Cassazione Penale, Sez. 2, 13 febbraio 2024, n. 6324 - Appropriazione indebita di somme percepite quali soci di una impresa edile a titolo di indennizzo per infortunio sul lavoro



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE


Composta da:

Dott. ROSI Elisabetta - Presidente

Dott. IMPERIALI Luciano - Relatore

Dott. PELLEGRINO Andrea - Consigliere

Dott. PERROTTI Massimo - Consigliere

Dott. LEOPIZZI Alessandro - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

dalla parte civile A.A. nato a F (Omissis)

nel procedimento a carico di:

B.B. nato a F il (Omissis)

C.C. nato a A il (Omissis)

D.D. nato a P il (Omissis)

avverso la sentenza del 05/10/2022 della CORTE APPELLO di BOLOGNA

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere LUCIANO IMPERIALI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUIGI CUOMO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. udito il difensore presente, avv. LUIGI NAPPA, in difesa di B.B., C.C. e D.D., che ha chiesto il rigetto del ricorso.

 

Fatto


1. Con sentenza del 2/2/2017 il Tribunale di Ravenna riconosceva la penale responsabilità di B.B., C.C. e D.D. in ordine all'appropriazione indebita delle somme percepite da Unipol Banca, quali soci della Impresa Edile E.E. Snc di B.B. & c., a titolo di indennizzo per l'infortunio sul lavoro subìto da A.A., trattenendo indebitamente tale somma di Euro 52.531,15 di spettanza di tale socio infortunato e dimissionario ed omettendo di conguagliare in sede di recesso del predetto. Gli imputati venivano, pertanto, condannati alla pena ritenuta di giustizia e dal risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile A.A.

2. La Corte di appello di Bologna, con sentenza del 5/10/2022, in riforma della pronuncia del Tribunale di Ravenna, ha assolto gli imputati dal reato loro ascritto perché il fatto non sussiste, revocando le statuizioni civili.

La Corte di appello ha rilevato che la Corte di cassazione, in sede civile, ha annullato con rinvio ad altra sezione della Corte territoriale la sentenza che aveva deciso sull'opposizione al decreto ingiuntivo proposta dal A.A., ed ha rilevato che il contratto di assicurazione in cui l'impresa garantisce se stessa in caso di infortunio del lavoratore non è nullo, in quanto il danno assicurato sarebbe costituito dalla mancata prestazione lavorativa. Non vi sarebbe prova del carattere meramente simulato della rinuncia dei soci all'indennizzo, risultante dallo stesso contratto, comunque non rilevante per l'Unipol. Anche qualora vi fosse stato un accordo dell'impresa con i soci, del tipo ritenuto dalla sentenza di primo grado, comunque, questo non determinerebbe la proprietà delle somme in capo ai soci ed una interversione del possesso, bensì un mero obbligo di restituzione.

2.1. Avverso la sentenza della Corte di appello ha proposto ricorso per cassazione la parte civile A.A., deducendo, con un unico ed articolato motivo di impugnazione, con il quale ha dedotto il vizio di motivazione per essere stata ribaltata la sentenza di primo grado, ritenendo l'inesistenza di un accordo dissimulato finalizzato a neutralizzare la rinuncia all'indennizzo da parte dei soci - riconosciuto, invece, dal Tribunale - senza provvedere a quella motivazione rafforzata richiesta per capovolgere le decisioni di primo grado: non è stata vagliata la sentenza della Cassazione civile che ha annullato la pronuncia della Corte di appello solo sul rilievo che, in quella sede, non era stato addotto in sentenza alcun elemento che provasse un significato del contratto di assicurazione diverso da quello emergente dal tenore letterale: a tal riguardo, non sono state vagliate dalla sentenza impugnata le dichiarazioni della persona offesa, né quelle dei testi F.F., in relazione alle finalità meramente fiscali della stipula del contratto di assicurazione a nome della società, e mar.llo G.G. in ordine agli indennizzi percepiti da altri soci in occasione degli infortuni subiti, né sono state valutate le dichiarazioni che si assumono sostanzialmente confessorie dell'imputato C.C.

Erroneamente, pertanto, si è ritenuta l'insussistenza del reato con un'erronea applicazione dell'art.646 cod. pen. che non considera che la parte civile era l'effettiva destinataria della somma corrisposta per il suo infortunio sul lavoro.

3. In data 12/9/2023 l'avv. Nappa, in difesa degli imputati B.B., C.C. e D.D. ha depositato memoria difensiva con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso, deducendo l'esistenza di una motivazione rafforzata a sostegno della pronuncia impugnata, il difetto di prova sia in ordine all'esistenza di un accordo tra i soci volto a neutralizzare la clausola di rinuncia all'indennizzo apposta dai soci al contratto di assicurazione che in ordine ad un obbligo di restituzione dell'indennizzo in favore del socio, che si assume avrebbe comunque rilevanza solo sul piano civile, nonché il rischio di un conflitto tra giudicati in caso di accoglimento dell'appello.

4. Anche il pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Luigi Cuomo, con memoria scritta del 4/10/2023 ha chiesto il rigetto del ricorso.
 

Diritto

Il ricorso è fondato e meritevole di accoglimento.

Nel riformare integralmente la sentenza del Tribunale di Ravenna che aveva riconosciuto la penale responsabilità degli imputati in ordine al delitto di appropriazione indebita loro ascritto, invero, la Corte territoriale non si è conformata al costante insegnamento di questa Suprema Corte secondo cui "il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza e non può, invece, limitarsi ad imporre la propria valutazione del compendio probatorio perché preferibile a quella coltivata nel provvedimento impugnato" (Cass., Sez.5, n. 8361del17/01/2013 Rv. 254638); in particolare, "il giudice di appello che riformi la decisione di condanna di primo grado, nella specie pervenendo a una sentenza di assoluzione, non può limitarsi a prospettare notazioni critiche di dissenso alla pronuncia impugnata, dovendo piuttosto esaminare, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice e quello eventualmente acquisito in seguito per offrire una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni assunte" (Cass.,Sez. 6, n.46742del08/10/2013Rv. 257332; sez.6, n. 1253 del 28/11/2013 Rv. 258005). In definitiva, nel riformare la decisione del primo grado, il giudice di appello "non può limitarsi ad inserire nella struttura argomentativa della decisione impugnata, genericamente richiamata, delle notazioni critiche di dissenso, essendo, invece, necessario che egli riesamini, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice, considerando quello eventualmente sfuggito alla sua valutazione e quello ulteriormente acquisito per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione del le difformi conclusioni"(Cass. Sez. 2n. 50643 del 18/11/2014 Rv.261327).

La sentenza impugnata non risulta aver in alcun modo rispettato tali principi, in quanto ha ribaltato la sentenza di condanna pronunciata in primo grado omettendo del tutto di confrontarsi con una pluralità di convergenti elementi posti a fondamento di questa - pur richiamati dalla sentenza impugnata, alle pagg. 5 e 6 - quali: le dichiarazioni della persona offesa, la testimonianza dell'assicuratore F.F. secondo cui la reale intenzione dei soci all'atto della stipulazione del contratto di assicurazione era quella di rendere conveniente l'operazione sotto il profilo fiscale e di assicurare gli stessi soci ponendo i costi a carico della società; la testimonianza del mar.llo G.G. in ordine agli indennizzi versati dalla Unipol e percepiti da altri soci in occasione degli infortuni da questi subiti, nel caso del D.D. perfino con la liquidazione diretta dell'indennizzo a suo favore, senza che alcuno dei soci eccepisse alcunché; la circostanza che le somme a titolo di indennizzo non furono mai contabilizzate dalla società né indicate nella dichiarazione modello unico relativa all'anno di imposta; le interlocuzioni dell'imputato C.C. con Unipol, in occasione dell'accredito in suo favore dell'indennizzo versato alla società per un infortunio dallo stesso subito, ed anche l'assunto dello stesso C.C. - riferito alla pag. 15 della sentenza di primo grado - secondo cui tra i soci "si era convenuto che, essendo tutti e quattro in credito nei confronti della società per il lavoro svolto negli anni e non adeguatamente retribuito, qualora la UNIPOL avesse indennizzato la società per l'infortunio del singolo, lo stesso socio assicurato avrebbe trattenuto l'importo liquidato per sé".

Si tratta di elementi valorizzati dalla sentenza del Tribunale di Ravenna che ha riconosciuto la penale responsabilità dei ricorrenti, come rilevato anche dalla sentenza impugnata, laddove questa ha riepilogato gli argomenti posi a fondamento della sentenza del primo giudice, con i quali però poi non si è confrontata in alcun modo, limitandosi a richiamare l'intervenuta pronuncia della terza sezione civile di questa Corte di Cassazione che, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo promosso dal A.A. nei confronti della Impresa Edile E.E. Snc di C.C. & c, rilevando non essere stato provato in quella sede un accordo tra i soci volto a vanificare la clausola di rinuncia all'indennizzo apposta al contratto di assicurazione, ha annullato con rinvio la pronuncia della Corte territoriale che, al pari del Tribunale di Ravenna, aveva accolto la domanda riconvenzionale proposta dal ricorrente chiedendo la compensazione di un suo debito nei confronti della società con il credito di 52.500,00 Euro corrispondente all'importo dell'indennizzo versato alla società dalla Unipol.

L'evocazione della sola pronuncia della terza sezione civile di questa Corte di Cassazione, fondata su un compendio probatorio diverso da quello oggetto del procedimento penale, però, non può sostituire l'omessa valutazione, sia pure in sintesi, del materiale probatorio vagliato dal primo giudice al fine di offrire una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia adeguatamente ragione delle difformi conclusioni assunte in secondo grado.

La sentenza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio al giudice civile competente in grado di appello per nuovo giudizio che, ai fini dell'accertamento della titolarità delle somme versate da UNIPOL a titolo di indennizzo per l'infortunio subìto dal A.A., verificherà, sulla base del compendio probatorio acquisito nel processo penale, se sia intervenuto o meno tra i soci un accordo volto a vanificare la rinuncia alla liquidazione dell'indennizzo in caso di infortunio sottoscritta dai soci in calce alla polizza di assicurazione.

Al giudice del rinvio va rimessa anche la liquidazione delle spese tra le parti in questo 4 grado di legittimità.

 

P.Q.M.


Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti in questo grado di legittimità.

Così deciso il 7 novembre 2023.

Depositata in Cancelleria il 13 febbraio 2024.