Corte d'Appello Ancona, 22 gennaio 2024, n. 2426 - Cedimento di una lastra e caduta mortale. Operaio schiacciato da un bancale. Responsabilità datoriale e responsabilità amministrativa delle imprese


 



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DI APPELLO DI ANCONA

Sezione penale composta dai magistrati:

1. Dott Maria Cristina Salvia - Presidente

2. Dott Lorenzo Falco - Consigliere

3. Dott Isabella Maria Allieri - Consigliere

Sulla relazione della causa fatta all'udienza odierna in Camera di Consiglio dal Consigliere Dott.ssa Isabella Maria Allieri

Con l'intervento del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.Luigi Ortenzi

ha pronunciato la seguente

SENTENZA



nel procedimento penale a carico di:

IMPUTATI:

P.G. nato in S. il (...), residente in F. in Via V., 4

- difeso dall'Avv. Lucio MONACO del foro di Napoli di fiducia, presente

Posizione Giuridica: Libero, assente

D.C.E.A. nato in R. (R.) il (...)

- difeso dall'Avv. Marco CASSIANI del foro di Roma di fiducia, presente

Posizione Giuridica: Libero, assente

P.M.D. nato in R. (R.) il (...)

- difeso dall'Avv. Marco CASSIANI del foro di Roma di fiducia

Posizione Giuridica: Libero, assente

P. S.P.A. in persona di S.P., assente

- difesa dall'Avv. Gabriele Marra del Foro di Urbino, presente

APPELLANTI

 

Fatto


Con sentenza n. 305 del 10.9.2021, depositata il 15.9.2021 il Tribunale di Pesaro in composizione monocratica, procedendo con rito abbreviato, dichiarava P.G. responsabile dei reati di cui ai capi 1) e 2) (589 c.p. omicidio colposo) e 3) (437 c.p. omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro) dell'imputazione e per lo effetto, ritenuti i fatti sub. (...)) e (...)) avvinti dal vincolo della continuazione, ritenuto più grave il reato sub. (...)), concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, con la diminuente del rito, lo condannava alla pena di mesi nove di reclusione; per il reato sub. (...)), concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, con la diminuente del rito, condannava il P. alla pena di mesi sei di reclusione, pena sospesa.

Veniva altresì ritenuto responsabile anche P.M.D. per il reato di cui sub (...))(infortunio occorso a C.R.) e, per lo effetto, veniva condannato alla pena di mesi sei di reclusione, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante e con il beneficio della pena sospesa subordinata al risarcimento dei danni ove non già provveduto.

La P. veniva ritenuta responsabile degli illeciti amministrativi dì cui ai capi 5) e 6) e, concessa l'attenuante di cui all'art. 12 comma 2 D.Lgs. n. 231 del 2001 con l'aumento ex art. 21 e la riduzione del rito, veniva condannata alla sanzione pecuniaria pari ad 800 quote del valore di Euro 1000 ciascuno.

Veniva altresì disposta la confisca del profitto per i reati sub (...)) e (...)) anche per equivalente per Euro 340.125 ed Euro 308.468.

Per gli ulteriori reati P.G. e D.C. venivano assolti.

Il processo riguardava due infortuni mortali occorsi rispettivamente a F.M. (operaio carpentiere) in data 9.3.2017 e a C.R. (operaio edile) in data 5.6.2017, entrambi alle dipendenze della P., azienda operante nel settore della produzione di profilati in alluminio.

In sintesi ecco la ricostruzione dei fatti come effettuata dal Giudice di prime cure.

Infortunio mortale occorso a F.M.

Il F. era precipitato dalla copertura di un capannone dove stava svolgendo lavori di riparazione su disposizione del responsabile del servizio manutenzione della P.R.D..

AI momento dell'infortunio si trovava a lavorare insieme ad un altro operaio, dipendente della M. srl, tale D.V.A..

I due operai dovevano effettuare lavori di manutenzione che consistevano nel siliconare alcune parti del capannone denominato ROLL03, reparto Cold, all'interno del quale si erano verificate infiltrazioni di acqua.

I due manutentori si sarebbero recati sul posto su indicazione del R. senza tuttavia ricevere da questi indicazioni su come svolgere il lavoro, né su quali fossero le zone interessate, pur avendo il R. eseguito un sopralluogo il giorno prima.

I due avrebbero quindi preso contatto con i capi reparto M. e C. circa il lavoro da svolgere ed avrebbero stabilito in modo autonomo come procedere, dopo aver chiesto al M. una piattaforma per i lavori in quota.

La piattaforma fornita, nella disponibilità dell'azienda, era quella dotata del braccio più lungo.

Le infiltrazioni riguardavano sia i quadri elettrici che la copertura del capannone adiacente, talché sarebbe stato chiaro sin da subito che le operazioni di manutenzione andavano svolte in doppia postazione.

Dopo aver effettuato il lavoro nel primo punto più basso, i due manutentori decidevano di riparare l'apertura sulla copertura raggiungendola dall'esterno mediante la piattaforma di cui sopra, fornita dal M..

Una volta giunti all'altezza della copertura, i due si accorgevano di non poter raggiungere mediante il braccio della piattaforma il punto da riparare.

A quel punto, contro il parere del collega D.V., F. decideva di scendere e di calpestare la copertura, staccandosi dall'ancoraggio; D.V., restando sulla piattaforma, lo perdeva di vista mentre il capo reparto M., dall'interno del capannone, sentiva un primo rumore e poi un secondo.

Il corpo del F. precipitava da un'altezza di 12 metri, andando incontro a decesso immediato.

Emergeva inoltre che F., percorrendo la copertura, aveva iniziato a riparare una lastra (come attestato dalla lastra spezzata che presentava una evidente striscia di silicone).

La copertura del reparto Cold 03 era costituita da travi in cemento armato della larghezza di 100 cm sulle quali erano fissate lastre curve in fibrocemento, non pedonabili, che si sovrapponevano alla trave per circa 20 cm per lato, lasciando uno spazio per il camminamento di circa 60 cm.

Nel manuale d'uso e manutenzione delle lastre era prescritto di "evitare accuratamente di appoggiarsi direttamente sulle lastre .. .fare uso di parapetti... di piattaforme, di pedane.. .di cinture di sicurezza con bretelle collegate a funi di trattenuta... "

Nessuno dì tali presidi era stato posto in essere; l'unica prescrizione era il divieto assoluto di salire sulle coperture, prescrizione presente nel DVR e fatto conoscere oralmente agli operai.

Tuttavia, a detta dei numerosi operai escussi, tale divieto non veniva sistematicamente rispettato.

L'infortunio occorso a C.R. il 5.6.2017 Il C., operaio edile specializzato, addetto all'esecuzione di lavori edili che necessitavano particolare competenza pratica, lavorava presso il lotto 53 denominato M.E. per lo sgombero del magazzino, insieme ad altri due operai (P.M. e C.I.), dipendenti della terzista G.S. srl (il cui legale rappresentante era D.C.), società presente all'interno della P..

Tale operazione sarebbe stata disposta e organizzata direttamente dal P..

Il lavoro consisteva appunto nello svuotamento del magazzino dal materiale ivi presente (pile contenenti 20 confezioni di lana di roccia del peso ognuna di kg, 19,20 posizionate su bancali di legno; ciascun pacco pesava 400 kg per un'altezza di 2,62 metri).

La dinamica del sinistro veniva ricostruita dal ctu del PM nel seguente modo.

P., alla guida del muletto c, inforcava il pacco n.5 nel tentativo di rimuoverlo, senza accorgersi che il pacco 2 bis sovrastante era imbalancato in maniera diversa dagli altri e che in parte appoggiava sul pacco 5.

Cercando di movimentare il pacco 5 per liberarlo, il P. riusciva effettivamente ad estrarlo inforcandolo con forza, tanto da rompere il bancale in legno che lo sosteneva,

A tale punto il bancale 2 bis, senza il sostegno del pacco 5 sottostante, perdeva immediatamente l'equilibrio e cadeva a terra travolgendo il C..

Il pacco 2 bis cadeva anche spinto lateralmente dal pacco 1 bis, anch'esso in condizione di equilibrio precario.

Il movimento del pacco 5, effettuato con forza dal P. tanto da rompere il bancale, aggravava la instabilità dei pacchi 2 bis e 1 bis dovuta alla loro posizione e provocava la caduta del pacco 2 bis.

In pratica, al momento della caduta del pacco il C. si trovava nella zona di azione del muletto e quindi non rispettava la distanza di sicurezza.

Con certezza, dunque, era emerso che il pacco 2 bis era caduto sui C. mentre questi si trovava in piedi all'interno del magazzino e vicino al muro in cui si trovano stoccati i pacchi di lana di roccia.

Il pacco de quo era appunto il 2 bis indicato dal C. e posizionatosi disassato in parte sul muletto b recante forche parzialmente rialzate (forche certamente rialzate dal

D., altro dipendente, che ha dichiarato di averle trovate alte circa 20 cm e di averle alzate per sollevare il carico dal corpo dell'infortunato).

Non era noto chi fosse alla guida del muletto b; tuttavia il pacco 5 che P. aveva estratto e stava trasportando all'esterno era incastrato sotto il pacco 2 bis poi caduto addosso al C..

Inoltre, dalle prove dinamiche effettuate era emerso che il pacco 2 bis cadeva subito dopo l'estrazione del pacco 5.

Riteneva pertanto il Giudice di prime cure che era stata l'estrazione del pacco 5 a cagionare la caduta dopo pochi secondi del pacco 2 bis, così ravvisando la responsabilità dell'imputato P., mulettista esperto, per aver effettuato una manovra altamente pericolosa, cioè l'aver estratto a forza il pacco 5 pur trovandosi a terra e vicino a lui il C..

Veniva altresì ravvisata anche la responsabilità del P. per aveva personalmente organizzato la squadra di lavoro (chiamando direttamente i dipendenti della G.), impartendo loro l'ordine di svuotare il magazzino, in assenza di deleghe.

Nei confronti del P. veniva ravvisato il profilo di colpa specifica ex art. 71 comma 1 dlgvo perché i pacchi , stivati l'uno sull'altro anziché riposti in idonee scaffalature, avevano una certa stabilità nel tempo di permanenza dentro il magazzino ma un'alta e pericolosa instabilità in fase di sgombero.

Il P. veniva inoltre ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 437 c.p. con riferimento all'infortunio occorso al F. essendo stata acclarata, secondo il Gup, la omissione di tutti gli apprestamenti necessari a garantire la sicurezza dei lavoratori che per qualunque ragione avessero dovuto salire sulla copertura del capannone Cold3.

Veniva altresì ritenuta la responsabilità della P. ex art. 25 septies D.Lgs. n. 231 del 2001 perché, quanto al primo episodio, le coperture dei capannoni erano rimaste per anni prive di qualsivoglia apparato di sicurezza e, quanto al secondo episodio, lo stoccaggio del materiale veniva effettuato in modo approssimativo e senza dorare il magazzino di apposite scaffalature.

Avverso la suddetta sentenza con atto depositato il 23.10.2021 i difensori di P.G. e della P. spa presentavano appello per i seguenti motivi.

Capo 1) Infortunio occorso a F.M.

1-La sentenza non sarebbe condivisibile sia per taluni aspetti in fatto che in diritto.

2-II Giudice avrebbe ritenuto irrilevante la circostanza che l'infortunio sia avvenuto in un cantiere cui coordinatore della sicurezza. era B.M.", perché "non vi sarebbe prova di alcun coordinamento tra R. e il B.M. che infatti ha dichiarato di non essere stato interpellato per le operazioni di manutenzione da svolgere e di non essersene a conoscenza".

Il Giudice poi affermava che le operazioni erano state gestite dal R. quale capo manutentore e... nessun altro soggetto risulta coinvolto, né può pertanto essere ritenuto responsabile dell'accaduto".

L'appellante eccepisce che, in realtà, i fatti sarebbero avvenuti all'interno di un cantiere in corso, circostanza questa che comportava una diversa perimetrazione degli obblighi giuridici e delle connesse responsabilità del datore di lavoro.

All'interno del capannone dove si verificò l'infortunio erano infatti in corso lavori di risanamento in seguito ad un incendio verificatosi il 13.7.2016, talché ivi non si svolgeva alcuna attività produttiva.

Il P. in data 1.8.2016 aveva nominato quale coordinatore in fase di progettazione ed esecuzione del cantiere e quale responsabile dei lavori l'ing. B.M..

Pertanto il capannone, al momento dell'infortunio, non era un reparto produttivo (quindi un luogo di lavoro ex art. 62 n.l D.Lgs. n. 81 del 2008) ma un cantiere in corso per la realizzazione di opere di ripristino e risanamento.

Il P. aveva provveduto ex art. 90 D.Lgs. n. 81 del 2008 a nominare appunto il coordinatore per la progettazione e a redigere il Duvri con l'impresa G. srl che avrebbe dovuto provvedere alle lavorazioni di ripristino delle strutture.

Il Duvri aveva già previsto il rischio di caduta dall'alto e prescritto il divieto assoluto di scendere sulle coperture.

Il P. avrebbe quindi adempiuto a tutti gli obblighi di legge posti a carico del committente dei lavori di cantiere.

3-L'appellante ritiene assolutamente non condivisibile l'affermazione, contenuta in sentenza, secondo cui: il F. sarebbe salito "sulla copertura del capannone per non essere stato adeguatamente riformato dal R. circa il lavoro da svolgere e le modalità con cui tale lavoro doveva essere svolto, tanto da non operare, come necessario, dall'interno del capannone".

Osservava infatti che la sera precedente all'infortunio il R. aveva incaricato verbalmente i due manutentori, D.V. e F., "di svolgere riparazioni alla copertura del tetto del capannone nuovo zona quadri elettrici" (come da sit D.V. del 9.3.2017).

Pertanto, secondo l'appellante, non si trattava di svolgere manutenzioni sul tetto del Cold03 ma sull'adiacente locale quadri elettrici, appena costruito ex novo e più basso, con l'utilizzo di una piattaforma elevabile per la cui conduzione il F. era abilitato con specifico patentino.

D.V. e F. avevano indossato i dispositivi di protezione individuali (DPI), cioè l'imbragatura con cordino di trattenuta, le scarpe antifortunistiche con puntale

di ferro, i guanti e il casco e utilizzando la PLE, avevano raggiunto la copertura del locale dei quadri elettrici.

Ivi avevano provveduto a sigillare i punti di infiltrazione senza scendere dalla copertura ma lavorando dal cestello alla cui struttura erano ancorati con l'imbragatura (come da sit D.V. del 9.3.2017).

Il R. aveva inoltre indicato anche le modalità di lavoro, cioè la sigillatura dall'interno del cestello della PLE senza mai abbandonarlo, tanto che aveva provveduto ad incaricare due manutentori abilitati all'uso della P.L.E.

I due operai, dopo aver ricevuto le direttive dal R., avevano iniziato il lavoro dopo aver comprato il silicone che era finito con l'intervento del mattino, circostanza che confermerebbe, secondo l'appellante, che l'incarico ricevuto dal R. avrebbe riguardato il solo locale dei quadri elettrici.

Iniziavano poi anche l'ulteriore intervento utilizzando la PLE ma si accorgevano di non riuscire a raggiungere il punto da ispezionare.

A quel punto F., anziché avvisare il capo reparto, decideva di raggiungere il punto da ispezionare passando ad un locale adiacente più alto e camminando sopra la copertura, dopo essersi volontariamente staccato dall'ancoraggio alla PLE, nonostante D.V. cercasse di dissuaderlo.

Sarebbe inoltre emerso con certezza che l'intervento sul capannone Cold 3 non era stato comunicato né al R. né al coordinatore della sicurezza.

Quindi il R. non aveva dato indicazioni sulle modalità di intervento sul Cold-03 non perché non fosse formato, ma perché non aveva mai dato incarico ai due operai di intervenire su tale capannone, né era informato che lo facessero.

4-Assolutamente priva di riscontro sarebbe l'affermazione, contenuta in sentenza secondo cui:"R. non aveva organizzato le attività da svolgere, i luoghi in cui esse dovevano svolgersi e le modalità operative specifiche da utilizzare, né aveva effettuato alcuna valutazione in ordine alla sicurezza delle attività che era andato ad ordinare, non essendo nemmeno formato per effettuare tale valutazione".

Questo perché il predetto non aveva mai dato incarico di effettuare l'eliminazione delle infiltrazioni sul capannone Cold-03 né era mai stato informato dal M. o dai manutentori che quell'intervento si sarebbe fatto.

Inoltre il R. sapeva bene che sul cantiere Cold-03 "comandarci' il coordinatore per 1 esecuzione ing. B., i cui Piani di sicurezza del cantiere prevedevano che su quel capannone si dovesse intervenire dall'interno e con PLE.

5-AccIarata, secondo l'appellante, la condotta anomala ed esorbitante dell'infortunato, il tragico evento non poteva comunque essere addebitato al P..

Secondo il Giudice di prime cure, il mero divieto assoluto di scendere sulle coperture degli opifici sarebbe di per sé inidoneo "ìn assenza della individuatone di un preposto capace di organizzare le procedure di lavoro e a conoscenza dello stato dei luoghi e dei rìschi connessi".

L'appellante afferma, per contro, che il P. non era al corrente delle operazioni di manutenzione all'interno del Cold-03 perché ivi la vigilanza circa il rispetto delle procedure previste per la sicurezza dei lavoratori spettava al coordinatore per la sicurezza nominato ai sensi degli artt. 91 e 92 D.Lgs. n. 81 del 2008.

Pertanto, una volta stabilito nel DVR il divieto assoluto di scendere sulle coperture, il P. aveva individuato i preposti e aveva attribuito al R., responsabile della manutenzione, "autonomia di poteri e spesa e quindi anche per noleggiare le piattaforme non doveva essere autorizzato da altre funzioni gerarchicamente sovraordinate" (come da sit F. del 24.9.2020).

Era inoltre prassi consolidata che per lo svolgimento dei lavori in quota gli addetti lavorassero in coppia (vedi sit F. del 24.9.2010).

Non sarebbe invero dimostrato che il divieto assoluto di salire sul tetto non veniva sistematicamente rispettato (sul punto generiche e irrilevanti sarebbero le dichiarazioni rese da M.M., D.E., B.F.).

6-Circa il nesso di causalità, osserva l'appellante che, in adempimento alle prescrizioni imposte da Asur per l'adeguamento del tetto del Cold-03 alle esigenze di sicurezza relative alle attività di manutenzione da svolgere sulle lastre in fibrocemento di copertura del tetto, non erano state realizzate né pedane né tavole a causa della fragilità delle lastre in fibrocemento che non potevano reggere né il peso diffuso, né quello concentrato.

Per tali ragioni Asur aveva prescritto che alle travi in cemento su cui poggiavano le lastre di copertura, lasciando al centro uno spazio libero di 60 cm., venissero ancorati a breve distanza l'uno dall'altro degli anelli di ancoraggio per l'imbragatura di sicurezza indossata dall'addetto manutentore.

Pertanto, sulla base del giudizio controfattuale, sarebbe apodittica e indimostrata la conclusione secondo cui se ci fossero stati sulla copertura "punti fissi o linee vita" cioè gli anelli di ancoraggio al suolo del cordino di trattenuta collegato all'imbragatura di sicurezza, F. si sarebbe quantomeno ancorato tramite funi di trattenuta.

In realtà il F. , che comunque indossava tutti i dispositivi di sicurezza individuali, avrebbe scientemente disatteso le direttive aziendali che vietavano di sbarcare dalla PLE e di calpestare le lastre di copertura, decidendo di scendere dalla piattaforma e di raggiungere il punto da riparare.

7-Quanto all'elemento soggettivo, il decorso causale non era affatto in concreto prevedibile, tanto meno se rapportato ad una persona qualificata, esperta ed affidabile come il F..

La sua condotta imprevedibile, incauta, non necessaria e assolutamente esorbitante avrebbe interrotto il nesso di causalità.

All'infortunato era stata garantita dall'azienda la formazione (compresa l'abilitazione alla manovra delle PLE), la protezione organizzativa (costituita dal divieto assoluto di salire sui tetti dei capannoni), la protezione informativa, i dispositivi dì protezione collettiva e individuale.

All'imputato non poteva quindi essere ascritta alcuna responsabilità.

Infortunio occorso a C.R.

3-L'appellante contesta la ricostruzione della dinamica come operata dal Giudice di prime cure sulla base della ctu, peraltro ampiamente contestata dalla consulenza di parte.

3.1 In primo luogo l'appellante dissente sulla ricostruzione della posizione dei tre muletti presentì sul luogo del sinistro come fornita dal Giudice di prime cure secondo cui;" ìl muletto B si trovava nella direzione della caduta del pacco, ove è stato rinvenuto; non può dirsi con certezza chi guidasse il muletto b, mentre che il muletto c fosse guidato dal P. nel momento in cui egli ha provveduto alla estrazione del pacco 5 è dimostrato dalla sua stessa ammissione".

In primo luogo, afferma l'appellante, sarebbe da respingere l'ipotesi secondo cui i due operai G. avrebbero avuto tutto il tempo per "apprestare una loro versione dei fatti' e, di conseguenza, modificare la scena dell'infortunio.

L'infortunio sarebbe infatti da collocare intorno alle 13.30; dopo aver liberato il C. dal peso dei pacchi che avevano colpito l'infortunato, l'operaio D. avrebbe chiamato il preposto L.P. alle 13.39 ; quindi dalle 13.30 alle 13. 39 non vi sarebbe stato tempo sufficiente per modificare alcunché.

Non sarebbe inoltre condivisibile ritenere che il C. non fosse alla guida del muletto b, così come affermato in sentenza: "non è dato sapere chi guidasse il muletto b e lo avesse portato sul luogo dell'infortunio ma ciò che è certo è che il C., al momento della caduta del pacco 2 bis, distante solo pochi secondi dalla estrazione del pacco 5, lavorava a terra, in posizione eretta Tale dato non sarebbe affatto irrilevante, anzi sarebbe un elemento fattuale fondamentale.

L'ipotesi, implicitamente accolta dal Giudicante, che alla guida del mezzo b vi fosse uno degli operai della G., sarebbe poco credibile.

Invece molti elementi comproverebbero che alla guida vi era proprio l'infortunato.

Egli era un mulettista esperto e sembra poco probabile che avesse delegato il compito di prelevare i pacchi ai due operai.

Non viene mai messo in dubbio in sentenza che C. stesse operando a terra, come dichiarato, mentre sarebbe dato acquisito che il P. movimentasse il muletto c e che, dunque, non potesse utilizzare anche l'altro mezzo.

Se ad utilizzare il muletto fosse stato solo il P., non si comprenderebbe come mai fosse presente in magazzino un altro muletto utilizzabile e idoneo al lavoro.

Illogica sarebbe stata poi la scelta di C., al rientro dalla pausa pranzo, di recarsi in falegnameria per prendere un altro mezzo (muletto c).

Pertanto doveva ritenersi, anche alla luce delle dichiarazioni rese dal P. e dal C., che il C. fosse alla guida del muletto b, rinvenuto accanto al suo corpo, né la sentenza sarebbe stata in grado di fornire una ricostruzione alternativa.

3.2 L'appellante afferma quindi che nella ricostruzione della dinamica i punti fermi sarebbero che il C. era alla guida del muletto b; che il muletto c si trovava a circa due metri dal posteriore del muletto b con le forche rivolte verso la porta di uscita dalla parte opposta del capannone e che tale mezzo era stato spostato per consentire l'ingresso dell'ambulanza.

Pertanto la ricostruzione accolta in sentenza si scontrerebbe con il rilievo in ordine alla impossibilità di manovra del muletto c.

Se il muletto b era stato condotto nella posizione poi ritrovata subito dopo l'infortunio, tale manovra non poteva essere stata effettuata prima o in concomitanza con la movimentazione del pacco 5 effettuata dal P. con il muletto c.

La presenza del muletto b avrebbe fortemente ostacolato la retromarcia - a forche cariche dal pacco 5 - del muletto c il quale si sarebbe trovato molto vicino a predetto muletto b e poi avrebbe dovuto effettuare una manovra di retromarcia molto più lunga e lineare.

Inoltre, nell'effettuare la curva destrorsa - sempre in retromarcia - per mettersi nella direzione dì marcia verso l'uscita 4 (quella oltre la quale vi era parcheggiato l'autocarro) non si sarebbe trovato affatto lungo la direzione d'ingresso del portone 1 e, quindi, non avrebbe intralciato l'arrivo dei soccorsi, come invece accertato.

Pertanto nella ricostruzione fornita in sentenza i muletti b e c non avrebbero potuto operare senza interferenze tra di loro.

3.3 Le prove dinamiche effettuate dallo stesso ctu sconfesserebbero la ricostruzione, fornita in sentenza, secondo cui la caduta del pacco 2 bis sarebbe derivata dall'estrazione forzosa del sottostante pacco 5 da parte del P..

Sul punto, le prove di simulazione (5.5 e 6.2) dimostrerebbero l'impossibilità della manovra di estrazione del pacco 5 sovrastato per circa 20 cm dal pacco 2 bis.

Infatti la simulazione 5.5 sarebbe stata interrotta perché "il mulettista non ha potuto estrarre il pacco 5 e si è dovuto fermare perché il vincolo esercitato dalle forze in gioco ... non ha consentito lo scorrimento delle superfici a contatto".

Il pacco 5 , poi, stava subendo una tale torsione che la continuazione della prova lo avrebbe sicuramente portato a sfasciarsi".

Contrariamente a quanto ritenuto in sentenza secondo cui "le prove dinamiche effettuate mediante estrazione a forza del pacco 5 non sono state completate per garantire la sicurezza del mulettista", l'appellante afferma che il pacco 2 bis non sarebbe comunque caduto addosso al muletto ma lateralmente.

In ogni caso il mulettista sarebbe stato ugualmente al sicuro, perchè riparato dalla cabina del mezzo.

In ogni caso il prosieguo della prova avrebbe certamente portato alla rottura del pacco, mentre invece il pacco è stato rinvenuto integro sulle forche del muletto C.

La prova 6.2 , dove il mulettista era riuscito ad estrarre il pacco 5, era stata invece condotta dopo aver indietreggiato il pacco 2 bis verso il pacco 1 bis, quindi in condizioni di fatto diverse.

3.4 Inoltre, per sconfutare l'ipotesi accolta in sentenza, il pacco 5 non presentava alcun segno di strappo o piegatura; se il pacco 5 fosse stato effettivamente estratto con forza, avrebbe riportato sicuramente delle lacerazioni al cellophane che lo rivestiva.

3.5 La sentenza afferma che l'accertata rottura del bancale del pacco 5 sarebbe da imputare alla forza con cui esso doveva essere estratto, dovuta alla resistenza data dal pacco superiore.

In senso contrario, afferma l'appellante, la rottura del piedino del bancale andrebbe imputata solo ad un non corretto inforcamento.

3.6 Nel momento in cui il C. è stato investito dal pacco 2 bis "si trovava in pedi e probabilmente con il viso rivolto verso la parete del magazzino", come affermato in sentenza.

Quindi il C. si trovava di profilo rispetto alla presunta operazione di estrazione del pacco 5 compiuta dal P. e doveva avere la visione periferica dell'arrivo del muletto e dell'estrazione del pacco 5.

Sarebbe quindi poco verosimile che sia rimasto inerte e abbia proseguito nelle lavorazioni a terra accanto allo stivaggio, pur potendo avvistare la manovra azzardata del P.

In pratica, la ricostruzione secondo cui il pacco 2 bis sarebbe caduto a causa della repentina e forzosa estrazione del pacco 5 sottostante sarebbe smentita da una serie di elementi: la simulazione (5.5.) avrebbe dimostrato l'impossibilità della estrazione forzata del pacco 5 con il vincolo del pacco 2 bis per 20 cm; qualora si volesse ritenere possibile l'estrazione, questa avrebbe comportato la distruzione del pacco 5; la prova 6.2

Nel mentre stava sistemando i pacchi gialli sul bancale, il pacco 2 bis perdeva l'equilibrio e lo travolgeva.

La sentenza non si sarebbe confrontata con tali rilevi, comprovati anche dalle prove di simulazione.

5-Quanto alla responsabilità del P. , erronee sarebbero le conclusioni del Giudice di prime cure.

In primo luogo la ditta produttrice dei pacchi non vietava lo stoccaggio del materiale dalla stessa prodotta secondo le modalità utilizzate dalla P. spa; infatti, come osservato dal ctp ing. Arfell, il costruttore non forniva indicazioni precise sulle modalità di immagazzinamento dei pacchi di lana di roccia.

Pertanto l'impilamento dei pacchi rappresentava una lecita modalità di immagazzinamento perché priva di sostanziali profili di rischio di caduta per instabilità.

Invero l'approntamento di una scaffalatura non avrebbe impedito il verificarsi dell'evento; in realtà, di fronte all'imprevedibile condotta tenuta dal P., ogni approntamento di sicurezza sarebbe stato inadeguato.

5.1 Inoltre l'operazione di rimozione dei pacchi sarebbe stata organizzata e programmata , grazie anche alla composizione di una squadra specifica e omogenea, composta di operai qualificati per tale lavoro.

5.2 L'evento si sarebbe verificato per la imprevedibile disattenzione del C. e per alcuni suoi errori: errore di valutazione nel corretto ordine di estrazione dei pacchi, della regola per cui nessuno deve sostare nell'area di lavoro dei muletti, ovvero dei carrelli elevatori e dell'incidenza del suo intervento sulla stabilità del pacco 2 bis, stabilità dallo stesso C. alterata.

5.2.1. Non sussisterebbe pertanto il nesso di causalità , Capo 3) 4)

In merito al capo 3) (omissione dolosa di cautele), l'appellante contesta la decisione del Gup in merito al carattere intenzionale dell'agire trasgressivo, essendo emerso che il P. aveva prescritto il divieto assoluto di accedere alle coperture sia nel DVR che nel DUVRI.

Inoltre vi era l'obbligo di utilizzare le piattaforme mobili elevabili (PLE) da lavoratori in coppia per garantire un maggior rispetto delle cautele e di operare senza sbarcare dal cestello.

Qualora il braccio delle PLE non fosse abbastanza lungo, vi era l'obbligo di provvedere al noleggio di piattaforme idonee (come anche affermato dai testi D.V., M., R., F.).

La procedura di noleggio delle PLE era inoltre attiva ed effettiva, date anche le dimensioni dell'azienda.

L'Ufficiale di p.g. Crespi (Spresal) ha accertato inoltre che il cestello delle PLE consentiva la realizzazione dei lavori sulle coperture senza dover scendere e camminare sulle lastre di fibrocemento.

Nell'eziologia dell'infortunio efficacia causale esclusiva avrebbe avuto il comportamento del F. il quale avrebbe violato le direttive aziendali che appunto imponevano di non salire sulla copertura del capannone, nonostante le disposizioni datoriali che gli venivano, nel frangente, ricordate dal collega D.V..

Il reato de quo non sussisterebbe non solo sul piano oggettivo ma anche soggettivo.

Capi 5) e 6).

In merito alla responsabilità dell'Ente ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, l'infortunio F. non sarebbe riconducibile a cautele omesse ma al fallimento dei presidi, anche organizzativi, che l'azienda aveva comunque predisposto in coerenza con la valutazione del rischio.

Quanto all'infortunio C., la vicenda non si caratterizzerebbe per l'assenza di misure preventive ma eventualmente per l'insufficienza di quelle comunque predisposte al fine di salvaguardare l'incolumità degli addetti.

In entrambi i casi difetterebbe alcun vantaggio aziendale rilevante nella forma del risparmio di spesa ex art. 5 comma 1 lett. a e 6 del D.Lgs. n. 231 del 2001.

3 Quanto al trattamento sanzionatorio, l'appellante contesta la correttezza della sanzione pecuniaria pari a 1000 quote perché in base all'art. 25 septies del citato decreto, la sanzione pecuniaria doveva essere compresa tra 250 e 500 quote.

3.1 Nel caso di specie non sussisterebbe alcuna violazione dell'art. 55 comma 2 del D.Lgs. n. 81 del 2008 con riguardo alla mancata elaborazione del DVR.

Per altro verso, in riferimento alla determinazione del numero delle quote dovrebbe farsi riferimento all'art. 11 e quindi al grado di responsabilità , minimale nel caso di specie.

3.2 La riduzione ex art. 12 del citato decreto andava comunque operata sulla base del comma 3, essendo dimostrate entrambe le condizioni del risarcimento integrale dei danni a tutte le parti e della eliminazione delle conseguenze pericolose adottando un idoneo modello organizzativo.

3.3 Quanto alla confisca, l'azienda non avrebbe conseguito alcun accrescimento patrimoniale riconducibile alle violazioni contestate.

La misura sarebbe inoltre errata nel quantum ; quanto all'infortunio F., (Euro 340.125,00), la quantificazione sarebbe macroscopicamente erronea perché tale importo non riguarderebbe le spese di messa in sicurezza per lo svolgimento della manutenzione ma voci diverse (errata posa pannelli fotovoltaici, danneggiamento guaina bituminosa), profili estranei al caso de quo.

Quanto all'infortunio C., l'unico profilo di colpa sarebbe inerente allo stoccaggio del materiale e anche in questo caso le ulteriori voci non riguarderebbero affatto la messa in sicurezza del magazzino.

La difesa del P. chiedeva pertanto l'assoluzione; in subordine, ritenute le circostanze generiche prevalenti e l'attenuante ex art. 62 n. 6 c.p., la riduzione della pena al minimo.

Infine la rideterminazione della sanzione pecuniaria al minimo e la revoca della confisca ovvero la sua rideterminazione.

La difesa faceva altresì pervenire note di udienza con allegati.

Avverso la suddetta sentenza il difensore di P.M.D. proponeva appello per i seguenti motivi Primo motivo L'appellante contesta la ricostruzione della dinamica del sinistro poiché il Gup avrebbe dovuto valorizzare meglio la ricostruzione fornita dall'unico testimone oculare, C. lonel. '

In realtà se il predetto, insieme al P., avessero concordato una versione di comodo nel lasso intercorso sino all'arrivo dei soccorsi, ben avrebbero potuto allontanare completamente il muletto (rimasto invece all'ingresso del capannone posizionandolo dalla parte opposta), in prossimità del camion sul quale i sacchi avrebbero dovuti essere caricati, salvo poi sostenere che ivi si trovavano entrambi, così ascrivendo l'intera responsabilità al C..

Invece nulla di tutto ciò avrebbero fatto; anzi, il racconto del C. coinciderebbe pienamente non solo con i riscontri rinvenuti dai primi soccorritori, ma anche con le risultanze ricavabili dalla consulenza peritale redatta dalla difesa dell'imputato P..

Dalle deposizioni del teste C. e dell'imputato emergerebbe che C. era intento ad imbancare dei pacchi a terra mentre P. guidava il secondo muletto e sarebbe stato proprio lui ad allertare l'infortunato gridando: "D. attento".

La sentenza avrebbe invece erroneamente ricostruito la dinamica, in particolare quanto alla posizione dei muletti.

Il Gup riteneva infatti che "il muletto B si trovava nella direzione della caduta del pacco ove era stato rinvenuto; non poteva dirsi con certezza chi guidasse il muletto B mentre che il muletto C fosse guidato dal P. nel momento in cui egli ha provveduto all'estrazione del pacco 5 sarebbe dimostrato dalla sua stessa ammissione".

Tali rilievi sono contestati dall'appellante.

Intanto gli operai G. non avrebbero avuto il tempo di modificare lo stato dei luoghi perché l'incidente sarebbe accaduto alle 13.30 e gli altri colleghi in soccorso i soccorsi sarebbero arrivati alle 13.39.

Inoltre plurimi elementi deporrebbero nel senso che alla guida vi fosse proprio il C..

La ricostruzione corretta sarebbe quella fornita dall'ing. Santese, come peraltro già esposto in relazione all'appello P..

Verosimilmente il C., da mulettista esperto quale era, si sarebbe reso subito conto che per proseguire le operazioni di sgombero era necessario asportare ì pacchi 2 bis e 5, che il 5 non poteva essere spostato a forza e che il 2 bis non poteva essere inforcato in alcun modo.

Questo perché dalla parte del lato lungo del magazzino lo stesso pacco impediva l'inforcamento completo del pacco 2 bis e dalla parte del lato cotto l'inforcamento del 2 bis sarebbe stato comunque impossibile o quantomeno precario per la presenza del bancale ostacolo (bancale con rotoli).

Pertanto, la manovra corretta sarebbe stata proprio quella di prelevare e asportare il pacco ostacolo, così da creare lo spazio di manovra necessario.

Tale omissione avrebbe costituito il primo errore di valutazione da parte del C..

Il C. avrebbe valutato di avvicinarsi, a forche scariche, al pacco 5 avendo una direzione di marcia parallela al muro lungo del capannone, accostandosi il più possibile al pacco 4 che era ancora presente.

In prossimità del pacco 5 avrebbe alzato le forche per farle passare al di sopra dello stesso pacco 5 sino ad inforcare , solo in punta e solo per pochi centimetri, il bancale in legno del pacco 2 bis.

Nel frattempo l'imputato si sarebbe avvicinato al pacco 5, inforcando malamente il bancale in legno sino a provocare la rottura del distanziatore.

A quel punto il C., con le punte delle forche del muletto B da lui guidato, avrebbe sollevato l'estremità del bancale del pacco 2 bis quel tanto che bastava per svincolare il sottostante bancale 5 su cui il pacco 2 bis poggiava solo per 23 cm, sicché esso sarebbe stato agevolmente sfilato dal P..

E' probabile che dopo l'estrazione il C. abbia commesso un altro errore di valutazione; essendosi accorto che non avrebbe potuto caricare e spostare facilmente il pacco 2 bis in ragione della presenza dei retrostanti ostacoli, avrebbe deciso di appoggiare nuovamente il pacco 2 bis sul sottostante pacco 2, sebbene in assenza del pacco 5 che nel frattempo era stato sfilato.

In effetti, ben 100 cm dei 120 disponibili su quel lato del bancale del pacco 2 bis appoggiavano sul sottostante pacco 2 e pertanto al C. saranno sembrati sufficienti per valutare che il predetto pacco 2 bis potesse rimanere in equilibrio.

Pertanto avrebbe deciso di lasciare tutto come era, spostando il muletto B (e probabilmente passando sui retro del muletto C dell'imputato, come dallo stesso dichiarato, per portarlo poi nella posizione dove è stato trovato.

Una volta estratto il pacco 5 ed una volta che il muletto C aveva effettuato la retromarcia e la svolta destrorsa per portarsi lungo la direzione di uscita, il C. avrebbe portato il muletto B di fronte al pacco 4, aggirando il muletto C (operazione possibile come da simulazione).

Sceso dal muletto, la sua intenzione era quella di fare spazio nella zona di manovra; tuttavia, anziché lasciare il muletto B nella posizione in cui era e con le forche alte a sostegno del pacco 2 bis, cosi lavorando in sicurezza, valutando che tale pacco potesse restare in equilibrio, avrebbe pensato di spostare il muletto perché gli sarebbe sentito per movimentare immediatamente dopo il bancale con i pacchi gialli.

Nel mentre, il pacco 2 bis perdeva l'equilibrio e gli rovinava addosso, non essendo l'altezza delle forche tale da poterlo proteggere o non essendo la posizione del muletto tale da poter intercettare la caduta del pacco.

La sentenza avrebbe errato nel ritenere tale ricostruzione non verosimile.

Il Gup ha affermato infatti che il C. non avrebbe mai potuto riappoggiare un pacco che in parte appoggiava su un altro poi estratto, ben sapendo che una parte della base di appoggio era nel frattempo stata estratta.

Invece, secondo l'appellante, una volta rimosso il pacco 5, il 2 bis poteva ancora contare su un'ampia base di appoggio pari a 100 cm sul sottostante pacco 2.

Il Giudice riteneva che se il campo di azione fosse intralciato tanto da indurre il C. a scendere dal muletto per sgombrarlo, non si capirebbe come poco prima, nelle medesime condizioni, potessero operare all'unisono ben due muletti.

Sul punto l'appellante ne afferma la fattibilità alla luce della ctp dell'ing. Santese.

Il Gup afferma che l'imputato non avrebbe mai fatto cenno a tale dinamica.

L'appellante invece eccepisce come lo stesso non sia mai stato ritenuto credibile dal Gup.

Secondo il Giudicante, la non realizzabilità della manovra sarebbe dimostrata dalle stesse immagini della prova del Santese che infatti dovette essere interrotta per evitare la caduta immediata del pacco 2 bis . In realtà, osserva l'appellante, la prova aveva il solo scopo di dimostrare la fattibilità della manovra tra i due muletti.

Una volta dimostrato che il pacco 5 poteva essere agevolmente estratto, non era più necessario ultimare l'estrazione completa del pacco 5 perché a quel punto era evidente che il muletto c (con il carico del pacco 5 sulle forche) non aveva alcuna difficoltà a completare la sua manovra di retromarcia.

Pertanto l'estrazione del pacco 5 mediante l'operazione sinergica dei muletti b e c era concretamente fattibile, nonché l'unica aderente alle risultanze istruttorie.

Inoltre il C. era caposquadra, esperto, talché sarebbe ragionevole ritenere che egli fosse parte attiva nelle delicate operazioni di estrazione dei pacchi.

L'ipotesi della simultanea operatività dei mezzi e dunque l'intervento attivo del C. sarebbe coerente con i luoghi, con il ruolo e con il lavoro svolto.

L'incidente sarebbe pertanto riconducibile ad un errore di valutazione dell'infortunato: dopo aver coadiuvato l'imputato nell'estrarre il pacco 5 sollevando con le forche il pacco 2 bis, avrebbe riappoggiato quest'ultimo sul pacco 2.

Nell'erronea convinzione che il pacco 2 bis - nonostante la sopravvenuta mancanza della base di appoggio di 20 cm costituita dal pacco 5- potesse permanere in equilibrio - sarebbe sceso dal muletto nella zona adiacente allo stivaggio, commettendo un errore risultato fatale.

La ricostruzione del et della difesa P. sarebbe quindi la più attendibile perché l'estrazione del pacco 5 mediante l'operazione sinergica dei muletti B e C era concretamente fattibile, nonché l'unica modalità inerente alle risultanze istruttorie (dichiarazioni rese dagli operai G., posizione dei muletti così come rinvenuta dai soccorritori, condizioni del pacco 5 rinvenuto integro e con il cellophane di rivestimento perfettamente intatto).

Inoltre il C. ricopriva il ruolo di caposquadra e sarebbe ragionevole ritenere che egli fosse parte attiva nelle delicate operazioni di estrazione dei pacchi.

I muletti avrebbero quindi agito simultaneamente.

L'infortunio sarebbe addebitabile esclusivamente ad un errore di valutazione dell'infortunato il quale, dopo aver coadiuvato il P. nell'estrarre il pacco 5 sollevando con le forche il pacco 2 bis, avrebbe riappoggiato quest'ultimo sul pacco 2.

Nell'erronea convinzione che il pacco 2 bis potesse permanere in equilibrio, sarebbe sceso dal muletto nella zona adiacente allo stivaggio per poi venire travolto dal pacco.

Chiedeva pertanto l'assoluzione perché il fatto non sussiste o quanto meno perché l'imputato non lo ha commesso o con qualunque altra formula.

Perveniva altresì una memoria difensiva nell'interesse della P. con motivi nuovi.

Oltre a ribadire che la mancanza del modello organizzativo prescritto dall'art. 6 del D.Lgs. n. 231 del 2001 non poteva implicare un automatico addebito di responsabilità, la sentenza non avrebbe dato conto della esistenza di una colpa da organizzazione, profilo nettamente distinto dagli obblighi regolati dal D.Lgs. n. 81 del 2008 a carico dei garanti della sicurezza lavorativa..

Con riferimento all'infortunio F., nessun intervento di organizzazione generale di sicurezza avrebbe potuto impedire l'evento, date le già presenti prescrizioni aziendali (divieto assoluto di salire sui tetti, utilizzo di PLE più adeguate , prescrizione di utilizzare i DPI, divieto di uscire dal cestello una volta che il braccio meccanico avesse proiettato il lavoratore in altezza).

Ad analoghe conclusioni si doveva giungere anche per il secondo infortunio ; la scelta di impilare i pacchi sovrapponendoli l'uno all'altro sarebbe ben lontana dall'essere espressione di colpa organizzativa.

Quanto al profitto confiscabile , il Gup avrebbe omesso di considerare i costi sostenuti dall'ente per adempier le prescrizioni impartite dall'organo di vigilanza, per adottare il MOG e per risarcire integralmente il danno.

Il notevole costo di tali interventi avrebbe eliso ogni utile teoricamente riconducibile ai reati sub (...) e (...) e pertanto la confisca, in difetto di qualunque profitto, non potrebbe trovare applicazione.

L'ammontare della confisca dovrebbe quindi essere ridotto nel corso del giudìzio per effetto di condotte riparatorie.

Chiedeva pertanto l'inapplicabilità della sanzione ex art. 19 stante l'inesistenza di qualunque profitto confiscabile a seguito delle condotte riparatorie poste in essere dall'azienda.

All'odierna udienza si procedeva secondo le forme della trattazione orale ex art. 23 bis L. n. 176 del 2020.

All'esito della camera di consiglio, la Corte deliberava sentenza, dando lettura del dispositivo alle Parti.
 

Diritto



L'appello nell'interesse di P.G. va parzialmente accolto.

Capo 1)

La prima questione attiene alla sussistenza, nel luogo del sinistro, di un "cantiere" dove era stato regolarmente nominato il coordinatore della sicurezza nella persona dell'ing. B.M..

Si sarebbe trattato quindi di una parte dell'opificio non attiva a fini produttivi.

Tale circostanza è stata confermata anche in sentenza con la precisazione che, all'interno dello stesso, operavano sia personale della P. che di altre imprese (quali M. o E.). '

Come può evincersi dall'indagine Spresal del 19.1,2018. nel reparto Cold 03, appunto non operativo in quanto cantierizzato e in fase di ripristino in seguito ad un incendio verificatosi il 13.7.2016, era già stato eseguito il ripristino delle strutture, compresa la sostituzione ammalorata dall'incendio, con sostituzione delle lastre in fibrocemento e delle lamiere del controsoffitto costituenti la copertura del capannone.

Da circa un mese era in corso l'installazione del laminatoio nuovo e dei nuovi reparti tecnologici a servizio dell'impianto.

Il M. (capo reparto Cold03), essendosi accorto di infiltrazioni d'acqua nella sala quadri elettrici e anche lungo i pilastri che sorreggevano la porzione di copertura del Cold03 che sovrastava il laminatoio, aveva avvertito il R. (responsabile del reparto manutenzioni).

Il R., dopo un sopralluogo, aveva deciso di mandare la squadra dei manutentori composta da D.V. (M.) e dal F. (P. spa) per trovare i punti d'acqua e sigillarli con il silicone.

I due manutentori il 9.3.2017 si recavano nel Cold03 e venivano informati da M. e C. sul lavoro da svolgere.

I punti interessati erano due, uno relativo al locale nuovo appena realizzato, dove stavano installando i quadri elettrici e l'altro nella parte di copertura sopra il laminatoio dove erano visibili le gocce d'acqua.

In mattinata ì due avrebbero sistemato le infiltrazioni nel locale quadri elettrici.

Dopo la pausa pranzo avrebbero provato a raggiungere la copertura più alta sopra il Cold03 come indicato loro dal M..

Dato che la piattaforma non era sufficiente, ì due raggiungevano la quota più alta e il F. si staccava dall'ancoraggio presente sulla piattaforma, scendeva dalla stessa , percorreva la copertura , iniziava a siliconare.

Il calpestio causava il cedimento di una lastra che si spezzava, facendo precipitare l'operaio da un'altezza di metri 12.

Dal sopralluogo emergeva che nessun apprestamento di sicurezza era presente (passerelle, andatoie...); per superare le campate e raggiungere la porzione di copertura interessata risultava obbligato il passaggio sopra le lastre stesse; vi era solo una scala marinara e un parapetto prossimo alla scala, null'altro.

In quello stesso giorno sulle stesse coperture era presente la ditta E. srl impegnata nella posa dei cavi in fibra ottica.

M.M., titolare della E., dichiarava di essere salito dalla scala marinara trovata aperta e di aver percorso la copertura dello stabile Area Roll 03 per passare i cavi fino a raggiungere la parte più bassa, dopo aver ricevuto indicazioni sul lavoro da svolgere da D.R.A. (referente della P. spa), precisando che non vi erano parapetti o ancoraggi e che non aveva mai utilizzato piattaforme.

Da tale indagine era quindi emerso sì che l'area dell'infortunio era cantierata, ma che all'interno vi lavoravano varie ditte e che la P. vi aveva mandato una squadra di manutentori (l'uno dipendente, l'altro di altra ditta esterna) per eseguire i suddetti lavori.

Non può quindi dubitarsi che l'intervento prescritto al F. fosse stato prescritto dal R. quale capo manutentore P. e che non vi fosse stato alcun coordinamento con il B..

Quest'ultimo (coordinatore in fase di progettazione ed esecuzione dei lavori relativi al cantiere nell'area ROLL 03 interessato dall'incendio del luglio 2016), ha infatti dichiarato di non essere stato avvertito che il 9.3.2017 vi fossero lavori di manutenzione per infiltrazioni di acqua, precisando che "questo tipo dì intervento manutentivo non rientra nei lavori di cantiere".

Lo stesso R. (responsabile manutenzione) ha precisato che il suo diretto referente apicale era il P. e che lui gestiva le squadre di manutenzione meccanica, elettrica e di carpenteria.

"Gli elettrici sono un'azienda esterna mentre i meccanici sono della M. srl che un'azienda del gruppo e il titolare credo sia sempre il P... ,i carpentieri sono squadre promiscue perché formate da operai P. e M.. ..a me hanno dato il personale da utilizzare e non mi sono chiesto contrattualmente come siano inquadrati.. .in base alla necessità aziendale e delle problematiche contingenti alla manutenzione dell'azienda sono io che decido che squadra mandare".

Era quindi lui che decìdeva la squadra da mandare a seconda delle esigenze, utilizzando anche i dipendenti delle altre aziende presenti all'interno della P..

Fu lui stesso, una volta appreso dal M. delle infiltrazioni, a mandare la squadra composta dal F. e dal D.V..

Si è quindi trattato di una iniziativa presa all'interno della P. da parte dei responsabili del reparto dove si trovava la copertura da riparare (C.S. e M.R.), i quali indicarono a D.V. e a F. i punti dove c'erano le infiltrazioni.

Lo stesso M., capo reparto laminazione Cold, ha precisato:"...ad oggi il reparto è in fase di ripristino dopo l'incendio del 13.7.2016 e quindi è ancora in fase di cantiere; il ripristino strutturale è terminato da circa un mese ed ora si sta svolgendo l'installazione del laminatoio e dei reparti tecnologici a servizio dell'impianto... .in questo momento io con alcuni operai P. diamo assistenza e supporto alle ditte che stanno svolgendo opere di impiantistica all'interno del cantiere..

Quindi maestranze P. intervenivano per supportare le ditte impegnate nel cantiere sia nella parte più bassa che in quella vecchia più alta, adiacente.

Pertanto il B. venne completamente "bypassato", come anche riferito dal M. fi non posso confermare che il 9.3.2017 B. sapesse che c'erano i manutentori per la sistemazione delle perdite d'acqua lungo le pareti dei fabbricati" (vedi sit 13.3.2017 aff. 449).

Del resto nemmeno il responsabile di una ditta esterna (M.M.) ebbe modo di parlare con il coordinatore prima di salire sul capannone, come meglio in seguito.

Infine, i lavori di manutenzione per cui è processo non rientravano tra i lavori di cantiere.

Non può condividersi l'assunto difensivo secondo cui il P., avendo pienamente ottemperato alla normativa di cui al titolo IV del D.Lgs. n. 81 del 2008 sia con la nomina del coordinatore per la progettazione e l'esecuzione, sia con la redazione del Duvri con l'impresa G. (che avrebbe provveduto alle lavorazioni di ripristino del Cold03), poteva ritenersi esente da responsabilità quale committente dei lavori di cantiere.

Pur essendo acclarato che, in quel periodo, il capannone non era un opificio produttivo poiché era interessato dai lavori di risanamento in seguito ai danni provocati dall'incendio, la responsabilità del P. quale datore di lavoro non appare essere venuta meno.

E' noto, peraltro, che:"In tema di infortuni sul lavoro, l'area di rìschio governata dal coordinatore per la sicurezza nell'esecuzione dei lavori si individua in base all'area di intervento di tale garante, per come definita, ai sensi dell'allegato XV al D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, dal piano di sicurezza e coordinamento, che comprende, oltre ai rìschi connessi all'area di cantiere e all'organizzazione di cantiere, anche i rischi interferenziali connessi alle lavorazioni (cd. rischi generici), tra i quali non rientrano i rischi specifici propri dell'attività della singola impresa, di competenza del datore di lavoro, in quanto non inerenti all'interferenza fra le opere di più imprese. Cass.Sez. 4 - , Sentenza n. 14179 del 10/12/2020 Ud. (dep. 15/04/2021 ) Rv. 281014 - 01.

La ratio della norma è quella di obbligare il datore di lavoro ad organizzare la prevenzione dei rischi interferenziali attivando percorsi condivisi di informazione e cooperazione nonché soluzioni comuni di problematiche complesse" (Sez. 4, n. 9167 del 01/02/2018, Verity James e altro, Rv. 273257).

"Per distinguere, dunque, fra l'area di rischio governata dal C.S.E. e quella di competenza del datore di lavoro -o dei soggetti da lui delegati-può farsi ricorso, secondo l'elaborazione giurisprudenziale, all'ambito di intervento del C.S.E come delineato, ai sensi del disposto dell'allegato XV, dal piano di sicurezza e coordinamento, che ne determina le aree estendendole: ai rìschi connessi all'area di cantiere punto 2.2.1.); rìschi connessi all'organizzazione del cantiere (punto 2.2.2.); ai rìschi connessi alle lavorazioni, nei quali sono compresi i rìschi da interferenze punto 2.2.3.). Sono, quindi, esclusi i rìschi specifici propri' dell'attività di impresa. Il concetto di rischio specifico del datore di lavoro è, infatti, legato "alle competenze settoriali di natura tecnica, alla conoscenza delle procedure da adottare nelle singole lavorazioni o all'utilizzazione di speciali tecniche o nell'uso di determinate macchine" generalmente mancante in chi opera in settori diversi (Sez.4 n. 31296 del 17/05/2005 - dep. 19/08/2005, M., in motivazione e con riferimento ai disposto dell'art. 7 comma 3 u.p, D.Lgs. n. 626 del 1994,; cfr. anche Sez. 4, n. 14440 del 05/03/2009 - dep. 02/04/2009, P.C., F. e altri, Rv. 243882).

Pertanto, il rìschio del datore di lavoro è un rischio connesso alle competenze sue proprie in relazione al settore dì appartenenza, come si evince dalle stesse parole del legislatore che già con l'art. 7, comma 3 D.Lgs. n. 626 del 1994 ed ora con l'art. 26, D.Lgs. n. 81 del 2008 che nel delimitare il rischio interferenziale ne ha escluso l'estensione "ai rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrìci o dei singoli lavoratori autonomi" (art. 7 cit., comma 3 u.p. ed art. 26, comma 3 cit.).

In altri termini;" rischio specifico del datore di lavoro è il negativo di quello affidato alle cure del coordinatore per la sicurezza" (cfr. Sez, 4, n. 3288 del 27/09/2016, B. e altro, in motivazione), in qualche modo individuando 'a contrario' il contenuto del rìschio specìfico, rispetto a quello generico, che inerisce solo all'interferenza fra attività lavorative facenti capo ad imprese e soggetti diversi che operano nello stesso spazio lavorativo (committente ed appaltatore o imprese diverse che svolgano la loro attività nel medesimo luogo, cantiere o sede aziendale".

Se, dunque, in tali termini va perimetrato il confine tra rischi propri del datore di lavoro e area dì rischio di competenza del coordinatore, può osservarsi come, nel caso di specie, il lavoro commissionato all'infortunato (andare a controllare le infiltrazioni presenti sia nella struttura nuova della sala quadri che nel reparto laminatoio Cold 03, come precisato dal R., ed eliminarle siliconando i punti interessati, su ordine impartito dallo stesso R.), non rientrava tra i compiti affidati alla G. bensì nella competenza propria della P. che aveva un apposito settore addetto alla manutenzione (del quale il R. era responsabile) e che aveva inviato proprio due suoi dipendenti, tra cui l'operaio deceduto.

Sul punto si veda quanto dichiarato da D.E. (operaio addetto alla finitura nastri, come meglio in seguito), a proposito del fatto che la procedura aziendale prevedeva che per gli interventi di manutenzione il preposto al reparto richiedesse l'intervento della squadra a ciò preposta.

Inoltre, come precisato da F.M. (Responsabile del Servizio dì prevenzione e protezione della P.), il R. (responsabile della gestione operativa e organizzativa del personale addetto alla manutenzione), non aveva qualifica dirigenziale , non aveva formazione quale preposto e non risultavano deleghe da parte del P..

Ne deriva quindi che la natura del rischio era propria del datore di lavoro, non del coordinatore.

Dall'indagine del Servizio prevenzione e sicurezza Ambienti di lavoro era quindi emerso, in merito all'infortunio F., la completa mancanza di misure e apprestamenti di sicurezza in riferimento al rischio di caduta nel vuoto.

Nello specifico la copertura era sprovvista di sistemi di accesso alla sommità e, una volta in quota, non erano installati misure di protezione collettiva tipo parapetti o parabordi ovvero camminamenti, passerelle, andatoie pedonabili al fine di garantire la sicurezza dei lavoratori che vi dovevano accedere.

Erano altresì assenti sistemi anticaduta per dispositivi di protezione individuale quali Enea vite o analoghi sistemi di ancoraggio idonei al mantenimento in quota del lavoratore.

Eppure vi erano sulle coperture impianti fotovoltaici e camini per emissioni in atmosfera che necessitavano, così come le lastre di fibrocemento, di manutenzione e che non erano raggiungibili con le piattaforme (vedi relazione Spresal del 19.1.2018).

Nel documento di valutazione dei rischi della P. spa del 15.6.2016 , come fattore di pericolo, erano indicati "sopraelevati, tetti e strutture' ed era stato stabilito che "l'accesso ai tetti non era consentito a personale P. ma solo a ditte esterne con personale qualificato e addestrato".

Tuttavia, a fronte di tale prescrizione, non erano state elaborate soluzioni alternative da attuare quando vi fosse la necessità, come nel caso di specie, di salire sulle coperture (come da relazione Spresal del 19.1.2018).

Inoltre tale divieto veniva regolarmente disatteso, come riferito da alcuni testi (M., D., B.).

Sul punto l'appellante contesta l'assunto di una prassi contra legem instauratasi con il consenso dei soggetti preposti alla vigilanza.

Eppure il teste M.M. (titolare della ditta E. srl che operò all'interno della P. quale manutentore elettrico e si occupò del ripristino dell'illuminazione interne del fabbricato e, in seguito, della installazione delle fibre ottiche in virtù di un contratto aperto con la società ), ha così descritto gli accessi alla copertura del Roll03 effettuati il 7 e 1'8.3.2017.

"Siamo saliti sulla copertura del Roll 03 passando dalla scala dell'impianto fotovoltaico ...la scala aveva già l'accesso aperto e non sono stato accompagnato da nessuno, ma io e il mio operaio ti siamo andati direttamente senza. interfacciarmi con nessuno.. .una volta saliti non c'erano ancoraggi o linee vita sulle coperture ma c'era un passaggio di circa 50 cm in cemento con rialzo di circa 20/30 cm....non c'erano i parapetti sul bordo del capannone.. .abbiamo svolto il nostro lavoro da sopra la copertura e non abbiamo chiesto a nessuno la piattaforma elevabile.. .non ho mai parlato con il coordinatore in fase di esecuzione del cantiere per il lavoro da svolgere... altre volte mi era capitato di salire sulle coperture, prima che installassero gli impianti fotovoltaici" (vedi sit del 15.3.2017).

Sul punto l'appellante eccepisce che le fibre ottiche andavano installate lungo il cornicione, quindi ben potevano essere installate con la piattaforma elevabile senza scendere sulla copertura, talché la scelta di non utilizzare la PLE non poteva essere addebitata la legale rappresentante della P..

Tuttavia il narrato del M. è indicativo del fatto che l'accesso al tetto del capannone era possibile tramite la scala dell'impianto fotovoltaico che si presentava con l'accesso aperto, senza alcun presidio.

Inoltre che fu possibile svolgere il lavoro "da sopra la copertura" e che non era la prima volta.

Il fatto che l'impresa dovesse operare solo sui cornicioni (come asserito dall'appellante) non annullava certo il rischio che si andasse a calpestare la copertura dato che, in assenza di ancoraggi o parapetti, l'unico spazio per il calpestio era di soli 50 cm.

Anche D.E. (operaio P. addetto alla finitura nastri da 12 anni, e che aveva lavorato anche un anno presso il reparto Cold03 come assistente al laminatoio) ha dichiarato di aver visto "squadre di manutentori, chiamati dai preposti del reparto, salire sulle coperture.. .ho visto persone salire con la piattaforma e dopo la piattaforma vuota, quindi le persone sono scese dalla piattaforma per andare sulla copertura... ho sempre visto le persone che lavorano sulla copertura che raggiungevano la quota di lavoro con le piattaforme elevabili.. .ho visto durante la posa in opera del fotovoltaico e poi dopo operai salire in quota sulle coperture, tra questi quelli della manutenzione interna della P. spa. (vedi sit 18.4.2017).

Nello stesso senso anche un altro operaio di vecchia data, B.F. (impiegato tecnico P. dal 1999 con qualifica di Responsabile qualità aziendale) il quale ha precisato che "è presente una procedura che prevede al capo reparto di attivare la manutenzione in presenza di guasti o difetti su macchine o strutture") e "in passato ho visto persone che lavoravano sopra le coperture...ho visto qualche volta i manutentori o ditte esterne operare sopra le coperture" (vedi sti del 18.4.2017).

Anche altri testi (P.A., V.S., B.Y., addetti al laboratorio esterno di analisi chimiche A. srl che effettuavano a chiamata i relativi controlli) hanno confermato tali circostanze e il fatto che nessuno della P. avesse mai avvertito che era vietato salire sulle coperture.

L'appellante afferma che sia il D. che il B., responsabili entrambi dei lavoratori per la sicurezza, non avrebbero mai riferito o comunicato a taluno, tantomeno al P., il sistematico aggiramento del divieto stabilito nel DVR.

Inoltre le loro generiche affermazioni sarebbero state smentite dalle dichiarazioni rese dal C., titolare della G. il quale ha dichiarato di essere stato informato dalla P. del divieto dì salire sulle coperture.

Tale circostanza non appare idonea ad inficiare quanto riferito da due operai che avevano vissuto già da parecchi anni la vita aziendale e che hanno in realtà riferito i fatti in modo abbastanza circostanziato.

Del resto si è già detto della inidoneità di un mero divieto di salire sulla copertura in assenza di soluzioni alternative quando, invece, era necessario farlo (si pensi, ad esempio, alla necessità di raggiungere i punti di prelievo che si trovavano al centro delle coperture , raggìungibili solo a piedi, per i tecnici del laboratorio analisi A. srl (vedi sit rese da B.Y.).

Se, pertanto, appare più che concreta l'ipotesi di una prassi contra legem nota e tollerata dall'azienda, va ricordato che:" In tema di prevenzione dì infortuni sul lavoro, il datore dì lavoro deve vigilare per impedire l'instauratone di prassi "cantra legem" foriere di pericoli per i lavoratori, con la conseguenza che, ove si verifichi un incidente in conseguenza dì una tale prassi instauratasi con il consenso del preposto, l'ignoranza del datore di lavoro non vale ad escluderne la colpa, integrando essa stessa la colpa per l'omessa vigilanza sul comportamento del preposto.(Cass. Sez. 4 - , Sentenza n. 20092 del 19/01/2021 Ud. (dep. 20/05/2021 ) Rv. 281174 - 01

3-In merito all'incarico impartito dal R., l'appellante contesta l'assunto secondo cui il predetto non avrebbe adeguatamente informato i due manutentori circa il lavoro da svolgere e le modalità da seguire.

Afferma l'appellante che la sera prima R. avrebbe verbalmente incaricato i due di svolgere manutenzioni non sul tetto del Cold03 ma sull'adiacente locale quadri elettrici, appena costruito e più basso, mediante l'utilizzo di una piattaforma elevabile per la quale i due erano formati e abilitati.

Il R. ha infatti dichiarato dì aver visto "una infiltratone nella struttura nuova della sala quadri e M.R. in precedenza mi aveva fatto vedere pozzanghere a terra nel reparto laminatoio Cold03.. .avuta, notizia il giorno 8.3.2017 ho chiamato F. e D.V. per avvertirli che il giorno dopo dovevano andare al Cold 03 per vedere dove erano le perdite e quindi dove eseguire ì lavori....al ColdO3 i referenti sono M.R. e C.S...." (vedi sit 11.3.2017, aff. 455).

Tuttavia il D.V. ha precisato che: "Quando R. ci ha dato l'ordine di andare a controllare le infiltrazioni, non ci ha dato alcuna procedura scritta o indicazione operativa su come svolgere il lavoro ma ci ha detto di parlare con M. e C. che sono ì responsabili del reparto dove dovevamo lavorare...il mattino del 9.3.2017 il lavoro è stato organizzato verbalmente con C. e M.. ..ci hanno portato nei punti dove la struttura aveva infiltrazioni. ..erano due strutture, una più bassa e una più alta dietro" (vedi sit 10.3.2017).

Quindi, contrariamente a quanto affermato dall'appellante, il lavoro doveva essere effettuato non solo nella struttura nuova, più bassa, ma anche sul tetto del Cold 03, cioè nella struttura più alta, tanto che ai due operai venne fornita una PLE che probabilmente, secondo il D.V., era quella con il braccio più lungo in azienda.

Inoltre il M. ha confermato che:" il giorno 8.3.2017 ci siamo accorti di infiltrazioni di acqua nella sala quadri e nelle settimane precedenti c'erano state anche infiltrazioni lungo i pilastri che sostengono la copertura del Cold03, luogo dove è avvenuto l'incidente... .ho chiamato R. il quale è venuto a vedere il giorno 8.3.2017... in quel frangente gli ho detto che si doveva fare manutenzione sia nella sala quadri elettrici che sulla copertura dei pilastri del Cold03 nella parte della parete nuova".

Pertanto i due manutentori vennero inviati dal R. sul Cold03 per vedere dove erano le perdite e intervenire.

Il R. non diede loro alcuna indicazione operativa su come svolgere il lavoro; il 9.3.2017 il lavoro venne organizzato verbalmente con C. e M. i quali li condussero nei punti dove c'erano le infiltrazioni:''. ...erano due strutture una più bassa e una più alta dietro", mettendo a loro disposizione la PLE con il braccio più lungo, (vedi D.V., sit del 10.3.2017, aff. 445).

Non sembra quindi possibile affermare che il R. diede incarico ai manutentori di intervenire solo sul tetto del locale quadri elettrici con la piattaforma esistente in azienda.

Il M. aveva infatti mostrato al R. che vi erano infiltrazioni sia nella sala quadri elettrici che lungo i pilastri di copertura del Cold03, luogo dove avvenne l'incidente; il R. diede l'ordine di andare a controllare le infiltrazioni e di andare a parlare con i referenti M. e C..

M. e C. condussero i manutentori appunto nei luoghi dove già il M. aveva condotto il R. 1'8.3.2017; quest'ultimo pertanto conosceva le problematiche e lo stato dei luoghi e non diede indicazioni particolari.

Lo stesso M. ha poi precisato che, dopo la consegna della PLE, non seguì più il lavoro degli operai e non vide come lo stessero svolgendo, non ricordando nemmeno se il R. fosse presente in cantiere quei giorno.

4 In merito alla mancata formazione del R., l'appellante afferma che il predetto non avrebbe mai dato incarico di intervenire sul Cold03, né avrebbe mai saputo dal M. che quell'intervento sarebbe stato fatto.

Le superiori emergenze dimostrano, tuttavia, il contrario.

Del resto è lo stesso F.M., responsabile del servizio di prevenzione e protezione, a precisare che "l'azienda non ha predisposto l'attuazione della formazione specifica e generale, come previsto dall'accordo Stato/Regioni del 2012, per tutto il personale impiegatizio tra il quale rientra D.R. atti ... R. non ha la formazione quale preposto così come previsto dalla vigente nonnativa in materia di sicurezza e salute" (vedi sit 17.3.2017).

Egli quindi non aveva la formazione prevista dall'art. 37 del D.Lgs. n. 81 del 2008.

5-In merito ai limiti delia responsabilità penale del P. quale legale rappresentante di società di grandi dimensioni, possono ribadirsi le medesime argomentazioni in tema di inidoneità del divieto, di natura del rìschio (proprio del datore di lavoro e non del coordinatore), di assenza di delega al preposto, di tolleranza dì una pratica contra legem, di assenza delle necessarie misure di prevenzione del rischio di caduta dall'alto.

6 L'appellante afferma che, in base al giudizio contro fattuale, la presenza di parapetti e scale sarebbe stata del tutto ininfluente, mentre la Asur non ha ritenuto di prescrivere altro che degli anelli di ancoraggio alle travi in cemento sulle quali poggiavano le lastre di fibrocemento, la cui rottura ha causato la caduta dell'operaio nel vuoto.

Afferma inoltre che il nesso casuale sarebbe stato interrotto proprio dalla condotta abnorme dell'operaio.

Orbene , appare agevole affermare che se il lavoratore avesse potuto assicurarsi ad un adeguato punto di ancoraggio, con alta probabilità logica e sulla base di un giudizio controfattuale dotato di elevata credibilità razionale, l'evento non si sarebbe verificato (Cass. Sez. 4 - , Sentenza n. 30229 del 11/05/2021 Ud. (dep. 03/08/2021 ) Rv. 282378 -01).

Tale presidio appariva infatti idoneo ad evitare l'evento in tutti i casi in cui si fosse dovuta raggiungere la sommità o il centro della copertura dove non era appunto possibile arrivare, ad esempio, con una PLE, come nel caso di specie.

Non solo ma, come evidenziato dal funzionario Spresal nella relazione del 21.3.2018, per raggiungere gli impianti fotovoltaici presenti sulle coperture (per la manutenzione quantomeno annuale, come richiesto dalla casa costruttrice) era necessario il raggiungimento delle postazioni sulle coperture e il relativo camminamento su di esse e che"l'utilizzo della PLE era giustificato solo per quelle operazioni che prevedono ispezioni visive, interventi sul perimetro della copertura o nel raggio di azione del cestello che non richiedono la discesa sulla copertura1'.

Quanto all'asserita abnormità della condotta del lavoratore, è noto che:"In tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad esclude: e il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, é necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sìa tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla fera di rìschio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia. Cass. Sez. 4 -, Sentenza n. 7012 del 23/11/2022 Ud. (dep. 20/02/2023 ) Rv. 284237 - 01.

Orbene, nel caso di specie la condotta dell'infortunato (verosimilmente non del tutto isolata o eccentrica per le ragioni già dette a proposito della frequente violazione del divieto di salire sulle coperture), non sembra possa essere stata idonea ad interrompere il nesso di casualità.

Piuttosto, come correttamente affermato in sentenza, il F., non adeguatamente informato circa le modalità del lavoro da svolgere e con l'obiettivo di effettuare il lavoro prescrittogli, pur disattendendo il divieto sopra citato, si è trovato del tutto privo dei necessari sistemi di ancoraggio (come poi prescritti) e, nel calpestare una lastra, ne ha provocato il cedimento.

Non aveva peraltro ricevuto alcuna formazione su come comportarsi qualora con la Ple non fosse stato possibile raggiungere il punto dove si doveva lavorare; ai due manutentori vennero infatti solo vedere i punti interessati dalle infiltrazioni e indicato la PLe in dotazione dell"azienda, null'altro.

Il rischio assunto quindi dall'infortunato rientrava pienamente nella sfera di rischio governata dal datore di lavoro.

Capo 2) Infortunio occorso a C.R.

3-L'appellante lamenta l'erronea ricostruzione della dinamica del sinistro.

Secondo il Giudice di prime cure C. sarebbe deceduto per essere stato attinto, mentre si trovava in piedi e probabilmente con il viso rivolto verso il muro (alla luce delle ferite mortali riportate), dal pacco 2 bis che è caduto dall'altezza di 2,62 cm (pacco del peso di 400 kg impilato sopra i pacchi 2 e 5 sottostanti.

La caduta del pacco 2 bis sarebbe derivata dall'estrazione forzosa del sottostante pacco 5 (da parte del P.) che avrebbe fatto perdere equilibrio al pacco 2 bis, in parte appoggiato anche sul pacco 2 ma in modo insufficiente a creare una base stabile, una volta estratto il pacco 5.

Inoltre, sempre secondo il Giudice di prime cure:"erano a disposizione della squadra tre muletti, uno dei quali C aveva appena prelevato il pacco 5 e si stava dirigendo a posizionarlo sul camion, l'altro B si trovava nei pressi della scena dell'infortunio con le forche alte e il pacco 2 bis che aveva attìnto il C. a sormontarlo parzialmente".

Appariva infine pacifico che i soccorsi non venivano chiamati immediatamente talché, affermava il Gup, la ricostruzione dell'infortunio come effettuata dal ct della difesa non era in alcun modo ricavabile dai dati certi.

In primo luogo l'appellante contesta la ricostruzione dell'infortunio quanto alla posizione dei muletti e cioè che il muletto c, che recava ancora sulle forche il pacco 5 e che si presentava in posizione un po' defilata rispetto a luogo del sinistro, potesse essere stato spostato.

In linea con quanto affermato dal ctp ing. Santese, l'appellante contesta che gli operai possano aver avuto il tempo di "apprestare una loro versione dei fatti' e di aver potuto modificare la scena dell'infortunio, dato che l'evento sarebbe avvenuto alle 13.30 e gli altri operai P. arrivarono alle 13.39.

Tale doglianza non appare fondata.

E' infatti emerso che il C. aveva timbrato l'orario di rientro dalla pausa pranzo alle ore 12.51 e che alle ore 13,30 l'infortunio era già avvenuto.

Sul punto il teste D.C. (sit del 6.6.2017) ha dichiarato che, recatosi nel magazzino per prendere del materiale che gli serviva insieme a T.B., aveva visto un lavoratore di E. (C.E.A., responsabile della G.) , il più giovane, "che stava chiamando il datore di lavoro".

Questi gli avrebbe detto che "D. stava sotto un pacco di lana di roccia quando siamo arrivati il giovane era al telefono con il capo suo e l'altro operaio anziano ..stava vicino a D. che lo chiamava....solo al nostro arrivo abbiamo cominciato a liberare D. da sotto il pacco perché non respirava più....non so dire da quanto tempo stesse in quella posizione... abbiamo dato priorità alla liberazione di D. e subito dopo io ho chiamato L. ...alle 13.39".

Certamente, quindi, prima dell'arrivo degli altri operai passarono almeno dei minuti, intervallo durante il quale i due operai erano soli.

Molto importante sono i rilievi formulati dallo Spresal in ordine alla ricostruzione temporale: " il C. ha timbrato il rientro dalla pausa pranzo alle ore 12.51; trovandosi ad una disianza di 500 metri dal magazzino; dopo 5 minuti è salito sul camion per recarsi sul luogo di lavoro; il Valentini ha dichiarato che alle ore 12.56 il camion era privo di carico e alle 13.39, per la prima volta, sono stati allertati i soccorsi ; al momento del nostro arrivo sul camion risultavano solo due pacchi di lana di roccia ..non risulta che i due operai G., gli unici presenti in magazzino, abbiano allertato i soccorsi al momento del fatto... le procedure di soccorso sono iniziate solo dopo la venuta fortuita dei due operai P. che comunque hanno trovato l'infortunato coperto dai pacchi'.

Quindi ad avvertire il L. per la prima volta fu il D. alle ore 13.39 il quale chiamò il 118 alle ore 13,42; D. ha dichiarato dì aver visto al loro arrivo il P. (cioè l'operaio più giovane, classe 1984, mentre il C. è classe 1960) che parlava in rumeno con il capo suo.

Il fatto che dal cellulare dell'imputato non risultassero chiamate né in entrata né in uscita nell'arco dì tempo 13-13,39 (come evidenziato dalla difesa), non esclude che possa aver utilizzato un altro cellulare.

Del resto tale circostanza non è stata peraltro nemmeno negata dallo stesso P., anche se collocata dopo aver liberato il collega e dopo l'arrivo degli altri operai asseritamente attratti dalle loro grida.

Invero né T. né D. hanno dichiarato di essere stati attratti da grida.

Non è escluso, quindi, che l'incidente possa essere avvenuto anche un po' prima delle 13,30 (tale orario è stabilito dallo Spresal all'incirca), anche in considerazione del fatto che il lavoro era stato appena iniziato alle ore 12,51 (nel camion vi erano solo due pacchi all'arrivo dello Spresal).

Lo stesso C. ha dichiarato (sit 5.6.2017, aff. 82) che "dopo che il carico è caduto addosso a D. siamo subito accorsi io e M. poi abbiamo chiesto aiuto gridando ed è arrivata altra gente,.. inizialmente abbiamo liberato D. con le mani spostando i pannelli e una volta liberato il corpo lo abbiamo estratto da sotto il carico .. .mentre M. è corso a chiamare i soccorsi".

Tale dinamica non può escludere che i due abbiano potuto avere il tempo di modificare lo stato dei luoghi.

Inoltre il Gup ha ben evidenziato le difformi versioni fornite dai due operai tra di loro e, in particolare, la difforme versione fornita dal P..

Premesso che entrambi furono escussi due volte, subito dopo l'incidente e poi a distanza di poche ore, senza e con l'interprete, va evidenziato che il C., in entrambe le dichiarazioni, ha sempre confermato la stessa versione, che cioè "io ero a terra che mettevo il cellophane a due bancali...ho sentito il collega che guidava il secondo muletto che ha detto 'D. Attento".. .mi sono girato ed ho visto il bancale posizionato sopra gli altri bancali.. .che cadeva addosso a D....D. era sotto i pacchi ...completamente schiacciato a terra...".(vedi sit del 5.6.2017, h. 15.15).

Successivamente ha dichiarato:"ero al lavoro presso il capannone del magazzino edile con il collega M.. ...nello specifico stavo imballando un bancale all'improvviso ho sentito che M. gridava ad alta voce - - D. attento -, mi sono girato e alle mie spalle ho visto che un bancale .. .stava cadendo addosso a D." (vedi sit del 5.6.2017, h. 18.53 con la presenza dell'interprete).

Il P. dichiarava invece nell'immediatezza.-".. .io guidavo il muletto. ..l'infortunato guidava un altro muletto ed anche lui caricava la lana di roccia. ..io avevo fatto un carico e dovevo andare verso il camion quando ho visto l'infortunato prendere un bancale a circa due metri di altezza... non aveva preso bene il carico credo, lo ha alzato, è uscito dal muletto per guardare, credo, ed il carico gli si è rovesciato sopra" (vedi sit 5.6.2017 h. 14,30).

Successivamente.-".. .I. era addetto all'imballo con la pellicola di un bancale di lana di roccia già a terra e non completato.. .io avevo già preso un bancale sulle forche del muletto grande e lo portavo verso il camion posizionato fuori dal capannone.. .D. è passato alle mie spalle con il muletto privo di carico per andare a prendere un bancale.. ..mentre guidavo il mio muletto ho visto D. che era sceso dal muletto e che un bancale gli cadeva addosso, quindi ho gridato 'Attento'.. .secondo me D. non si era accorto che il bancale stava cadendo ... non so quale bancale volesse caricare e non so perché lui fosse sceso dal muletto ...è stato tutto talmente veloce che io non ho capito per quale motivo possa essere caduto il bancale....lo abbiamo liberato io e I., sentendo le nostre grida sono accorsi altri lavoratori" (vedi sit del 5.6.2017, ore 19,53).

Orbene, mentre il C. non ha mai dichiarato di aver visto il C. guidare un muletto ma solo di aver visto il bancale che gli cadeva addosso (ed è stato in grado di indicare con precisione il pacco caduto addosso all'operaio, identificato come 2 bis), il P. dapprima ha dichiarato che il C. non aveva preso bene il carico ("lo ha alzato, è uscito dal muletto per guardare ed il carico gli si è rovesciato sopra").

Successivamente, che proprio non aveva affatto agganciato il carico ("D. è passato dietro alle mie spalle con il muletto privo di carico per andare a prendere un bancale.. .era sceso dal muletto che un bancale gli cadeva addosso") e gli sarebbe crollato addosso.

L'appellante contesta altresì l'assunto del Gup secondo cui non sarebbe provato chi fosse alla guida del muletto B, ipotizzando implicitamente che tale mezzo fosse guidato dall'altro operaio C..

Tale ipotesi sarebbe poco credibile, mentre plurimi elementi farebbero propendere per ritenere che sul muletto b vi fosse proprio l'infortunato (circostanza peraltro riferita dal P.), anche .perchè non viene mai messo in dubbio in sentenza che C. stesse operando a terra come dallo stesso dichiarato ("stavo imballando un bancale di pannelli di lana di roccia con la pellicola trasparente").

Va tuttavia osservato che tale circostanza, cioè che alla guida del muletto b vi fosse l'infortunato, è riferita solo dal P. e non dal C., come già detto, il quale si è limitato a riferire che mentre stava lavorando a terra (ad imballare un bancale di pannelli in lana di roccia con il cellophane), udì M. (P.) che gridava ad alta voce "D. attento" e, giratosi, vide un bancale di pannelli che gli stava cadendo addosso.

Il C., pertanto, non ha mai dichiarato di aver visto il C. alla guida di un muletto, mentre la ricostruzione fornita dal P. è stata ritenuta non attendibile dallo stesso ctu alla luce delle simulazioni effettuate, come meglio in seguito.

E' inoltre emerso con certezza che il C. si trovava a terra, in posizione eretta, quando il pacco 2 bis lo travolse (pacco indicato anche dal C.), subito dopo l'estrazione del pacco 5 pacificamente effettuata dal P. alla guida del muletto c.

Certo è che la posizione del muletto b era rimasta cristallizzata dalla caduta del pacco 2 bis anche sulle sue forche, oltre che sul C., mentre il muletto c (guidato dal P. per sua stessa ammissione e certamente spostato all'arrivo dell'ambulanza) si trovava appunto in posizione defilata.

Afferma l'appellante che se il muletto b è stato condotto nella posizione poi ritrovata subito dopo l'infortunio, tale manovra non poteva essere stata effettuata prima o in concomitanza con la movimentazione del pacco 5 effettuata dal P. con il muletto c perché la presenza del muletto b avrebbe ostacolato la manovra di retromarcia del muletto c. Sul punto va tuttavìa replicato che mentre la posizione del muletto b è rimasta bloccata dalla caduta del pacco 2 bis sulle sue forche, non vi è certezza circa la originaria posizione del muletto c che venne trovato in posizione defilata rispetto al luogo del sinistro, ben potendo essere stato spostato anche per facilitare l'intervento dei soccorritori (come osservato anche dal ctp Santese).

Secondo l'appellante, l'ipotesi che la caduta del pacco 2 bis fosse derivata dall'estrazione forzosa del sottostante pacco 5 da parte del P. sarebbe sconfessata dalle stesse prove dinamiche effettuate dal ctu.

In primo luogo la prova 5.5 dimostrerebbe l'impossibilità della manovra di estrazione del pacco sovrastato per circa 20 cm dal pacco 2 bis a causa del vincolo esercitato dalle forze in gioco nel punto di contatto tra la superfìcie superiore del pacco 5 e la porzione inferiore del sovrastante bancale.

Inoltre perché il pacco stava subendo una tale torsione che la continuazione della prova lo avrebbe rotto, mentre invece il pacco 5 è stato rinvenuto integro.

La prova 6.2 aveva invece dimostrato la riuscita estrazione del pacco 5 ma solo dopo aver indietreggiato il pacco 2 bis verso il pacco 1 bis, quindi in condizioni di fatto diverse.

Tuttavia il ctu ing. Arfelli ha puntualmente fornito risposte ai singoli rilievi formulati dal ctp ing. Santese sulla base di un'analisi approfondita e rigorosa, nonché sulla base delle simulazioni effettuate.

Preliminarmente il ctu ha affermato che quanto riferito dal P. (" D. è passato alle mie spalle con il muletto privo di carico ... mentre guidavo il mio muletto ho visto D. che era sceso dal muletto e che un bancale gli cadeva addosso"risultava smentito dalla simulazione dinamica 10.2 (immagine 19, pag. 119 della ctu).

Infatti, l'imputato, per vedere il muletto che gli sarebbe passato alle spalie, avrebbe dovuto fare una rotazione del busto di almeno 120 gradì -quindi una notevole rotazione - movimento improbabile per la normale attività di movimentazione dei carichi con carrello elevatore semovente con conducente a bordo (come ben evidenziato nella foto 59 , pag.119 della ctu).

In particolare, che il pacco 5 fosse stato estratto con forza risulta invece dimostrato dal fatto che il bancale si ruppe (foto 99-100, pag, 145 della ctu).

Secondo l'appellante , nella prova 6.2 il mulettista era riuscito ad estrarre il pacco 5 ma solo dopo aver indietreggiato il pacco 2 bis verso il pacco 1 bis, modificando così il vìncolo esercitato sul pacco sottostante (quindi in condizioni diverse rispetto a quelle reali).

In questo caso l'estrazione del pacco 5 portava il pacco 2 bis a ribaltarsi immediatamente, realizzando una vera e propria capriola che in terra faceva assumere una posizione opposta a quella rinvenuta nell'immediatezza dei fatti.

Anche sul punto il ctu ha ribattuto che:" la capriola del pacco 2 bis durante la prova dinamica 6.2 risulta dovuta alla lenta velocità di movimentatone del pacco 5 con il muletto C in sede di riunione peritale.. .la ricostruzione nella prova 6.2 ha dimostrato che il tempo di caduta del pacco 2 bis, a seguito della movimentatone del pacco 5 con il muletto C, è stato di circa 5.6 secondi. ...il tempo di caduta suddetto risulterebbe compatibile con il tempo necessario per la movimentatone e l'allontanamento del pacco 5 con muletto tale da non innescare l'effetto capriola del pacco 2 bis".

Inoltre il ctu ha precisato che le prove di simulazione sono state effettuate garantendo la sicurezza dell'ausiliario, senza accelerazione della manovra in retromarcia del mulettista nell'estrazione del pacco 5.

"Quindi l'estrazione del pacco 5 sarebbe stata possibile mediante una decisa azione da esercitare con il muletto stesso", manovra ipotizzata come la più verosimile dal ctu anche in considerazione del fatto che il bancale riportava una rottura in fondo, compatibile con l'esecuzione di una manovra da parte del P. di inforcamento del bancale stesso.

Inoltre era evidente, secondo il ctu, "la finga di penetratone della forca sinistra del muletto C "tale da far penetrare la stessa nel lato sinistro del bancale del pacco 5 rompendo l'ultimo cubetto in legno di sinistra del bancale fino a disassarlo e quasi divellerlo", come anche riscontrato dal ctp.

Quanto alla mancata rottura del pacco 5 e all'assenza di strappi sul cellophane, il ctu ribadiva che non necessariamente il pacco 5 si sarebbe rotto e non necessariamente si sarebbe dovuto riscontrare uno strappo nel nylon del pacco 5, ben potendo essere avvenuto un semplice strisciamento tra le superfici del nylon di rivestimento.

L'appellante contesta l'assunto secondo cui il C. sia rimasto inerte nonostante vedesse la manovra azzardata del l'operaio, proseguendo le lavorazioni a terra.

Tale considerazione può essere agevolmente superata dal fatto che il predetto, verosimilmente impegnato a movimentare i "pacchi gialli' per fare spazio (pacchi effettivamente ritrovati in terra vicino al suo corpo), trovatosi all'interno della zona pericolosa del muletto c, potrebbe non essersi accorto della manovra posta in essere dal P. (tra l'altro, l'infortunato aveva il viso rivolto contro il muro quando venne attinto, come riscontrato dalle lesioni riportate).

L'appellante ribadisce la correttezza dell'ipotesi alternativa fornita dal ctp che sarebbe fondata su alcuni dati oggettivi: il pacco 5 era rimasto integro, ancora allocato sulle forche del muletto c; il pacco 2 bis doveva essere rimasto in equilibrio per il tempo necessario a consentire al P. di indietreggiare con il muletto c fino all'ingresso e al C. di giungere nella posizione in cui è stato trovato il muletto b e di scendere dallo stesso.

Il ctp ipotizzava pertanto una simultanea presenza e operatività sia del muletto b, condotto dal C., che del muletto c. Secondo il ctp i mulettisti avrebbero dapprima spostato il pacco 2 bis sostenendolo in quota e poi movimentato il pacco 5.

A quel punto si sarebbero accorti, con il pacco 5 inforcato dal muletto c e il pacco 2 bis non inforcato ma sostenuto dalla punta delle forche del muletto b, della necessità di fare spazio nella zona di manovra data la presenza dei retrostanti ostacoli.

Allora, secondo il ctp, il C. avrebbe deciso di appoggiare il pacco 2 bis sul sottostante pacco 2 (sebbene in assenza del pacco 5 che nel frattempo era stato sfilato); in ogni caso il pacco 2 bis non poteva essere caduto immediatamente.

Tale ipotesi, oltre a non essere stata riferita da alcuno degli operai presenti, appare poco credibile.

Il P., come già detto, non ne ha fatto cenno, precisando anzi di "aver già preso un bancale sulle forche del muletto grande quando accadde l'infortunio", senza far cenno ad una eventuale collaborazione dell'infortunato.

Sul punto ìl ctu ha ritenuto poco probabile l'utilizzo simultaneo di due muletti (c e b) per l'interferenza tra di loro che avrebbe ostacolato i reciproci movimenti.

Per contro, l'appellante eccepisce che la presunta interferenza sarebbe inesistente, come da prove di simulazione effettuata dal ctp.

Orbene, il ctu osservava, in merito ai filmati prodotti dall'ing. Santese (relativi appunto alla prova di estrazione del pacco 5 con entrambi i muletti b e c) che i due filmati terminavano prima che avvenisse l'estrazione del pacco 5; che il pacco 2 bis sarebbe caduto a terra se non fosse stato mantenuto in equilibrio dal muletto b; che i bancali in legno utilizzati per la simulazione al di sotto dei pacchi simili a quelli presenti presso il luogo oggetto di infortunio risultavano essere in numero superiore rispetto ai pacchi presso il luogo dell'infortunio; infine che l'utilizzo simultaneo di due muletti risultava poco probabile.

Il ctu ribadiva infatti il problema dell'interferenza di due muletti operanti perpendicolarmente tra loro (come da figura 49, pagg. 68 -82 della relazione del ctp) e con le rispettive forche operanti sulla stessa verticale, a distanza di circa 2,60 metri l'una dall'altra.

Pertanto "la manovra del muletto C per estrarre il pacco 5 sarebbe condizionata dalla manovra del muletto B per rimuovere il pacco 2 bis e viceversa...; il muletto B per sostenere in equilibrio il pacco 2 bis dovrebbe bilanciare la spinta del pacco 1 bis sbilanciato in avanti e in aderenza al pacca 2 bis ".

Sempre in risposta ai rilievi del consulente di parte, il ctu riteneva ancora più improbabile l'ipotesi che fossero state rimosse le forche del muletto B di sostegno del pacco 2 bis, in quanto tale operazione avrebbe fatto crollare a terra il pacco 2 bis.

Tale dinamica sarebbe evincibile anche dai filmati dell'ing. Santese sopra citati, nei quali si interrompe la simulazione senza spostare il muletto B dalla propria posizione in funzione di sostegno del pacco 2 bis in quota, proprio per evitare la caduta a terra del pacco 2 bis (vedi relazione ctu del 13.11.2020, pag. 7).

Il ctu osservava, altresì, che l'ìpotizzata dinamica di sfilamento del muletto c con inforcato il pacco 5 in retromarcia, rispetto al portone d'ingresso, non giustificherebbe il passaggio del muletto b dietro al muletto c (come invece riferito dall'imputato P.), perché al momento dell'infortunio il muletto b si trovava con il retro verso il portone d'ingresso.

Inoltre, non sarebbe condivisìbile l'ipotesi, formulata dal ctp, secondo cui sarebbe stato il C., a bordo del muletto b, a togliere il sostegno al pacco 2 bis.

Secondo il ctp, poteva ipotizzarsi che il C. si sìa reso subito conto che, per proseguire le operazioni, era necessario asportare i pacchi 2 bis e 5; tuttavia l'inforcamento del 2 bis non era possibile data la presenza dì un bancale con rotoli.

Anziché rimuovere tale bancale, il C. si sarebbe avvicinato al pacco 5 e avrebbe inforcato solo in punta il bancale del pacco 2 bis; nel frattempo il P. si sarebbe avvicinato al pacco 5 inforcando malamente il bancale sino a provocare la rottura del distanziatore pur inforcando completamente il bancale.

Allora il C. avrebbe sollevato il pacco 2 bis quel tanto che bastava per svincolare il sottostante bancale 5.

Successivamente, il C. avrebbe deciso di appoggiare nuovamente il pacco 2 bis data la presenza di ostacoli retrostanti, decidendo di lasciare la situazione così come era , spostando il muletto b per portarlo nella posizione dove venne trovato (come da prova video 10.1).

Osservava il ctp che il pacco 2 bis non doveva essere caduto immediatamente perché nel corso del tempo si era creata una superficie morbida che garantiva una certa stabilità; sceso dal muletto, la sua intenzione era evidentemente quella di fare spazio ma il pacco 2 bis rovinava su di lui.

Orbene il ctu ha evidenziato che le prove dinamiche da lui effettuate non supportavano tale ipotesi.

Infatti la prova 2 aveva dimostrato la difficoltà di manovra in retromarcia del muletto b in posizione parallela al lato lungo del fabbricato data la presenza del pacco F (bancale sormontato da cartoni).

Dalle prove 6.2 e 9.2 si accertava che i pacchi del secondo livello in quota (pacco 2 bis e pacco 1 bis) cadevano dopo pochi secondi in seguito alla movimentazione dei pacchi sottostanti.

Tali simulazioni dimostravano, pertanto, la difficoltà della manovra di retromarcia del muletto b e la pressoché immediata velocità di caduta del pacco 2 bis e 1 bis (a distanza di pochi secondi) in seguito alla movimentazione dei pacchi sottostanti.

Non senza considerare, osserva il ctu, che gli operatori avrebbero potuto comunque utilizzare l'altro muletto presente (muletto A) per rimuovere bancali ostacolo, senza quindi la necessità di spostare il muletto b che sosteneva il pacco 2 bis, in equilibrio precario.

Non solo, ma essendo stato definito il C. mulettista esperto, appare lecito dubitare che possa aver lasciato un carico in equilibrio precario ad un'altezza di mt.2,60 per andare a rimuovere i bancali ostacolo e posizionarsi proprio sotto la traiettoria di caduta del carico lasciato in equilibrio precario.

La considerazione che appare determinante per confutare la tesi difensiva appare quella, fornita dal ctu, proprio in relazione alle prove video della simulazione effettuate dal ctp e dalle prove dinamiche effettuate in sede peritale (prova 6.2 e prova 9.2).

Nel primo caso, l'estrazione del pacco 5 doveva essere interrotta con l'evidente sostegno del pacco 2 bis con le forche del muletto B per evitare la caduta a terra dello stesso pacco 2 bis.

Nel secondo caso appare evidente la necessità di sostegno del pacco 2 bis per evitarne la caduta.

Pertanto, il C. non avrebbe avuto il tempo di scendere dal muletto B e posizionarsi nella traiettoria di caduta del pacco 2 bis in quanto il pacco 2 bis sarebbe caduto non appena tolto il sostegno delle forche dal muletto B, come attestato dalle prove sopra richiamate.

Evidentemente, allora, il C. era già in terra, e non già a movimentare il muletto B, quando venne travolto dal pacco.

5-In merito alla responsabilità del P., in primo luogo è emerso pacificamente che a formare la squadra di lavoro (praticamente unica, composta da soli tre operai), presso il magazzino era stato direttamente l'imputato (il quale aveva chiamato direttamente i due lavoratori dipendenti della G. e il suo dipendente C.).

Era lui che aveva dato le direttive, come riferito da tutti gli altri soggetti escussi a sit, in totale autonomia, senza nemmeno informare D., il responsabile della G., tanto da far ipotizzare all'ispettorato territoriale del lavoro una forma di interposizione fittizia (come da accertamento del 6.12.2017).

Correttamente il Giudice ha ravvisato , in capo al P., la violazione della regola cautelare sancita dall'art. 71 comma 1 del D.Lgs. n. 81 del 2008 per non aver dotato i lavoratori di attrezzature idonee e conformi all'attività concretamente esercitata in particolare per lo stoccaggio del materiale edile, omettendo di mettere a disposizione idonee scaffalature tali da rendete sicuro l'impilamento in sovrapposizione dei materiali esistenti all'interno del lotto 53.

L'appellante eccepisce, in primo luogo, che l'azienda produttrice delle confezioni di lana di roccia non vietava lo stoccaggio del materiale secondo le modalità utilizzate dalla P., cioè un bancale sopra l'altro.

Anche il ctu dava atto che l'azienda costruttrice non forniva indicazioni sulle modalità di immagazzinamento (pur essendo stata richiesta dal ctu durante le operazioni) e che in nessuna confezione era presente la segnaletica "vietato e/o perìcolo impilare il pacco o simile.

Alcune informazioni dalla casa costruttrice pervenivano solo all'ing. G. (ctp della parte offesa C.)-"come produttori, sconsigliamo di stoccare ì bancali l'uno sopra l'altro anche per prevenire lo schiacciamento dei bancali inferiori".

Concludeva tuttavia che:" la valutazione del rischio spetta sempre al datore di lavoro della ditta utilizzatrice".

La difesa eccepisce, comunque, che le modalità di impilamento erano lecite perché prive di sostanziali profili di rischio di caduta dei pacchi per instabilità ed in linea con le modalità di stoccaggio proprie della stessa casa costruttrice (come emerso dall'indagine del ctu, pag. 189 della relazione).

Sul punto correttamente il Giudice di prime cure ha invece evidenziato l'alta pericolosità delle operazioni di sgombero dovuta proprio alle modalità di stoccaggio, essendo i pacchi, così pesanti e alti, accatastati contro il muro l'uno sopra l'altro, rispetto ad un diverso stoccaggio mediante, ad esempio, idonee scaffalature in modo che la stabilità dell'uno non incidesse su quella dell'altro.

Sul punto il ctu ha infatti chiarito che, sulla base delle dichiarazioni agli atti e dì quanto potuto verificare dall'esecuzione delle prove dinamiche di possibile caduta dei pacchi, per l'immagazzinamento inziale non sarebbe stato seguito alcun criterio di sicurezza.

Tuttavia l'imbalcamento inziale dei pacchi nel magazzino potrebbe essere avvenuto in modo empirico cercando dì bilanciare i pacchi del 2 ordine, mantenendo il baricentro all'interno della pianta del pacco sottostante (come da foto 109, pag. 183 della ctu).

Tale condizione poteva dunque essere definita di equilibrio precario; dal momento in cui questo equilibrio veniva alterato (ad esempio con lo spostamento del pacco 5), si entrava in uno stato di non equilibrio del pacco fino alla caduta, come nel caso del pacco 2 bis.

Quindi la pericolosità era ravvisabile non tanto nella fase di quiete dei pacchi (fase statica) bensì nella fase di movimentazione degli stessi, come del resto riconosciuto dallo stesso C.I.:".. .il bancale posto al secondo piano dietro a quello che è caduto risulta essere inclinato e posizionato in modo poco sicuro, posso dedurre che anche quello che è caduto potesse essere posizionato in modo instabile" (vedi sti 5.6.2017).

Afferma l'appellante che, data la manovra estremamente imprudente del P. in ragione della forza eccessiva per estrarre il pacco 5, l'approntamento di una scaffalatura non avrebbe impedito il verificarsi dell'evento.

Tale affermazione non è condivisibile atteso che la scaffalatura avrebbe comunque impedito che ogni pacco gravasse sull altro e che, come già detto, la precarietà dell'uno (per le più disparate ragioni, tra cui un'eventuale manovra di estrazione impropria) si riverberasse sull'altro.

Secondo l'appellante il P. avrebbe compiutamente organizzato i lavori di sgombro, individuando una squadra specifica ed omogena, dotata delle necessarie competenze e abilità.

Sul punto, tuttavia, va osservato che, a differenza del C., gli altri due operai non avevano ricevuto il necessario addestramento in merito all'uso del muletto.

Come infatti accertato dal ctu, il P. aveva sostenuto un corso di formazione per addetti alla conduzione di carrelli elevatori semoventi con conducente a bordo dato 31.5.2017 (5 giorni prima dell'infortunio), ma non risultava agli atti la documentazione relativa all'addestramento talché non avrebbe potuto condurre tali mezzi, così come l'altro operaio G..

Inoltre, osservava il ctu, la scarsa esperienza nell'uso del muletto emergeva anche dalle condizioni in cui vennero ritrovate le forche del muletto C, con il bancale del pacco 5 incastrato nelle forche del muletto e parzialmente rotto:".. .con il termine incastrato si vuole intendere che le forche, nell'inforcare e/ o manovrare il bancale, hanno rotto il bancale in corrispondenza- di un traverso esterno e quindi ciò non permetteva lo sganciamento del bancale dalle forche se non con un'azione di forza'' (vedi ctu pag. 179).

Da ultimo non può affermarsi che l'evento sia dipeso dalla condotta imprudente del lavoratore tale da interrompere il nesso di causalità.

Il C. era intento alle operazioni di sgombero del magazzino su disposizioni impartite direttamente dal P. che, all'uopo, aveva anche formato la squadra di lavoro e fornito i muletti.

Non è risultata dimostrata l'ipotesi difensiva che l'infortunato fosse alla guida del muletto b e avesse effettuato lui, mulettista esperto, la manovra pericolosa di aver lasciato appoggiato il pacco 2 bis sul sottostante pacco 2 in equilibrio precario perché nel frattempo il pacco 5 era stato sfilato.

Appare quindi chiara la responsabilità del P. quale datore di lavoro per non aver valutato il rischio e garantito la sicurezza dei lavoratori mediante attrezzature idonee a sostenere tali pesi e volumi.

Capo 3) e 4).

Le doglianze appaiono accolgibili, non essendo dimostrata, per il mero fatto dell'essersi verificati ben due eventi mortali e per la risalenza delle omissioni, una consapevole e determinata volontà omissiva dolosa.

Capi 5) e 6)

Secondo l'appellante, la decisione in punto di responsabilità della P. spa ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001 sarebbe erronea in primo luogo perché, non essendovi state omissioni imputabili a condotte colpose del P., non vi sarebbe stato nemmeno alcun vantaggio rilevante in termini di risparmio di spesa.

In merito all'infortunio F., il P. avrebbe sostenuto ingenti costi per far fronte al generale problema della sicurezza dei mezzi, dei macchinari e degli ambienti di lavoro (come da ctp Sanchioni), come dimostrerebbero anche le somme impegnate per il noleggio di PLE (come da fatture in atti) ed avrebbe sempre presidiato il rischio di caduta dall'alto mediante la predisposizione del Documento di valutazione dei rischi con la previsione di un divieto assoluto di salire sui tetti, con la valutazione dei rischi interferenziali, con la formazione impartita al personale P., con la fornitura di idonei DPI, con la previsione di una procedura aziendale concernente il noleggio , se necessario, di PLE con capacità d'azione maggiore rispetto a quelle già in possesso.

Del resto, osserva l'appellante, l'infortunio non sarebbe riconducibile a cautele omesse ma al fallimento dei presidi, anche organizzativi, che P. aveva comunque predisposto.

Quanto all'infortunio occorso al C. e in merito al profilo di colpa del datore di lavoro per non aver previsto lo stoccaggio dei pacchi in attrezzature idonee, la ditta produttrice non aveva previsto nessun obbligo in tal senso talché la scelta di impilare i pacchi sovrapponendoli l'uno all'altro (come del resto faceva la casa produttrice) sarebbe ben lontana dal poter esprimere quella politica aziendale favorevole al profitto ad ogni costo foriero di responsabilità per l'Ente.

Tali doglianze non appaiono accoglibili.

E' noto che: "Ai fini della configurabilità della responsabilità da reato degli enti, non sono "ex se" sufficienti la mancanza o l'inidoneità degli specìfici modelli di organizzazione ovvero la loro inefficace attuatone, essendo necessaria la dimostrazione della "colpa di organizzatone", che caratterizza la tipicità dell'illecito amministrativo ed è distinta dalla colpa degli autori del reato. Cass. Sez. 4 -, n. 21704 del 28/03/2023 Ud. (dep. 22/05/2023 ) Rv. 284641 - 01

La Suprema Corte ha infatti chiarito che: "La responsabilità da reato degli enti rappresenta un modello di responsabilità che, coniugando i tratti dell'ordinamento penale e di quello amministrativo, ha finito con il configurare un tertium genus, compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza e i criteri d'imputazione oggettiva di essa (Sez.U, n.38343 del24/4/2014, E., Rv. 261112). Inoltre, il legislatore ha previsto specifici criteri di imputazione di tale responsabilità, l'interesse o il vantaggio di cui all'art. 5 del D.Lgs. n. 231 del 2001), che sono alternativi e concorrenti tra loro, in quanto il primo esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo, il secondo ha connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dall'illecito (Sez: U, n. 38343/2014, cit., Rv.261114).. ..Tuttavia, proprio nel caso di responsabilità degli enti ritenuta in relazione a reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, il S.C. ha precisato che la "colpa di organizzazione" deve intendersi in senso normativo ed è fondata sul rimprovero derivante dall'inottemperanza da parte dell'ente dell'obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo, dovendo tali accorgimenti essere consacrati in un documento che individui i rischi e delinei le misure atte a contrastarli (Sez, U, n. 38343/2014, cit., Rv. 261113). Per non svuotare di contenuto la previsione normativa che ha inserito nel novero di quelli che fondano una responsabilità dell'ente anche i reati colposi, posti in essere In violazione della normativa antinfortunistica (art. 25 septies del D.Lgs. n. 231 del 2001), si è infatti peraltro chiarito, in via interpretativa, che i citati criteri di imputatone oggettiva vanno riferiti alla condotta del soggetto agente e non all'evento, in conformità alla diversa conformazione dell'illecito, essendo possibile che l'agente violi consapevolmente la cautela, o addirittura preveda l'evento che ne può derivare, pur senza volerlo, per corrispondere ad istanze funzionali a strategie dell'ente. A maggior ragione, vi è perfetta compatibilità tra inosservanza della prescrizione cautelare ed esito vantaggioso per l'ente (in motivazione, Sez n. 38343 del 2014, cit.). Peraltro, ai fini della configurabilità della responsabilità da reato degli enti, non sono ex se sufficienti la mancanza o inidoneità degli specifici modelli di organizzazione o la loro inefficace attuazione, essendo necessaria la dimostrazione, per l'appunto, della "colpa di organizzazione", che caratterizza la tipicità dell'illecito amministrativo ed è distinta dalla colpa degli autori del reato (sez 4, n. 18413 del 15/2/2Q22, C.G.V., Rv. 283247). ...la struttura dell'illecito addebitato all'ente è incentrata sul reato presupposto, rispetto al quale la relazione funzionale tra reo ed ente e quella teleologica tra reato ed ente hanno funzione di rafforzare il rapporto di immedesimatone organica, escludendo che possa essere attribuito a quest'ultimo un reato commesso sì da soggetto incardinato nell'organizzazione, ma per fini estranei agli scopi di questa (richiamando sez 4,n- 32899 del 8/1/2021, Castaldo, in motivazione).....l'ente risponde per fatto proprio e che - per scongiurare addebiti di responsabilità oggettiva - deve essere verificata una "colpa di organizzazione" dell'ente, dimostrandosi che non sono stati predisposti accorgimenti preventivi idonei a evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato. È il riscontro di un tale deficit organizzativo a consentire l'imputazione all'ente dell'illecito penale realizzato nel suo ambito operativo e spetta all'accusa, pertanto, dimostrare l esistenza dell'illecito penale in capo alla persona fisica inserita nella' compagine organizzava dell'ente e l'avere essa agito nell'interesse del secondo, previa individuatone di precisi canali che colleghino ideologicamente l'azione dell'uno all'interesse dell'altro (in motivatone, sez n- 27735 del 18/2/2010, S., Rv. 247666). Si tratta di un'ìnterpretazione che, in sostanza, attribuisce al requisito della "colpa di organizzazione" dell'ente la stessa funzione che la colpa assume nel reato commesso dalla persona fisica, di elemento costitutivo cioè del fatto tipico, integrato dalla violazione "colpevole" (ovvero rimproverabile) della regola cautelare., sez. 4 n. 18413/2022 cit.).

Pertanto, l'addebito di responsabilità all'ente non si fonda su un'estensione, più o meno automatica, della responsabilità individuale al soggetto collettivo, bensì sulla dimostrazione di una difettosa organizzazione da parte dell'ente, a fronte dell'obbligo di autonormazione volta alla prevenzione del rischio di realizzazione di un reato presupposto, secondo lo schema legale dell'attribuzione di responsabilità mediante analisi del modello organizzativo.

"Il Giudice è chiamato ad adottare il criterio epistemico-valutativo della cd. "prognosi postuma", proprio della imputazione della responsabilità per colpa: deve cioè idealmente collocarsi nel momento in cui l'illecito è stato commesso e verificare se il ''comportamento alternativo lecito", ossia l'osservanza del modello organizzavo virtuoso, per come esso è stato attuato in concreto, avrebbe eliminato o ridotto il pericolo di verificazione di illeciti della stessa specie di quello verificatosi, non richiedendosi una valutazione della "compliance" alle regole cautelari di tipo globale.

Non è certo consentito al giudice di merito neppure un vaglio sull'adeguatezza del modello condotto solo "ingenerale", ma sia necessaria una verìfica in concreto; né è possibile giungere a sanzionare l'ente in ragione di una "cultura d'impresa deviante", ovvero mediante un criterio sillogistico semplificatorio secondo cui la commissione del reato equivale a dimostrare l'inidoneità dell'assetto organizzativo. Invece, il giudice di merito, deve verificare se il reato della persona fisica sia la concretizzazione del rischio che la regola cautelare organizzativa violata mirava ad evitare o, quantomeno, tendeva a rendere minimo; ovvero deve accertare che, se il modello "idoneo" fosse stato rispettato, l'evento non si sarebbe verificate". (Cass. Sez. 5 - , Sentenza n. 21640 del 02/03/2023 Ud. (dep. 19/05/2023 ) Rv. 284675 - 01.

In tema di responsabilità degli enti, il criterio di imputazione oggettiva del vantaggio dì cui all'art. 5 D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, è integrato anche da un esiguo, ma oggettivamente apprezzabile, risparmio di spesa e può altresì consistere nella velocizzazione dell'attività d'impresa, tale da incidere sui tempi di lavorazione. Cass. Sez. 3 , Sentenza n. 26805 del 16/03/2023 Ud. (dep. 21/06/2023 ) Rv. 284782 - 02

"In sostanza, il vantaggio che costituisce presupposto della responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reato dev'essere apprezzabile, ma può anche essere minimo, come si ricava - a contrario - dal fatto che, ove ciò accada, la sansone applicabile dev'essere diminuita ai sensi dell'art. 12, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 231 del 2001, come in effetti avvenuto nel caso di specie. Del resto, la responsabilità dell'ente non presuppone che la condotta illecita consista nella sistematica commissione di reati, ben potendo sussistere anche in caso di occasionale violazione della legge penale (cfr., in motivazione, la citata sent. 33976/2022).

Orbene, sulla base di tali criteri interpretativi, le doglianze non appaiono fondate.

Si è già detto che risultano ampiamente violate le regole cautelari ascritte all'imputato e dimostrato il nesso di causalità rispetto agli eventi verificatisi.

Quanto alla carenza organizzativa, correttamente il Giudice di prime cure ha evidenziato, quanto all'infortunio F., la totale assenza di presidi di sicurezza nelle coperture del capannone de quo da parecchi anni prima.

Sul punto si richiama il verbale Asur del 21.3.2018 nel quale si dava atto, in primo luogo, della completa mancanza di misure e apprestamenti di sicurezza in riferimento al rischio di caduta nel vuoto nel capannone Cold03.

Non solo, ma si dava atto che nelle coperture (realizzate in lastre di fibrocemento) erano stati installati nel periodo 2011-2012 impianti e pannelli fotovoltaici (per una superficie molto vasta, dì circa 20.000 mq) nonché camini per emissioni in atmosfera relativi ad impianti di produzione, sfiatatoi e prese d aria (realizzati al momento della costruzione del capannone), impianti tutti che richiedevano manutenzione ordinaria e straordinaria, così come le lastre in fibrocemento che ricoprivano anche il capannone Cold03.

Orbene "per eseguire la manutenzione era necessario sia poter raggiungere le postazioni sulle coperture, sia poter calpestare la copertura stessa, talché risultava obbligatorio predisporre dei sistemi o apprestamenti stabili... non sostituibili con altre modalità operative quali, ad esempio, le piattaforme mobili elevabili. ...questo dovuto al fatto che molti punti delle coperture non sono raggiungibili con tali attrezzature in quanto vi è il divieto di accesso alla copertura dal cestello della piattaforma.

Si precisava infatti che "l'utilizzo della PLE era giustificato solo per quelle operazioni che prevedevano ispezioni visive, interventi sul perìmetro della copertura ..., comunque per interventi che non richiedessero la discesa sulla copertura".

Pertanto;".. ..già alla data di costruzione delle strutture e di realizzatone degli impianti per il fotovoltaico si rendeva necessaria per il proprietario delle strutture la predisposizione di idonee misure di prevenzione contro il rischio di caduta dall'alto".

Per inciso, anche un perito, l'ing. P. (nell'ambito di procedimento civile relativo alla realizzazione dell'impianto fotovoltaico) aveva fatto presente che .. .l'impianto fotovoltaico richiederà costante manutenzione... nonostante tale necessità non sono state lasciate passerelle intermedie dì passaggio nelle campate delle coperture... ciò determina la necessità di passare sopra ai moduli fotovoltaici con conseguente sovraccarico delle sentine trasversali e rischio di infortunio per il personale manutentore e per il sottostante,.. "

Si è detto che, nel caso concreto, la presenza di presidi quali parapetti e/o cornicioni sarebbe stata del tutto ininfluente dato che l'operaio non si era limitato a camminare perimetralmente ma era aveva calpestato la copertura, tanto che la Asur aveva ritenuto di prescrivere solo degli anelli di ancoraggio alle travi in cemento sulle quali poggiavano le lastre di fibrocemento.

Tuttavia non può non riconoscersi la totale e risalente assenza (e notorietà) della minima misura di prevenzione, pur essendo noto che era necessario recarsi periodicamente sulle coperture per gli interventi di manutenzione (o per ragioni anche non prevedibili) e che l'accesso alle coperture non era in alcun modo vigilato o controllato.

Pertanto il mero divieto di salire sulle coperture, come già detto frequentemente disatteso, non poteva ritenersi misura organizzativa idonea atteso che, di fatto, era necessario in determinati casi calpestarle (ad esempio, per raggiungere un pannello fotovoltaico).

Quanto all'infortunio C., l'Asur ha constatato il non corretto stoccaggio dei pacchi di lana di notevoli dimensioni e la totale mancanza dì apprestamenti di sicurezza necessari e indispensabili per lo stoccaggio di materiale instabile (come, ad esempio, idonee scaffalature).

Sul punto non appare fondato il rilievo difensivo secondo cui la casa produttrice non aveva prescritto alcunché in merito alle modalità di stoccaggio ed anzi, era solita impilare i pacchi nel medesimo modo, cioè uno sopra l'altro.

Come infatti emerge dalla ctu dell'ing. Arfelli, lo stoccaggio effettuato dalla R., in amplissimo piazzale, all'aperto, in file ordinate e distanti l'una dall'altra, verosimilmente per il tempo strettamente necessario alla consegna del prodotto (vedi pag. 189 della relazione), appare ben diverso da quello effettuato dalla P., all'interno di un magazzino, con pacchi addossati ad un'unica parete ìn pile molto alte (come da foto 102, pag. 151).

Il ctu ha inoltre evidenziato "una evidente lacuna organizzativa aziendale in materia di sicurezza e salute dei lavoratori che trae probabilmente orìgine dalla mancata formalizzazione di una procedura esecutiva e di controllo nell'operatività quotidiana, organizzata dai vertici dell'azienda".

Si ricorda, infatti, che fu direttamente il P. a organizzare la squadra limitandosi a prescrivere lo sgombero del magazzino e affidando il lavoro non ad una squadra caratterizzata da "composizione omogenee" come ritenuto dall'appellante, ma utilizzando , oltre che il C. (mulettista esperto), operai di altra azienda (cioè della G. che aveva in appalto i lavori edili) privi del necessario addestramento per l'uso dei muletti (vedi ctu pag. 179).

Sul punto si richiamano le dichiarazioni rese da C.F. (assistente al responsabile della manutenzione, dipendente della P. sin dal 2016)'." ..per quanto ne so il P. ha organizzato questo lavoro in modo autonomo, senza interfacciarsi con R.D.... le uniche informazioni che ho dato a D. e agli lavoratori erano di dove dovessero posizionare il materiale ma non sulle modalità operative" (vedi sit 6.6.2017).

Inoltre, che si trattava di una "operazione di magazzino e movimentazione merci, non di una lavorazione edile", come precisato da F.M. (addetto alla sicurezza RSPP della P.).

A dimostrazione dell'assenza di una qualche procedura esecutiva in merito, va evidenziato che nessuno era al corrente di tali attività di sgombero, né di come venissero assegnati i muletti, né di come venissero impilati i pacchi e da quanto tempo fossero all'interno del magazzino (come dichiarato , oltre che dal F., anche da L.P., capo cantiere edile, da T.B. operaio edile, C.F., S.M., direttore generale P.).

In entrambi i casi appaiono evidenti gravi carenze organizzative.

In merito al trattamento sanzionatorio, l'assoluzione dal reato di cui all'art. 437 c.p., comporta la rideterminazione della pena per il reato di cui al capo 1) in quella di mesi sei di reclusione, previa concessione dell'attenuante ex art. 62 n. 6 c.p. in regime di equivalenza (pena base mesi nove di reclusione, ridotta per il rito).

Non appaiono sussistere ragioni per il riconoscimento delle già concesse attenuanti in regime di prevalenza, anche in considerazione del fatto che l'imputato è gravato da due precedenti, uno dei quali di natura omogenea ( violazione norme in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro).

In merito alla sanzione pecuniaria, l'appellante ne chiede la rideterminazione al minimo, facendo presente che la stessa dovrebbe essere ricompresa tra 250 e 500 quote perché , nel caso di specie, non sussisterebbe alcuna violazione dell'art. 55 comma II D.Lgs. n. 81 del 2008 con riguardo alla mancata elaborazione del DVR.

Inoltre la P. aveva adempiuto a tutte le prescrizioni imposte dopo l'infortunio.

Infine la riduzione ex art. 12 comma 2 D.Lgs. n. 231 del 2001 non doveva essere compresa da un terzo alla metà bensì dalla metà a due terzi.

Tale doglianza non appare corretta perché nel caso di specie, essendosi verificati più reati nello svolgimento della medesima attività (due omicidi colposi), la norma di riferimento è appunto l'art. 21 (si è già detto della sostanziale inefficacia del DVR) che prevede l'applicazione della sanzione pecuniaria prevista per l'illecito più grave (art. 25 septies D.Lgs. n. 231 del 2001), aumentata fino al triplo.

Da ciò consegue l'applicazione della sanzione pecuniaria nella misura pari a 1000 quote.

Il rilievo difensivo secondo cui la riduzione ex art. 12 231/2001 doveva essere fatta ai sensi del comma 3 (tenuto conto che risultano sussistenti, come eccepito dall'appellante e riconosciuto già in sentenza, entrambi i requisiti di cui alle lettere a) e b) della norma citata), non incide di fatto nel calcolo finale della sanzione.

Pertanto, operata la riduzione della metà (500 quote), applicato l'aumento ex art. 21 sino a 1200 quote (come operato in primo grado), diminuita per il rito sino ad 800 quote, la sanzione finale rimane invariata.

Va invece revoca la confisca disposta ex art. 6 comma 5 potendosi affermare che il profitto conseguito dall'azienda, come quantificato dal Pm in relazione alle spese sostenute dall'azienda per adeguare il modello organizzativo possa ritenersi azzerato dalle stesse spese e dagli intervenuti risarcimenti.

Appello nell'interesse di P.M.D.

Primo motivo

L'appellante contesta, in primo luogo, la ricostruzione della dinamica del sinistro come operata in sentenza, con particolare riguardo al rilievo che il Giudice di prime cure avrebbe dovuto attribuire alle sit rese dall'unico teste oculare I.C..

Sarebbe poi una mera illazione ritenere che il C. e l'imputato abbiano potuto concordare una versione di comodo, perché allora avrebbero potuto spostare completamente il muletto C rimasto invece all'ingresso del capannone posizionandolo dalla parte opposta, salvo poi sostenere che ivi si trovano entrambi, così ascrivendo l'intera responsabilità dell'evento all'operaio deceduto.

La questione è già stata affrontata sopra in relazione all'appello del P..

Non può dubitarsi del fatto che , prima ancora di chiamare i soccorsi, uno dei due operai G. stesse parlando al telefono in rumeno, come chiaramente dichiarato da un altro operaio (T.B.) che, del tutto casualmente, si era recato , con il collega C., in magazzino perchè doveva prelevare del materiale.

"Appena arrivati abbiamo visto l'operaio dì un'altra ditta che telefonava a qualcuno e parlava in rumeno, siamo subito corsi dentro e abbiamo visto R. a terra ricoperto di sangue.. .aveva ancora die pacchi che lo ricoprivano dalla vita in giù, il torace e la testa grano liberi....lo abbiamo liberato togliendo tutti i pacchi da sopra il copro, C. (D.) è salito sul muletto per alzare le forche per permettere di liberargli le gambe.. .prima di tutto abbiamo immediatamente chiamato il capo reparto L. e immediatamente chiamato il 118 (Vedi sit 6.6.2017).

Come già detto sopra, all'arrivo del T. i soccorsi non erano stati ancora chiamati e sul posto erano presenti solo l'imputato e il C..

D.C. (escusso a sit il 6.6.2017 prima del T.) ha precisato di essersi recato nel magazzino alle ore 13.30 con il T., talché a quell'ora l'infortunio era già avvenuto.

Vide "un lavoratore dì Eugenio (C.E.A., responsabile della G.) , il più giovane, che stava chiamando il datore di lavoro e mi ha detto che D. stava sotto un pacco di lana di roccia. ..abbiamo tutti insieme cominciato a liberarlo dai pacchi.....quando siamo arrivati il giovane era al telefono con il capo suo e l'altro operaio anziano ..stava vicino a D. che lo chiamava. ...solo al nostro arrivo abbiamo cominciato a liberare D. da sotto il pacco perché non respirava più....non so dire da quanto tempo stesse in quella posizione.,. abbiamo dato priorità alla liberazione di D. e subito dopo io ho chiamato L. . ..alle 13.39".

Certamente, quindi, prima dell'arrivo degli altri operai passarono almeno dei minuti, intervallo durante il quale i due operai erano soli; infine L. venne avvertito solo alle 13.39 e il 118 alle ore 13,42, come dallo stesso dichiarato (essendo pacifico che alle 13.30 l'infortunio si era già verificato).

Secondo l'appellante le dichiarazioni dell'imputato e del C. convergerebbero e le mìnime discrepanze dipenderebbero dal fatto che i due lavoratori rumeni sono stati interrogati dapprima senza interprete e poi con l'interprete.

Sul punto sì richiama quanto sopra detto, evidenziando come il C. abbia sempre riferito la medesima versione, mente l'imputato due versioni abbastanza difformi che non appaiono frutto di mera difficoltà linguistica.

In merito alla asserita errata ricostruzione della dinamica e della posizione dei muletti, essendo sostanzialmente analoghe le doglianze, ci si riporta a quanto già detto sopra in merito all'appello del P..

Appare quindi corretta la decisione del Giudice di prime cure in ordine alla responsabilità dell'imputato essendo emerso che questi, non adeguatamente addestrato per lavorare con il muletto, ha effettuato una manovra molto pericolosa, estraendo a forza il pacco 5 nonostante fosse sormontato da un pacco che poggiava sullo stesso ma solo in parte, così facendo rovinare il pacco sovrastante (2 bis) nella zona dove si trovava il C. che stava lavorando a terra.

L'appello va quindi rigettato, con condanna dell'appellante al pagamento delle ulteriori spese processuali.

 

P.Q.M.


Visto l'art. 599 c.p.p.,

in parziale riforma della sentenza n.305 del 10.9.2021, emessa dal Tribunale di Pesaro, appellata dagli imputati, assolve P.G. dal reato ascrittogli al capo 3) perché il fatto non sussiste e, per lo effetto, ridetermina la pena perii reato di cui al capo 1), concessa l'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 c.p. equivalente alla contestata aggravante, in quella di mesi sei di reclusione.

Revoca la confisca.

Conferma nel resto.

Condanna P.M.D. al pagamento delle ulteriori spese processuali.

Riserva per il deposito dei motivi il termine di giorni 90.

Così deciso in Ancona, il 23 ottobre 2023.

Depositata in Cancelleria il 22 gennaio 2024.