di pista dello sciatore, apparendo inesigibile pretendere che tutta la pista sia recintata o che tutti i pericoli siano rimossi).

3.1. Quanto allo specifico caso dei circuiti motociclistici o automobilistici, va ricordata Sez 4, n.812 del 4/5/2010, Ghedini, n.m, che, riguardo al mortale incidente occorso ad un pilota durante le prove sul circuito automobilistico del Mugello, ha ritenuto la responsabilità del gestore dell'impianto che non aveva provveduto alla fresatura delle vie di fuga previste sul circuito in caso di uscita dalla curva, così da agevolare la frenata; ed ha ribadito, da un lato, il principio sopra ricordato, ossia la sussistenza della posizione di garanzia gravante sui gestori degli impianti, anche in relazione ai principi generali in materia civile, concernenti l'esercizio di attività pericolose; e dall'altro, che" la individuazione dei criteri di salvaguardia stabiliti dalle norme associative HA e CSAI ( Federazione automobilistica italiana e Commissione sportiva automobilistica italiana, ndr) bene può essere assunta a fonte di conoscenza di generali parametri di diligenza e perizia, necessari nell'esercizio di autodromi". (così sento cit., in motivazione).

4.- Tirando le fila dei principi sopra ricordati, va dunque rilevato che la giurisprudenza costante individua il contenuto dell'obbligo giuridico del gestore di un impianto sportivo nella vigilanza sul rispetto delle regole di utilizzo interno dell'impianto (nella specie, nessuna violazione in tal senso è venuta in considerazione) ovvero delle specifiche regole previste da normative speciali (si vedano le norme sull'attività sciistica) e dai regolamenti emanati dalle Federazioni sportive. Nel caso di specie, secondo il regolamento della Federazione motociclismo, la " zona neutra" della curva doveva rispettare la misura di 100 cm che nel caso di specie era stata rispettata ( anzi, detta zona misurava 180 cm) e, difatti, il circuito era stato ritualmente omologato. I motivi, dunque colgono nel segno laddove si censura la motivazione della Corte d"appello secondo cui l'imputato, gestore dell'impianto, avrebbe dovuto valutare autonomamente in base ad una generale ed indefinita regola cautelare se lo Spazio di "zona neutra" contiguo a quella curva fosse o meno sufficiente: tanto in base alla considerazione che il rischio che il motociclista non affrontasse la curva ma andasse dritto fosse un rischio ampiamente prevedibile. Orbene, è invece proprio il regolamento delle Federazione sportiva, che disciplina le caratteristiche dei circuiti, a stabilire le specifiche regole atte a prevenire le conseguenze dannose dei rischi di fuoriuscita dalla curva. Il gestore dell'impianto è tenuto a vigilare sulla regolare organizzazione della attività in base alla disciplina prevista dalle Federazioni sportive, e non è sostenibile che egli sia tenuto ad intervenire con un comportamento attivo che superi le previsioni regolamentari: ciò comporterebbe, invero, ipotizzare un generale dovere di verifica, di volta in volta, dell'idoneità di specifiche previsioni dei regolamenti delle Federazioni a scongiurare o meno eventuali rischi nello svolgimento delle attività sportive, ponendo in capo al gestore un obbligo di fatto inesigibile per ampiezza e genericità, come già affermato dalla giurisprudenza sopra citata.

5. Può dunque certamente concludersi nel senso che il A.A. aveva adempiuto a tutti gli obblighi facenti al capo al gestore di un impianto, affidandosi al regolamento della Federazione Motociclistica Italiana e alle omologhe del circuito da parte dei tecnici della FMI, che erano i maggiori esperti del settore. Di conseguenza, non era esigibile in concreto da parte del A.A. un ulteriore comportamento alternativo lecito, quale, secondo la sentenza impugnata, una eventuale ricerca di tecnici con esperienza ancora superiore a quelli del comitato impianti della Federazione. La motivazione della Corte territoriale si appalesa effettivamente viziata da manifesta illogicità, per aver ritenuto che il A.A. avrebbe dovuto effettuare uno studio sulla sicurezza non previsto dalla normativa di settore (di ciò dà espressamente atto anche la Corte territoriale). Né vale il richiamo al d.lgs. n.81/2008, pacificamente riguardante la prevenzione degli infortuni sul lavoro, del tutto esulanti dal caso di specie.

6. Può dunque escludersi, in base a quanto esposto, la configurabilità di profili di colpa in capo al ricorrente. L'esame del terzo motivo, inerente all'elemento della causalità, è quindi assorbito dall'esame dei primi due motivi.

7. In forza delle considerazioni che precedono si impone l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste. Segue la revoca delle statuizioni civili.

P.Q.M.


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste. Revoca le statuizioni civili.
Così deciso in Roma il 26 ottobre 2023.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2024.