Cassazione Penale, Sez. 4, 15 febbraio 2024, n. 6782 - Caduta dall'alto durante l'imbragatura di carichi in altezza con l'utilizzo di un apparecchio di sollevamento


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta da:

Dott. SERRAO Eugenia - Presidente

Dott. CALAFIORE Daniela - Consigliere Relatore

Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere

Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere

Dott. ANTEZZA Fabio - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

A.A. nato a T il Omissis

avverso la sentenza del 21/03/2023 della CORTE APPELLO di TORINO

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELA CALAFIORE;

letta la requisitoria scritta depositata dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUCA TAMPIERI, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
 

Fatto


1. La Corte d'appello di Torino, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la pronuncia del Tribunale della stessa sede del 24 maggio 2021, che aveva condannato A.A., a seguito di rito abbreviato, alla pena di euro 200 di multa perché ritenuto responsabile, in qualità di datore di lavoro, del reato previsto dagli artt. 590, comma 3, 583, comma 1, n.l, cod. pen.

2. Al A.A. è stato contestato, nella qualità di datore di lavoro, di aver cagionato a B.B. lesioni personali gravi (frattura del femore sx), con incapacità di attendere alle proprie ordinarie occupazioni per un periodo non inferiore a sessanta giorni. Le lesioni erano derivate dalla caduta del lavoratore, che era stato impegnato nel trasporto di pacchi di pannelli isolanti da installare al piano di copertura del fabbricato industriale occupato dalla ditta SOLDANO. Il dipendente, dopo essersi portato ad una altezza di circa 4 metri da terra, sull'ultimo strato dei pannelli caricati sull'autocarro utilizzato per il trasporto presso l'area di cantiere, mentre stava procedendo all'imbragatura dei carichi, improvvisamente cadeva a terra e si procurava le lesioni di cui sopra. In Torino il 10 luglio 2016.

All'imputato sono state addebitate condotte assistite da colpa specifica, consistente nella violazione dell'art. 96, comma 1 lett. g), D.Lgs. n. 81 del 2008 per aver redatto il Piano Operativo di Sicurezza in violazione dell'art.28, comma 2 lett. a) d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, per non avere adeguatamente valutato o comunque per avere sottovalutato nel Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) il rischio specifico derivante dall'impiego dell'apparecchio di sollevamento (gru su carro), utilizzato dal lavoratore al momento dell'infortunio, ed in particolare la necessità di imbragare i carichi in altezza in condizioni di sicurezza, tenendo anche conto del rischio di caduta dall'alto. Il fatto risulta quindi aggravato dalla violazione della disciplina prevenzionistica.

3. La Corte territoriale ha confermato l'accertamento dei fatti compiuto dal Tribunale, che aveva fondato il proprio convincimento, in primo luogo, sulla comunicazione dell'ASL TO 1 dell'I 1 luglio 2016, dalla quale emergeva che gli Agenti della P.G. erano intervenuti, il giorno successivo al sinistro, su segnalazione dell'Ospedale San Giovanni Bosco di Torino. In tale sede era emerso che ai lavori erano addette circa dieci persone, tra le quali lo stesso imputato, e che l'infortunato era caduto dall'alto durante l'imbragatura di un carico che egli stava eseguendo dopo essersi posizionato sul pianale di un autocarro. Lo stesso lavoratore aveva confermato di trovarsi sulla catasta dei pannelli caricata sul camion e che il suo compito era quello di spostare ed imbragare i pannelli da movimentare con la gru presente sul camion. Ad un certo punto, perdendo l'equilibrio, era caduto a terra, forse su di una pedana di legno, da una altezza superiore a quella della cabina di guida del camion. La dichiarazione era stata confermata anche dal teste oculare, collega di lavoro, C.C. che aveva stimato l'altezza in circa 4 metri da terra. Pertanto, era stato ritenuto pienamente provato che l'infortunato operasse in quota, in posizione precaria e senza alcuno degli accorgimenti che avrebbero potuto evitare la caduta.

4. Avverso tale sentenza, ricorre per cassazione A.A. sulla base di due motivi.

Con il primo motivo, deduce, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, con riferimento all'inchiesta di infortunio datata 30 settembre 2016 emessa dall'ASL di Torino 1 ed alla contestata colpa specifica, consistente nella violazione dell'art. 96 D.Lgs. n. 81 del 2008, per aver redatto il Piano Operativo di Sicurezza, senza valutare anche i rischi derivanti dall'impiego dell'apparecchio di sollevamento utilizzato dal lavoratore al momento dell'infortunio e, nello specifico, la necessità di imbragare i carichi in altezza in condizioni di sicurezza, tenendo conto anche del rischio di caduta dall'alto.

Il ricorrente sostiene di aver dimostrato logicamente come la persona offesa al momento della caduta non potesse trovarsi all'altezza indicata, di circa 4 metri, come era agevole riscontrare anche esaminando la fotografia allegata alla sentenza impugnata. Solo un mezzo apposito, di cui nessuno aveva mai parlato, avrebbe potuto collocare il medesimo lavoratore a tale altezza ed in ogni caso sarebbe stato impossibile per l'infortunato realizzare le imbragature con i piedi poggiati sui pannelli.

Con il secondo motivo, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., il ricorrente deduce l'inosservanza di norme giuridiche con riferimento alla asserita violazione dell'art. 96, comma 1, lett. g) D.Lgs. n. 81/2008. Il ricorrente afferma che il profilo di colpa specifica oggetto di contestazione non sussiste proprio in ragione dell'assenza del nesso causale tra la violazione della regola cautelare contestata e l'evento. Si sostiene che la dimostrazione, di cui al primo motivo, relativa cioè alla circostanza che il lavoratore si trova ad altezza di m. 1,90 (come emergerebbe dallo stesso schema proposto dall'ASI, in relazione alla superficie superiore dei pannelli rinvenuti sull'autocarro al momento del sopralluogo (1,22 + 0,68 m), dimostrerebbe il venir meno del presupposto richiesto dalla norma cautelare contenuta nell'art. 107 del D.Lgs. n. 81 del 2008 che indica in 2 metri, da un piano stabile, la definizione di lavoro in quota; dunque, non vi era alcun obbligo di indicare nel Piano Operativo di Sicurezza (POS) una valutazione specifica circa i rischi derivanti dall'impiego dell'apparecchio di sollevamento (gru su carro) ed il rischio di caduta dall'alto durante l'operazione di imbragatura. Peraltro, le misure di prevenzione e/o protezione contro il rischio di caduta dall'alto indicate dall'ASL TO1 non avrebbero impedito l'evento, in quanto la quota fa. cui si trovava il lavoratore non avrebbe consentito una sufficiente tensione ed un adeguato spazio di arresto.

5. Il Procuratore generale, nella persona del Sostituto Procuratore Luca Tampieri, ha depositato requisitoria scritta con la quale ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.

6. La parte civile ha depositato atto di rinuncia alla costituzione di parte civile.
 

Diritto


1. I due motivi, connessi per le comuni ragioni relative alla contestazione della ricostruzione in fatto della dinamica dell'infortunio, sono inammissibili.

2. E' opportuno precisare che la Corte d'appello di Torino ha ritenuto la responsabilità penale dell'imputato in ordine al reato ascrittogli, in quanto datore di lavoro di B.B. ed amministratore della società F. Srl, per avere omesso di valutare i rischi derivanti dall'impiego dell'apparecchio di sollevamento utilizzato dal lavoratore al momento dell'infortunio ed in particolare, per non aver previsto il rischio derivante dall'impiego del mezzo durante le operazioni di imbragatura dei carichi in altezza, tenendo anche conto del rischio di caduta dall'alto. La Corte d'appello ha confermato tale ricostruzione in fatto, basandosi in primo luogo sui contenuti della comunicazione dell'ASL TO 1 dell'11 luglio 2016, dai quali era emerso che gli Agenti della P.G., intervenuti il giorno successivo al sinistro su segnalazione dell'Ospedale San Giovanni Bosco di Torino, avevano appurato che ai lavori erano addetti circa dieci dipendenti, oltre lo stesso imputato, e che l'infortunato era caduto dall'alto durante l'imbragatura dì un carico che egli stava eseguendo dopo essersi posizionato sul pianale di un autocarro. Lo stesso lavoratore aveva confermato di trovarsi sulla catasta dei pannelli caricata sul camion ed il suo compito era quello di spostare ed imbragare i pannelli da movimentare con la gru presente sul camion. Ad un certo punto, verosimilmente perdendo l'equilibrio, era caduto a terra, forse su di una pedana di legno, da una altezza superiore a quella della cabina di guida del camion. La dichiarazione era stata confermata anche dal teste oculare, collega di lavoro, C.C. che aveva stimato l'altezza in circa 4 metri da terra. Pertanto, era stato ritenuto pienamente provato che l'infortunato operasse in quota, in posizione precaria e senza alcuno degli accorgimenti che avrebbero potuto evitare la caduta.

3. A tali elementi la Corte territoriale ha affiancato la considerazione che l'indicazione dell'altezza non poteva che essere quella, di circa 4 metri, stimata dalla relazione in atti, in quanto il pianale sul quale si trovavano i quattro pacchi di pannelli sovrapposti tra loro (ognuno di spessore pari a cm. 0,68) era di altezza pari a cm. 122 da terra. Ciò era reso evidente anche dalla fotografia del luogo e dei mezzi scattata il giorno seguente all'infortunio dallo SPRESAL ed allegata alla relazione conclusiva.

La mancata valutazione di tale rischio, nella ricostruzione dei fatti operata dalla sentenza impugnata, ha fatto sì che non si siano apprestate le misure di protezione idonee ad impedire la caduta del lavoratore, che operava ad un'altezza di circa 4 metri da terra sull'ultimo strato dei pannelli. Che tale sia stata la dinamica dell'infortunio, la sentenza impugnata lo ha ricavato sia dalle risultanze dell'accertamento posto in essere dallo Spresal ASL TO 1 il giorno successivo all'evento, che dalle dichiarazioni del lavoratore infortunato e del suo collega, C.C., che manovrava l'apparecchio di sollevamento per il trasporto al piano copertura dei pacchi di pannelli isolanti da installare.

Secondo il testimone, B.B. aveva il compito di imbragare i carichi e tale operazione veniva eseguita portandosi sopra i materiali, i quali erano depositati sul pianale di carico dell'autocarro, che si trovava a m. 1,22 dal suolo. I pacchi di pannelli sovrapposti erano quattro, perché, al di là di ciò che si percepiva dalla fotografia scattata il giorno dopo, i testi avevano affermato che l'altezza complessiva degli stessi era superiore a quella del tetto della cabina di guida.

4. Il ricorrente contrappone a tale ricostruzione, palesemente fondata sui riscontri della prova dichiarativa rafforzata dai rilievi fotografici ed ambientali contenuti della relazione di servizio del personale ispettivo, una mera opposizione logica, senza confrontarsi in alcun modo con i contenuti specifici delle pagine 6 e 7 della sentenza. Introduce, in modo inammissibile, anche la nuova questione della eventuale presenza di un ulteriore mezzo di sopraelevazione del lavoratore, quale elemento meramente congetturale ed estraneo alle questioni devolute ed esaminate dai giudici di merito. La giurisprudenza di legittimità ha in proposito affermato (Sez. 1, 20 dicembre 1993, Etzi, Rv. 196414 e Sez. 3, 24 gennaio 2017, Costa, Rv 269632, con riferimento a motivi sui quali la Corte d'appello non s'era pronunciata perché inammissibili, e Sez. 2, 8 marzo 2017, Galdi, Rv. 270316, e Sez. 2, 20 novembre 2020, Tocco, m. 280306, anche con riferimento a motivi solo genericamente dedotti in appello) che è inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, con l'unico motivo, una violazione di legge verificatasi nel giudizio di primo grado, se non si procede alla specifica contestazione del riepilogo dei motivi di appello, contenuto nella sentenza impugnata, che non menzioni la medesima violazione come doglianza già proposta in sede di appello, in quanto, in mancanza della predetta contestazione, il motivo deve ritenersi proposto per la prima volta in cassazione, e quindi tardivo, ai sensi dell'art. 606, comma 3, cod.proc.pen. (Cass., sez. II, 3 aprile 2017, Ciccarelli, Rv. 270627, Sez. 2, 5 novembre 2013, Carrieri, Rv. 259066).

5. In tema di sindacato del vizio di motivazione, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilità delle fonti di prova, bensì quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U. n. 930 del 13 dicembre 1995, Clarke, Rv. 203428).

6) Esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per i ricorrenti più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (S.U. n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207945).

La Corte di cassazione ha rilevato che anche dopo la modifica dell'art. 606 c.p.p., lett. e) per effetto della L. 20 febbraio 2006, n. 46, resta immutata la natura del sindacato di legittimità sui vizi della motivazione, essendo rimasto preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Sez. 5, Sentenza n. 17905 del 23.03.2006, Rv. 234109). Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Sez. 1, n. 1769 del 23/03/1995, Rv. 201177; Sez. 6, Sentenza n. 22445 del 8/05/2009, Rv. 244181). Peraltro, non è consentito alle parti dedurre censure che riguardano la selezione delle prove effettuata da parte del giudice di merito, posto che, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, dovendo limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Sez. 5, Sentenza n. 1004 del 30/11/1999, dep. 2000, Rv. 215745; Sez. 2, Sentenza h. 2436 del 21/12/1993, dep. 1994, Rv. 196955).

7) Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto sussistente la penale responsabilità del ricorrente, puntualmente mettendo in relazione il giudizio di fondatezza dell'accusa al compendio probatorio acquisito, a fronte del quale non possono trovare spazio le deduzioni difensive, per lo più finalizzate a sollecitare una lettura del materiale probatorio diversa e volte ad accreditare un' alternativa generica ricostruzione dei fatti, mediante prospettazioni che risultano formulate in difetto di correlazione con i contenuti della decisione impugnata e si risolvono in mere critiche discorsive a quest'ultima.

La manifesta illogicità della motivazione, prevista dall'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., presuppone che la ricostruzione proposta dal ricorrente e contrastante con il procedimento argomentativo recepito nella sentenza impugnata sia inconfutabile e non rappresenti soltanto un'ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza (Sez. 6 - n. 2972 del 04/12/2020 (dep. 2021) Rv. 280589 - 02; S.U., 30 giugno 2000, Tammaro, Rv. 216249; Sez. 4, 14 dicembre 2023, Stretti, Rv. 285533).

Tale carattere non è presente nella formulazione dei motivi di ricorso, che si limitano a sollevare dubbi sulla effettiva presenza dei pannelli nella misura accertata dalla sentenza impugnata e, da tale mera diversa ricostruzione dei fatti, deducono in modo inammissibile la carenza del presupposto applicativo dell'art. 107 D.Lgs. n. 81 del 2008 e, di conseguenza, della norma impositiva dell'obbligo di inserire nel P.O.S. anche il rischio del movimento in quota con mezzo meccanico da cui è scaturito l'evento infortunistico.

8. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre che di una somma, che si stima equo fissare in euro tremila, in favore della Cassa delle ammende (non ricorrendo elementi per ritenere il ricorrente esente da colpe, nella determinazione della causa di inammissibilità, conformemente a quanto indicato da Corte cost., sentenza n. 186 del 2000).

 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso, condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, l'11 gennaio 2024.

Depositata in Cancelleria il 15 febbraio 2024.