Morti di lavoro
di Paolo Pascucci

Tratto da fuoricollana*


Andare alle radici del progressivo indebolimento della posizione contrattuale dei lavoratori. La bussola è la Carta costituzionale. L’attività produttiva deve essere salubre e sicura fin dal suo concepimento. I morti di Firenze, sempre più al "ribasso".

Il copione è noto. Alle ricorrenti tragedie che ogni giorno immancabilmente si consumano nel mondo del lavoro corrisponde, in modo altrettanto ricorrente, la stessa domanda: che fare per porre termine a questa strage? E altrettanto ricorrenti sono le risposte a questa domanda.

Il cuore del problema
Rafforzare l’impianto normativo. Introdurre la sicurezza sul lavoro nei programmi scolastici. Creare una vera e propria cultura della sicurezza sul lavoro. Aumentare i contingenti del personale ispettivo. Inasprire le sanzioni esistenti. Introdurre una nuova fattispecie di reato come l’omicidio sul lavoro. Istituire un organismo nazionale per coordinare le indagini giudiziarie sugli infortuni sul lavoro.
Ognuna di queste risposte può avere, e probabilmente ha, un proprio fondamento.
Ma nessuna di esse, per quanto fondata possa essere, va al vero cuore del problema che altro non è che smetterla una buona volta di pensare che la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro costituisca solo uno, e neppure il più importante, dei tanti problemi di cui occuparsi (essenzialmente perché la legge lo impone). Ma è – deve essere – il primo problema di chi si avvale del lavoro altrui nell’organizzazione della propria “attività produttiva”, intesa in senso quanto mai ampio, senza confini tra privato e pubblico, tra impresa e non impresa.
In un’attività organizzata in cui sia dedotto lavoro umano la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro non è, né può essere, qualcosa di “altro” rispetto a tale attività, qualche cosa di marginale, di periferico o di secondario rispetto all’organizzazione dell’attività produttiva. Viceversa, la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro è consustanziale all’organizzazione dell’attività produttiva nel senso che quest’ultima non può non essere salubre e sicura fin dal suo stesso concepimento. In altre parole, la tutela della salute e della sicurezza di chi lavora non può non essere insita nello stesso core business dell’organizzazione e richiede di essere attentamente considerata non certamente meno di quanto sia attentamente considerato l’obiettivo economico-produttivo dell’organizzazione.

Vivere la Costituzione
A pretenderlo sono le tante previsioni normative internazionali, sovranazionali e nazionali che disciplinano la materia.
A pretenderlo è l’art. 41 della Costituzione italiana quando, prevedendo che l’iniziativa economica privata non possa svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o «in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana», ci mostra che il “non recare danno” non è che la conseguenza del «modo» in cui si svolge l’attività organizzata, la quale pertanto deve essere concepita ed esercitata «in modo» da evitare tale conseguenza.
A pretenderlo è la stessa gerarchia dei valori di cui, piaccia o meno, è difficile negare l’esistenza nella Costituzione, nella quale il valore del lavoro è inscindibilmente connesso con il valore della persona umana e dei suoi diritti fondamentali e inalienabili.

La metamorfosi del mercato e delle regole del lavoro
Non è facile tradurre tutto ciò in pratica.
Quella malintesa concezione del ruolo e del significato della prevenzione dei rischi lavorativi che impedisce tuttora in molti casi alla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro di assumere finalmente la netta centralità che dovrebbe avere nelle strategie delle organizzazioni private e pubbliche non è solo frutto di “immaturità” organizzativa e gestionale, quando non di colpevole incoscienza, ma è spesso condizionata anche da altri fattori, essenzialmente di natura economica, tanto più rilevanti quanto più sia ridotta e fragile la dimensione delle strutture organizzative.
Il che su più ampia scala induce ad interrogarsi – e lo si fa sempre troppo poco – anche sulle conseguenze della mancanza di serie e adeguate politiche industriali, così come sulla necessità di prefigurare idonei strumenti di supporto e di crescita per le realtà di minori dimensioni, che non siano triti incentivi o sgravi.
D’altro canto, non si deve trascurare come la tenuta dei sistemi di prevenzione aziendale sia costantemente messa in forse anche dalle metamorfosi del mercato e delle regole del lavoro, sia a causa della progressiva riduzione delle tutele (specialmente nel caso dei licenziamenti illegittimi), sia per la diffusione di contratti di lavoro flessibili o temporanei, i quali, indebolendo la posizione contrattuale dei lavoratori, spesso li “inducono” ad esporsi maggiormente ai rischi. Per non dire poi della rilevanza delle crescenti trasformazioni degli assetti produttivi indotte dall’incessante innovazione tecnologica, che incidono sulle categorie di “spazio” e “tempo” su cui si è costruito il contratto e il diritto del lavoro.
Ed è innegabile che l’attuale diritto della salute e della sicurezza sul lavoro, sia per quanto riguarda la sua dimensione prevenzionistica sia per quanto concerne quella assicurativa, nonostante alcuni significativi sviluppi della prima decade del terzo millennio (per tutti, il d.lgs. n. 81/2008 e il d.lgs. n. 38/2000), risente tuttora di non poche “incrostazioni” novecentesche, come, ad esempio, quella legata alla rilevanza del luogo di lavoro.

Sicurezza sul luogo di lavoro e sicurezza della persona che lavora
Tanto che, forse, la giustamente decantata modernità del vecchio art. 2087 del codice civile del 1942 potrebbe ascriversi anche al fatto che, lungi dall’evocare le categorie di spazio e tempo, tale norma identifica l’ambito di applicazione dell’obbligo datoriale di sicurezza in chiave funzionale parlando “semplicemente” di «esercizio dell’impresa».
Se è indubbio che per contrastare i nuovi rischi – specie quelli psico-sociali – che si annidano in organizzazioni del lavoro sempre più porose, quando non evanescenti, occorre ripensare in parte le stesse tecniche di tutela, perorando non più soltanto una sicurezza sul luogo di lavoro, ma anche e soprattutto una sicurezza della persona che lavora al di là di dove e quando lo faccia, non ci si dovrebbe tuttavia dimenticare che sulla sicurezza sul lavoro si riflette inevitabilmente la stessa debolezza del lavoro.
E che più il lavoro sarà svalutato, tanto più a pagarne il fio sarà soprattutto la garanzia di quei diritti fondamentali – come la salute, la sicurezza, la libertà e la dignità – che connotano un individuo come persona.
[Queste righe costituiscono un estratto della Prefazione dell’autore al libro di Maria Giovannone, “Responsabilità datoriale, rischi emergenti e nuovi ambienti di lavoro. Una proposta di ricomposizione delle tre dimensioni regolative della sicurezza sul lavoro”, in corso di pubblicazione per i tipi di Giappichelli, Torino, 2024].

Post scriptum. I morti di Firenze, sempre più al “ribasso”
Quasi neanche il tempo di comporre l’articolo pubblicato sull’ultimo Fuori Collana e già il suo titolo risuona sinistramente nelle cronache: i Morti di lavoro di Firenze – quattro accertati finora, ma chissà – che si contendono le prime pagine di giornali e telegiornali con la morte di Aleksej Navalnyj. E, subito dopo il crollo che ha schiacciato gli operai del cantiere fiorentino, da un lato, la consueta litania di parole di sdegno che segue sempre queste vicende, ma che tra qualche giorno, altrettanto consuetamente, si stempererà; dall’altro lato, l’altrettanto consueta ridda di invocazioni, tanto vibranti quanto talora non particolarmente puntuali. Infatti, rispetto a questa ulteriore ed immane tragedia è tecnicamente sbagliato evocare il nuovo codice degli appalti, perché esso riguarda gli appalti pubblici e non quelli privati, come era, a quanto consta, quello di Firenze. Ferme restando tutte le serie critiche che merita quel nuovo codice, in questo caso a venire in gioco è la crescente e devastante destrutturazione delle filiere produttive private che vede le imprese disarticolarsi sempre più, con la ovvia conseguenza che, più si scende nella filiera, più il lavoro è precario e insicuro. Sebbene la logica del “ribasso” non sia dissimile da quella che aleggia negli appalti pubblici, tuttavia nel settore privato le tutele sono ancora più labili, specie per quanto riguarda l’applicazione dei contratti collettivi e delle loro tutele, come potrebbe dimostrare anche il fatto che – a quanto pare e con il dovuto beneficio di inventario, che solo la magistratura chiarirà – alcuni lavoratori di quel cantiere edile vi avrebbero operato con un contratto da metalmeccanici. Perché, se non lo si fosse ancora compreso, l’insicurezza del lavoro (contratti precari e salari bassi) va di pari passo con l’insicurezza sul lavoro. Rispetto a questa ulteriore ed immane tragedia si invocano sanzioni penali, dimenticando tuttavia che le norme prevenzionistiche sono pressoché da sempre presidiate da sanzioni penali; che quasi tutte le sanzioni previste dal d.lgs. n. 81/2008 hanno natura penale; che, accanto a queste ultime, ci sono quelle relative ai delitti previsti dal codice penale, nonché quelle, non meno pesanti, del d.lgs. n. 231/2001 per la responsabilità delle società, considerando che ormai tutte le imprese, anche le più piccole hanno dimensione societaria: una responsabilità formalmente amministrativa, perché nel nostro ordinamento societas delinquere non potest, ma sostanzialmente penale essendo strutturalmente collegata a delitti “presupposto” e valutata dal giudice penale. Si può certamente aumentare l’entità delle sanzioni penali, come si possono introdurre nuove specifiche fattispecie di reato (come l’omicidio sul lavoro), sebbene non sia molto chiaro se un’analoga fattispecie penale, come l’omicidio stradale, abbia drasticamente ridotto gli incidenti. E, più in generale, ferma restando la necessità della repressione, la sicurezza richiede innanzitutto prevenzione. Rispetto a questa ulteriore ed immane tragedia è giusto chiedere l’aumento dei contingenti del personale ispettivo, a patto però che ciò valga non solo per l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, recentemente interessato da un certo e peraltro insufficiente incremento, ma anche e forse più per i Dipartimenti di prevenzione delle Aziende Sanitarie Locali, parimenti competenti a vigilare in materia di sicurezza sul lavoro, su cui si riflette in modo devastante la profonda crisi che attanaglia il Sistema sanitario nazionale. Rispetto a questa ulteriore ed immane tragedia si possono certamente escogitare strumenti di specializzazione delle strutture investigative onde colmare alcune lacune che si registrano purtroppo anche sul versante della magistratura inquirente. Sebbene qui non venga in luce alcuna forma di criminalità organizzata, si parla di una Procura nazionale ad hoc al fine di coordinare gli indirizzi investigativi. Forse, però, sarebbe ancor più opportuno irrobustire e specializzare i programmi formativi dei magistrati gestiti dalla Scuola Superiore della Magistratura, indirizzandoli soprattutto all’approfondita conoscenza degli strumenti che meglio di tutti garantiscono gli standard di prevenzione, vale a dire i modelli di organizzazione e di gestione evocati anche dal d.lgs. n. 81/2008 e che, oltre alla loro funzione esimente rispetto alla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche di cui al d.lgs. n. 231/2001, indicano la giusta strada per la costruzione di un credibile ed efficace sistema aziendale di prevenzione.


*Fuoricollana.it Ideato e diretto da Antonio Cantaro e Federico Losurdo