Cassazione Penale, Sez. 4, 05 febbraio 2024, n. 4927 - Caduta dal tetto durante le attività di rimozione amianto. Quando il direttore dei lavori coincide con la vittima del reato


Nota a cura di Dui Pasquale, Beccaria Luigi Antonio, in NT+ Lavoro, 21.02.2024 "Posizione di garanzia in tema di infortuni sul lavoro"

 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta da:

Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente

Dott. CALAFIORE Daniela - Relatore

Dott. PEZZELLA Vincenzo – Consigliere

Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere

Dott. DAWAN Daniela - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA



sui ricorsi proposti da:

A.A. nato a V il (omissis)

B.B. nato a A il (omissis)

avverso la sentenza del 06/07/2023 della CORTE APPELLO di TORINO

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELA CALAFIORE;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUIGI ORSI che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi.

E’ presente l’avvocato BRIGIDA NICOLA GIUSEPPE del foro di MILANO sia in difesa del ricorrente B.B. che in qualità di sostituto processuale, per delega orale, dell’avvocato GGROSSI SANDRO stesso foro, difensore di A.A.. L’avvocato BRIGIDA dopo aver esposto brevemente alcuni motivi di ricorso e riportandosi nel resto, insiste nell’accoglimento di entrambi i ricorsi.

 

Fatto


1. Con sentenza n. 4669 del 2023, la Corte d’appello di Torino, rigettando l’impugnazione proposta da A.A. e B.B., ha confermato la sentenza del Tribunale di Verbania che aveva condannato entrambi per il reato previsto e punito dagli artt. 2087 c.c. (norma richiamata quanto alla posizione della sola A.A.), 113, 40, secondo comma, e 590, commi dal primo al terzo, in relazione all’art. 583, primo comma, cod. pen., perché, nelle rispettive qualità di titolare della “C.C. Ambiente di A.A.” e coordinatore per le attività di rimozione amianto della stessa impresa e preposto ai lavori in corso di svolgimento presso il cantiere sito in Verbania, avevano cagionato per colpa a D.D. una malattia nei corpo, consistita in frattura vertebrale e frattura calcagno ex in politraumatismo, con incapacità di attendere alle normali occupazioni per oltre 40 giorni.

2. Era accaduto che ii D.D., geometra libero professionista ed amministratore della Delta Immobiliare Srl, nella primavera dei 2016, appaltava alla ditta “A.A. Ambiente di A.A.” l’esecuzione di lavori di rimozione della copertura in eternit da una porzione di fabbricato ad uso commerciale di sua proprietà, assumendo il ruolo di Direttore dei lavori. Durante l’esecuzione dell’opera, ii D.D. si era recato presso il cantiere per verificare lo stato dei lavori e, dopo essere salito -tramite il castello di risalita- sul tetto del fabbricato, ove erano presenti due operai intenti a lavorare, calpestava uno dei lucernai che, come la restante superficie, era stato trattato con vernice di colore rosse, che si sfondava sotto il suo peso facendolo precipitare da una altezza di circa sette metri.

3. Ad avviso della Corte d’appello, la sentenza di primo grado andava confermata in ragione dei riscontri probatori, costituiti, sui piano documentale, da:

- Piane di Sicurezza e Coordinamento, sottoscritto dai Coordinatore della sicurezza e dallo stesso Direttore dei lavori, che contemplava il rischio di caduta dall’alto;

- Piano al lavoro per la rimozione d: cemento amianto, redatto dalla “C.C. Ambiente” ai sensi dell’art. 256 dei d.lgs. n. 81/2008, e sottoscritto in data 19 maggio 2015 dalla stessa A.A. in q. di datore di lavoro che non dava atto della presenza di lucernai in ondolux;

- e-mail datata 8.6.2016 nella quale il D.D. specificava e ribadiva che una porzione della copertura avrebbe dovuto permettere il passaggio della luce ed essere dotata di rete anticaduta.

Inoltre, erano stati sottoposti ad esame : D.D., che aveva riferito sull’invito rivoltogli dal B.B. e dallo stesso capocantiere ad andare a visionare l’andamento delle attività per superare talune sue perplessità; E.E., funzionario dello SPRESAL, che aveva riferito sulla mancata indicazione, da parte della ditta A.A., della presenza di lucernai che avrebbero richiesto il posizionamento di reti anticaduta; F.F., consulente di parte della difesa degli imputati, secondo il quale le misure di prevenzione andavano poste sulla porzione di tetto su cui si operava ed al momento non era quella calpestata dal D.D.; G.G., capocantiere dell’epoca dei fatto, che aveva riferito che il D.D. era salito senza sua autorizzazione e che non lo aveva neanche visto; H.H., all’epoca operaio della ditta A.A., che aveva visto un signore salire sul castelletto, al quale aveva detto di non avere il permesso di guardarlo lavorare e che la proiezione anticaduta era stata posizionata in prossimità del lucernaio posto sulla parte di tetto dove stavano lavorando; B.B., che aveva riferito che i lucernai erano stati protetti con fodere anticaduta, posizionate nei foro sottostante, cioè nella soletta portante sottotetto.

4. Alla luce di tali dati, correttamente il primo giudice aveva stabilito che: le norme di settore sulla sicurezza sui luoghi di lavoro erano poste a tutela, in generale, di qualunque soggetto vi venga a contatto, compreso il committente-direttore dei lavori; il D.D. era salito solo in quanto a ciò invitato dall’appaltatore ed in quante ragionevolmente convinto che le opere di messa in sicurezza (posa di parapetti, castelletto per la salita e le stesse fodere indicate dai B.B. che avrebbero scongiurato il pericolo di cadere nel vuoto in assenza della soletta portante indicata come esistente alla ASL) fossero state effettivamente installate; la vernice rossa, utilizzata per incapsulare l’amianto, era stata spruzzata indistintamente, lucernari inclusi, traendo in inganno il direttore dei lavori sulla circostanza che i medesimi fossero stari messi in sicurezza; le opere per la messa in sicurezza non erano state completate e ciò, ai sensi dell’art. 41, primo comma, cod.pen. (aver omesso il posizionamento delle reti anticaduta sotto : lucernai, ovvero tavole fermapiede al di sopra degli stessi), doveva considerarsi la causa principale se non esclusiva della caduta dei D.D., a prescindere dal mancato utilizzo da parte sua dei dispositivi di sicurezza individuali; neppure poteva valere ad escludere il nesso causale l’adozione parziale, su altra parte del tetto, delle misure di messa in sicurezza della superficie.

5. Sussisteva poi la posizione di garanzia in capo ad A.A., formale amministratrice e datrice di lavoro, in quanto la delega rifasciata ai marito e coimputato B.B. era del tutto vaga e generica. Quanto alla pena, correttamente il primo giudice, tenendo anche conto di un minimo concorso di colpa del D.D. che era salito sul tetto senza imbragatura in vita, ha ritenuto equivalenti e attenuanti generiche alle aggravanti ed ha condannato li B.B., pluripregriudicato per reati contro il patrimonio, tributari e societari e soggetto tenuto alla condotta materiale omessa, alla pena di giorni 45 di reclusione e la A.A., concorrente nei reato con condotta totalmente omissiva, pena di giorni 30 di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale della pena. Gli imputati erano pure stati condannati al risarcimento dei danni subiti dalla parte civile da liquidarsi in separato giudizio, con provvisionale pari ad euro 15.000.

6. La Corte ha, inoltre, rilevato l’infondatezza dei motivi d’appello anche perché la presenza dei D.D. sui tetto non costituiva una iniziativa esorbitante ma era dei tutto prevedibile ed addirittura era stata sollecitata dai B.B., come induceva a ritenere la mail dell’8 giugno 2016, dalla quale si traeva il convincimento che l’esecuzione dell’attività di fissaggio delle lamiere, suggerita dalla ditta, non aveva del tutto convinto il D.D.. Erano assenti sia i dispositivi di protezione collettivi, richiesti dagli artt. 146, 111 e 148 D.Lgs. n. 81 del 2008, trattandosi di lavori eseguiti in quota, che quelli individuali.

7. Avverso tale sentenza ricorre per cassazione l’avvocato Nicola Brigida, difensore di B.B., sulla base di due motivi, che si espongono nei termini strettamente necessari per la motivazione (art. 173, comma 1. c.p.p.):

- ai sensi dell’art. 506, comma 1 lett b), cod.proc.pen, in reiezione all’art. 2087 cod.civ. ed agli artt. 40, secondo comma, 590, commi primo, secondo e terze c.p., il ricorrente- dopo aver evidenziato i punti della sentenza impugnata ove la parte civile D.D. viene indicato come “committente”, “direttore dei lavori”, “ geometra libero professionista ed amministratore della Delta Immobiliare Srl”, quindi soggetto di comprovata esperienza nei campo dei lavori edili- deduce che lo stesso D.D. aveva sottoscritto il Piano di Sicurezza e Coordinamento che contemplava il rischio di caduta dall’alto e che imponeva espressamente l’uso di cinture di sicurezza, ovvero l’uso di un dispositivo di protezione individuale, che la parte civile aveva invece disatteso. Peraltro, nessuna contestazione specifica era stata mossa agii imputati in ordine alla violazione degli artt. Ili e 148 d.lgs. n.81 del 2008. Dunque, difettava la prevedibilità dell’evento verificatosi per la esclusiva imprudenza della vittima; in ogni caso la responsabilità penale andava esclusa per la peculiare posizione assunta, all’interno della proiezione applicativa dell’art. 2087 cod.civ.. dal direttore dei lavori che concentrava su tale figura l’obbligo di controllo del rispetto dell’osservanza delle misure di sicurezza originariamente apprestate dal datore di lavoro.

- ai sensi dell’art. 606, comma i. lett. b), cod.proc.pen. in relazione all’art. 41 cod.pen.; in particolare, nell’ipotesi in cui la condotta gravemente imprudente non fosse ritenuta interamente assorbente l’efficienza causale rispetto all’evento lesivo, si sarebbe comunque dovuta configurare la responsabilità del D.D. a titolo di cooperazione colposa, quale committente e direttore dei lavori, del preposto e dell’appaltatrice. La mancata considerazione di tale aspetto avrebbe dovuto incidere sui riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti, sulla dosimetria della pena e sulla misura della provvisionale riconosciuta alla parte civile.

8. Con ricorso proposto a mezzo dei proprio difensore di fiducia avvocato Sandro Grossi, impugna per cassazione la sentenza anche A.A. sulla base di due motivi che ripropongono le medesime questioni fatte valere dalla difesa di B.B..

9. Il Procuratore generale ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorso.

10. Il difensore degli imputati ha insistito per l’accoglimento dei ricorsi.

 

Diritto


11. I motivi di entrambi i ricorsi, da trattare congiuntamente perché connessi strettamente, sono infondati.

In sostanza, i ricorrenti criticano l’impianto accusatorio sotto il profilo della completa assimilazione della parte civile ad un qualunque terzo individuo che si trovi all’interno di un ambiente di lavoro soggetto agli obblighi di sicurezza previsti dalla disciplina di settore ed in primo luogo dalle regole cautelari contenute all’art. 146 d.lgs. n. 81 del 2008, oggetto di contestazione.

In altri termini, in qualità di committente/datore di lavoro della parte civile, sia quanto alla incidenza sulla ricostruzione del nesso causale che quanto alla prevedibilità dell’evento, con evidenti conseguenze sulla stessa concreta possibilità di ravvisare l’elemento soggettivo della colpa, impedirebbero la ricostruzione operata dall’accusa ed accolta dai giudici di merito.

I giudici di merito (vd. pag. 11 punto 1.2 della sentenza Impugnata) hanno disatteso questo punto della difesa facendo applicazione del principio, più volte espresso dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di prevenzione degli infortuni sui luoghi di lavoro, le norme antinfortunistiche sono dettate a tutela non soltanto dei lavoratori nell’esercizio della loro attività, ma anche dei terzi estranei che si trovino nell’ambiente di lavoro, ancorché questi tengano condotte imprudenti, sicché anche in tali casi è ravvisabile la colpa per violazione delle norme dirette a prevenire gli Infortuni sui lavoro, perché sussista, tra siffatta violazione e l’evento dannoso, un legame causale e la norma violata miri a prevenire l’Incidente verificatosi, e sempre che le condotte imprudenti non siano esorbitanti rispetto al tipo di rischio definito dalla norma cautelare violata (Sez. 4 n. 32178 ne: 16.9.2020; Sez. 4 r.. 44142 del 19.7.2019; Sez. 4 n. 38200 del 12.5.2016).

11.1. Ad avviso della sentenza impugnata, è evidente che le norme violate appaiono dettate specificamente per scongiurare il pericolo di caduta dall’alto e, quindi, proprio per prevenire il tipo di incidente verificatosi; le protezioni avverso il rischio di caduta dall’alto dovevano essere poste a tutela non solo dei lavoratori ma anche del terzi che in qualunque modo (anche imprudentemente) avessero avuto accesso ai cantiere; la condotta del D.D. non era stata certo esorbitante e l’infortunio si era verificato solo perché il lucernaio non era stato protetto; la previsione normativa, dunque, aveva esplicato i propri effetti anche se l’Infortunato non rivestiva la qualifica di “dipendente’’.

Sotto il profilo della prevedibilità della condotta del D.D. la sentenza evidenzia che lo stesso si era recato in cantiere addirittura sollecitato a farlo dallo stesso imputato B.B..

12. Il punto su cui occorre soffermarsi, in quanto effettivamente non perfettamente colto dalla Corte d’appello e su cui insistono i ricorrenti, è quello di stabilire gli effetti sulla concreta fattispecie contestata della circostanza che il D.D., quale committente e direttore di quegli stessi lavori oggetto delle attività di prevenzione degli infortuni, che quindi aveva assunto, proprio per tali ragioni, una propria posizione di garanzia ed un ruolo anche attivo all’Interno dei cantiere, non potrebbe per ciò definirsi soggetto “terzo”.

La concreta fattispecie, ad avviso del ricorrenti, non si caratterizza per la gestione del rischio generato all’interno dell’ambiente di lavoro, là dove si realizzi proprio quei rischio che si sarebbe dovuto prevenire, al danni di chi dipendente non è ma si trovi a transitare nello stesso ambiente di lavoro; la parte offesa sarebbe uno dei destinatari degli obblighi di garanzia, per cui non potrebbe farsi diretta applicazione dei principi richiamati dalla sentenza impugnata.

13. La questione va innanzi tutto esaminata verificando se, anche per il D.D., si ricorda committente e direttore dei lavori di bonifica dei sito dall’amianto, possa configurarsi una posizione di garanzia riguardo al medesimo rischio.

Deve, a tal proposito, riaffermarsi il principio già formulato da questa stessa sezione (vd. Sez. 4, n, 46428 del 2018) a proposito della fonte degli obblighi derivanti dalla posizione di garanzia e all’operatività della così detta clausola di equivalenza di cui all’art. 40 cpv. cod. pen,, nell’accertamento degli obblighi impeditivi gravanti sui soggetto che assume veste di garante: a tal fine, l’interprete deve tenere presente la fonte da cui scaturisce l’obbligo giuridico protettivo, che può essere la legge, il contratto, la precedente attività svolta, o altra fonte obbligante; e in tale ambito ricostruttivo, al fine di individuare lo specifico contenuto dell’obbligo - come scaturente dalla determinata fonte di cui si tratta -occorre valutare sia le finalità protettive fondanti la stessa posizione di garanzia, sia la nature del beni del quale è titolare il soggetto garantito, che costituiscono l’obiettivo della tutela rafforzata, alla cui effettività mira la clausola di equivalenza (cfr. sez, 4 n. 9855 del 27/01/2015, Cniappa. Rv. 252440).

14. Inoltre, a proposito della posizione dei direttore dei lavori rispetto agii obblighi di prevenzione antinfortunistica, si è pure precisato che tale figura professionale è responsabile a titolo di colpa del crollo di costruzioni anche nell’ipotesi di sua assenza dai cantiere, dovendo egli esercitare un’oculata attività di vigilanza sulla regolare esecuzione delle opere edilizie ed in caso di necessità adottare le necessarie precauzioni d’ordine tecnico, ovvero scindere immediatamente la propria posizione di garanzia da quella dell’assuntore dei lavori, rinunciando all’incarico ricevuto (cfr. fez. 4 n. 18445 dei 21/02/2008, Strazzanti, Rv. 240157).

Il principio è stato anche successivamente ripreso, allorché si è affermata la configurabilità della penale responsabilità a titolo di cooperazione colposa dei direttore dei lavori e del direttore tecnico di cantiere (sia pure in tema di crollo colposo conseguente ad evento sismico) i quali abbiano omesso di verificare (il primo) la conformità agli elaborati progettuali e (il secondo) la fedele esecuzione del progetto e la conformità alle condizioni contrattuali dell’impiego dei materiali previsti, qualora tali condotte siano state una concausa del crollo, unitamente all’evento sismico (cfr. sez. 4 n. 2378 dell’08/07/2016, dep. 2017, Benedetto e altro, Rv. 263874).

15. Alla luce di tali principi, quindi, deve affermarsi che la figura del direttore dei lavori, nominato dal committente, che pure svolge normalmente attività limitata alla sorveglianza tecnica attinente all’esecuzione dei progetto nell’interesse di questi (cfr. sez. 4 n. 471 dei 14/11/2013, 2014, Gebbia e astro, Rv. 257922). non è estranea alla tematica degli infortuni sul lavoro, poiché il progetto esitato e la sua conformità ai lavori eseguiti devono tener conto della esistenza di specificità proprie dei contesto in cui i lavori devono essere eseguiti. Inoltre, egli risponde dell’infortunio subito dal lavoratore, allorché sia accertata una sua ingerenza nell’organizzazione dei cantiere (cfr. sez. 4, Rv. 257922 citata). Infatti, egli è responsabile dell’infortunio sui lavoro quando gli viene affidato il compito di sovrintendere all’esecuzione dei lavori, con la possibilità di impartire ordini alle maestranze sia per convenzione, cioè per una particolare clausola introdotta nel contratto di appalto, sia quando per fatti concludenti risulti che egli si sia in concreto ingerito nell’organizzazione del lavoro (cfr. sez. 4 n. 49462 del 26/03/2033 viscovc. Rv. 227070).

Nel caso all’esame, come richiamato dai giudici del merito, risulta essere stato acquisito il Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC ex art, 100 d.lgs. n. 81 del 2008) sottoscritto dal Coordinatore della Sicurezza geometra I.I. e dal committente geometra J.J., del primo dicembre 2014, che contemplava appunto il rischio di caduta dall’alto, “(...) Prescrizioni esecutive. Prima di procedere alla esecuzione di lavori sui tetti, lucernari, copertura e simili, deve essere accertato che questi abbiano resistenza sufficiente per sostenere il peso degli operai e dei materiali d’impiego. Nel caso in cui sia dubbia tale resistenza, devono essere adottati I necessari apprestamenti atti a garantire la incolumità delle persone addette, disponendo a seconda dei casi, tavole sopra le orditure, sottopalchi e facendo uso di cinture di sicurezza”.

Al direttore del lavori in fase esecutiva dell’opera compete l’onere di verifica della esatta esecuzione ai progetto nell’Interesse della parte committente che si estende, quale declinazione dei suoi doveri ai alta vigilanza, a compiti di sorveglianza tecnica e di vigilanza (Sez.4, n. 46428 dei 14 Settembre 2018, A.)

16. Può quindi affermarsi che, come accertato dalla sentenza impugnata, anche nel concreto vi fu l’attribuzione della posizione di garanzia In capo al D.D. in quanto committente e direttore dei lavori; dunque, egli certamente assunse il ruolo di co-debitore nell’obbligo di predisposizione del mezzi di prevenzione.

17. La complessiva fattispecie va, quindi, inquadrata nell’ipotesi, pure sovente esaminata dalla giurisprudenza di legittimità, delle posizioni di garanzia plurime, tutte finalizzate a prevenire la verificazione di infortuni nello stesso ambiente di lavoro, ma che agiscono su diversi livelli di competenza o temporali.

In tali evenienze, si è affermato che, in tema di prevenzione degli infortuni sui luoghi di lavoro, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è, per intero, destinatario dell’obbligo di tutela imposto dalla legge, sicché l’omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile a ogni singolo obbligato (Sez.4 n. 928 del 28/09/2022; n. 24455 dei 2015 Rv. 253733 - 01, n. 6507 del 2015 Rv. 27245- - 01).

Pertanto, l’astratta attribuzione al garante della sicurezza anche in capo alla odierna veste civile non incide in alcun modo su quella degli odierni imputati, come non Incide il fatto in sé che la figura dei direttore dei lavori coincida con quella della vittima del reato. Ciò sia quanto alla ricostruzione del nesso causale che sotto il profilo della prevedibilità dell’evento.

Infatti, la qualità di direttore ai lavori non altera (ma connota) quella di soggetto che si muove all’interno dell’ambiente di lavoro e che, In tale veste, non può non essere creditore dell’obbligo di sicurezza e prevenzione. Né può Ipotizzarsi l’imputabilità che le lesioni colpose In capo alla stessa parte civile, posto che l’art. 590 cod. pen. prevede che l’autore della condotta cagioni ad “altri” una lesione personale.

Del resto, la sentenza impugnata ha correttamente valutato l’evidente imprudenza del D.D., tante più che lo stesso era consapevole dei rischi esistenti sul tetto ove stava camminando, e per tale ragione ha operato il giudizio di equivalenza tra le circostanze attenuanti generiche, che ha riconosciuto, e le contestate aggravanti. Allo stesso modo, la determinazione della pena, nei limiti contenuti scora riferiti, evidenzia l’utilizzo dei parametri previsti dall’art. 133 cod.pen., proprio in ragione della condotta tenuta dalla parte offesa e pur in presenza di un elevato grado della colpa, risultando omesse sia in fase di individuazione dei rischi derivanti dalla presenza dei lucernai che in quella esecutiva.

In definitiva, il ricorso va rigettato ed i ricorrenti condannati ai pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.


La Corte rigetta i ricorsi. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2024.