REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RIZZO Aldo Sebastiano
Dott. CAMPANATO Graziana
Dott. IACOPINO Silvana Giovanni
Dott. D'ISA Claudio
Dott. MASSAFRA Umberto

- Presidente
- Consigliere
- Consigliere
- rel. Consigliere
- Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA


sul ricorso proposto da:
1) M.V. N. IL ***;
1) RESP CIV;
avverso la sentenza n. 1386/2005 CORTE APPELLO di GENOVA, del 17/04/2007;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 03/03/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. D'ISA Claudio;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. MONETTI Vito che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore Avv. Binda Monia, in sostituzione dell'Avv. Muciarelli che chiede l'accoglimento del ricorso.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


M.V. ricorre in cassazione avverso la sentenza, in data 17.04.2007, della Corte d'Appello di Genova con cui, in parziale riforma della sentenza di condanna emessa nei suoi confronti il 10.02.2004 dal Tribunale di Massa - sezione distaccata di Pontremoli - in ordine al delitto di lesioni colpose con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, ha dichiarato n.d.p. perché il reato è estinto per prescrizione confermando le statuizioni civili. Denuncia violazione di legge sotto due profili:

A) mancata correlazione tra imputazione e sentenza;

B) irrituale modifica del capo d'imputazione.


Si evidenzia che dai verbali di dibattimento di primo grado emerge una significativa modifica del capo d'imputazione. In sostanza il P.M. in dibattimento contestò un fatto diverso da quello descritto nel capo d'imputazione. Si assume che tale modifica avvenne in violazione della disciplina prevista dall'articolo 516 c.p.p. in quanto essa venne formulata prima che l'istruttoria dibattimentale avesse inizio. Il P.M. sostituendo l'imputazione con una nuova e diversa ha commesso un grave errore in procedendo: avrebbe dovuto chiedere la restituzione degli atti al suo ufficio per procedere ad una nuova contestazione. Il giudice, a sua volta, avrebbe dovuto restituire, ai sensi del combinato disposto degli articoli 530 e 531 c.p.p., gli atti al P.M. onde consentire a questi di esercitare ritualmente e nuovamente l'azione penale. La Difesa all'udienza del 9 gennaio 2004 chiese la declaratoria di non doversi procedere per intervenuta prescrizione in considerazione del fatto che il nuovo capo d'imputazione era stato contestato per la prima volta decorsi cinque anni dall'infortunio senza che fosse stato compiuto alcun atto interruttivo. Il giudice, con atto abnorme, si riservò di procedere sul punto all'esito dell'istruttoria dibattimentale. Sostanzialmente rispetto all'imputazione formulata originariamente (decreto penale di condanna poi opposto) si è contestata una diversa gravità delle lesioni subite dalla parte offesa (in un primo momento l'amputazione del 5 dito della mano dx, con la nuova contestazione anche esiti frattura 2 e 3 dito ed amputazione 4 e 5 dito con pugno ipovalido e morbo di Sudek). Sul punto erra la Corte d'Appello nel ritenere che la cd. nuova contestazione non è ascrivibile ad alcun fatto nuovo. Si argomenta che, mutando l'evento naturalistico (uno degli elementi costitutivi della contestazione), muta anche il fatto: che il fatto contestato non sia stato un aggravamento, bensì un fatto del tutto nuovo, bastano a dimostrarlo, per un verso, la differenza sostanziale delle patologie, per un altro verso, la mancanza radicale di qualsiasi indicazione di sviluppo da una patologia all'altra. Con un secondo motivo si denuncia erronea applicazione della legge processuale penale nella ricostruzione del fatto ed attribuzione dello stesso all'imputato, nonché mancanza di motivazione. Si argomenta che la Corte d'Appello ha posto a base della motivazione in ordine alla natura e gravità delle lesioni le risultanze di un procedimento civile (sentenza del Tribunale di Massa nella causa di lavoro previdenza tra la p.o. e l'Inail) e, quanto ai postumi accertati, le certificazioni dell'INAIL. Il M. non era parte nel processo civile tra la p.o. B. e l'Inail ed inoltre la sentenza civile non ricostruisce il fatto nelle sue connotazioni naturalistiche ma assume il fatto medesimo come dato assodato dal quale partire soltanto per la quantificazione del danno lamentato. Si afferma che quando il giudice penale abdica ai propri poteri-doveri di cognizione e recepisce le risultanze di un giudizio cha ha diverse regole, diverso oggetto e diverse finalità, la violazione di legge è patente e la sentenza che consegue a questa serie di errori non può che essere carente di motivazione.

Con un terzo ed ultimo motivo si eccepisce la nullità della sentenza in relazione all'ordinanza con la quale è stata rigettata la richiesta di rinnovazione parziale del dibattimento ai fini di disporre perizia medica sulla persona offesa, essendo questa prova decisiva ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d).

MOTIVI DELLA DECISIONE


I motivi esposti sono manifestamente infondati sicché il ricorso va dichiarato inammissibile.

Si evidenzia che, in presenza di una declaratoria di improcedibiltà per intervenuta prescrizione del reato, è precluso alla Corte di Cassazione un riesame dei fatti finalizzato ad un eventuale annullamento della decisione per vizi attinenti alla sua motivazione. Il sindacato di legittimità circa la mancata applicazione dell'articolo 129 c.p.p., comma 2 deve essere circoscritto all'accertamento della ricorrenza delle condizioni per addivenire ad una sua pronuncia di proscioglimento nel merito con una delle formule prescritte: la conclusione può essere favorevole al giudicabile solo se la prova dell'insussistenza del fatto o dell'estraneità ad esso dell'imputato risulti evidente sulla base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni posti a fondamento della sentenza impugnata, senza possibilità di nuove indagini ed ulteriori accertamenti che sarebbero incompatibili con il principio secondo cui l'operatività estintiva, determinando il congelamento della situazione processuale esistente nel momento in cui è intervenuta, non può essere ritardata: qualora, dunque, il contenuto complessivo della sentenza non prospetti, nei limiti e con i caratteri richiesti dall'articolo 129 c.p.p., l'esistenza di una causa di non punibilità più favorevole all'imputato, deve prevalere l'esigenza della definizione immediata del processo.

Comunque, in ordine al primo motivo, si condivide pienamente, in quanto aderente al dettato normativo e alla giurisprudenza di legittimità, la motivazione sul punto della sentenza impugnata. Il ricorrente lamenta la violazione della disposizione dell'articolo 516 c.p.p. come se la modifica del capo d'imputazione, effettuata dal P.M. ancorché prima dell'inizio dell'istruttoria dibattimentale, avesse riguardato non una diversità del fatto, come nel caso di specie, ma un fatto del tutto nuovo. È di tutta evidenza che l'aggravamento delle lesioni patite dalla persona offesa integra un fatto diverso, quanto alle conseguenze, ma non certamente un fatto nuovo che avrebbe richiesto la relativa contestazione nelle forme ordinarie, così come dispone l'articolo 518 c.p.p.. Ritualmente, pertanto, il P.M. ha proceduto alla modifica del capo d'imputazione descrivendo le effettive lesioni subite dal B.N.; corretto è il richiamo in sentenza alla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 4, Sentenza n. 40449 del 16/07/2002 Ud. Rv. 223230) laddove, nel caso concreto, non fu ritenuto "fatto nuovo" quello costituito dal decesso della persona offesa dal reato di lesioni colpose, sopravvenuto nel corso del procedimento relativo a tale reato in conseguenza della medesima condotta già addebitata all'imputato, poiché in tale ultima ipotesi il PM deve procedere alla semplice modifica dell'imputazione ai sensi dell'articolo 516 c.p.p..

Relativamente al secondo motivo, parimenti è corretta la decisione della Corte d'Appello di ritenere l'entità e la gravità delle lesioni subite dalla parte offesa provate dalla documentazione in atti costituita dalla sentenza del Tribunale di Massa nella causa di lavoro-previdenza fra la parte offesa B. e l'INAIL, atteso che le limitazioni di utilizzabilità previste dall'articolo 238 c.p.p., comma 2 bis riguardano unicamente i verbali di dichiarazioni.

Da ultimo relativamente al terzo motivo si osserva che l'istituto della rinnovazione del dibattimento in appello costituisce istituto eccezionale che deroga al principio di completezza dell'istruzione dibattimentale di primo grado, per cui ad esso può e deve farsi ricorso soltanto quando il giudice lo ritenga assolutamente indispensabile ai fini del decidere (nel senso che non sia altrimenti in grado di farlo allo stato degli atti). La determinazione del giudice, in proposito, è incensurabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivata (v. ex pluribus Cass. 4, 10 giugno 2003, Vassallo).

E la Corte di merito ha spiegato perché si sia convinta della superfluità della assunzione delle prove richieste dalla difesa, evidenziando la ricchezza dei dati dimostrativi della responsabilità dell'imputato, secondo un itinerario logico che non presenta smagliature o contraddizioni interne e che, in quanto tale, non può essere messo in discussione in questa sede.

A questo si aggiunga che il sindacato che la Corte di cassazione può esercitare in relazione alla correttezza della motivazione di un provvedimento pronunciato su una richiesta di rinnovazione del dibattimento non può mai essere esercitato sulla concreta rilevanza dell'atto o della testimonianza da acquisire, ma deve esaurirsi nell'ambito del contenuto esplicativo del provvedimento adottato (v. Cass. S.U. 23 novembre 1995, P.G. in E. Fachini).

Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della soma di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.