Cassazione Penale, Sez. 3, 31 gennaio 2024, n. 4210 - Colpa organizzativa dell'azienda: 100 mila euro di sanzione alla spa per l'infortunio del lavoratore durante l'attività manutentiva


 

 

Elementi comprovanti la responsabilità da reato dell'ente: il reato presupposto accertato era addebitabile a figure apicali della società, che avevano violato sistematicamente la normativa cautelare allo scopo di conseguire un'utilità per l'ente; risultava la mancata predisposizione ed attuazione degli specifici modelli di organizzazione e di gestione prefigurati dal legislatore rispettivamente agli artt. 6 e 7 del decreto n. 231/2001 e all'art. 30 del d.lgs. n. 81/2008; emergeva un deficit organizzativo complessivo comportante la mancata predisposizione di accorgimenti preventivi idonei a evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato (omessa adeguata formazione in maniera stabile dei dipendenti, assenza di protocolli per interventi di manutenzione complessi e formazione della relativa squadra, assenza dei divieti di accesso al silos durante lo svolgimento della procedura di manutenzione, carenza di valutazione del rischio sistemico a livello organizzativo; violazione delle regole cautelari stabile e permanente), dimostrativo della condotta colpevole della società in termini di rimproverabilità e dotato di incidenza causale rispetto alla verificazione del reato presupposto.



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta da:

Dott. SARNO Giulio - Presidente

Dott. DI STASI Antonella - Relatore

Dott. GALANTI Alberto - Consigliere

Dott. MACRÌ Ubalda - Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro Maria - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

SCM GROUP Spa, in persona del legale rappresentante A.A.

avverso la sentenza del 27/03/2023 della Corte di appello di Bologna

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Antonella Di Stasi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Paola Filippi, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso;

udito per l'imputato l'avv. Francesco Piccaglia De Eccher, che ha concluso insistendo per l'accoglimento del ricorso.

 

Fatto


1. Con sentenza del 27/03/2023, la Corte di appello di Bologna, decidendo in sede di rinvio a seguito della sentenza n. 39615/2022 della Corte di cassazione, confermava la sentenza emessa in data 15/11/2018 dal Tribunale di Rimini, con la quale la SCM GROUP Spa era stata dichiarata responsabile dell'illecito amministrativo di cui all'art. 25-septies, comma 2, d.lgs 231/2001 in relazione al delitto di lesioni colpose commesse con violazione delle norme di tutela e sicurezza sul lavoro (l'evento si era verificato nella notte tra il 16 ed il 17 settembre del 2008, era avvenuto durante l'esecuzione di un'operazione di sostituzione di un nastro trasportatore finalizzato a fare confluire materiale per la fusione all'interno di un silos; la persona offesa era l'unico dei componenti di una squadra di quattro operai a trovarsi sulla sommità del silos e l'infortunio si era verificato a seguito del transito di una componente del carroponte, alla cui guida si trovava altro appartenente alla squadra, che aveva provocato lo schiacciamento del capo della vittima contro uno spigolo della balaustra; la persona offesa aveva riportato lesioni gravissime comportanti invalidità permanente del 75%) e condannata al pagamento della sanzione amministrativa di 200 quote dell'importo di Euro 500,00 ciascuna per un importo complessivo di Euro 100.000,00.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la SCM GROUP Spa, a mezzo del difensore di fiducia e procuratore speciale, chiedendone l'annullamento ed articolando tre motivi di seguito enunciati.

Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dell'interesse e del vantaggio ai sensi del d.lgs 231/2001.

Premesso che l'illecito amministrativo previsto dal d.lgs 231/2001 è una fattispecie complessa, rispetto alla quale l'esistenza del reato presupposto rappresenta solo un elemento della valutazione, dovendo essere accertati anche gli ulteriori elementi costituitivi, tra cui l'interesse o il vantaggio per l'Ente, criteri eterogene concorrenti ed alternativi tra loro, argomenta che il Giudice di rinvio era incorso, nella valutazione dei predetti elementi costituivi, in gravissimi vizi sia motivazionali che di applicazione della norma giuridica.

In particolare, con riferimento alla valutazione dell'elemento soggettivo dell'interesse, il Giudice del rinvio aveva ritenuto che la tensione al beneficio per l'Ente risiedesse in re ipsa, nel risparmio conseguente alle spese "non effettuate", pervenendo all'inaccettabile conclusione che da ogni violazione della normativa antinfortunistica scaturirebbe potenzialmente ma ineluttabilmente l'interesse per l'Ente; al contrario, occorreva approfondire ed accertare anche l'elemento soggettivo tipico dell'agente del reato presupposto, il quale deve aver agito non solo colposamente ma anche "allo scopo di conseguire un'utilità per la persona giuridica"; secondo la ricostruzione della Corte di appello l'evento si era verificato non per una deliberata omissione di una cautela ma a causa della sottovalutazione del rischio dell'attività di sostituzione del nastro trasportatore che aveva generato la mancata predisposizione della procedura e la mancata formazione su di essa.

Con riferimento alla valutazione del criterio di imputazione del vantaggio, poi, la Corte di appello aveva operato nuovamente un'indebita equiparazione tra la violazione della normativa antinfortunistica e il concreto verificarsi dell'ulteriore elemento costitutivo della fattispecie complessa, rappresentato dal vantaggio per l'Ente; i Giudici di appello avevano fondato l'esistenza del vantaggio su due circostanze - mancata formazione del signor B. e mancata interruzione della produzione -, la prima priva di rilevanza causale rispetto all'accadimento infortunistico e la seconda non oggetto di accertamento nel dibattimento di primo grado e ritenuta insussistente dalla sentenza di annullamento della Corte di cassazione; infine, con riferimento al quantum del vantaggio, la Corte di appello aveva espresso una motivazione carente, limitandosi a richiamare ed elencare le violazioni contestate senza individuare in maniera analitica l'entità del presunto vantaggio e sovrapponendo vantaggio e condotta colposa.

Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza della colpa di organizzazione ai sensi del d.lgs 231/2001.

Argomenta che la Corte di appello, nell'affermare la sussistenza della "colpa di organizzazione" aveva fondato il suo convincimento sui concetti di colpa delle persone fisiche e di omissione dei modelli di organizzazione e gestione, sovrapponendo il piano della sussistenza del reato presupposto con quello della responsabilità amministrativa dell'Ente e confondendo la colpa delle persone fisiche con la colpevolezza di organizzazione dell'Ente.

Con il terzo motivo deduce violazione dell'art. 11, comma 2, d.lgs 231/2011 e vizio di motivazione con riferimento al calcolo della sanzione amministrativa e dell'importo delle quote.

Argomenta che la Corte di appello, con riferimento all'individuazione del numero delle quote, aveva fatto erroneo riferimento al parametro di cui all'art. 11, comma 2, d.lgs 231/2001 e non a quello specificato dall'art. 25 septies d.lgs 231/2001 e si era limitata a richiamare in maniera generica alcuni aspetti (gravità del fatto commesso, lesioni derivanti dall'infortunio, violazioni consapevoli dei vertici aziendali, condotta dell'Ente priva di resipiscenza), alcuni dei quali non accertati nei precedenti giudizi di merito; con riferimento, poi, all'importo delle quote, i Giudici di appello avevano richiamato in maniera generica la documentazione prodotta dalla difesa, mentre, spettava all'Accusa il relativo onere di allegazione, nonché richiamato erroneamente i parametri valutativi previsti per individuare il numero delle quote.

3. Il difensore della ricorrente ha chiesto la trattazione orale del ricorso.

Il Pg ha depositato memoria ex art. 611 cod.proc.pen. nella quale ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
 

Diritto


1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Va osservato in premessa che, secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite, in tema di responsabilità amministrativa degli enti derivante da reati colposi di evento, i criteri di imputazione oggettiva, rappresentati dal riferimento contenuto nell'art. 5 del d.lgs. n. 231 del 2001 all'"interesse" o al "vantaggio", sono alternativi e concorrenti tra loro, in quanto il criterio dell'interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo, mentre quello del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell'illecito, da valutare entrambi avendo come termine di riferimento la condotta e non l'evento (così Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261114-01 e 261115-01).

Ed è stato chiarito che, in tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, i criteri di imputazione oggettiva rappresentati dall'interesse o dal vantaggio, da riferire entrambi alla condotta del soggetto agente e non all'evento, ricorrono, rispettivamente, il primo, quando l'autore del reato abbia violato la normativa cautelare con il consapevole intento di conseguire un risparmio di spesa per l'ente, indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento, e, il secondo, qualora l'autore del reato abbia violato sistematicamente le norme antinfortunistiche, ricavandone oggettivamente un qualche vantaggio per l'ente, sotto forma di risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso; i criteri di imputazione riferiti all'interesse e al vantaggio sono giuridicamente distinti giacché, mentre il primo è criterio soggettivo, da valutare ex ante, e consistente nella proiezione finalistica volta a far conseguire all'ente un profitto indipendentemente dall'effettiva realizzazione dello stesso, il secondo è criterio oggettivo, accertabile ex post e consistente nel concreto vantaggio derivato all'ente dal reato (Sez. 4 n. 38363 del 23/05/2018, Rv.274320 -01).

Va, poi, evidenziato che la responsabilità amministrativa dell'ente non può essere esclusa in considerazione dell'esiguità del vantaggio o della scarsa consistenza dell'interesse perseguito, in quanto anche la mancata adozione di cautele comportanti limitati risparmi di spesa può essere causa di reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica (Sez. 4, n. 24697 del 20/04/2016, Mazzotti, Rv. 268066-01). E si è anche precisato che in tema di responsabilità amministrativa degli enti derivante dal reato di lesioni personali aggravate dalla violazione della disciplina antinfortunistica, il criterio di imputazione oggettiva dell'interesse può sussistere anche in relazione a una trasgressione isolata dovuta ad un'iniziativa estemporanea, senza la necessità di provare la natura sistematica delle violazioni antinfortunistiche, allorché altre evidenze fattuali dimostrino il collegamento finalistico tra la violazione e l'interesse dell'ente (Sez. 4, n. 12149 del 24/03/2021, Rodenghi, Rv. 280777-01).

Nella specie, la Corte di appello, facendo buon governo dei suesposti principi di diritto ed emendando le lacune motivazionali rilevate dalla sentenza di annullamento, ha ritenuto sussistenti entrambi i criteri di imputazione.

Con riferimento al criterio di imputazione rappresentato dall'interesse, la Corte territoriale ha evidenziato che gli autori del reato aveva consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di conseguire un'utilità per l'ente costituito dall'evidente risparmio economico connesso alle spese - non effettuate ­ relative alla formazione professionale dei lavoratori assegnati all'attuazione dell'operazione di manutenzione, alla protocollazione delle procedure manutentive ed alla predisposizione di segnaletica di pericolo; ha, inoltre, rimarcato la decisione, adottata in carenza di valutazione del rischio connesso, di far eseguire l'attività di manutenzione di notte e, dunque, in condizioni di minorata visibilità, e con personale ridotto, in modo più rapido e meno costoso, al fine di recare il minor intralcio possibile all'attività produttiva.

Con riferimento al criterio oggettivo, poi, i Giudici di appello hanno evidenziato che il risparmio di spesa avuto di mira non era certo irrisorio, essendo evidente il collegamento esistente tra il risparmio di spesa e la scelta di non intralciare la produzione ed il mancato rispetto delle regole cautelari.

Trattasi di apprezzamento in fatto, sorretto da argomentazioni adeguate e non manifestamente illogiche, che si sottrae al sindacato di legittimità.

La ricorrente, a fronte di un siffatto adeguato percorso argomentativo, propone inammissibili rilievi in fatto, orientati a sollecitare una rivalutazione delle risultanze istruttorie, preclusa in sede di legittimità.

2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Va ricordato che, ai fini della configurabilità della responsabilità da reato degli enti, la struttura dell'illecito addebitato all'ente risulta incentrata sul reato presupposto, rispetto al quale la relazione funzionale corrente tra reo ed ente e quella teleologica tra reato ed ente hanno unicamente la funzione di irrobustire il rapporto di immedesimazione organica, escludendo che possa essere attribuito alla persona morale un reato commesso da un soggetto incardinato nell'organizzazione ma per fini estranei agli scopi di questo (così, in motivazione, Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, Castaldo). Ciò consente di affermare che l'ente risponde per un fatto proprio e non per un fatto altrui, ma non pone al riparo da possibili profili di responsabilità meramente oggettiva, sicché il giudice di legittimità ha affermato "la necessità che sussista la c.d. colpa di organizzazione dell'ente, il non avere cioè predisposto un insieme di accorgimenti preventivi idonei ad evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato; il riscontro di un tale deficit organizzativo consente una piana e agevole imputazione all'ente dell'illecito penale realizzato nel suo ambito operativo. Grava sull'accusa l'onere di dimostrare l'esistenza e l'accertamento dell'illecito penale in capo alla persona fisica inserita nella compagine organizzativa della societas e che abbia agito nell'interesse di questa; tale accertata responsabilità si estende "per rimbalzo" dall'individuo all'ente collettivo, nel senso che vanno individuati precisi canali che colleghino teleologicamente l'azione dell'uno all'interesse dell'altro e, quindi, gli elementi indicativi della colpa di organizzazione dell'ente, che rendono autonoma la responsabilità del medesimo" (cfr. Sez. 6, n. 27735 del 18/02/2010, Scarafia, Rv. 247666). La "colpa di organizzazione" dell'ente ha la stessa funzione che la colpa assume nel reato commesso dalla persona fisica, quale elemento costitutivo del fatto tipico, integrato dalla violazione "colpevole" (ovvero rimproverabile) della regola cautelare.

Questa Corte (Sez. 4, n. 32899/2021) ha precisato, inoltre, che proprio l'enfasi posta sul ruolo della colpa di organizzazione e l'assimilazione della stessa alla colpa, intesa quale violazione di regole cautelari, convince che la mancata adozione e l'inefficace attuazione degli specifici modelli di organizzazione e di gestione prefigurati dal legislatore rispettivamente agli artt. 6 e 7 del decreto n. 231/2001 e all'art. 30 del d.lgs. n. 81/2008 non può assurgere ad elemento costitutivo della tipicità dell'illecito dell'ente ma integra una circostanza atta ex lege a dimostrare che sussiste la colpa di organizzazione, la quale va però specificamente provata dall'accusa, mentre l'ente può dare dimostrazione della assenza di tale colpa.

Pertanto, l'assenza del modello, la sua inidoneità o la sua inefficace attuazione non sono ex se elementi costitutivi dell'illecito dell'ente. Tali sono, oltre alla compresenza della relazione organica e teleologica tra il soggetto responsabile del reato presupposto e l'ente (cd. immedesimazione organica "rafforzata"), la colpa di organizzazione, il reato presupposto ed il nesso causale che deve correre tra i due (Sez.4 n.18413 del 15/02/2022, Rv.283247 -01); e si è anche precisato che l'ente risponde per fatto proprio e che - per scongiurare addebiti di responsabilità oggettiva - deve essere verificata una "colpa di organizzazione" dell'ente, dimostrandosi che non sono stati predisposti accorgimenti preventivi idonei a evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato. È il riscontro di un tale deficit organizzativo a consentire l'imputazione all'ente dell'illecito penale realizzato nel suo ambito operativo (Sez.4, n. 21704 del 28/03/2023, Rv.284641 -01).

Nella specie, la Corte territoriale, facendo buon governo dei suesposti principi di diritto ed emendando le lacune motivazionali rilevate dalla sentenza di annullamento, ha evidenziato i seguenti elementi comprovanti, complessivamente valutati, la responsabilità da reato dell'ente: il reato presupposto accertato era addebitabile a figure apicali della società, che avevano violato sistematicamente la normativa cautelare allo scopo di conseguire un'utilità per l'ente; risultava la mancata predisposizione ed attuazione degli specifici modelli di organizzazione e di gestione prefigurati dal legislatore rispettivamente agli artt. 6 e 7 del decreto n. 231/2001 e all'art. 30 del d.lgs. n. 81/2008; emergeva un deficit organizzativo complessivo comportante la mancata predisposizione di accorgimenti preventivi idonei a evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato (omessa adeguata formazione in maniera stabile dei dipendenti, assenza di protocolli per interventi di manutenzione complessi e formazione della relativa squadra, assenza dei divieti di accesso al silos durante lo svolgimento della procedura di manutenzione, carenza di valutazione del rischio sistemico a livello organizzativo; violazione delle regole cautelari stabile e permanente), dimostrativo della condotta colpevole della società in termini di rimproverabilità e dotato di incidenza causale rispetto alla verificazione del reato presupposto.

Trattasi di apprezzamento in fatto, sorretto da argomentazioni corrette e congrue, che si sottrae al sindacato di legittimità.

3. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Va ricordato che, in tema di responsabilità degli enti, per quantificare la sanzione da irrogare alla persona giuridica, il giudice penale è tenuto ad applicare i medesimi criteri utilizzati per le pene disposte nei confronti delle persone fisiche e ad esplicitare il percorso logico condotto per giungere alla sanzione finale, con motivazione che diventa tanto più stringente quanto più egli intenda discostarsi dal minimo edittale (Sez.3, n. 39952 del 16/04/2019, Rv.278531 -03).

Nella specie, la Corte di appello ha confermato l'entità della sanzione irrogata dal primo giudice nella misura di 200 quote (prossima alla misura massima di 250 quote fissata dall'art 25-septies del d.lgs 231/2001), richiamando, con diffuse argomentazioni, la estrema gravità del fatto in relazione alle violazioni stabili e permanenti delle regole cautelari ed al gravissimo danno fisico riportato dal lavoratore, la circostanza che il reato presupposto era stato posto in essere da figure apicali della struttura societaria e rilevando che quanto svolto per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e prevenire le conseguenze di ulteriori illeciti era frutto dell'indagine penale e del conseguente processo e non di una effettiva resipiscenza; con riferimento all'importo delle quote, determinato in Euro 500,00 per quota, ha, poi, correttamente valutato le condizioni economiche e patrimoniali dell'ente, evidenziando che, dalla documentazione versata in atti, emergeva che la società svolgeva una florida attività di rilevante entità e che la struttura societaria non era gravata da difficoltà economica o patrimoniale.

Il percorso argomentativo relativo atta quantificazione ex art. 11 del d.lgs. n. 231 del 2001 della sanzione applicata, risulta corretto, adeguato e non manifestamente illogico e si sottrae, pertanto, al sindacato di legittimità.

Non inficia la corretta motivazione della Corte di appello l'inciso, nel quale si dava atto che il numero delle quote da considerare andava da un minino di 100 ad un massimo di 1.000, trattandosi di evidente refuso privo di rilievo in ordine al percorso argomentativo espresso chiaramente in termini compiuto apprezzamento degli elementi rilevanti di cui all'art. 133 cod.pen. e delle condizioni economiche dell'ente.

4. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 19 dicembre 2023.

Depositata in Cancelleria il 31 gennaio 2024.