Cassazione Civile, Sez. 4, 15 gennaio 2024, n. 1471 - Dipendente comandato demansionato: conseguenze economiche a carico dell’ente di appartenenza


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA CIVILE

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

IV SEZIONE CIVILE

Composta da

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa - Presidente -

Dott. TRICOMI Irene - Consigliere -

Dott. BELLÉ Roberto - Consigliere -

Dott. CASCIARO Salvatore - Consigliere -

Dott. CAVALLARI Dario - Cons. rel. -

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA



sul ricorso iscritto al n. 21865/2018 R.G. proposto da

A.A., rappresentato e difeso dall'Avv. Giovanni Maria Facilla, presso cui è elettivamente domiciliato in Roma, via Carlo Dossi 45;

- ricorrente -

Contro

Enea - Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'Energia e lo Sviluppo economico sostenibile, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12;

- controricorrente -

avverso la sentenza della Corte d'appello di Roma n. 5166/2017 pubblicata il 9 gennaio 2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 novembre 2023 dal Consigliere Dario Cavallari.

Fatto


A.A., con ricorso depositato il 26 settembre 2012 presso il Tribunale di Roma, ha esposto che aveva prestato la sua attività lavorativa dal 1° luglio 1976 al 29 dicembre 2011, con ultimo inquadramento all'VIII livello del CCNL nazionale e mansioni di collaboratore tecnico, eseguendo, però, prestazioni corrispondenti al IX livello del CCNL a partire quantomeno dal gennaio 2006.

Pertanto, egli chiedeva che, accertata la sua dequalificazione ed emarginazione dal contesto lavorativo come minimo da settembre 2009 alla cessazione del rapporto, l'Enea risarcisse il danno da dequalificazione cagionatogli.

Il Tribunale di Roma, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 11354/2013, ha rigettato il ricorso.

A.A. ha proposto appello che la Corte d'appello di Roma, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 5166/2017, ha respinto.

A.A. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di otto motivi.

Enea - Agenzia nazionale per le Nuove Tecnologie, l'Energia e lo sviluppo economico sostenibile (da ora solo Enea) ha resistito con controricorso.

Diritto


1) Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 30 del d.lgs. n. 276 del 2003.

Egli evidenzia di essere stato formalmente dipendente di Enea e di avere reso la sua prestazione lavorativa presso Sogin Spa in virtù di un'intesa fra le due società del 13 maggio 2003.

Tale intesa aveva disposto il suo collocamento alle dipendenze funzionali di Sogin Spa, così ponendo in essere un distacco del personale Enea presso Sogin Spa.

La corte territoriale avrebbe allora errato nell'affermare che, nella specie, si sarebbe verificata un'ipotesi di comando.

L'istituto del distacco era disciplinato dall'art. 30 d.lgs. n. 276 del 2003 e, in base a questa disposizione, il datore distaccante era il responsabile del trattamento economico e normativo del lavoratore distaccato, diversamente da quanto avveniva nell'eventualità del distacco.

Peraltro, il più recente orientamento della S.C. era nel senso di ritenere che, qualora l'impiego del lavoratore presso altro datore di lavoro soddisfi anche l'interesse dell'originario datore di lavoro, questi non poteva essere liberato da responsabilità in relazione all'attività espletata dal suo dipendente.

La doglianza merita accoglimento nei termini che seguono.

Nella specie, vengono in rilievo due istituti poco approfonditi in dottrina ed in giurisprudenza, vale a dire il comando e il distacco.

Il comando propriamente detto (talora denominato "di diritto pubblico": Cass., Sez. L, n. 17842 dell'8 settembre 2005) è stato disciplinato, innanzitutto, dall'art. 56 del T.U. n. 3 del 1957, per il quale: "L'impiegato di ruolo può essere comandato a prestare servizio presso altra amministrazione statale o presso enti pubblici, esclusi quelli sottoposti alla vigilanza dell'amministrazione cui l'impiegato appartiene.

Il comando è disposto, per tempo determinato e in via eccezionale, per riconosciute esigenze di servizio o quando sia richiesta una speciale competenza.

Al comando si provvede con decreto dei Ministri competenti, sentito l'impiegato.

Per il comando presso un ente pubblico il decreto dovrà essere adottato anche con il concerto del Ministro per il tesoro e del Ministro titolare dell'amministrazione vigilante.

Per l'impiegato con qualifica non inferiore a direttore generale si provvede con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri competenti.

Salvo i casi previsti dai precedenti commi e dal successivo art. 58, è vietata l'assegnazione, anche temporanea, di impiegati ad uffici diversi da quelli per i quali sono stati istituiti i ruoli cui essi appartengono.

In attesa dell'adozione del provvedimento di comando, può essere concessa, dall'amministrazione di appartenenza, l'immediata utilizzazione dell'impiegato presso l'amministrazione che ha richiesto il comando"

La nozione di comando sopra esposta descrive il fenomeno per cui il pubblico impiegato, titolare di un posto di ruolo presso una Pubblica Amministrazione, viene temporaneamente a prestare servizio presso altra Amministrazione o presso altro ente pubblico e importa, da un lato, l'obbligo di prestare servizio presso un ufficio od un ente diverso da quello di appartenenza e, dall'altro, la dispensa dagli obblighi di servizio verso l'Amministrazione di origine.

La giurisprudenza ha chiarito che nel comando - che determina una dissociazione fra titolarità del rapporto d'ufficio, che resta immutata, ed esercizio dei poteri di gestione - si modifica il c.d. rapporto di servizio, atteso che il dipendente è inserito, sia sotto il profilo organizzativo - funzionale, sia sotto quello gerarchico e disciplinare, nell'amministrazione di destinazione, a favore della quale egli presta esclusivamente la sua opera (Cass., Sez. L, n. 13482 del 29 maggio 2018).

In linea generale non vi è alcuna alterazione del rapporto di lavoro, ma, comunque, si verifica una rilevante modificazione in senso oggettivo dello stesso, perché il dipendente è destinato a prestare servizio, in via ordinaria e abituale, presso un'organizzazione diversa da quella di appartenenza.

Esso è caratterizzato, nell'ipotesi tipica, dalla natura provvedimentale dell'atto che lo ha disposto, di competenza del soggetto nella cui organizzazione il dipendente viene inserito, e non del soggetto datore di lavoro, dall'interesse del quale prescinde.

Per l'esattezza, nel pubblico impiego privatizzato le esigenze che rilevano, con riguardo al comando, sono quelle dell'Amministrazione di destinazione (Cass., Sez. L, n. 12100 del 16 maggio 2017) che, pertanto, assume i poteri di gestione del rapporto di lavoro in forza dell'imperatività del provvedimento: ne deriva che non possono gravare sul datore di lavoro distaccante gli oneri economici direttamente connessi all'attività prestata presso l'amministrazione di destinazione, titolare dell'interesse primario al comando, salva una diversa e specifica previsione di legge che diversamente disponga (Cass., Sez. L, n. 17842 dell'8 settembre 2005).

Il collocamento nella posizione di comando va considerato un istituto di carattere straordinario.

La possibilità di disporre il comando di un impiegato presso altra Amministrazione statale o presso enti pubblici è prevista in via eccezionale e di fronte ad esigenze che ne giustifichino l'adozione.

In conclusione, caratteristiche del comando sono che:

coinvolge Pubbliche amministrazioni differenti;

è posto in essere nell'interesse della Pubblica amministrazione presso la quale il lavoratore è comandato;

è disposto con provvedimento amministrativo della P.A. beneficiaria.

Diverso dal comando è l'avvalimento - che si verifica quando l'amministrazione, anziché dotarsi di una struttura propria per lo svolgimento della funzione ad essa assegnata, si avvale degli uffici di altro ente, al quale non viene delegata la funzione stessa - il quale non determina alcuna modifica del rapporto di impiego, perché il personale dell'ente che fornisce la struttura necessaria allo svolgimento del compito resta incardinato in quest'ultimo a tutti gli effetti e non si verifica scissione fra rapporto di impiego e rapporto di servizio.

Ulteriormente distinta da quella del comando è, poi, la fattispecie della utilizzazione temporanea del dipendente pubblico presso un ufficio diverso da quello che costituisce la sua sede di servizio, a volte denominato distacco (o, più precisamente, distacco di diritto pubblico) nella giurisprudenza amministrativa.

Trattasi di istituto in realtà ignoto alla legislazione del pubblico impiego, al quale è estraneo in linea di principio. Tuttavia, nella prassi, il termine distacco aveva ed ha ancora una certa diffusione in ambito pubblicistico, benché sia utilizzato, di solito, impropriamente.

Il c.d. distacco di diritto pubblico si distingue dal comando perché, in teoria, l'impiegato non viene assegnato ad una pubblica amministrazione distinta da quella di appartenenza, ma - temporaneamente - ad un ufficio, diverso da quello nel quale è formalmente incardinato, ma comunque dell'amministrazione datrice di lavoro. Non si tratta pertanto, neppure di un trasferimento che consiste, invece, nel mutamento definitivo del luogo di lavoro, ma, eventualmente, di un'applicazione provvisoria.

Nel caso del c.d. distacco di diritto pubblico, quindi, a rilevare sono le esigenze dell'amministrazione di appartenenza.

Il c.d. distacco di diritto pubblico (il quale, si ribadisce, non è tecnicamente un vero distacco) non va confuso con il vero distacco, ossia il distacco privatistico, istituto con il quale condivide lo stesso nome.

Il distacco privatistico è disciplinato principalmente dall'art. 30 del d.lgs. n. 276 del 2003, il cui comma 1 dispone: "L'ipotesi del distacco si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l'esecuzione di una determinata attività lavorativa".

Come già affermato da questa S.C. (Cass., Sez. L, n. 3097 del 17 febbraio 2004), in linea generale, con riguardo al rapporto di lavoro subordinato privato, la dissociazione fra il soggetto che ha proceduto all'assunzione del lavoratore e l'effettivo beneficiario della prestazione, in forza del principio generale che si desume dall'art. 2127 c.c. e dalla legge n. 1369 del 1960 - che esclude, in linea di principio e salvo eccezioni, che il datore di lavoro possa inserire a tutti gli effetti un proprio dipendente nell'organizzazione di altro soggetto senza che il secondo assuma la veste di datore di lavoro - è consentita soltanto a condizione che continui ad operare, sul piano funzionale, la causa del contratto di lavoro in corso con il distaccante. La regola si trova espressa nella costante giurisprudenza della Corte di cassazione, che richiede la sussistenza di un preciso interesse del datore di lavoro derivante dai suoi rapporti con il terzo. In altri termini, il distacco privatistico deve realizzare un interesse proprio del datore di lavoro, che consenta di qualificare il distacco stesso quale atto organizzativo da lui emanato, così determinando una mera modifica delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa e il conseguente carattere non definitivo derivante dalla necessaria permanenza dell'interesse del distaccante (Cass., Sez. L, n. 7049 del 22 marzo 2007; Cass., Sez. L, n. 17842 dell'8 settembre 2005; Cass., Sez. L, n. 10771 del 3 agosto 2001).

Da tale ricostruzione discende che restano, in capo al datore di lavoro distaccante, il potere direttivo (eventualmente delegabile al distaccatario), nonché, necessariamente, quello di determinare la cessazione del distacco, ed è questo il fondamento della permanenza inalterata, in capo al soggetto titolare di tutti gli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro, retributivi e previdenziali: per queste ragioni, ai fini della legittimità del distacco privatistico, non occorre una previsione contrattuale che lo autorizzi o dell'assenso preventivo del lavoratore interessato, che esegue la sua prestazione altrove in osservanza del dovere di obbedienza di cui all'art. 2104 c.c. (Cass., Sez. L, n. 14458 del 7 novembre 2000).

Per l'esattezza, in caso di distacco del lavoratore presso altro datore di lavoro, mentre quest'ultimo, beneficiario delle prestazioni lavorative, dispone dei poteri funzionali all'inserimento del lavoratore distaccato nella propria struttura aziendale, persistono fra distaccante e lavoratore i vincoli obbligatori e di potere - soggezione, mantenendo il distaccante, fra l'altro, il potere di licenziare.

Non è sempre agevole, nell'ambito del pubblico impiego, distinguere fra comando e distacco, proprio perché quest'ultimo termine è spesso usato impropriamente per indicare situazioni riconducibili, piuttosto, al comando di diritto pubblico o, al massimo, all'avvalimento.

Questa frequente confusione semantica rende sovente molto difficile individuare la corretta disciplina applicabile alla fattispecie.

Per questa ragione la giurisprudenza ha, di solito, cercato, per risolvere le questioni che via via erano poste alla sua attenzione, di valorizzare l'interesse prevalente nella vicenda.

Infatti, da quanto esposto emerge con chiarezza che, nel settore pubblico, sia nel comando sia nelle ipotesi impropriamente chiamate di distacco, a rilevare sono le esigenze dell'amministrazione, per l'esattezza di quella di destinazione nel comando e di quella di appartenenza nel c.d. distacco di diritto pubblico che, non a caso, riguarda essenzialmente gli spostamenti, temporanei, all'interno della medesima P.A.

L'interesse del dipendente comandato o comunque applicato non ha importanza, rispetto a quello dell'amministrazione o, eventualmente, di entrambe le amministrazioni interessate. L'unica tutela per l'impiegato consiste nella possibilità di non aderire.

La giurisprudenza tradizionale, occupandosi della distinzione fra comando tradizionale del settore pubblico e distacco del lavoro privato ha, quindi, espresso il principio così massimato: "Nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato, il "comando" del dipendente pubblico si differenzia dal "distacco" del dipendente privato per la natura provvedimentale dell'atto che dispone il comando, adottato dal soggetto nella cui organizzazione il dipendente viene inserito, e non dal suo originario datore di lavoro, per cui, diversamente dal distacco, il comando non realizza un interesse del datore di lavoro ma dell'Amministrazione che lo dispone, e non costituisce un atto organizzativo riconducibile al datore di lavoro; ne consegue che, laddove nel caso del distacco permangono in capo al datore di lavoro distaccante il potere direttivo e di determinare la cessazione del distacco stesso, e pertanto, in caso di dipendente adibito a mansioni superiori presso il distaccatario, in capo al distaccante si verificheranno le conseguenze di cui all'art. 2103 cod.civ., nell'ipotesi del comando, il dipendente pubblico che si trovi a svolgere mansioni superiori a quelle originarie presso l'amministrazione ove è comandato non ha diritto all'inquadramento nella qualifica superiore presso il proprio datore di lavoro, né al pagamento delle relative differenze retributive" (Cass., Sez. L, n. 7971 del 5 aprile 2006).

Coerentemente, Cass., Sez. L, n. 17768 dell'8 settembre 2015 ha ribadito che, in caso di distacco del lavoratore presso altro datore di lavoro, mentre quest'ultimo, beneficiario delle prestazioni lavorative, dispone dei poteri funzionali all'inserimento del lavoratore distaccato nella propria struttura aziendale, restano al distaccante, per la realizzazione del cui interesse il provvedimento è adottato, il potere direttivo e l'onere di vigilare sull'esecuzione del rapporto, sicché, in caso di attribuzione, al lavoratore distaccato, di mansioni superiori presso il distaccatario, le conseguenze di cui all'art. 2103 c.c. si verificheranno nei confronti del distaccante.

Nella stessa ottica, ma con riferimento al comando, Cass., Sez. L, n. 18460 del 29 agosto 2014 ha affermato che la posizione di comando di un dipendente da ente pubblico economico presso una amministrazione pubblica non comporta, a differenza del distacco, alcuna alterazione del rapporto di lavoro, ma ne implica una rilevante modificazione in senso oggettivo, giacché il dipendente, immutato il rapporto organico con l'ente di appartenenza, viene destinato a prestare servizio, in via ordinaria e abituale, presso un'organizzazione diversa, con modifica del rapporto di servizio, senza, tuttavia, che siano imputabili all'ente di appartenenza gli effetti della gestione del rapporto ad opera del soggetto pubblico. Ne consegue che il lavoratore comandato, che si trovi a svolgere mansioni superiori rispetto a quelle originarie, non ha diritto all'inquadramento nella qualifica superiore presso l'ente di provenienza.

Il principio appena esposto e seguito dalle pronunce sopra elencate nella sostanza pone l'onere delle conseguenze economiche delle mansioni superiori svolte dal dipendente comandato a carico dell'ente nell'interesse del quale l'attività è posta in essere e che ha disposto il comando; il contrario dovrebbe avvenire nelle situazioni di distacco di diritto privato.

Per risolvere le incertezze derivanti dalla confusione presente fra comando di diritto pubblico e distacco di diritto privato e per evitare che tali incertezze divenissero ancora più gravi in presenza di situazioni non riconducibili, nel pubblico impiego, al comando di diritto pubblico, è poi intervenuto il legislatore, con riferimento a situazioni particolari.

Ad esempio, l'art. 3, comma 6, del d.lgs. n. 81 del 2008, ha disposto che: "Nell'ipotesi di distacco del lavoratore di cui all'articolo 30 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, tutti gli obblighi di prevenzione e protezione sono a carico del distaccatario, fatto salvo l'obbligo a carico del distaccante di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali egli viene distaccato. Per il personale delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che presta servizio con rapporto di dipendenza funzionale presso altre amministrazioni pubbliche, organi o autorità nazionali, gli obblighi di cui al presente decreto sono a carico del datore di lavoro designato dall'amministrazione, organo o autorità ospitante".

La necessità di garantire la sicurezza dei lavoratori con modalità univoche ha portato ad una regolamentazione analoga per il settore privato e quello pubblico contrattualizzato, che ha posto i relativi obblighi a carico del distaccatario o del "datore di lavoro designato dall'amministrazione, organo o autorità ospitante".

Si tratta di una normativa che, in ragione della difficoltà di distinguere istituti dai confini non chiari e per evitare che ciò possa tradursi in un deficit di tutela dei lavoratori, accomuna figure fra loro non assimilabili, ma che, in concreto, assumono rilievo in relazione ad una specifica problematica (nel caso de quo, quella della sicurezza in ambito lavorativo).

Di particolare valore è, però, un ulteriore intervento del legislatore, che pure ha cercato di ricondurre ad unità un sistema che, altrimenti, non sarebbe stato possibile gestire con la dovuta chiarezza. Si tratta di una regolamentazione che palesa come il legislatore voglia ormai dettare una disciplina uniforme del fenomeno, in maniera che, almeno in ambito pubblico, non vi siano significative differenze di disciplina per il solo fatto che il lavoratore è coinvolto in un comando od in una situazione diversa e divenga irrilevante l'accertamento, da parte del giudice, del soggetto nell'interesse del quale il lavoratore in concreto opera.

Si tratta dell'art. 70, comma 12, del d.lgs. n. 165 del 2001 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) che, proprio per evitare contestazioni in ordine all'individuazione degli enti tenuti a sostenere l'onere del trattamento economico in favore del personale comandato, fuori ruolo od in altra analoga posizione, prescrive che "in tutti i casi nei quali enti pubblici territoriali, enti pubblici non economici o altre amministrazioni pubbliche, dotate di autonomia finanziaria sono tenute ad autorizzare la utilizzazione da parte di altre pubbliche amministrazioni di proprio personale, in posizione di comando, di fuori ruolo, o in altra analoga posizione, l'amministrazione che utilizza il personale rimborsa all'amministrazione di appartenenza l'onere relativo al trattamento fondamentale".

Tale articolo, che, invero, concerne le ipotesi nelle quali le Pubbliche amministrazioni "sono tenute ad autorizzare la utilizzazione da parte di altre pubbliche amministrazioni di proprio personale" e, quindi, verosimilmente, delle situazioni di comando di diritto pubblico, mette in luce come, nell'ottica del legislatore, la distinzione fra comando e figure similari (compresi quelli che impropriamente sono chiamati distacchi di diritto pubblico) è, almeno con riferimento ai profili economici, ormai irrilevante.

Infatti, l'onere del trattamento economico fondamentale del lavoratore continua a gravare, qualora la P.A. sia tenuta ad autorizzare l'utilizzazione dei dipendenti, sul datore di lavoro, salvo rimborso ad opera dell'ente utilizzatore.

Questa disposizione ha chiaramente modificato il sistema precedente, il quale, all'art. 57, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 3 del 1957 stabiliva che "La spesa per il personale comandato presso altra amministrazione statale resta a carico dell'amministrazione di appartenenza" e che "Alla spesa del personale comandato presso enti pubblici provvede direttamente ed a proprio carico l'ente presso cui detto personale va a prestare servizio. L'ente è, altresì, tenuto a versare all'amministrazione statale cui il personale stesso appartiene l'importo dei contributi e delle ritenute sul trattamento economico previsti dalla legge".

L'art. 70, comma 12, del d.lgs. n. 165 del 2001 ricalca, in ordine all'effetto economico finale, la disciplina già dettata dall'art. 57, comma 3, del d.P.R. n. 3 del 1957, come chiarito da Cass., Sez. L, n. 13482 del 29 maggio 2018 (non rilevante, però, nella specie, siccome si riferisce solo al rapporto fra ente di appartenenza e P.A. utilizzatrice ed al contenzioso fra di loro avente ad oggetto il rimborso di quanto pagato dal primo al lavoratore da parte della seconda). Ciò in quanto il costo definitivo concernente la spesa per il personale comandato presso enti pubblici è sostenuto dall'ente utilizzatore, che rimborsa quello di provenienza (l'art. 57, comma 2, lasciava, invece, l'obbligazione retributiva a carico dell'amministrazione di provenienza nella sola ipotesi di comando disposto fra amministrazioni statali).

Il fatto, però, che, dal punto di vista sostanziale, sia sempre il soggetto utilizzatore a sopportare, in ultima istanza, il trattamento del dipendente (il che si spiega con la circostanza che la P.A. di appartenenza non può rifiutare il suo consenso, siccome il dipendente va ad operare nell'interesse della P.A. di destinazione) non può consentire di ignorare la circostanza che ormai l'ente tenuto formalmente a pagare la retribuzione del lavoratore è sempre l'ente di appartenenza (salvo il diritto al rimborso dell'onere relativo al trattamento fondamentale).

Tale circostanza induce ad individuare, allora, comunque in quest'ultimo soggetto quello legittimato passivamente nelle controversie attinenti alla gestione del rapporto di lavoro ed alle conseguenze economiche degli eventi che la riguardano, anche se verificatisi dopo l'inizio dell'applicazione presso un'altra P.A..

In questo modo è superato, quantomeno in ordine al profilo della menzionata legittimazione passiva e con riguardo alle ipotesi di comando di diritto pubblico che deve essere autorizzato, l'orientamento della giurisprudenza sopra citata (ossia Cass., Sez. L, n. 17768 dell'8 settembre 2015, Cass., Sez. L, n. 18460 del 29 agosto 2014 e Cass., Sez. L, n. 7971 del 5 aprile 2006) che valorizzava, al fine dell'accertamento di detta legittimazione, l'individuazione in concreto del soggetto portatore dell'interesse per soddisfare il quale era consentito l'utilizzo del dipendente ad opera di altra P.A.

Si tratta, infatti, di sentenze che concernono situazioni verificatesi prima dell'entrata in vigore dell'art. 70, comma 12, del d.lgs. n. 165 del 2001.

Proprio questa estensione a casi diversi da quelli già regolati similmente dal d.P.R. n. 3 del 1957 evidenzia come il legislatore abbia inteso innovare al sistema complessivo, individuando in tutte le situazioni riconducibili all'art. 70, comma 12, d.lgs. n. 165 del 2001 il legittimato passivo delle pretese economiche del lavoratore attinenti alla gestione del rapporto nella sua amministrazione di appartenenza.

L'art. 70, comma 12, del d.lgs. n. 165 del 2001 non esaurisce, però, tutte le ipotesi nelle quali il dipendente di una P.A. può essere destinato a svolgere il proprio servizio presso un altro ente.

In particolare, la regola per la quale la legittimazione passiva nelle liti concernenti la gestione del rapporto di lavoro e le conseguenze economiche degli eventi che la riguardano spetta alla P.A. di appartenenza opera quando il comando (o, comunque, l'utilizzo) del dipendente presso un ente diverso deve essere autorizzato dal datore di lavoro e, quindi, soprattutto nelle situazioni di comando classico di diritto pubblico.

Peraltro, la gamma di vicende nelle quali può esservi un comando od altra situazione di applicazione presso enti diversi dalla P.A. di appartenenza è ben più ampia.

Oltre ai casi nei quali l'utilizzo da parte altrui di un dipendente della P.A. non deve essere obbligatoriamente autorizzato, ove evidentemente viene in rilievo anche un interesse della P.A. di appartenenza, occorre tenere conto che possono esservi delle ipotesi specificamente regolate dalla legge con una disciplina ad hoc.

Infatti, il comando, oltre ad essere oggetto della regolamentazione di cui agli artt. 56 del d.P.R. n. 3 del 1957 e 70, comma 12, del d.lgs. n. 165 del 2001, è, poi, contemplato anche dall'art. 30, comma 2 sexies, del d.lgs. n. 165 del 2001, ai sensi del quale "Le pubbliche amministrazioni, per motivate esigenze organizzative, risultanti dai documenti di programmazione previsti all'articolo 6, possono utilizzare in assegnazione temporanea, con le modalità previste dai rispettivi ordinamenti, personale di altre amministrazioni per un periodo non superiore a tre anni, fermo restando quanto già previsto da norme speciali sulla materia, nonché il regime di spesa eventualmente previsto da tali norme e dal presente decreto".

Questa assegnazione temporanea, di cui parla il citato art. 30, comma 2 sexies, consiste sempre in un comando.

Ben più rilevante, nella presente lite, è, però, un altro istituto, qualificato anch'esso come assegnazione temporanea e disciplinato dall'art. 23 bis, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, per il quale: "Sulla base di appositi protocolli di intesa tra le parti, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, possono disporre, per singoli progetti di interesse specifico dell'amministrazione e con il consenso dell'interessato, l'assegnazione temporanea di personale presso altre pubbliche amministrazioni o imprese private. I protocolli disciplinano le funzioni, le modalità di inserimento, l'onere per la corresponsione del trattamento economico da porre a carico delle imprese destinatarie. Nel caso di assegnazione temporanea presso imprese private i predetti protocolli possono prevedere l'eventuale attribuzione di un compenso aggiuntivo, con oneri a carico delle imprese medesime".

Questa fattispecie di assegnazione temporanea è ancora un comando, visto che il dipendente viene fatto traslare da una amministrazione ad un'altra, quando non presso un soggetto privato.

Essa si differenzia dal comando classico perché:

1. occorre un protocollo di intesa tra le parti;

2. richiede l'esistenza di specifici progetti di interesse specifico dell'amministrazione (comandante ma anche comandataria);

3. è previsto che l'onere economico cada sul comandatario (cosa normale nel comando tra PP.AA.), anche nel caso di assegnazione temporanea a imprese private (qualificate come "imprese destinatarie").

La situazione regolata dall'art. 23 bis, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001 si caratterizza, quindi, perché è prevista la conclusione di appositi protocolli di intesa tra le parti, ossia le Pubbliche amministrazioni coinvolte o la P.A. ed un'impresa privata, e deve essere approvato un progetto di interesse specifico dell'amministrazione.

In quest'ultima eventualità , come dimostra la necessità della detta intesa e del correlato progetto, il comando è sempre finalizzato a realizzare un interesse della P.A., che può essere sia la comandante sia la comandataria (in teoria, potrebbe rilevare quello di entrambe).

Ne deriva, per ciò che qui rileva, che, se il comandatario è un'impresa privata, l'interesse rilevante, che deve essere un interesse pubblico, sarà sempre quello della P.A. comandante (la disposizione è chiara nell'affermare che devono esservi "singoli progetti di interesse specifico dell'amministrazione").

Se le cose stanno così, in presenza di un comando ex art. 23 bis, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001 - ma queste considerazioni valgono, in generale, in tutte le ipotesi similari nelle quali rileva, comunque, l'interesse della P.A. comandante - deve trovare applicazione il principio, sopra esposto, per il quale l'onere delle conseguenze economiche derivanti dall'esecuzione del rapporto del dipendente comandato va posto a carico dell'ente nell'interesse del quale l'attività è svolta, ossia, quantomeno, quello di appartenenza del dipendente.

Ciò avviene, di certo, nell'eventualità che il lavoratore abbia svolto presso il comandatario mansioni superiori, ma anche qualora il comandato sia stato demansionato.

Questo perché a carico della P.A. di appartenenza permangono il potere direttivo e l'onere di vigilare sull'esecuzione del rapporto.

Ovviamente, non si può escludere che, nel pubblico impiego, vi siano ancora delle ulteriori ipotesi di comando o di applicazione provvisoria diverse da quelle sinora esaminate.

Ad esempio, può essere menzionato il caso del personale universitario strutturato nel Servizio sanitario nazionale che, pur trovandosi in rapporto di impiego con l'Università, è in rapporto di servizio con l'Azienda ospedaliera, la quale, in ragione del diretto coinvolgimento nella gestione del rapporto di lavoro entro l'assetto organizzativo delineato dal d.lgs. n. 517 del 1999, è, secondo la giurisprudenza di legittimità , che questo Collegio precisa di condividere, passivamente legittimata rispetto alla domanda del dipendente universitario per l'indennità di equiparazione al personale del ruolo sanitario (Cass., SU, n. 8521 del 29 maggio 2012). In questa situazione, nella quale il lavoratore era dipendente dell'Università, il legislatore ha mirato a costituire una sorta di cogestione tra l'Università e il SSN. Ne derivava, da un lato, una configurazione del rapporto di impiego che fondava l'obbligazione della detta Università di corrispondere l'indennità di equiparazione, secondo un meccanismo che prevedeva una provvista assicurata da un finanziamento pubblico esterno; dall'altro lato, non era esclusa, di per sé, la legittimazione passiva di altri soggetti, cui doveva, invece, ricondursi un rapporto di servizio connesso al particolare meccanismo che regolava il rapporto di lavoro dei dipendenti universitari strutturati in organismi distinti dall'Università. Se, infatti, la prestazione di attività nei Policlinici faceva capo all'Università, che ne stabiliva in via autonoma le modalità organizzative, diversa era la conclusione se la prestazione era eseguita con modalità per cui essa si inseriva nei fini istituzionali e nell'organizzazione autonoma dell'Azienda Ospedaliera Universitaria.

Deve essere chiarito, inoltre, che, nella presente controversia, non viene in rilievo, in quanto non prospettato dalle parti, un problema di legittimazione passiva dell'ente di destinazione, ma della sola P.A. di appartenenza. Pertanto, tale problema non è qui affrontato, pur non escludendosi in astratto che, nel pubblico impiego, in caso di utilizzazione da parte di un ente di un dipendente altrui, possa ricorrere, per le questioni oggetto del contendere, anche una legittimazione passiva della P.A. presso la quale detto dipendente opera, oltre che quella del datore di lavoro.

Ciò posto, può essere deciso il ricorso.

Nella fattispecie, occorre considerare che il ricorrente, dipendente di ruolo di Enea, ha lavorato per conto della stessa presso il sito nucleare di C.

A partire dal 5 agosto 2003 egli ha continuato a operare nello stesso sito, ma, questa volta, in qualità di dipendente Enea comandato presso Sogin Spa, società partecipata del Ministero dell'Economia e delle Finanze responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi, compresi quelli prodotti dalle attività industriali, di ricerca e di medicina nucleare.

Sogin Spa è stata costituita in base al d.lgs. n. 79 del 1999, con il compito di controllare, smantellare, decontaminare e gestire i rifiuti radioattivi degli impianti nucleari italiani spenti dopo i referendum abrogativi del 1987.

Per l'esattezza, l'art. 13, commi 2, lett. e), 3 e 4 del d.lgs. n. 79 del 1999 prescrive che:

"2. L'ENEL Spa costituisce società separate per lo svolgimento delle seguenti attività:

(..)

e) lo smantellamento delle centrali elettronucleari dismesse, la chiusura del ciclo del combustibile e le attività connesse e conseguenti, anche in consorzio con altri enti pubblici o società che, se a presenza pubblica, possono anche acquisirne la titolarità.

3. Alle costituende società sono conferiti entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto tutti i beni e rapporti giuridici relativi all'oggetto della loro attività, ivi compresa una quota parte dei debiti afferenti al patrimonio conferito. Fino alla predetta data l'ENEL Spa può transitoriamente continuare l'esercizio delle attività di cui al comma 2.

4. Le azioni della società di cui al comma 2, lettera e), sono assegnate al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica; la medesima società si attiene agli indirizzi formulati dal Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato".

Sogin Spa nasce, quindi, il 1° novembre 1999 come società di Enel Spa, dalla quale riceve risorse umane e materiali, per poi divenire una controllata del Ministero dell'Economia e delle Finanze.

A Sogin Spa sono state conferite all'inizio le centrali nucleari italiane di proprietà dell'Enel e una parte dei dipendenti di Enea. In seguito, nel 2003, le sono stati affidati in gestione gli ex impianti di ricerca sul ciclo del combustibile di Enea, fra cui quelli di Casaccia, presso cui operava il ricorrente.

Il comando di A.A. è avvenuto con provvedimento di Enea del 29 luglio 2003, con il quale è stato stabilito che la stessa Enea avrebbe continuato a corrispondere il trattamento economico fondamentale costituito dalle voci fisse e che gli oneri conseguenti sarebbero stati posti a carico della Sogin Spa per il relativo rimborso alla medesima Enea.

Questo provvedimento rinviene il proprio antecedente nell'Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3267 del 7 marzo 2003, pubblicato nella GU n. 63 del 17 marzo 2003, contenente "Disposizioni urgenti in relazione all'attività di smaltimento, in condizioni di massima sicurezza, dei materiali radioattivi dislocati nelle centrali nucleari e nei siti di stoccaggio situati sul territorio delle regioni Piemonte, Emilia-Romagna, Lazio, Campania e Basilicata, nell'ambito delle iniziative da assumere per la tutela dell'interesse essenziale della sicurezza dello Stato".

Al riguardo, si premette che detta Ordinanza è stata emanata ai sensi dell'art. 5 della legge n. 225 del 1992 e, quindi, è riconducibile alla categoria delle ordinanze libere le quali, sebbene atti amministrativi privi di valore di legge, possono introdurre una disciplina divergente da quella dettata da disposizioni legislative, in quanto soggette solo alla Costituzione ed ai principi generali dell'ordinamento e non vincolate da altre norme preesistenti che non siano espressamente indicate dalla fonte da cui traggono origine. Da ciò discende che le richiamate ordinanze, pur non contenendo disposizioni generali ed astratte, devono formare oggetto della scienza diretta del giudice e, nel giudizio di legittimità, la loro violazione è denunciabile come vizio riconducibile all'ipotesi di cui all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. (Cass., SU, n. 4813 del 7 marzo 2006; Cass., Sez. L, n. 13482 del 29 maggio 2018).

L'art. 1 di questa Ordinanza chiarisce, al comma 1, che il presidente della Sogin Spa è nominato Commissario delegato per la messa in sicurezza dei materiali nucleari, con particolare riferimento al combustibile nucleare irraggiato ed ai rifiuti radioattivi ad alta attività, nonché alla predisposizione di piani per l'avvio delle procedure di smantellamento delle centrali elettronucleari di G (C), di T V (V), di C (P) e di L, nonché degli impianti dell'Ente per le Nuove tecnologie, l'Energia e l'Ambiente e Nucleco, limitatamente al settore del ciclo del combustibile e dei depositi di materie radioattive Eurex e Fiat - Avio di S (V), impianto Plutonio e impianto Celle Calde di C (R), ITREC di T (M) nonché degli impianti nucleari FN di B M (A).

Al comma 4, poi, prescrive che "Al fine di garantire unitarietà, celerità ed economicità delle operazioni di messa in sicurezza, il Commissario delegato, anche avvalendosi della Società di cui al comma 1, assume, sentite le regioni territorialmente competenti, ogni necessaria iniziativa per la gestione dell'attività di messa in sicurezza, nonché per lo smantellamento e per la bonifica degli impianti di produzione del combustibile nucleare e di ricerca del ciclo di combustibile nucleare di proprietà dell'Ente per le Nuove tecnologie, l'Energia e l'Ambiente e delle sue società partecipate. Al fine di consentire il conseguimento delle finalità di cui alla presente ordinanza le licenze ed autorizzazioni di qualsiasi genere pertinenti agli impianti assegnati alla Società di cui al comma 1 sono trasferite, con il consenso dei soggetti cedenti, alla Sogin sulla base di apposito provvedimento commissariale, ove ritenuto necessario per il perseguimento degli obiettivi di cui alla presente ordinanza. Il personale dell'Ente per le nuove tecnologie, l'energia e l'ambiente e delle Società dallo stesso partecipate, in servizio presso gli impianti assegnati in gestione alla Società di cui al comma 1, è posto alle dipendenze funzionali della stessa Società, previo consenso del personale medesimo, limitatamente alla realizzazione degli interventi previsti dalla presente ordinanza. Le determinazioni inerenti alle attività di cui al presente comma verranno assunte dal Commissario delegato d'intesa, per gli ambiti di rispettiva competenza, con il Commissario straordinario dell'Ente per le nuove tecnologie, l'Energia e l'ambiente, con il presidente FN e con il Presidente della Nucleco".

In seguito, è avvenuto, quindi, il trasferimento delle licenze ed autorizzazioni di cui sopra a Sogin Spa.

Come allegato compiutamente dal ricorrente, il 13 maggio 2003 è conclusa, poi, una convenzione fra il Commissario delegato, la Sogin e l'Enea, a cui ha fatto seguito un accordo complessivo formalizzato nell'"Atto di affidamento in gestione degli impianti in esecuzione della convenzione tra commissario delegato, Enea e Sogin del 13 maggio 2003".

Infine, il ricorrente ha ricevuto comunicazione di essere stato collocato in posizione di comando con determinazione n. 213/D.G. del 29 luglio 2003.

Da quanto esposto si evince che, nel caso in esame, il servizio svolto da A.A. è riconducibile ad una ipotesi di comando, atteso che riguarda due enti differenti. Tale comando è stato imposto dall'art. 1, comma 4, dell'Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3267 del 7 marzo 2003, pubblicata nella GU n. 63 del 17 marzo 2003.

Già queste ultime circostanze giustificherebbero la legittimazione passiva di Enea.

In aggiunta a ciò, però, occorre mettere in evidenza che tale comando è caratterizzato, diversamente dal modello generale descritto in precedenza, dal coinvolgimento di una società di diritto privato (Sogin Spa) nonché dalla sua esecuzione nell'interesse dell'amministrazione di appartenenza, ovvero l'Enea, in quanto posto in essere in base ad una convenzione stipulata con la Sogin Spa e riconducibile, quindi, alle situazioni regolate dall'art. 23 bis, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001.

Infatti, il comando in esame è avvenuto per porre in essere la gestione dell'attività di messa in sicurezza, nonché per lo smantellamento e per la bonifica degli impianti di produzione del combustibile nucleare e di ricerca del ciclo di combustibile nucleare di proprietà dell'Enea e delle sue società partecipate e si ricollega al trasferimento alla stessa Sogin Spa delle licenze ed autorizzazioni necessarie per la gestione degli impianti Enea.

Inoltre, alla base del comando in questione vi è un provvedimento del menzionato Commissario delegato, il che esclude che la sua adozione sia avvenuta solo per soddisfare un interesse di Sogin Spa.

Infine, non va sottovalutato che il pagamento delle somme dovute al ricorrente era effettuato, comunque, da Enea, la quale riceveva il relativo rimborso da Sogin Spa sulla base di una specifica intesa con questa, in assenza della quale il pagamento sarebbe rimasto a carico della sola Enea.

Ne consegue che la corte territoriale ha errato nell'escludere che il ricorrente potesse convenire in giudizio l'Enea.

2) Gli ulteriori motivi del ricorso (il secondo, con il quale è stata contestata la violazione dell'art. 1372 c.c. per erroneità dell'interpretazione degli accordi intervenuti fra Enea e Sogin Spa, il terzo, il quarto, il quinto e il sesto, concernenti la violazione degli artt. 102, 106, 107 e 420 c.p.c. per l'omessa pronuncia, l'omessa motivazione o l'omesso esame in ordine alla richiesta di chiamata in causa di Sogin Spa avanzata da Enea, il settimo, relativo alla violazione degli artt. 420, 421 e 437 c.p.c. e al difetto di motivazione quanto alla richiesta di ammissione di mezzi istruttori, e l'ottavo sulla violazione dell'art. 92 c.p.c. in ordine alla condanna alle spese) non devono essere esaminati alla luce dell'accoglimento del primo motivo.

3) Il primo motivo di ricorso è accolto, assorbiti gli altri, e la sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, la quale deciderà la causa nel merito, anche in ordine alle spese di legittimità, applicando i seguenti principi di diritto:

"In tema di pubblico impiego privatizzato, ricorre l'istituto, di natura straordinaria, del comando quando il pubblico impiegato, titolare di un posto di ruolo presso una Pubblica Amministrazione, viene temporaneamente a prestare servizio presso differente Amministrazione o diverso ente pubblico per esigenze esclusive di detta Amministrazione o di tale ente, determinandosi una dissociazione fra titolarità del rapporto d'ufficio, che resta immutata, ed esercizio dei poteri di gestione, cui consegue una modifica del c.d. rapporto di servizio, atteso che il dipendente è inserito, sia sotto il profilo organizzativo - funzionale sia sotto quello gerarchico e disciplinare, nell'amministrazione di destinazione, a favore della quale egli presta esclusivamente la sua opera;

"In tema di pubblico impiego privatizzato, non è configurabile un distacco del dipendente nei termini in cui avviene nel lavoro privato, non potendosi qualificare come tale la situazione nella quale il pubblico impiegato, titolare di un posto di ruolo presso una P.A., è utilizzato in via temporanea presso un ufficio della medesima P.A. diverso da quello che costituisce la sua sede di servizio, venendo egli assegnato, diversamente dalle ipotesi di comando, non ad una P.A. distinta da quella di appartenenza, ma ad un ufficio, differente da quello nel quale è formalmente incardinato, facente parte, comunque, dell'ente datore di lavoro, per soddisfare delle esigenze che sono solo di quest'ultimo ente";

In tema di pubblico impiego privatizzato, nelle ipotesi, di cui all'art. 70, comma 12, del d.lgs. n. 165 del 2001, di personale comandato, fuori ruolo o in altra analoga posizione, gli oneri economici conseguenti alle prestazioni rese da tale personale gravano sull'amministrazione di appartenenza, che è il soggetto passivamente legittimato nei giudizi concernenti detti oneri, anche se correlati allo svolgimento di mansioni superiori o a casi di demansionamento;

"In tema di pubblico impiego privatizzato, qualora, come nel caso previsto dall'art. 23 bis, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, le amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, dispongano, per singoli progetti di interesse specifico dell'amministrazione e con il consenso dell'interessato, l'assegnazione temporanea di loro personale presso altre pubbliche amministrazioni o imprese private sulla base di intese tra le parti, ricorre un'ipotesi di comando caratterizzata, rispetto alla figura generale, dal fatto di essere finalizzata a realizzare quantomeno un interesse della P.A. comandante";

"L'assegnazione di un pubblico impiegato dell'Enea presso la Sogin Spa in base ad una convenzione stipulata fra i due enti per la gestione dell'attività di messa in sicurezza, di smantellamento e di bonifica degli impianti di produzione del combustibile nucleare e di ricerca del ciclo di combustibile nucleare di proprietà della medesima Enea integra un'ipotesi di comando caratterizzata, diversamente dalla regola generale, dalla sua esecuzione nell'interesse dell'amministrazione di appartenenza, ossia la menzionata Enea".

P.Q.M.


La Corte,

- accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri;

- cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, la quale deciderà la causa nel merito, anche in ordine alle spese di legittimità.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 23 novembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2024