REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCALI Piero
Dott. MARZANO Francesco
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe
Dott. FOTI Giacomo
Dott. PICCIALLI Patrizia

- Presidente
- Consigliere
- Consigliere
- rel. Consigliere
- Consigliere

ha pronunciato la seguente:


SENTENZA/ORDINANZA


sul ricorso proposto da:
1) D.B.I., N. IL ***;
avverso la sentenza n. 1272/2006 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 19/02/2007;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/12/2009 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO FOTI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. MURA Antonio, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.


OSSERVA


1 - Con sentenza del Tribunale di Pistoia del 26 ottobre 2005, D.B.I., responsabile dell'omonima ditta, è stata ritenuta colpevole del reato di lesioni colpose in pregiudizio del dipendente I.M. e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, con giudizio di equivalenza rispetto all'aggravante contestata, è stata condannata alla pena di euro 200,00 di multa ed al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita, cui ha assegnato una provvisionale di euro 10.000,00.

L' I. è rimasto infortunato mentre lavorava ad una pressa di stampaggio utilizzata con il sistema di funzionamento "a pedale", invece che con quello a pulsantiera a mano a doppio comando.

Dall'infortunio il lavoratore ha riportato la perdita della falange ungueale del medio e dell'anulare della mano destra, con postumi permanenti.

Il primo giudice ha ritenuto essere stato accertato, grazie alle dichiarazioni della stessa parte offesa e di altri testi, che presso l'azienda era prassi lavorare "a pedale" al fine di incrementare la produzione, evitando il sistema manuale, meno produttivo ma che dava all'operatore assoluta garanzia di sicurezza poiché teneva le mani occupate e lontane dall'area a rischio. Ha altresì ritenuto che nessun addebito di negligenza o imprudenza poteva addebitarsi all'operaio infortunato che aveva operato, stante la prassi instaurata in azienda, in una situazione di pericolo quantomeno tollerata dall'imputata, cui invece spettava di garantire che l'attività lavorativa si svolgesse in assoluta sicurezza.

Ha soggiunto, ancora, il primo giudice, che, per chi operi comandando a pedale una pressa, in assenza di doppi comandi o di dispositivo di blocco automatico, alto è il rischio di schiacciamento a seguito di introduzione delle mani nella zona di lavoro del pistone; rischio, peraltro, facilmente evitabile con il semplice e doveroso rispetto delle norme antinfortunistiche.

Tale decisione è stata ribadita, con sentenza del 19 febbraio 2007, dalla Corte d'Appello di Firenze che ha solo dichiarato interamente condonata, ex Legge n. 241 del 2006, la pena inflitta all'imputata.

2 - Avverso tale sentenza ricorre la D.B. che deduce:

a) erronea applicazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 2, per avere la Corte territoriale basato la propria decisione sulle dichiarazioni della parte offesa, senza tenere alcun conto di quelle rese dai testi a difesa, ritenute false o non credibili;

b) illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata.


3 - Il ricorso proposto non si sottrae al giudizio di inammissibilità in ragione della prospettazione di censure non consentite nel giudizio di legittimità.

La ricorrente, in realtà, attraverso la formale denuncia della violazione di legge (generica e poco comprensibile quella relativa all'articolo 133 c.p.) e del vizio motivazionale, in sostanza altro non fa che proporre all'esame di questa Corte una rilettura del materiale probatorio posto dai giudici territoriali a sostegno della loro decisione, attraverso considerazioni di merito che sono del tutto estranee al giudizio di legittimità.

In proposito, questa Corte ha costantemente affermato che esula dai poteri del giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato, in via esclusiva, al giudice del merito, e che non può integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione degli elementi probatori acquisiti, allorché la decisione impugnata sia confortata da adeguata e logica motivazione.

Come deve ritenersi nel caso di specie, ove si consideri che la Corte territoriale, richiamando anche la sentenza di primo grado, ha, in piena sintonia con gli elementi probatori acquisiti, adeguatamente e congruamente motivato le ragioni del proprio dissenso rispetto alle prospettazioni difensive, rilevando che la responsabilità dell'imputata doveva ritenersi pacificamente accertata grazie, non solo alle dichiarazioni della parte offesa, ma anche a quelle rese dai compagni di lavoro, P.A., che ha ammesso di avere in più occasioni lavorato sulla pressa utilizzando il comando a pedale, B.G., il quale ha riferito che il figlio dell'imputata (B.S.) gli aveva proposto di utilizzare il sistema a pedale "per fare un po' più di produzione", nonché a quelle rese dagli ispettori dell'USL, P. e C., i quali hanno riferito che, in occasione di un secondo accesso allo stabilimento della D.B., successivo all'infortunio, avevano avuto modo di rilevare che due operatori (P. ed A.) stavano lavorando alla pressa ancora utilizzando il rischioso sistema del comando a pedale.

Circostanza, quest'ultima, che è stata dai giudici del merito legittimamente ritenuta significativa poiché ribadiva il ricorso - evidentemente su indicazione dei dirigenti dell'azienda, che l'hanno, in ogni caso, almeno tollerata - ad una generalizzata prassi lavorativa, disposta a sacrificare sull'altare della produttività l'incolumità dei lavoratori.

Non hanno, peraltro, omesso i giudici del gravame di approfondire il tema dell'attendibilità delle dichiarazioni rese dalla parte offesa, anche alla luce delle discordanti versioni dallo stesso fornite in ordine alle modalità dell'infortunio, e ne hanno ribadito la piena credibilità, anche in considerazione della loro spontaneità e dei riscontri acquisiti. In particolare, gli stessi giudici hanno rilevato come credibili dovessero ritenersi le ragioni addotte dall'operaio infortunato a giustificazione della duplicità di versioni fornite in ordine alle modalità dell'infortunio - con la prima delle quali egli aveva sostenuto di essersi infortunato durante le operazioni di manutenzione della pressa -. Versione, ha poi chiarito l'I., non veritiera, concordata con il figlio dell'imputata, B.S., che sperava, con tale prospettazione dei fatti, di evitare alla madre ogni responsabilità per l'accaduto, e che lui aveva accettato di fornire per non porsi in contrasto con l'imprenditrice, nella speranza, poi rivelatasi vana, di ottenere, alla scadenza, il rinnovo del contratto di lavoro.

Argomentazioni che il giudice del merito ha legittimamente ritenuto congrue e credibili, anche perché riscontrate dalle testimonianze acquisite in atti.

Alla declaratoria d'inammissibilità consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma, in favore della cassa delle ammende, che si ritiene equo determinare in euro 1.000,00.

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.