REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RIZZO Aldo Sebastian
Dott. CAMPANATO Graziana
Dott. MARZANO Francesco
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco
Dott. PICCIALLI Patrizia

- Presidente
- Consigliere
- rel. Consigliere
- Consigliere
- Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
D.V., n. in ***;
avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia in data 17.4.2009;
Udita in pubblica udienza la relazione svolta dal Consigliere Dott. Francesco Marzano;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott.ssa De Sandro Anna Maria, che ha concluso per la inammissibilità del ricorso;
Non comparso il difensore del ricorrente.

Osserva:

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il 15 novembre 2005 il G.I.P. del Tribunale di Venezia, a seguito di giudizio abbreviato, condannava D.V., riconosciutegli le attenuanti generiche e quella del risarcimento del danno prevalenti sulla contestata aggravante, a pena ritenuta di giustizia per imputazione di cui all'articolo 589 c.p., commi 1 e 2.

Sul gravame dell'imputato, la Corte di Appello di Bologna, con sentenza del 17 aprile 2009, riduceva la pena inflitta dal primo giudice e confermava nel resto.

Riferivano i giudici del merito che il 29 marzo 2003 F.M., dipendente della I. s.n.c. di V.D. & C., era intento a caricare su un autoarticolato un carrello elevatore mosso da motore a scoppio; mentre saliva le rampe che portavano sul piano di carico del semirimorchio in retromarcia con lo stesso carrello, aveva perduto il controllo del mezzo, il quale era scivolato e si era ribaltato sul fianco, provocando la caduta a terra del suo conducente e schiacciandogli la testa con il roll bar.

All'imputato, nella qualità di socio e legale rappresentante della I. s.n.c, si era contestato di aver cagionato, per colpa, la morte del lavoratore dipendente, per non aver fornito le attrezzature adeguate al lavoro da svolgere, cioè "rampe di scarico di dimensioni tali da garantire il completo appoggio delle ruote" del carrello elevatore, e per aver omesso di fornire al lavoratore "un carrello elevatore con dispositivi (cinture di sicurezza e gabbia) atti a trattenere l'operatore all'interno della cabina in caso di ribaltamento ...".

Nel pervenire alla resa confermativa statuizione di responsabilità, i giudici dell'appello rilevavano che, a seguito di accertamenti tecnici disposti in primo grado, era rimasto accertato
che "il carrello elevatore ... non aveva una cabina per il conducente né comunque una struttura di protezione idonea ad impedire la fuoriuscita in caso di ribaltamento";
che "il carrello predetto non era munito di apposita cintura di sicurezza che trattenesse il conducente sul sedile ed evitasse che questo fosse sbalzato";
che "lo stesso mezzo non era munito di una struttura tale da lasciare, per il caso di un suo ribaltamento, uno spazio sufficiente rispetto al suolo per lo stesso lavoratore";
che "il semirimorchio sul quale doveva salire il carrello non risultava dotato di rampe di carico di dimensioni tali da garantire il completo appoggio delle ruote di un carrello elevatore".


2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l'imputato, per mezzo del difensore, denunziando:

a) il vizio di violazione di legge "per nullità della notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello all'imputato". Deduce che nel decreto di fissazione del giudizio in appello veniva indicato come suo domicilio eletto lo studio del suo difensore di fiducia, avv. Bisso Enrico, e "presso tale luogo è stata effettuata la notifica dell'atto introduttivo del giudizio di secondo grado".

In realtà, egli aveva originariamente eletto domicilio presso quel suo precitato difensore di fiducia; ma, provvedendo, poi, a nominarne altro (l'avv. Eugenio Vassallo, sottoscrittore del ricorso che ora occupa), nel corso di un interrogatorio dopo la notifica dell'avviso ex articolo 415 bis c.p.p., egli "provvedeva ad eleggere (rectius: dichiarare) domicilio presso la propria residenza abitazione sita in via ***"; successivamente, il primo difensore di fiducia avv. Enrico Bisso, aveva rinunciato al mandato: in sostanza, "il decreto di fissazione del processo di appello andava notificato all'imputato presso tale domicilio (quello da ultimo dichiarato), ed invece è stato erroneamente notificato presso il vecchio domicilio, ovvero presso un difensore che non lo assisteva più in quanto da ben tre anni aveva rinunciato al mandato ...";

b) il vizio di motivazione in punto di responsabilità. Assume che la Corte territoriale, "con una motivazione alquanto carente, non ha fornito alcuna risposta, né chiarimento in merito alle molteplici censure sollevate da questa difesa con l'atto di impugnazione di appello ... Non una parola ha speso ... nel disattendere le conclusioni del consulente tecnico della difesa ...; ha dedicato poche parole al tema fondamentale del rapporto di causalità tra la condotta e l'evento ... il F. ... ha disatteso tutti gli ordini impartiti dal proprio datore di lavoro, ... che gli avrebbero consentito di svolgere il proprio incarico in piena sicurezza evitando l'incidente de quo ..." e "risulta evidente che nel caso concreto si sia in presenza di un comportamento del lavoratore tale da configurare l'ipotesi di cui all'articolo 41 c.p., comma 2, ovvero si è in presenza di una causa sopravvenuta da sola idonea a determinare l'evento ..."; sarebbe "risultato ... dagli atti di indagine acquisiti in sede di giudizio abbreviato ... che il F. avrebbe dovuto caricare il muletto sul pianale del camion tramite il verricello di cui era dotato il camion stesso ... e per di più avvalendosi dell'aiuto del collega che era stato espressamente incaricato dal datore di lavoro di aiutarlo quella mattina ...", mentre "il dipendente, contro l'ordine impartitogli e del tutto imprudentemente, è montato sul muletto per caricarlo sul camion ...".


MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi addotti a suo sostegno.

Invero, il primo, e pregiudiziale, profilo di censura è del tutto destituito di fondamento.

Per come risulta, difatti, dai relativi atti del procedimento (che si è abilitati a consultare, denunziandosi un vizio in procedendo), nell'avviso di procedimento in camera di consiglio (articoli 599 e 127 c.p.p.), quanto all'imputato vengono apposte le seguenti indicazioni; "dom. dich. in: *** e, in qualità di legale rappresentante pro tempore della società I. s.n.c, eletto domicilio c/o avv. Enrico Bisso del Foro di Mira"; il ricorrente ha prodotto copia di tale atto dalla quale inequivocamente risultano tali indicazioni. Tale atto prodotto in copia, poi, reca nel suo dorso la notifica al difensore di fiducia, avv. Eugenio Vassallo, ma non quella all'imputato: il relativo atto contenuto nel fascicolo processuale attesta che quell'avviso venne notificato al D. nel suo "dom dich. in: ***" (tale dicitura è evidenziata con colore rosa); l'atto venne notificato per mezzo del servizio postale; il primo avviso di ricevimento reca la indicazione "***"; nel secondo avviso di ricevimento dell'atto giudiziario, il relativo plico risulta ritirato in ufficio dallo stesso D.V..
È, perciò, palese la non veritiera rappresentazione delle circostanze poste dal ricorrente a supporto del suo manifestamente infondato assunto.

Egualmente del tutto privo di consistenza è il secondo profilo di censura.

Il giudici del merito, difatti, hanno dato compiuta contezza della insussistenza dei presidi antinfortunistici all'uopo richiesti, come si è sopra ricordato, ed al riguardo ne verbum quidem da parte del ricorrente. Hanno, poi, inequivocamente chiarito che, "a prescindere dalla manovra sicuramente imprudente, compiuta nella specie dal F. ..., il suo schiacciamento da parte del veicolo non si sarebbe verificato se egli fosse stato trattenuto da adeguati dispositivi, come cinture di sicurezza o cabina con porte e con gabbia antifuoriuscita e, comunque, se le rampe sulle quali il carrello medesimo saliva fossero state di dimensioni compatibili con l'appoggio delle sue ruote in condizioni di sicurezza": e neppure su tali considerazioni, che danno esaustiva contezza del ritenuto nesso di causalità tra la condotta colposa addebitata all'imputato e l'evento prodottosi, si appuntano specifici rilievi critici da parte del ricorrente.

Hanno, infine, del tutto correttamente ritenuto i giudici del merito che, in sostanza, la condotta imprudente del lavoratore non è fatto imprevedibile e non può assurgere ad elemento causale sopravvenuto di per sè idoneo ad interrompere ed escludere il predetto nesso causale, non potendo certo ritenersi, il comportamento imprudente del lavoratore, condotta abnormemente anomala, a fronte della conclamata omissione da parte del datore di lavoro dell'approntamento e predisposizione di tutte le misure cautelari ed antinfortunistiche nel caso necessarie richieste e dovute.

4. Alla inammissibilità del ricorso, riconducibile a colpa del ricorrente, come evidenziata dallo stesso vizio genetico rilevato (Corte Cost., sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), consegue la condanna del ricorrente medesimo al pagamento delle spese del procedimento e di una somma, che congruamente si determina in euro mille, in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende.