Cassazione Penale, Sez. 4, 01 febbraio 2024, n. 4308 - Difesa delle aperture. Ai fini della configurazione della responsabilità del committente occorre verificare in concreto quale sia stata l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento


 


 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta da:

Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente

Dott. RANALDI - Consigliere

Dott. RICCI Anna Luisa Angela - Consigliere

Dott. DAWAN Daniela - Relatore

Dott. CIRESE Marina - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

A.A. nato a G il (omissis)

avverso la sentenza del 07/06/2022 della CORTE APPELLO di ROMA

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELA DAWAN;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FELICETTA MARINELLI che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

 

Fatto



1. Il difensore di A.A. ricorre avverso la "sentenza della Corte di appello di Roma che ha confermato la pronuncia con cui il Tribunale di Civitavecchia ha ritenuto l'imputata (unitamente a B.B., responsabile dell'omonima ditta, incaricati dell'esecuzione di opere di demolizione del solaio per apertura di nuovo vano scala) responsabile del reato di cui agli artt. 590, comma 3 e 583 cod. pen., condannandola altresì al risarcimento del danno nei confronti della costituita parte civile C.C. (da liquidarsi in separata sede). Nell'editto accusatorio, la A.A., in qualità di committente dei lavori edili da effettuarsi nell'immobile di sua proprietà - commissionati a più ditte esecutrici operanti contestualmente - per colpa consistita nell'omessa predisposizione di parapetti/coperture con tavolato saldamente fissato con resistenza non inferiore a quella del piano di calpestio - in violazione dell'art. 146 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 - cagionava a C.C., entrato nell'immobile al fine di effettuare un lavoro di falegnameria, lesioni alle quali conseguiva uno stato di malattia superiore a quaranta giorni; in particolare, dall'omessa copertura con le modalità sopraindicate del vano aperto sul solaio, non segnalato adeguatamente ed occultato con pannelli di cartone, derivava la caduta della persona offesa al piano sottostante, in ragione dello sfondamento del pannello di cartone calpestato (in S, il 27/01/2015).

2. Il ricorso consta di sei motivi, con cui rispettivamente si deducono:

2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 190 e 525 cod. proc. pen., per violazione del diritto di difesa relativo al principio di immutabilità del giudice, avendo il giudice di merito negato la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, segnatamente la riassunzione delle testimonianze di C.C., D.D.@ e E.E.@, in seguito al mutamento del giudice di primo grado: prove sulle quali si è fondata la responsabilità dell'imputata e che la difesa assume essere contraddittorie. Il Tribunale ha rigettato la richiesta difensiva, richiamando la sentenza Bajrami delle Sezioni Unite ed interpretandola erroneamente sul presupposto che la stessa abbia creato un'automatica preclusione alla ripetizione delle prove, senza tener conto che, nel caso di specie, la "parziale" rinnovazione trovava ragione nel diritto di difesa dell'imputata, essendo anche volta a consentire di valutare comportamenti non suscettibili di lettura ex art. 511 cod. proc. pen. Sul punto, la Corte di appello si è limitata a rispondere con mere formule di stile, neppure argomentando sulle numerose incongruenze rilevate dalla difesa nelle dichiarazioni degli anzidetti testi;

2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all'art. 590, comma 3 e 583 cod. pen. in relazione all'art. 146 d.lgs. 81/2008 in relazione alla posizione di garanzia dell'imputata e all'omessa predisposizione dei presidi previsti dalla norma per la difesa delle aperture. La sentenza impugnata erroneamente contempla la necessaria contestuale presenza di parapetti, tavole fermapiede e tavolato solidamente fissato. Dalla corretta lettura del citato art. 146 si ricava, invece, che i presidi sopra menzionati sono previsti alternativamente, vale a dire che le aperture lasciate nei solai o nelle piattaforme di lavoro devono essere circondate da normale parapetto e da tavola fermapiede oppure devono essere coperte con tavolato solidamente fissato e di resistenza non inferiore a quella del piano di calpestio. La difesa enumera i presidi di sicurezza che erano stati posti a segnalazione dell'apertura, richiamando anche numerosi passaggi dell'istruttoria dibattimentale. Tenuto altresì conto che i lavori all'interno dell'appartamento della A.A. erano ultimati, non potevano concretamente esigersi altri presidi rispetto a quelli già predisposti, dovendo le astratte prescrizioni della norma essere modulate in relazione allo specifico caso concreto; l'imputata, peraltro, non ha avuto alcun motivo per ritenere non idonee le misure esistenti, realizzate secondo le indicazioni del direttore dei lavori. La qualifica attribuita alla A.A. è quella di "committente di opera edile" di cui all'art. 90 d.lgs. 81/2008, figura ben diversa dalle altre previste dallo stesso decreto e dotate di maggiore competenza tecnica e, conseguentemente, gravate di specifici obblighi; né può essere addebitato al "committente di opera edile" la mancata individuazione dei possibili rischi interferenziali, connessi alla presenza di più ditte appaltatrici, trattandosi di valutazione a carico del committente datore di lavoro di cui all'art. 26 del medesimo d.lgs. 81/2008. L'imputata, inoltre, non ha attuato, nelle attività proprie delle imprese appaltatrici, alcuna ingerenza, espressiva di una partecipazione attiva nella conduzione e realizzazione dell'opera;

2.3. Violazione dell'art. 40 cod. pen. e relativo vizio di motivazione in ordine alla sussistenza di prove inequivocabili che hanno attestato il prevalente utilizzo e la possibilità di rimozione del tavolato da parte di F.F.. La Corte territoriale non ha svolto alcuna considerazione sui motivi di gravame relativi alla predisposizione dei presidi di sicurezza e alla gestione degli stessi, in particolare della copertura in tavolato, ad opera di F.F., unico soggetto presente nella zona del vano scala, teatro dell'incidente. In particolare, la Corte di merito non ha in alcun modo considerato la specifica posizione di garanzia del F.F., quale appaltatore autonomo, con lavorazioni in corso esattamente nel contesto spaziale in cui si è verificato l'evento, il quale è stato determinato unicamente dalla rimozione del tavolato da parte del predetto o del suo personale;

2.4. Violazione dell'art. 40 cod. pen. e relativo vizio di motivazione in relazione all'abnormità ed imprevedibilità della condotta della persona offesa, poiché è dato pacificamente acquisito dall'istruttoria dibattimentale che il C.C. non abbia ricevuto alcun incarico e che sia entrato in casa della A.A. senza alcuna autorizzazione e di propria, autonoma, iniziativa;

2.5. Vizio di motivazione nel senso del travisamento della prova in merito all'omessa valutazione della presenza sul cantiere di F.F. e all'omessa valutazione delle conclusioni dell'ispettore della Asl, G.G.Co, con riguardo all'assenza di responsabilità in capo all'imputata e alla condotta gravemente imprudente del C.C.;

2.6. Mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione in riferimento alla sussistenza di elementi probatori attestanti il mendacio delle dichiarazioni dei testi C.C., D.D.@ e E.E.@. La Corte territoriale ha affermato, contrariamente al vero, che il C.C. sarebbe entrato all'interno dell'appartamento della A.A. avendo dalla stessa ricevuto l'incarico di effettuare un lavoro di falegnameria, mentre tutti i testi, compresi D.D.@ e E.E.@, hanno negato questa circostanza. Sul punto, la difesa riporta alcuni passaggi dell'istruttoria dibattimentale.

3. Con requisitoria scritta, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

4. In data 12/09/23, l'avv. Silvia Brizzi, difensore della costituita parte civile, C.C., ha fatto pervenire conclusioni e nota spese.

 

Diritto


1. Deve in primo luogo rilevarsi come il reato ascritto all'imputata sia estinto per intervenuta prescrizione, considerato il tempo trascorso dalla data di commissione del medesimo, come indicata nel capo di imputazione. La causa estintiva del reato può essere rilevata in questa sede, non presentando il ricorso profili di inammissibilità suscettibili d'incidere sulla valida instaurazione del rapporto di impugnazione, ed anzi essendo esso parzialmente fondato, per come si dirà in prosieguo. È d'uopo rilevare, a questo proposito, come da lungo tempo la giurisprudenza di legittimità abbia affermato il principio in base al quale la inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza dei motivi, incidendo sulla regolare formazione del rapporto processuale, precluda la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129, comma 1, cod. proc. pen., ivi compreso l'eventuale decorso del termine di prescrizione sopraggiunto nelle more del procedimento di legittimità (cfr. Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L. Rv. 217266: "L'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen."; Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, Ciaffoni, Rv. 256463: "L'inammissibilità del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e, pertanto, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui all'art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more del procedimento di legittimità"). Ove al contrario, come nel presente caso, non ricorrano le condizioni per ritenere che il ricorso sia inammissibile, non risultando manifestamente infondati i motivi di ricorso, il Giudice di legittimità sarà tenuto a pronunciare sentenza di estinzione del reato per prescrizione, ex art. 129, comma 1, cod. proc. pen., non potendosi far luogo all'annullamento con rinvio davanti al giudice penale per i rilevati vizi di motivazione della sentenza, dal momento che tale rinvio, da un lato, determinerebbe la necessità, per il predetto giudice, di dichiarare comunque la prescrizione e, dall'altro, sarebbe incompatibile con l'obbligo dell'immediata declaratoria di proscioglimento stabilito dal richiamato art. 129 cod. proc. pen. (cfr. sul punto Sez. U, Sentenza n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275: "In presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva". In motivazione, la S.C. ha affermato che detto principio trova applicazione anche in presenza di una nullità di ordine generale); Sez. U, n. 1021 del 28/11/2001, dep. 11/01/2002, Cremonese, Rv. 220511: "Qualora già risulti una causa di estinzione del reato, la sussistenza di una nullità di ordine generale non è rilevabile nel giudizio di legittimità, in quanto l'inevitabile rinvio al giudice del merito è incompatibile con il principio dell'immediata applicabilità della causa estintiva"). Occorre anche rammentare come, nel giudizio di impugnazione, in presenza di una condanna al risarcimento dei danni o alle restituzioni pronunciata dal primo giudice o dalla Corte d'appello, in seguito a costituzione di parte civile nel processo, è preciso obbligo del giudice, anche di legittimità, secondo il disposto dell'art. 578 cod. proc. pen., esaminare il fondamento dell'azione civile sulla base di un accertamento che, secondo i principi stabiliti dalla sentenza n. 182/2021 della Corte Costituzionale, deve unicamente fondarsi sugli elementi costitutivi dell'illecito civile, senza riconoscere, neppure incidenter tantum, la responsabilità dell'imputato per il reato estinto. Invero, il giudice dell'impugnazione, secondo la citata pronuncia, è chiamato a valutare gli effetti giuridici del fatto per cui è processo, chiedendosi, non già se esso presenti gli elementi costitutivi della condotta criminosa tipica (commissiva od omissiva) contestata all'imputato come reato, contestualmente dichiarato estinto per prescrizione, ma se quella condotta sia stata idonea a provocare un "danno ingiusto" secondo l'art. 2043 cod. civ., e cioè se, nei suoi effetti sfavorevoli al danneggiato, essa si sia tradotta nella lesione di una situazione giuridica soggettiva civilmente sanzionabile con il risarcimento del danno. La Corte Costituzionale ha ricordato che l'illecito civile, derivante da una fattispecie penale (art. 185 cod. pen.), pur fondandosi sull'elemento materiale e psicologico del reato, risponde tuttavia a diverse finalità e richiama un distinto regime probatorio, poiché il giudice, in particolare, non accerta la causalità penalistica che lega la condotta (azione od omissione) all'evento in base alla regola dell'"alto grado di probabilità logica" (Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, Franzese), valendo invece il criterio del "più probabile che non" o della "probabilità prevalente" che consente di ritenere adeguatamente dimostrata (e dunque processualmente provata) una determinata ipotesi fattuale se essa, avuto riguardo ai complessivi risultati delle prove dichiarative e documentali, appare più probabile di ogni altra ipotesi e in particolare dell'ipotesi contraria (in tal senso è la giurisprudenza a partire dalle Sezioni Unite civili, con le sentenze 11 gennaio 2008, n. 576, n. 581, n. 582 e n. 584). In sostanza, l'autonomia dell'accertamento dell'illecito civile non è revocata in dubbio dalla circostanza che esso si svolga dinanzi al giudice penale e sia condotto applicando le regole processuali e probatorie del processo penale (art. 573 cod. proc. pen.).

2. Poste le anzidette premesse, è quindi necessario accertare la sussistenza del fatto e la responsabilità dell'imputata, nei termini appena specificati, procedendo all'esame dei motivi di ricorso suscettibili di assumere reale incidenza sulla conferma o meno delle statuizioni civili adottate con la sentenza di primo grado, dovendosi rimarcare che il vaglio di legittimità deve svolgersi in relazione al contenuto della sentenza impugnata il quale, secondo consolidato orientamento della Suprema Corte, disegna un sistema in sé concluso, nell'ambito del quale deve operarsi il sindacato da esperirsi in questa sede e la valutazione sulla congruità della motivazione (cfr. Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakanì, Rv. 216260).

3. Coglie nel segno, con valenza dirimente rispetto ai restanti motivi, il secondo motivo di ricorso che afferisce alla configurabilità di una posizione di garanzia in capo all'imputata. È noto che la figura del committente ha trovato la prima espressa definizione ed esplicitazione degli obblighi sullo stesso gravanti nel d.lgs. 14 agosto 1996, n. 494, di attuazione della direttiva 92/57/CEE concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili e che la giurisprudenza di legittimità ha consolidato il principio per il quale il dovere di sicurezza, con riguardo ai lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto o di prestazione d'opera, grava tanto in capo al datore di lavoro (di regola l'appaltatore, destinatario delle disposizioni antinfortunistiche) quanto al committente, richiamando tuttavia la necessità che tale principio non conosca un'applicazione automatica, "non potendo esigersi dal committente un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori" (Sez. 4, n. 3563 del 18/01/2012 - dep. 30/01/2012, Marangio e altri, Rv. 252672). Ne consegue che, ai fini della configurazione della responsabilità del committente, "occorre verificare in concreto quale sia stata l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo" (Sez. 4, n. 3563 del 18/01/2012, cit.; così anche Sez. 4, n. 5946 del 18/12/2019, dep. 2020, Frusciante Francesca, Rv. 278435).

Tanto premesso, il Collegio rileva che detta situazione fattuale, al fine di verificare quale sia stata, in concreto, l'effettiva incidenza della condotta del committente nell'eziologia dell'evento, non è stata oggetto di attento esame da parte della Corte del merito, il cui provvedimento presenta, sul punto, carenze motivazionali, a fronte di una contestazione che si fonda solo sulla qualifica, in capo all'imputata, di committente di lavori, di ristrutturazione edilizia di un proprio immobile (diverso essendo il caso in cui il committente dia in appalto lavori relativi ad un complesso aziendale di cui sia titolare).

Nella concreta fattispecie, la Corte territoriale si è limitata ad una motivazione generica che ha apoditticamente attribuito all'imputata la conoscenza della situazione di pericolo e delle precarie modalità adottate in cantiere rispetto alla copertura del vano del solaio; né viene spesa parola alcuna in ordine al presunto nesso eziologico fra l'omissione addebitata alla ricorrente e l'infortunio.

4. Da ciò discende che, agli effetti penali, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il reato è estinto per prescrizione, non emergendo dagli atti elementi evidenti, tali da consentire una pronuncia nel merito più favorevole ai sensi dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen. Il ricorso va, invece, accolto, ex art. 578 cod. proc. pen., ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili, stante la fondatezza del secondo motivo addotto dalla ricorrente, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello,, cui è altresì demandata la regolamentazione delle spese tra le parti relativamente al presente giudizio di legittimità.
 


P.Q.M.
 

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali perché il reato è estinto per prescrizione. Annulla la medesima sentenza agli effetti civili e rinvia, per nuovo giudizio, al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui demanda altresì la regolamentazione delle spese tra le parti relativamente al presente giudizio di legittimità.

Così deciso il 20 settembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2024.