Cassazione Penale, Sez. 4, 09 gennaio 2024, n. 660 - Sfruttamento del lavoro



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOVERE Salvatore - Presidente

Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere

Dott. BELLINI Ugo - Consigliere

Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere Rel.

Dott. RICCI Anna Luisa Angela - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA



sui ricorsi proposti da:

A.A. nato il (Omissis)

B.B. nato il (Omissis)

avverso la sentenza del 15/02/2023 della CORTE APPELLO di TRENTO

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

svolta la relazione dal Consigliere GABRIELLA CAPPELLO;

lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del sostituto LUCA TAMPIERI,il quale ha chiesto il rigetto;

lette le note a firma dell'avv. Stefano Trinco per A.A., con le quali si é chiesto l'annullamento della sentenza, con assoluzione, in subordine la riduzione della pena, previo riconoscimento delle attenuanti generiche.

 

Fatto


1.La Corte d'appello di Trento ha confermato la sentenza del Tribunale cittadino di condanna di A.A. e B.B. per concorso nello sfruttamento continuato del lavoro di una pluralità di cittadini stranieri (per lo più di origine pakistana), il primo anche per il reato di cui agli artt. 81 cpv., cod. pen. e 2, comma l-bis, d.l. n. 463 del 1983, convertito, con modificazione, dalla l. n. 638 del 1983, come riformulato dall'art. 3, comma 6, d.lgs. n. 8/2016 e per il reato di cui agli artt. 81 cpv., cod. pen. e 37, I. 689 del 1981, come sostituito dall'art. 116, comma 9, I. n. 388/2000.

2.Si è contestato agli imputati di avere agito in esecuzione del medesimo disegno criminoso ed in concorso tra loro ed un terzo soggetto, separatamente giudicato, il primo nella qualità di responsabile di "GR. SE." Srl, il secondo quale suo collaboratore, sfruttando il lavoro dei citati cittadini stranieri, reclutati, tramite B.B., utilizzandoli con un salario pari a Euro 4,00 l'ora, assolutamente inferiore a quello previsto dal contratto collettivo di categoria, pari a Euro 7,50, senza garanzia di continuità lavorativa e con prestazioni giornaliere discontinue e, comunque, con orario che andava da un minimo di un'ora a un massimo di 27 ore consecutive senza copertura assicurativa, spesso senza retribuzione dei periodi di prova, il tutto rappresentato nelle tabelle di calcolo allegate all'imputazione.

Nello specifico, per inquadrare la vicenda nel contesto negoziale che le fa da sfondo, dalle sentenze di merito è emerso che la CONTROLSISTEM Srl aveva stipulato un contratto di appalto con I.G.F. Spa, azienda operante nel settore della rilegatoria di libri, in base al quale quest'ultima aveva affidato alla prima alcuni lavori di fine produzione (confezione/imballaggio merce e attività di fine linea); CONTROLSISTEM, a sua volta, aveva subappaltato parte della lavorazione alla "GREEN SERVICE" che operava nello stesso stabilimento della prima.

Quanto all'A.A., poi, gli si è contestato, nella qualità, di avere omesso, dal 10/2016 al 16/7/2017 di versare all'INPS di Trento le ritenute previdenziali ed assistenziali per Euro 19.192,41, da effettuarsi sulle retribuzioni da corrispondersi ai lavoratori nel periodo da settembre 2016 a giugno 2017; nonché di avere presentato denunce obbligatorie relative ai mesi da settembre 2016 a giugno 2017 non conformi al vero, al fine di non versare in tutto o in parte i contributi previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza obbligatorie, così omettendo il versamento di contributi per un imposto non inferiore a Euro 2.582,00 mensili e al 50% dei contributi complessivamente dovuti, come da prospetto riportato in imputazione.

Per come precisato dal giudice del gravame, il compendio probatorio a sostegno della condanna è rappresentato dalla testimonianza MO., ispettore del lavoro che ha riferito dei risultati dell'accesso effettuato il 23 novembre 2016 presso la I.G.F. di Al., allorquando si erano rintracciati cinque lavoratori dipendenti di GR. SE. con sede a Ro., ma operante in Al., tre dei quali impiegati irregolarmente senza copertura assicurativa e previdenziale; dalla perquisizione conseguente che aveva consentito di acquisire documentazione (estrapolata anche dal computer dell'imputato B.B.), grazie alla quale erano state calcolate le prestazioni lavorative giornaliere dei dipendenti "GREEN SERVICE" che, nel periodo di cui all'imputazione, aveva impiegato nello stabilimento di Al. circa 94 lavoratori senza versare contributi, con denunce contributive incomplete e con il trattamento lavorativo e retributivo descritto nella imputazione. In base a tali elementi, i giudici territoriali hanno ritenuto il requisito oggettivo dello sfruttamento di manodopera, sussistendo gli indici indicati nel comma 3 dell'art. 603 bis, cod. pen. L'audizione di molti lavoratori, pur se non di tutti e 94, aveva poi consentito di accertare le condizioni di sfruttamento, avendo confermato l'attendibilità dei dati ricavati dal computer dell'imputato B.B. I dipendenti venivano sottoposti a continue pressioni da parte degli imputati che decidevano anche se gli stessi potessero espletare i propri bisogni o dissetarsi, avendo i concorrenti approfittato della limitata libertà di autodeterminazione delle persone offese, soggetti richiedenti asilo, in condizione di precarietà sul territorio nazionale, alcuni alloggiati presso strutture di prima accoglienza e spesso da lungo disoccupati, bisognosi di lavorare per ottenere il permesso di soggiorno e procurarsi i mezzi di sussistenza. Quanto all'imputato B.B., formalmente dipendente di A.A., egli aveva agito quale vero e proprio braccio destro del datore di lavoro, conservando anche i prospetti attestanti le vere retribuzioni consegnate ai lavoratori.

Nel rispondere alle doglianze veicolate con i gravami, la Corte territoriale ha disatteso quelle formulate nell'interesse di A.A. (il quale aveva dedotto, quanto al delitto di sfruttamento dell'altrui lavoro, il mancato accertamento del numero esatto di lavoratori; l'autosufficienza economica di quelli che avevano testimoniato; l'accettazione della proposta lavorativa da parte di costoro; il difetto della condizione di sfruttamento; e, quanto agli altri reati, la mancata notifica dell'avviso di accertamento dell'omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali; la non configurabilità del delitto di omesso versamento delle ritenute per mancata corresponsione delle retribuzioni) e quelle formulate nell'interesse dell'appellante B.B. (il quale aveva allegato la propria posizione di subordinato che ubbidiva alle direttive del datore di lavoro, contestando anche il diniego del beneficio della sospensione della pena e delle generiche e l'eccessività della pena).

In particolare, ha ritenuto, quanto al delitto contestato a entrambi, di dover disattendere l'assunto per il quale i lavoratori sarebbero stati gestiti dal Mo. (responsabile dell'appaltante CONTROLSISTEM): gli elementi della istruttoria (documenti, testimonianze) smentivano l'assunto, confermando viceversa che A.A., socio unico GR. SE., li aveva assunti o, comunque, impiegati nello svolgimento dei lavori sub appaltati alla "GREEN SERVICE" con riferimento all'appalto stipulato da CONTROLSISTEM con I.G.F. Gli imputati avevano agito in piena autonomia, in esecuzione del sub appalto quanto alla gestione dei lavoratori, la scelta di assumere i primi tre lavoratori (quelli, cioè, trovati in occasione della ispezione del novembre 2016) irregolarmente e senza copertura assicurativa e previdenziale dovendosi ricondurre proprio a A.A.; le sue decisioni non erano collegate al regolamento contrattuale relativo al sub appalto così come quelle inerenti al salario, alla mancata retribuzione dei periodi di prova e alla esecuzione delle lavorazioni senza riconoscimento delle maggiorazioni per il lavoro straordinario, festivo, tredicesima e altre voci. Del pari, era riconducibile a tale gestione la modalità del lavoro (orario spesso superiore alle 12 ore e in qualche caso sino alle 20 consecutive, mancato godimento di riposo giornaliero oltre che settimanale, violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro, compresa la mancata fornitura di presidi protettivi individuali e la mancanza di formazione specifica, i lavoratori essendo stati trovati a lavorare mediante utilizzo di macchinari all'interno dello stabilimento). Le dichiarazioni dei soggetti sfruttati erano state corroborate, peraltro, dall'esito del controllo incrociato con dati provenienti dalle annotazioni rinvenute nel computer sequestrato all'imputato B.B. - questi e A.A. avevano, di volta in volta, deciso anche chi dovesse recarsi a lavorare e chi non dovesse farlo e quante ore ciascuno dovesse osservare, decisione rimessa a scelte dei due, fondate anche sulla maggiore o minore remissività dei lavoratori dovuta allo stato di bisogno.

Quanto, specificamente, all'imputato B.B., la Corte ha osservato che costui aveva agito quale vero e proprio reclutatore e preposto, co-protagonista insieme a A.A. riguardo a tutte le attività strumentali al delitto; era stato B.B. a utilizzare e impiegare i dipendenti, impartendo sul posto di lavoro ordini e direttive indiscutibili, determinando orari disumani di lavoro, annotando sul proprio computer i prospetti relativi al monte ore individuale, ai pagamenti e ad altri elementi decisivi per comprovare l'attività di sfruttamento, dimostrativi della sua cosciente partecipazione all'attività delittuosa. Il suo contributo era stato correttamente valutato in ragione della sua efficienza causale rispetto alla condotta dell'altro concorrente, essendo irrilevante il rapporto di lavoro che univa i due imputati, egli avendo cooperato attivamente in tutte le fasi, reclutando e gestendo i lavoratori, il suo ruolo avendo ricevuto evidente conferma dalla circostanza che era stato proprio B.B. a tenere la contabilità delle attività illecite inerenti allo sfruttamento lavorativo.

L'insieme di tali elementi è stato ritenuto idoneo a fondare la prova dello stato di bisogno delle persone offese: l'assunto sostenuto a difesa, secondo il quale molti lavoratori godevano di un contributo pubblico, oltre che di vitto e alloggio, era resistito, in diritto, dalla osservazione che, ai fini della configurabilità del delitto, non è necessario uno stato di necessità tale da annientare in modo assoluto ogni libertà di scelta, essendo sufficiente una situazione di oggettiva difficoltà, anche temporanea, tale da limitare la volontà della vittima, inducendola ad accettare condizioni particolarmente svantaggiose, avendo quel giudice precisato che l'ospitalità presso i centri di accoglienza non costituiva una sistemazione definitiva e che il contributo era bimestrale e modesto, la necessità di trovare un lavoro rispondendo anche all'esigenza di ottenere titolo per restare sul territorio e procurarsi i mezzi per vivere. Inoltre, quel giudice ha ricordato che, nella specie, molti soggetti erano giunti da poco sul territorio nazionale, non conoscevano la lingua italiana, mentre altri erano senza lavoro da tempo e in condizioni economiche assai precarie, a nulla rilevando opporre che, una volta compresa l'impossibilità di sopportare le durissime condizioni lavorative imposte, essi decidessero di lasciare il lavoro.

All'imputato A.A. sono state mosse altre due contestazioni, rispetto alle quali la Corte d'appello ha disatteso gli argomenti difensivi, osservando, quanto alla prima (omesso versamento delle ritenute) che, ai fini della integrazione della particolare condizione di punibilità (la legge prevedendo che non è punibile il datore che versi il dovuto entro tre mesi da tale avviso), non fosse necessario un avviso di accertamento previdenziale da parte dell'INPS, essendo sufficiente, ai fini della procedibilità, la notifica all'imputato di un atto del procedimento penale equipollente a tale accertamento, purché contenga gli elementi essenziali dell'avviso (indicazione del periodo di omesso versamento, dell'importo, della sede dell'ente presso il quale debba avvenire il versamento). ciò che, nella specie, era avvenuto con la notifica del decreto disponente il giudizio, senza che l'interessato avesse allegato prova del versamento. Quanto, poi, all'assunto difensivo che faceva leva sull'omessa corresponsione delle retribuzioni, alle quali l'obbligo in esame è correlato, la Corte ha riconosciuto l'astratta correttezza dell'assunto, perché il reato tende non tanto a colpire il fatto omissivo, quanto l'appropriazione indebita delle ritenute prelevate dallo stipendio del lavoratore. Tuttavia, nella specie, era stato dimostrato dall'accusa che la retribuzione era stata corrisposta attraverso i modelli DM 10, soprattutto grazie alla documentazione acquisita in sede di perquisizione nei confronti dell'imputato B.B., nel cui computer era stata trovata l'annotazione di tutte le retribuzioni versate, spettando alla difesa superare il dato, provando cioè la mancata corresponsione delle retribuzioni cui è collegato l'onere di versamento. Sulla scorta degli stessi

dati provenienti dall'imputato B.B., dunque, erano stati operati i calcoli delle ritenute obbligatorie non versate che avevano superato la soglia di punibilità di Euro 10.000,00 solo per il periodo dal 16 gennaio al 16 giugno 2017, ma non per il 2016.

Quanto, invece, all'ulteriore reato, la Corte ha ritenuto conseguita la prova del dato falsamente indicato sempre attraverso la ricostruzione, operata dall'ispettorato sulla documentazione inerente alle dichiarazioni previdenziali obbligatorie effettuate dall'imputato e alle retribuzioni versate, alla stregua della quale era stato accertato il superamento della soglia di punibilità, i contributi denunciati ammontando a Euro 3.934,00, mai versati, a fronte di contributi dovuti pari a Euro 18.995,34, così superata la soglia di punibilità del 50% dei contributi dovuti.

Infine, la Corte ha ritenuto gli imputati non meritevoli del riconoscimento delle generiche, rilevando la mancanza di elementi positivi valutabili e non avendo le risultanze dibattimentali fornito elementi per potersi discostare dalla valutazione operata dal primo giudice. Quanto, invece, alla sospensione condizionale della pena, ha confermato la prognosi negativa, alla stregua delle condotte, sintomatiche di una spiccata capacità a delinquere, per la manifestata indifferenza alle difficoltà e all'incolumità dei lavoratori, ai quali erano pure negati i presidi per lavorare in condizioni di sicurezza con i macchinari, sottolineandosi che l'attività illecita era stata continuata anche dopo il primo intervento dell'ispettorato.

3. La difesa di B.B. ha proposto ricorso, formulando due motivi.

Con il primo, ha dedotto nullità della sentenza a norma dell'art. 606 comma l, lett. e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 192, comma 2 e 546, comma l, lett. e), cod. proc. pen., per manifesta illogicità e insufficienza della motivazione sull'affermazione della penale responsabilità quale concorrente del reato di sfruttamento della manodopera. A parere della difesa, il giudizio si fonderebbe su due sole circostanze (qualifica di capo reparto e possesso dell'elenco degli operai), avendo i giudici territoriali omesso di valutare l'elemento soggettivo del reato, tenuto conto della posizione di dipendente con mansioni non ufficiali di capo reparto, posto allo stesso livello economico degli altri lavoratori, con i loro stessi orari, senza alcun privilegio o premio. Sotto altro profilo, si è rilevato che non è stata contestata alcuna condotta di reclutamento, non procedendosi per tale fattispecie, la stessa non potendo essere utilizzata per dimostrare un quadro generale di consapevolezza di cooperare nell'illecito, l'imputato non essendosi occupato dei pagamenti, dei relativi contratti e neppure deg1i accordi sulle condizioni di lavoro, essendosi limitato a prendere ordini dal datore di lavoro, eseguiti per conservare il proprio posto, cui non poteva rinunciare benché sfruttato.

Con il secondo motivo, ha dedotto inosservanza di norme processuali e vizio di motivazione apparente, con specifico riferimento al diniego delle generiche, alla diversificazione della pena e ai benefici: la difesa ha rilevato l'erroneità dell'assunto secondo il quale l'imputato fosse un alter ego del datore di lavoro, avendo fornito tutti gli elementi per addivenire ad una valutazione diversificata, trattandosi di preposto che eseguiva gli ordini del datore di lavoro, non comprendendosi per quale ragione egli avrebbe dovuto rendersi conto che, dopo il primo controllo ispettivo, ci sarebbe stato un intervento dell'autorità giudiziaria.

4. La difesa di A.A. ha proposto ricorso, formulando quattro motivi.

Con il primo, ha dedotto violazione di legge, travisamento della prova e vizio della motivazione, richiamando l'art. 606, comma 1, lett. b), d) ed e), cod. proc. pen., con riferimento alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di cui all'art. 603 bis, cod. pen. Nella specie, i giudici sarebbero incorsi nel travisamento della prova che, secondo il deducente, avrebbe dimostrato una gestione esclusiva dei lavoratori da parte del Mo. (rappresentante CONTROLSISTEM), atteso che, nel corso dell'accesso ispettivo del novembre 2016, era stata rilevata la presenza di lavoratori stranieri all'interno dello stabile di proprietà di tale azienda. Secondo l'accusa il Mo. sarebbe stato un committente fittizio, laddove "GREEN SERVICE" sarebbe stata mera somministratrice della manodopera. Tuttavia, era stata la stessa accusa a ritenere che i lavoratori trovati nel capannone della fabbrica I.G.F., dato in comodato a CONTROLSISTEM, lavoravano nello stesso contesto locativo, rispondendo alle direttive del Mo., a tal fine richiamando stralci di deposizioni, per affermare come nessuno dei testi, neppure gli ispettori del lavoro, avesse riferito della presenza dell'imputato in quei luoghi. Sotto altro profilo, ha rilevato che le emergenze dibattimentali avevano chiarito che la "GREEN SERVICE" non aveva i mezzi per eseguire l'opera sub appaltata, di fatto trattandosi di una "scatola vuota" priva di autonomia gestionale nell'ambito del sub appalto, operante con mansioni, orari e modalità identici a quelli dei dipendenti di CONTROLSISTEM

Con il secondo, ha dedotto analoghi vizi, questa volta con riferimento all'elemento oggettivo del reato: si è affermato che non sarebbe stato esattamente individuato il numero dei lavoratori e che costoro erano soggetti con capacità economica, ognuno dei quali ha confermato di avere spontaneamente accettato la proposta lavorativa e, al momento opportuno, deciso di abbandonare, molti motivando la decisione proprio a causa della mancata, compiuta retribuzione, nessuno di essi avendo però intentato azioni giudiziarie o stragiudiziali per ottenere il riconoscimento delle proprie pretese.

Con il terzo motivo, ha dedotto analoghi vizi quanto al reato di cui all'art. 2, d. l. n. 463 del 1983: se le prestazioni lavorative, secondo quanto affermato dalla stessa Corte territoriale, erano avvenute a titolo gratuito, il mancato versamento all'INPS delle trattenute sulla retribuzione non potrebbe configurarsi, tenuto conto della ratio dell'incriminazione che non è quella di colpire la condotta omissiva, bensì sanzionare la condotta con missiva di chi si appropria delle ritenute prelevate dallo stipendio del lavoratore.

Infine, con il quarto motivo, ha dedotto analoghi vizi conferimento al reato di cui all'art. 37 I. 689/1981, osservando che la punibilità per omissione contributiva si configura solo nell'ipotesi in cui il mancato versamento superi del 50% l'importo dovuto all'INPS, oltre la soglia di Euro 2.500,00 mensili, con la conseguenza che se i contributi mensilmente dovuti non superano l'importo di Euro 5.164,56, ossia il doppio della somma indicata dalla norma, anche se l'omissione riguardi una significativa percentuale del dovuto e sia superiore al 50% di esso, occorrerà che l'importo superi comunque la soglia minima pari a Euro 2.582,28. Nella specie, sarebbe stata omessa ogni spiegazione sulle modalità del calcolo.

5. Il Procuratore generale, in persona del sostituto Luca TAMPIERI, ha rassegnato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto il rigetto.

6.L'avv. Stefano Trinco per A.A. ha depositato note scritte. con le quali ha concluso chiedendo l'annullamento della sentenza, con pronuncia di assoluzione o, in subordine, riduzione della pena previo riconoscimento delle attenuanti generiche.

Diritto


1. I ricorsi sono inammissibili.

2. Qualche premessa è necessaria ai fini della disamina dei motivi dei ricorsi.

2.1. La tenuta della motivazione censurata dai ricorrenti anche per travisamento della prova va esaminata alla stregua di quelle che sono state le ragioni giustificative della condanna rinvenibili nella sentenza impugnata, ma anche in quella appellata. Nonostante talune affermazioni difensive, infatti, tenuto conto del tenore delle censure formulate, pare in questa sede opportuno ribadire il consolidato principio per il quale, in tema di motivi di ricorso per cassazione, il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati dal ricorrente, è ravvisabile ed efficace solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell'elemento frainteso o ignorato, fermi restando il limite del "devolutum" in caso di cosiddetta "doppia conforme" e l'intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (sez. 5, n. 48050 del 2/7/2019, S., Rv. 277758-01; sez. 6, n. 21015 del 17/5/2021, Africano, Rv. 28l665-01; sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217-01), essendosi altresì precisato, proprio per il caso di cosiddetta "doppia conforme", che il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un'informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, può esser"e dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 606, comma l, lett. e), cod. proc. pen. solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (sez. 3, n. 45537 del 28/9/2022, M., Rv. 283777-01).

Tale principio, peraltro, vale sia nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (sez. 4, n. 35963 del 3/12/2020, Tassoni, Rv. 280155-01).

2.2. Va poi ricordato, siccome principio altrettanto consolidato e sempre tenuto conto del tenore delle censure difensive, che - in tema di motivi di ricorso per cassazione - non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (sez. 2, n. 9106 del 12/2/2021, Caradonna, Rv. 280747-01; sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, F., Rv.. 280601-01). Eccede, infatti, dai limiti di cognizione della Corte di cassazione ogni potere di revisione degli elementi materiali e fattuali, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito, posto che il controllo sulla motivazione rimesso al giudice di legittimità è circoscritto, ex art. 606, comma l, lett. e), cod. proc. pen., alla sola verifica dell'esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l'hanno determinata, dell'assenza di manifesta illogicità dell'esposizione e, quindi, della coerenza delle argomentazioni rispetto al fine che ne ha giustificato l'utilizzo e della non emersione di alcuni dei predetti vizi dal testo impugnato o da altri atti del processo, ove specificamente indicati nei motivi di gravame, requisiti la cui sussistenza rende la decisione insindacabile (sez. 3, n. 17395 del 24/1/2023, Chen, Rv. 284556-01.; n. 2039 del 2/2/2018, dep. 17/1/2019, Papini, Rv. 274816-07).

2.3. Infine, tenuto conto delle doglianze con le quali è stato attaccato il ragionamento svolto dai giudici territoriali quanto alla sussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo del reato di sfruttamento dell'altrui attività lavorativa, mette conto evidenziare che agli imputati è stato contestato il reato di cui all'art. 603 bis, cod. pen., sub specie utilizzo, assunzione o impiego della manodopera in condizioni di sfruttamento e approfittamento dello stato di bisogno dei lavoratori. È, peraltro, necessario precisare che lo sfruttamento connesso alla violazione di norme poste a tutela del lavoratore, che può astrattamente caratterizzare anche la fattispecie del reato di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù, è accompagnato, in quest'ultimo caso, dalla significativa compromissione della capacità di autodeterminarsi del soggetto passivo, a causa della verificata assenza di alternative esistenziali validamente percorribili (sez. 5, n. 17095 del 16/3/2022, Abdellah, Rv. 283899-01). Ed infatti, è stato coerentemente precisato che, ai fini dell'integrazione del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, lo stato di bisogno non va inteso come uno stato di necessità tale da annientare in modo assoluto qualunque libertà di scelta, bensì come una situazione di grave difficoltà, anche temporanea, tale da limitare la volontà della vittima e da indurla ad accettare condizioni particolarmente svantaggiose (sez. 4, n. 24441 del 16/3/2021, Sanitrasport, in cui, in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto immune da censure il provvedimento impugnato che aveva ravvisato lo stato di bisogno nella condizione di difficoltà economica delle vittime, capace di incidere sulla loro libertà di autodeterminazione, trattandosi di persone non più giovani e non particolarmente specializzate, e quindi prive della possibilità di reperire facilmente un'occupazione lavorativa). In altri termini, per la configurabilità del reato per cui si procede non è necessaria una condotta "dominicale" sui lavoratori, ma devono sussistere gli indici elencati di cui al comma 3 dell'art. 603 bis, cod. peno che devono caratterizzare tanto l'attività di reclutamento quanto quella di utilizzazione, assunzione o impiego della manodopera, la cui elencazione, tuttavia, non ha carattere tassativo, potendo il giudice individuare ulteriori condizioni suscettibili di dare luogo alla condotta di abuso del lavoratore (sez. 4, n. 7857 del 11/11/2021, dep. 2022, Falcone. Rv. 282609-01).

Cosicché, se è vero che la mera condizione di irregolarità amministrativa del cittadino extracomunitario nel territorio nazionale, accompagnata da situazione di disagio e di bisogno di accedere alla prestazione lavorativa, non possa di per sé costituire elemento valevole da solo ad integrare il reato di cui all'art. 603 bis cod. pen., è però da considerare che il reato é caratterizzato dallo sfruttamento del lavoratore, i cui indici di rilevazione attengono ad una condizione di eclatante pregiudizio e di rilevante soggezione dello stesso, resa manifesta da profili contrattuali retributivi o da profili normativi del rapporto di lavoro, o da violazione delle norme in materia di sicurezza e di igiene sul lavoro, o da sottoposizione a umilianti o degradanti condizioni di lavoro e di alloggio (sez. 4, n. 27582 del 16/9/2020, Savoia, Rv. Rv. 279961-01, in fattispecie, analoga a quella all'esame, in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità del "caporale" e del datore di lavoro, essendo lo sfruttamento evincibile dalla penosa situazione personale e abitativa degli extracomunitari, dalla durata oraria della prestazione, svolta senza dotazioni di sicurezza e corsi di formazione e senza fruizione del riposo settimanale, nonché dall'entità della retribuzione, decurtata sensibilmente per spese affrontate dal datore di lavoro; n. 49781 del 9/10/2019, Kuts, Rv. 277424-01).

Quanto, poi, all'elemento soggettivo del reato contestato ai due imputati, questa stessa Sezione ha già chiarito che il delitto previsto dall'art. 603 bis, comma primo, n. 1, cod. peno è caratterizzato dal dolo specifico, essendo necessario che l'intermediario recluti la manodopera al fine di destinarla al lavoro presso terzi, mentre per quello previsto dall'art .603 bis, comma primo, n. 2, cod. pen., è sufficiente il dolo generico, essendo richiesto che l'utilizzatore abbia agito con coscienza e volontà di sottoporre i lavoratori a condizioni di sfruttamento e di approfittare del loro stato di bisogno (sez. 4, n. 3554 del 18/1/2022, Siena, Rv. 282577-01).

3. Alla luce di tale premessa in diritto, questa Corte ritiene manifestamente infondati il primo motivo dedotto nell'interesse dell'imputato B.B. e il primo e il secondo motivo dedotti nell'interesse dell'imputato A.A. Le difese, infatti, hanno formulato censure che aggrediscono direttamente la decisione, più che il ragionamento giustificativo di essa. La difesa del primo, oltre ad aver ignorato la portata probatoria assegnata dai giudici del doppio grado al ritrovamento presso lo stesso della contabilità "illecita" avente ad oggetto proprio lo sfruttamento dei lavoratori, dato fattuale altamente valorizzato per quanto riguarda la condotta di concorso dell'imputato e l'elemento psicologico che l'ha sostenuta, ha ritenuto di opporvi la condizione di mero dipendente del coimputato A.A., ricavando dalla natura non plurisoggettiva del reato un onere di motivazione rafforzata in capo al giudicante. II ragionamento è fallace perché non considera le ragioni che hanno sostenuto quella decisione. I giudici del doppio grado, infatti, hanno letto la condotta oggettivamente accertata in capo ad B.B., descritto come vero e proprio "caporale" dei lavoratori sfruttati, alla stregua del fatto che allo stesso era stata affidata la contabilità delle retribuzioni, probante lo sfruttamento economico dei lavoratori stessi, quanto alle condizioni lavorative essendone emerso il ruolo attivo, a prescindere dalla circostanza che avesse seguito direttive datoriali.

Nessuna manifesta illogicità connota il ragionamento dei giudici territoriali sul punto, avendo costoro valorizzato elementi probatori acquisiti al processo, rispetto ai quali la difesa non ha opposto alcun travisamento nei termini deducibili secondo i principi sopra richiamati, quanto alla condotta di reclutamento, la stessa essendo stata impropriamente definita dalla Corte territoriale nel caso di specie (vedi pag. 29 della sentenza censurata), nel quale non si procede per l'ipotesi di cui all'art. 603 bis, comma l, n. 1, cod. pen., senza però che da tale improprio utilizzo sia derivata alcuna compromissione del ragionamento generale con il quale si è dato ampio conto della sussistenza della condotta contestata ai sensi del comma 1, n. 2 dello stesso articolo, descritta nei termini di cui all'imputazione.

Allo stesso modo, quanto all'imputato A.A., la difesa ha insistito sulla non riconducibilità dei lavoratori alla gestione GR. SE., opponendo il ruolo dominante della subappaltante e del Mo. per essa. In merito, va intanto rilevata la sostanziale sovrapponibilità, anche grafica, delle doglianze veicolate con il ricorso rispetto a quelle dell'appello, cosicché la inammissibilità del primo, rispetto a tale motivo, discende direttamente dal mancato raffronto con la risposta data dai giudici del gravame proprio alle medesime censure. Di talché, risulta pretermesso lo stesso ragionamento che si censura, essendo già di per inammissibile il ricorso fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (sez. 3, n. 44882 del 18/7/2014, Cariolo, Rv. 260608-01).

La Corte di merito, infatti, ha dato conto degli elementi confermanti il ruolo dell'imputato, a partire dalla circostanza che era la "GREEN SERVICE" ad impiegare i lavoratori nelle condizioni descritte in imputazione, così come era un dipendente "GREEN SERVICE" a detenere la relativa contabilità, senza che l'istruttoria avesse restituito informazioni collidenti con tali dati oggettivi, corroborati dalle prove orali acquisite, dalle quali era stata tratta la distinzione dei ruoli e gli apporti autonomi degli imputati, non essendovi traccia nel contratto di sub appalto delle condizioni retributive da sfruttamento applicate dall'imputato.

Quanto, poi, alla pretesa insussistenza dell'elemento oggettivo, ancora una volta si rileva che la doglianza costituisce mera riproposizione di argomenti spesi nel gravame, osservandosi come la difesa sul punto muova peraltro dall'errato presupposto che il reato per cui si procede richieda una condotta di tipo "dominicale" che è, invece, propria del diverso reato di riduzione in stato di schiavitù o servitù, richiamandosi, quanto ai connotati propri dello stato di bisogno, i principi esposti al par.2, rispetto ai quali si rileva la piena coerenza del ragionamento dei giudici territoriali e la incoerenza delle argomentazioni difensive.

4. Sono manifestamente infondati anche il terzo e il quarto motivo formulati nell'interesse dell'imputato A.A.

Quanto al terzo, infatti, vero è che il reato di cui all'art. 2 della legge 11 novembre 1983 n. 638 (omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti) non è configurabile in assenza del materiale esborso delle relative somme dovute al dipendente a titolo di retribuzione (Sez. U, n. 27641 del 28/5/2003, Silvestri, Rv. 224609-01, in cui si è precisato che il riferimento letterale alle "ritenute operate" sulla retribuzione deve essere interpretato nel senso che non può essere operata una ritenuta senza il pagamento della somma dovuta al creditore); ma è anche vero che di tale principio i giudici territoriali sono risultati edotti allorquando hanno precisato che, proprio dalla contabilità rinvenuta all'imputato B.B., era emersa 'a retribuzione, inferiore, corrisposta ai lavoratori sfruttati. Non va, infatti, dimenticato che, ai fini della configurabilità del reato, è necessaria la prova del materiale esborso, anche in nero, della retribuzione (sez. 3, n. 38271 del 25/9/2007, Pellé, Rv. 237829-01, in cui si é precisato che il relativo onere probatorio grava sulla pubblica accusa, che può assolverlo sia mediante il ricorso a prove documentali che testimoniali ovvero attraverso il ricorso alla prova indiziaria; n. 29037 del 20/2/2013, Zampiccoli, Rv. 255454-01; n. 6934 del 23/11/2017, cep. 2018, Locatelli, Rv. 272120-01; n.32848 del 08/07/2005, Smedile, Rv.232393-01; sez. 3, n. 26579 del 20/5/2021, Tirelli, in motivazione). Il che è quanto avvenuto, nella specie, avendo i giudici territoriali fatto rinvio alle prove documentali dell'esborso, diverse dal normale modello DM 10, ma pur sempre rappresentative del presupposto fattuale, indispensabile perché sorga l'obbligo del versamento, sebbene in questo caso tale obbligo sia ricollegato alla corresponsione in nero di una retribuzione in violazione dei minimi legali. È, dunque, a fronte di tale prova documentale specifica che, nella specie, è stato ravvisato l'obbligo dell'imputato di fornire prova della difformità del dato reale (assenza del materiale esborso delle somme) rispetto a quello documentale. il che si pone in linea di coerenza con i principi affermati dalla giurisprudenza in ordine al riparto dell'onere probatorio, senza che possa rinvenirsi traccia di inammissibili inversioni sfavorevoli all'accusato.

Anche rispetto al quarto motivo, infine, si ritiene il mancato confronto con le ragioni della decisione contestata: muovendo dal principio che, ai fini del calcolo della cosiddetta soglia di punibilità di cui all'art. 37 L. n. 689 del 1981 in relazione al reato di omissione o falsità in registrazione o denuncia obbligatoria in materia di previdenza ed assistenza, deve tenersi conto sia dell'ammontare dei contributi e premi dovuti dal lavoratore sia dell'ammontare dei contributi e premi dovuti dal datore di lavoro (sez. 3, n. 38275 del 25/9/2007, Ricci, Rv. 237947-01). L'art. 37 della I. 24 novembre 1981 n. 689, nell'attribuire rilevanza penale all'omissione delle denunce mensili obbligatorie quando dal fatto derivi l'omesso versamento di contributi e premi per un importo mensile non inferiore al maggiore importo tra Euro 2.582,28 e il 50% dei contributi complessivamente dovuti, si riferisce, infatti, con il primo parametro, a tutto quanto a titolo di contributi dev'essere versato in un determinato mese dell'anno con riferimento alle retribuzioni erogate a tutti i dipendenti e, con il secondo, alla percentuale dei contributi complessivamente dovuti, per la pluralità dei lavoratori effettivamente impiegati nell'azienda, per ciascun singolo mese e non già per più mensilità (sez. 3, n. 25201 del 26/5/2011, Lika, Rv. 250981-01).

Nella specie, il calcolo operato dalla Corte ha fatto riferimento alla tabella allegata al capo b) della imputazione, rinviando alle prove alle quali quel calcolo era stato affidato (dichiarazioni previdenziali obbligatorie dell'imputato e dati dell'ispettorato del lavoro sulle retribuzioni versate). I contributi non versati e dovuti hanno superato la soglia minima prevista, senza che la difesa abbia contestato i calcoli siccome effettuati, essendosi, invece, limitata ad affermare un'asserita impossibilità di controllare detto conteggio, impossibilità smentita proprio dalle ragioni debitamente esposte nella sentenza censurata.

5. Infine, è manifestamente infondato il secondo motivo formulato nell'interesse dell'imputato B.B., con il quale si è sostanzialmente censurata la decisione di non differenziare le posizioni dei due imputati, ai fini del riconoscimento di eventuali benefici, allegandosi una apparenza del relativo percorso giustificativo.

Premesso che non è censurabile, in sede di legittimità, la sentenza che non motivi espressamente in relazione a una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando il suo rigetto risulti dalla complessiva struttura argomentativa della sentenza (sez. 4, n. 5395 del 15/11/2022, dep. 2023, Lakrafy, Rv. 284096-01; sez. 1, n. 12624 del 12/2/2019, Du/an, Rv. 275057-01), deve risolutivamente osservarsi che il difetto di motivazione della sentenza di appello in ordine a motivi generici, proposti in concorso con altri motivi specifici, non può formare oggetto di ricorso per Cassazione, poiché motivi generici restano viziati da inammissibilità originaria anche quando la decisione del giudice dell'impugnazione non pronuncia in concreto tale sanzione (sez. 3, n. 10709 del 25/11/2014, dep. 2015, Botta, Rv. 262700-01; sez. 5, n. 44201 del 29/9/2022, Testa, Rv. 283808-01).

12 Nella specie, con i motivi tre e quattro del gravame, la difesa aveva genericamente contestato il diniego del beneficio della sospensione condizionale della pena allegando il ruolo di dipendente di B.B. rispetto a A.A. e ritenuto la pena troppo elevata in ragione della stessa circostanza. Le censure avevano attaccato la motivazione della sentenza appellata, con la quale il primo giudice, dopo aver valutato la gravità della condotta (richiamando anche un episodio a carico dei due imputati, per il quale era stata disposta la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica di Rovereto sulla rilevanza penale del fatto, consistito nell'aver rinchiuso un lavoratore su un furgone sino all'arrivo del commercialista) e il discostamento contenuto rispetto al minimo edittale per la pena base, ha ritenuto di non differenziare le posizioni dei due imputati, poiché entrambi, in vesti formali diverse, avevano egualmente partecipato con condotte di notevole gravità e con grande spregiudicatezza, alla commissione del reato. A fronte delle riproposte, generiche osservazioni difensive, con le quali si continuava, in sostanza, a opporre il ruolo diverso dell'imputato a causa del rapporto subordinato rispetto al datore di lavoro, la Corte ha disatteso tale prospettazione, laddove ha motivato (pagg. 34­35) sul ruolo paritetico di costui rispetto al concorrente e sulla essenzialità del suo contributo rispetto al reato: egli aveva cooperato attivamente con riferimento a tutti gli aspetti della vicenda esaminata; era stata provata un'attività di reclutamento (come già detto non contestata in imputazione) che la Corte ha però richiamato a conferma del ruolo attivo dell'imputato; era costui a gestire le condizioni lavorative della manodopera sfruttata ed era stato sempre B.B. a detenere la contabilità. Trattasi, a ben vedere, di motivazione tutt'altro che apparente, a fronte di censure ripropositive di quelle genericamente formulate con il gravame, ribadendosi l'inammissibilità del ricorso per cassazione che riproduca e reiteri gli stessi motivi prospettati con l'atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza di illogicità della motivazione (sez. 2, n. 27816 del 22/3/2019, Rovinelli, Rv. 276970-01).

6. Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero in ordine alla causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186/2000).

P.Q.M.


Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 12 dicembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2024.