Cassazione Penale, Sez. 4, 15 febbraio 2024, n. 6771 - Operaio schiacciato da un escavatore meccanico. Prescrizione


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta da:

Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente

Dott. BELLINI Ugo - Consigliere

Dott. CENCI Daniele - Relatore

Dott. MARI Attilio - Consigliere

Dott. CIRESE Marina - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

A.A. nato a C il (Omissis)

avverso la sentenza del 14/12/2022 della CORTE APPELLO di BOLOGNA

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELE CENCI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dr.ssa FRANCESCA COSTANTINI, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso, riportandosi alla requisitoria scritta.

udito il Difensore:

è presente l'Avv. Francesco DE LUCA, del Foro di PARMA, nell'interesse del responsabile civile VE.I.CO.PAL Srl nonché in difesa di A.A.. Il Difensore illustra i motivi di ricorso e ne chiede l'accoglimento, rilevando, in ultima analisi, l'intervenuta prescrizione del reato.

E' altresì presente l'Avv. Giovanni MAGNANI, del Foro di PARMA, in difesa di A.A., che si associa alle conclusioni del co-difensore.

 

Fatto


1. La Corte di appello di Bologna il 14 dicembre 2022, in parziale riforma della sentenza, appellata dall'imputato, con cui il Tribunale di Parma il 1 dicembre 2020 ha riconosciuto A.A. responsabile del reato di lesioni colpose gravissime nei confronti di B.B., fatto commesso il 15 luglio 2015, con violazione della disciplina antinfortunistica, in conseguenza condannandolo alla pena di giustizia, pena sospesa alla condizione del pagamento della somma assegnata a titolo di provvisionale, oltre che, in solido con il responsabile civile, al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, ebbene, la Corte di appello, preso atto della rinunzia all'azione da parte delle parti civili, ha revocato le statuizioni civili e, conseguentemente, ha revocato la condizione apposta alla sospensione condizionale della pena; con conferma nel resto.

2. I fatti, in sintesi, come concordemente ricostruiti dai Giudici di merito.

B.B., dipendente, con la qualifica di operaio, della Srl "VE.I.CO.PAL" il 15 luglio 2015 ha patito un grave infortunio sul lavoro.

Essendogli stato richiesto alle 18.15 dal capo-cantiere C.C. (figlio di A.A.) di terminare di spostare dei tubi del peso di 47 kg ciascuno, dovendo fare spazio per materiali che sarebbero arrivati il giorno dopo nel cantiere ove la Srl stava svolgendo lavori di ripristino del "rilevato stradale", resosi necessario a seguito di una frana, su incarico della Provincia, avendo nel corso della giornata lavorativa B.B. già spostata a mano, come previsto, essendo idoneo a tali mansioni, altri tubi, avendo accettato malvolentieri le disposizioni, l'imputato, per abbreviare i tempi, ha iniziato a spostare i tubi rimasti, legandone cinque tra loro con un cavo di acciaio e poi agganciandoli al braccio di un escavatore meccanico "Komatsu" - presente in cantiere con le chiavi di accensione inserite - che ha adoperato quale mezzo di sollevamento. Non essendo, però, B.B. in possesso della relativa patente, pur avendo in passato e in altri cantieri - di fatto - condotto mezzi analoghi, ma essendo in possesso della distinta abilitazione a guidare macchine perforatrici, e non avendo allacciato le cinture di sicurezza, ha in maniera avventata ruotato il braccio, pesante più di due quintali, verso valle, con la conseguenza che il mezzo si è ribaltato in basso lungo il terrapieno sottostante: l'operaio, saltato fuori dalla cabina, è stato schiacciato dal mezzo che gli è precipitato addosso, provocandogli gravissime lesioni (politrauma con frattura "a libro aperto" del bacino, frattura dell'ala iliaca, dell'acetabolo, della branca ischio-pubica, schiacciamento della vertebra sacrale etc.) causative, tra l'altro, nonostante i successivi interventi chirurgici cui è stato sottoposto, di handicap in situazione di gravità con ridotta capacità deambulatoria, non avendo mai recuperato l'uso del piede destro, e dì depressione reattiva post traumatica.

Del grave infortunio è stato riconosciuto responsabile A.A. in qualità di datore di lavoro - amministratore unico della Srl "VE.I.CO.PAL", per non avere impedito che il mezzo escavatore "Komatsu", noleggiato dalla sua azienda e presente in cantiere, venisse adoperato da persone non autorizzate, quale era l'infortunato: infatti le chiavi di accensione erano sul mezzo, e non già riposte in una sede sicura o affidate a persone abilitate, e lo erano in un giorno in cui non era previsto che nessun dipendente abilitato usasse il mezzo, per di più in una zona pericolosa siccome vicina ad un terrapieno privo di reti di protezione; e si è notato che non era imprevedibile che il lavoratore, per abbreviare i tempi, avrebbe potuto decidere di usare come sollevatore per spostare più pesanti tubi un escavatore di cui aveva di fatto la materiale disponibilità (pp. 30-33 della sentenza di primo grado). Dunque, “il sistema di sicurezza approntato dall'imputato presentava (...) un'evidente falla” (così alla p. 32 della decisione di primo grado).

In tale condotta il Tribunale ha ravvisato la violazione dell'art. 71, comma 7, lett. a), del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (si legge alla p. 33 della sentenza).

Il fatto della collocazione delle chiavi non è stata ritenuto dalla Corte territoriale costituire un "fatto nuovo" ma soltanto la individuazione di una delle modalità che si sarebbero potute adottare (p. 10 della sentenza impugnata) e si è sottolineato essere stata svolta in contraddittorio la verifica sulla collocazione delle chiavi e sulla presenza del mezzo in cantiere (pp. 10-11 delle sentenza di secondo grado, che ha ritenuto avere il Tribunale solo “specificato uno dei profili di colpa contestati” nell'editto).

Inoltre, sempre ad avviso del Tribunale, “A.A. peraltro non adottò le misure e gli accorgimenti imposti all'imprenditore dall'art. 2087 del codice civile ai fini della più efficace tutela dell'integrità fisica del lavoratore, con particolare riferimento alla sicura organizzazione della movimentazione dei carichi, così come contestato nel capo di accusa” (p. 33). Tale condotta materiale - si legge nella sentenza di appello (alla p. 10) - è stata ricollegata nel capo di imputazione alla violazione dell'art. 168 del d.lgs. n. 81 del 2008 ed invece nella sentenza impugnata alla violazione dell'art. 2087 cod. civ. ma ciò non incide - si è ritenuto da parte della Corte di appello, che ha richiamato giurisprudenza di legittimità (p. 10) - sulla materialità del fatto contestato.

Il Tribunale ha richiamato (p. 34) giurisprudenza di legittimità in tema di ammissibilità della contestazione in fatto.

La condotta dell'infortunato non è stata ritenuta abnorme dai Giudici (pp. 14-15 della sentenza della Corte di merito e pp. 31-32 di quella del Tribunale).

3. Ciò posto, ricorre per la cassazione della sentenza l'imputato, tramite Difensore di fiducia, affidandosi a tre motivi con i quali denunzia promiscuamente violazione di legge e difetto di motivazione.

3.1. Con il primo motivo lamenta nullità della sentenza ex art. 522 cod. proc. pen. e, nel contempo, mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione per violazione del principio di necessaria correlazione tra accusa e sentenza.

Si critica non avere la Corte di appello fornito risposta alla doglianza già svolta con il primo motivo di appello, limitandosi a richiamare, alle pp. 10-12, le motivazioni del Tribunale circa la sottolineata "ontologica" differenza (p. 3 del ricorso) tra il fatto contestato e quello per cui, invece, è intervenuta condanna, indipendentemente dal precetto normativo contenente la regola cautelare asseritamente violata.

La Corte di appello avrebbe erroneamente applicato gli artt. 521-522 cod. proc. pen. ed avrebbe fornito una motivazione mancante o meramente apparente ovvero illogica.

Quanto al fatto della ritenuta carente organizzazione lavorativa della movimentazione dei materiali, si osserva che la stessa, a ben vedere, non è stata ricollegata all'art. 2087 cod. civ. piuttosto che all'art. 168 del d.lgs. n. 81 del 2008 (come invece si legge alla p. 10 della sentenza impugnata) ma che è stata, invece, esplicitamente esclusa dal Tribunale (alla p. 29 della sentenza). E si rammenta avere con l'atto di appello eccepito non una questione di qualificazione giuridica ma la discrasia tra il fatto materiale contestato (v. imputazione) e quello per cui è intervenuta condanna (v. sentenza).

Il precedente giurisprudenziale richiamato dalla Corte di appello non sarebbe pertinente (Sez. 4, n. 35057 del 2020), poiché presupporrebbe che sia rimasta inalterata la condotta, ciò che, però, nel caso di specie non è accaduto.

Del resto, la stessa sentenza di primo grado alla p. 34 parla esplicitamente di un fatto accertato “sebbene sotto un profilo diverso rispetto a quello contestato in fatto, giacché egli (A.A.) non adottò le misure necessarie affinché "l'uso delle attrezzature di lavoro (fosse) riservato ai lavoratori allo scopo incaricati che (avessero) ricevuto una informazione, formazione ed addestramento adeguati"”.

In realtà, il generico richiamo dei decidenti all'art. 71, comma 7, lett. a), del d.lgs. n. 81 del 2008 non sarebbe sufficiente a delimitare una contestazione, essendo una norma che prevede plurime condotte, mentre una corretta esegesi dell'editto di accusa conduce a ritenere che all'imputato sia stato addebitato dal P.M., esclusivamente ed inequivocabilmente, di avere: 1) messo a disposizione del lavoratore un'attrezzatura non idonea allo scopo; 2) omesso di formare ed addestrare l'infortunato all'uso del mezzo, anche in caso di uso saltuario oppure occasionale; 3) organizzato in modo non appropriato e sicuro la movimentazione dei materiali con particolare riguardo ai "mezzi appropriati" per evitare la movimentazione manuale dei carichi. Ebbene, ad avviso del ricorrente, tutti tali profili sono stati ritenuti infondati dal Tribunale all'esito del giudizio di primo grado. Infatti il Tribunale ha affermato la penale responsabilità dell'imputato unicamente (p. 33) “sotto un profilo diverso rispetto a quello contestato in fatto, giacché egli (A.A.) non adottò le misure necessarie affinché "l'uso delle attrezzature di lavoro (fosse) riservato ai lavoratori allo scopo incaricati che (avessero) ricevuto una informazione, formazione ed addestramento adeguati"”.

Discende che pacificamente il fatto per cui è intervenuta condanna (non avere impedito con misure organizzative che le chiavi del mezzo restassero alla mercè di chiunque) non è stato mai prima contestato all'imputato.

Discende da quanto precede - si segnala - la violazione del diritto di difesa.

3.2. Con il secondo motivo censura la violazione dell'art, 71, comma 7, lett. a), del d.lgs. n. 81 del 2008 circa la ritenuta mancanza di formazione della persona offesa all'impiego di attrezzature di lavoro richiedenti conoscenze o responsabilità particolari.

Si sottolinea essere emerso dall'istruttoria che non era necessaria una specifica formazione per il mezzo in questione, avendo massa inferiore ai 6.000,00 kg ma, comunque, essere tranciante il rilievo che l'infortunato non era in alcun modo autorizzato a movimentare il mezzo in questione, che non poteva considerarsi mezzo destinato ad essere usato durante il lavoro, poiché è emerso che non era destinato ad essere usato e tantomeno da parte dell'infortunato.

Ed è emerso dall'istruttoria anche che era stato lasciato lì perché non era possibile caricarlo la sera e portarlo via e che avrebbe dovuto essere spostato dal cantiere il giorno 15 luglio 2014.

3.3. Infine, con l'ultimo motivo il ricorrente si duole di ulteriore violazione di legge (artt. 62-bis e 133 cod. pen.) e difetto di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio sia in relazione al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche sia in relazione alla scelta della pena, che si ritiene essere eccessivamente severa.

Infatti, la scelta di non concedere le attenuanti poiché l'imputato non è comparso in udienza e non potrebbe quindi valutarsi il relativo comportamento processuale, è erronea in fatto, in quanto l'imputato risulta, in realtà, presente nel verbale di udienza del 16 ottobre 2018, e non corretta in diritto, in quanto l'essere giudicati in assenza non può essere ostativo al riconoscimento delle attenuanti.

Quanto alla scelta della sanzione, non coincidente con il minimo edittale, la gravità del reato viene desunta dalla entità delle lesioni patite dalla vittima e dalla pluralità di norme violate: affermazioni che, però, sarebbero entrambe illegittime, erronee ed incondivisibili, in quanto la obiettiva serietà delle conseguenze è già stata tenuta presente dal legislatore allorché ha distinto le lesioni in comuni, gravi e gravissime, con distinti trattamenti sanzionatori; e, per quanto detto in precedenza, la condotta asseritamente violata è quella di avere impedito che il pesante mezzo fosse lasciato nella potenziale disponibilità di persone non abilitata alla conduzione dello stesso.

Si chiede, dunque, l'annullamento della sentenza impugnata.

4. Il P.G. nella requisitoria scritta del 27 ottobre 2023 ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
 

Diritto


1. Il ricorso non è manifestamente infondato, quantomeno sotto il primo ed il terzo dei profili denunziati (con cui si lamenta, rispettivamente, la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza ed il trattamento sanzionatorio applicato).

Sussistono, dunque, i presupposti per rilevare, ai sensi dell'art. 129, comma 1, cod. proc. pen., l'intervenuta causa estintiva del reato per cui si procede, essendo spirato il termine di prescrizione massimo (fatto del 15 luglio 2015 + sette anni e sei mesi = 15 gennaio 2023 + 182 giorni di sospensione per sciopero degli Avvocati dal 18 dicembre 2018 al 18 giugno 2019, come indicato alla p. 4 della sentenza di primo grado = 16 luglio 2023 + 64 giorni dal 9 marzo al 12 maggio 2020 = 18 settembre 2023).

Infatti il ricorso in esame non presenta profili di inammissibilità, per la manifesta infondatezza delle doglianze ovvero perché basato su censure non deducibili in sede di legittimità, tali, dunque, da non consentire di rilevare l'intervenuta prescrizione.

Pertanto, sussistono i presupposti, discendenti dalla intervenuta instaurazione di un valido rapporto processuale di impugnazione, per rilevare e per dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen. maturate, come nel caso di specie, successivamente rispetto all'adozione della sentenza impugnata.

E' poi appena il caso di sottolineare che risulta superfluo qualsiasi approfondimento al riguardo, proprio in considerazione della maturata prescrizione: invero, a prescindere dalla fondatezza o meno degli assunti del ricorrente, è ben noto che, secondo consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, qualora già risulti una causa di estinzione del reato, non rileva la sussistenza di eventuali nullità, addirittura pur se di ordine generale, in quanto l'inevitabile rinvio al Giudice di merito è incompatibile con il principio dell'immediata applicabilità della causa estintiva (cfr. Sez. U, n. 1021 del 28/11/2001, dep. 2002, Cremonese, Rv. 220511) e non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in presenza, come nel caso di specie, di una causa di estinzione del reato, quale la prescrizione (v. Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275).

Infine, non ricorrono le condizioni per una pronuncia assolutoria di merito, ex art. 129, comma 2, cod. proc. pen., in considerazione delle valutazioni complessivamente svolte dalla Corte di appello nella sentenza impugnata, non emergendo all'evidenza circostanze tali da imporre, quale "constatazione", cioè mera presa d'atto, la necessità di assoluzione (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274).

2. Discende la pronunzia in dispositivo.

Motivazione semplificata, dovendosi fare applicazione nel caso di specie di principi già reiteratamente affermati dalla Corte di cassazione e condivisi dal Collegio, ricorrendo le condizioni di cui al decreto del Primo Presidente della S.C. n. 84 dell'8 giugno 2016.

 

P.Q.M.
 

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso il 23 novembre 2023.

Depositata in Cancelleria il 15 febbraio 2024.