REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ONORATO Pierluigi
Dott. SQUASSONI Claudia
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria
Dott. AMOROSO Giovanni
Dott. MULLIRI Guicla I.

- Presidente
- Consigliere
- Consigliere
- Consigliere
- Consigliere

ha pronunciato la seguente:


SENTENZA


sul ricorso proposto da:
M. S*., n. a ***;
avverso la sentenza del 14 maggio 2007 del tribunale di Pesaro;
Udita la relazione fatta in pubblica udienza dal Consigliere Dr. Giovanni Amoroso;
Udito il P.M., in persona del S. Procuratore Generale Dott. Salzano Francesco che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

La Corte osserva:


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

1. M. S*., M. S., C.C. , ciascuno in qualità di titolare di omonima ditta individuale, tutte e tre in associazione temporanea di impresa per l'esecuzione delle opere di carpenteria presso il cantiere edile sito in località *** Strada provinciale ***, erano imputati:
a) reato p. e p. dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, articoli 11 e 77 del per aver eseguito lavori presso il cantiere edile sito in *** strada Provinciale *** a distanza inferiore a metri 5 da una linea elettrica aerea con conduttori nudi in tensione a 20.000 volts, in assenza di idonee protezioni atte ad evitare accidentali contatti o pericolosi avvicinamenti ai conduttori delle linee stesse;
b) reato p. e p. dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, articoli 16 e 77 per aver omesso di adottare, nei lavori che sono eseguiti ad una altezza superiore a due metri, idonee opere provvisionali, seguendo lo sviluppo dei lavori stessi, con particolare riferimento al ponteggio per l'ultimo solaio di copertura e delle scale di accesso ai vari piani;
c) reato p. e p. dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, articolo 20, comma 3, e articolo 77 per aver omesso di assicurare solidamente il piede dei montanti del ponteggio alla base di appoggio, in modo che fosse impedito ogni cedimento in senso verticale ed orizzontale;
d) reato p. e p. dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, articolo 24, comma 1, e articolo 77 per aver omesso di dotare gli impalcati posti ad una altezza superiore a due metri di robusto parapetto sui lati prospicienti il vuoto, nonché di tavola fermapiede;
e) reato p. e p. dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, articolo 29, comma 1 e articolo 77 per aver omesso di montare andatoie destinate al solo passaggio dei lavoratori con una larghezza non inferiore a 60 cm;
f) reato p. e p. dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, articoli 32 e 77 per aver omesso di erigere il ponteggio metallico in base ad un progetto che tenesse conto del dimensionamento ed anche dell'eventuale sovraccarico;
g) reato p. a p. dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, articolo 68, comma 1, e articolo 77 per aver omesso di circondare con parapetto e tavola fermapiede le aperture lasciate nei solai (tutti commessi in ***, località ***).

2. Con decreto del 7.5.2005, gli imputati venivano tratti a giudizio avanti al giudice per rispondere dei reati loro ascritti.
All'esito dell'istruttoria dibattimentale e della discussione finale il tribunale di Pesaro, in composizione monocratica, con sentenza del 15 maggio - 13 giugno 2007 dichiarava M.S*., M.S., C.C. responsabili dei reati loro ascritti e riuniti sotto il vincolo della continuazione e ritenuto più grave quello di cui al capo D) li condannava, M.S. alla pena di euro 2.000,00 di ammenda, C.C. e M.S*. alla pena di euro 4.000,00 di ammenda oltre al pagamento delle spese processuali.

3. Avverso questa pronuncia l'imputato M.S*. propone ricorso per Cassazione con quattro motivi.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso, articolato in quattro motivi con cui il ricorrente denuncia la nullità del decreto di citazione a giudizio per omessa notifica, la non riferibilità a lui della condotta contestatagli, la mancata concessione delle attenuanti generiche e l'eccessività della pena, è inammissibile.
Deve innanzi tutto rilevarsi che il decreto di citazione a giudizio risulta ritualmente notificato alla madre convivente; circostanza questa che rende irrilevante la deduzione del ricorrente secondo cui all'epoca il luogo della notifica non fosse la sua residenza anagrafica. Questa Corte ha infatti più volte affermato (ex plurimis Cass., Sez. 5,11/05/1999 - 11/06/1999, n. 7597) che in tema di notifica all'imputato, l'articolo 157 c.p.p. prevede che essa, nel caso in cui non possa essere effettuata mediante consegna a mani dell'interessato, vada eseguita nella casa di abitazione del suddetto, ovvero nel luogo nel quale costui esercita la attività lavorativa; in tal modo viene preferita la notificazione nel luogo nel quale normalmente si vive o si lavora, rispetto a quella da eseguirsi nella residenza anagrafica, la quale rappresenta un mero dato formale, che non necessariamente coincide con quello reale.

È stato quindi dichiarato inammissibile il ricorso dell'imputato, che aveva sostenuto la nullità della notifica del decreto di citazione a giudizio in quanto entrambe avvenute nella casa di abitazione a mani di familiare convivente piuttosto che nel luogo in cui il ricorrente risultava avere la residenza anagrafica.

La doglianza relativa alla riferibilità della condotta costituisce poi tipica censura di fatto non deducibile in sede di legittimità e quindi inammissibile atteso che il tribunale ha motivato il suo convincimento di merito con motivazione sufficiente e non contraddittoria facendo riferimento in particolare alle risultanze dell'ispettore della locale ASL, sentito come teste.

Parimenti inammissibili sono poi le censure in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche (il tribunale ha motivato il diniego facendo riferimento ad un precedente penale dell'imputato) e alla misura della pena. Infatti la graduazione della pena, anche rispetto agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 c.p. (Cass., sez. 6, 5 dicembre 1991, Lazzari); ne consegue che è inammissibile la censura che nel giudizio di Cassazione miri ad una nuova valutazione della congruità della pena.

2. Il ricorso quindi si appalesa nel suo complesso inammissibile sia sotto il profilo dell'incensurabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e correttamente motivate nella sentenza impugnata, che sotto il profilo della genericità dei motivi di ricorso che, in tal modo, non denunciano specificamente un errore logico o giuridico determinato.
L'inammissibilità del ricorso, anche per manifesta infondatezza dei motivi, configura in ogni caso una causa originaria di inammissibilità dell'impugnazione, e non sopravvenuta, sicché non si costituisce il rapporto di impugnazione e conseguentemente non è possibile invocare eventuali cause estintive dei reati (Cass., sez. un., 22 novembre - 21 dicembre 2000, n. 32, De Luca).
Tenuto poi conto della sentenza 13 giugno 2000 n. 186 della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento di una somma, in favore della cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 1000,00 (mille).

P.Q.M.


La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di euro mille alla cassa delle ammende.