Cassazione Civile, Sez. 7, 22 febbraio 2024, n. 4721 - Patologie della dipendente comunale. Nessun inadempimento datoriale



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SETTIMA CIVILE

Composta da

Dott. MAROTTA CATERINA - Presidente

Dott. BELLE'ROBERTO - Consigliere rel.

Dott. LAVINIA BUCONI MARIA - Consigliere

Dott. AMEDEO ROLFI FEDERICO VINCENZO - Consigliere

Dott. CAVALLARI DARIO - Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA



sul ricorso iscritto al n. 31793/2018 R.G. proposto da

A.A., rappresentata e difesa dall'Avv. EZIO BONANNI presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Roma, via Crescenzio 2

- ricorrente -

contro

COMUNE DI CASALBORDINO, rappresentato e difeso dall'Avv. GIULIO CERCEO ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell'Avv. DANIELE VAGNOZZI in Roma, via Giunio Bazzoni 3

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 315/2018 della Corte d'Appello di L'Aquila, depositata il 3.5.2018, N.R.G. 537/2017.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6.12.2023 dal Consigliere dott. Roberto Bellé;

 

Fatto


1. A.A. ha agito nei confronti del Comune di Casalbordino al fine di far accertare la responsabilità dell'ente ai sensi dell'art. 2087 c.c. per le patologie di cui essa soffre (allergia al nichel, gastrite da steroidi e da ultimo MCS-Sensibilità Chimica Multipla) e per non avere curato l'adibizione a mansioni che le aggravassero; la Corte d'Appello di L'Aquila, disattendendo il gravame avverso la pronuncia del Tribunale di Vasto, ha confermato il rigetto della domanda;

la Corte territoriale ha richiamato il riconoscimento da parte della Commissione medica dell'Ospedale di Chieti della causa di servizio per gastrite e allergia al nichel ed il superamento di tale valutazione da parte del Comitato per le pensioni privilegiate, il quale riteneva quelle affezioni di natura "endogeno-costituzionale"; la Corte territoriale ha poi ritenuto che il Comune si fosse sempre adattato alle indicazioni necessarie a collocare in modo adeguato la A.A. sul piano lavorativo, affermando che non erano state mai fatte riprendere le mansioni originarie, svolte presso la scuola materna (pulizia locali; aiuto in cucina e servizio al refettorio), assegnando la lavoratrice al servizio protocollo e poi, in esito a concorso, a servizi di "esecutore amministrativo" (redazione atti con videoscrittura, spedizione fax, gestione posta; gestione archivi e schedari), con postazione di lavoro in locale munito di due finestre e mobili privi di parti metalliche o nichelate esposte; in esito a giudizio del medico competente, dott.ssa B.B. -proseguiva la Corte -, stante l'aggravarsi della patologia della ricorrente, il Comune aveva quindi optato per una nuova postazione di lavoro, con solo una scrivania in legno e senza altri mobili e con assetto ritenuto dal medesimo medico confacente allo stato di salute della lavoratrice;

la Corte territoriale riteneva non addebitabile alcun rispetto all'uso o alla vicinanza con la fotocopiatrice o stampante, rimarcando come quest'ultima fosse distante qualche metro dalla stanza della ricorrente e vi fosse una finestra che rimaneva aperta, senza che la A.A. fosse addetta alla sostituzione del toner o che vi fosse dispersione di quest'ultimo, né che alla lavoratrice fosse richiesto un numero di fotocopie tale da comportare lo stazionamento per congrui lassi di tempo presso la stampante; la Corte d'Appello concludeva quindi che il Comune, a seguito delle patologie accertate dagli organi competenti, si era sempre attenuto alle prescrizioni mediche, non solo non adibendo più la ricorrente a mansioni non compatibili, ma anche predisponendo un ambiente di lavoro compatibile;

2. A.A. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi, resistiti da controricorso del Comune. Sono in atti memorie di ambo le parti.

 

Diritto
 


1. il primo motivo di ricorso è rubricato come "violazione degli artt. 24 e 11 Cost. e 112 c.p.c." nullità della sentenza di secondo grado in relazione all'art. 360 n. 4 c.p.c.;

con esso si assume che la Corte territoriale avrebbe formulato il proprio giudizio senza tenere conto del contenuto del ricorso in appello e rimarcando come almeno dal 1973 la ricorrente fosse stata esposta agli agenti nocivi e morbigeni, sicché la presunta condotta diligente era stata assunta solo trentuno anni dopo l'inizio dell'attività lavorativa, con violazione degli obblighi di sicurezza; la ricorrente aggiunge di essere stata adibita a pulizia dei locali pur dopo il rientro in servizio conseguente alla malattia e segnala come anche negli uffici presso i quali era stata poi spostata vi era la presenza di fotocopiatrici di grandi dimensioni, continuamente utilizzate, anche da parte sua, con rilascio di polveri sottili e residui di toner;

la ricorrente assembla poi al ricorso per cassazione, nel contesto del motivo, stralci dell'atto di appello nelle parti riguardanti, tra l'altro e in particolare: la relazione del prof. Genovesi in cui si assumeva che le condizioni della ricorrente si erano aggravate per l'assoluta inadempienza datoriale alle indicazioni protezionistiche del medico competente che fin dal 1998 prescrivevano di evitare il contatto con metalli, carta autocopiante, toner etc.; la vicenda seguita dal medico competente B.B. in ordine alla postazione lavorativa presso gli uffici, che aveva concluso nel senso che la ricorrente fosse idonea solo a mansioni di centralinista; l'avere essa operato in stanza contigua ad altro ufficio contenente faldoni risalenti ad oltre cinquantanni prima, un giorno anche spostati, con sollevamento di polveri e sporcizia e causazione di una crisi allergica; la perizia del medico legale C.C. che aveva valutato le esposizioni subite dalla ricorrente come causative della patologia MCS-Sensibilità Chimica Multipla; l'omessa considerazione, nei documenti di valutazione dei rischi, da parte del Comune del rischio "chimico";

il secondo motivo adduce la "violazione dei principi del giusto processo e delle norme di cui agli artt. 24 e 111 Cost. e di cui all'art. 6 CEDU in relazione all'art. 360 n. 4 c.p.c.;

con esso si richiamano le produzioni documentali, assemblando anche alcuni stralci dell'atto di appello nella parte in cui si faceva riferimento alle risultanze testimoniali, per sostenere che la Corte di merito avrebbe violato i principi informatori del giusto processo, ancora sorvolando e non pronunciandosi sui motivi di appello e giudicando senza tener conto delle prove acquisite ed assunte;

il terzo motivo è rubricato come violazione dell'art 111 co. 6, Cost. e dell'art. 132 n. 4 c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 4 c.p.c. sostenendo che la sentenza impugnata sarebbe caratterizzata da carenza assoluta di motivazione, con carattere "perplesso e traballante dell'articolato logico", privo di richiami al contenuto dell'atto di appello;

2. i suddetti motivi vanno esaminati congiuntamente e non possono trovare accoglimento;

2.1 non si può intanto ritenere che ricorra una carenza assoluta di motivazione o una motivazione apparente per contraddittorietà, né che sia mancata la pronuncia della Corte su quanto dedotto con l'appello;

2.1.1 va intanto precisato che, secondo i principi delineati a da Cass., S.U., 7 aprile 2014, n. 8053, pur nella logica del giusto processo e di quanto costituzionalmente rilevante, l'inesistenza della motivazione ricorre solo in presenza di una ""mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione"

è allora sufficiente il richiamo alla sintesi della motivazione contenuto nello storico di lite per verificare che la linea motivazionale, nella sentenza impugnata, indubitabilmente esiste e si svolge lungo una ben precisa concatenazione logica (origine endogena delle patologie; successiva osservanza delle cautele da parte del datore di lavoro) in sé basata su elementi non contraddittori né su argomenti perplessi e che affronta i temi di fondo sollecitati con l'appello;

2.1.2 a quest'ultimo proposito, non può dirsi che la Corte d'Appello abbia trascurato l'esame dei profili riguardanti l'originaria adibizione a mansioni di pulizia, avendo essa evidentemente incentrato l'esclusione della responsabilità datoriale, per quel periodo, sulla valutazione della natura "endogena" delle principali patologie emerse in seguito;

non diversamente, l'adibizione a servizi di pulizia pur dopo il rientro in servizio dopo le malattie degli anni novanta è stata esclusa dalla Corte di merito, allorquando essa afferma che dopo di allora le mansioni furono diverse;

anche la vicenda conseguente all'intervento del medico competente B.B. è stata valutata, avendo ritenuto la Corte territoriale corretto il comportamento del Comune che aveva in quel frangente proceduto ad uno specifico miglioramento della postazione di lavoro, nei termini sopra precisati nello storico di lite; ancora, le modalità di rischio per contatto con il toner o l'uso delle stampanti sono state valutate dalla Corte di merito come tali da non comportare pregiudizi;

non è dunque vero che, seppure attraverso valutazioni di sintesi, la Corte territoriale non abbia argomentato sui passaggi principali addotti con l'appello e, del resto, non può costituire idoneo motivo di ricorso per cassazione la deduzione di alternative ricostruzioni dei profili di fatto o delle valutazioni istruttorie;

2.2 d'altra parte, l'omesso esame di fatti decisivi va dedotto con rigorosa osservanza dell'art. 360 n. 5 c.p.c., ovverosia enucleando con precisione di quali circostanze sia mancato l'esame e quale sia la loro decisività;

ad esempio, anche quando si adduce l'omesso inserimento del rischio chimico "nei documenti di valutazione dei rischi redatti dal 1998 al 2011" si trascura di precisare la decisività della deduzione, tenuto conto che dopo gli episodi degli anni novanta era stata adibita a mansioni d'ufficio e che la Corte d'Appello ha spiegato nei termini di cui si è detto perché i comportamenti datoriali fossero da ritenere in quel frangenti corretti;

non diversamente, le crisi allergiche immediatamente manifestatesi al rientro nell'aprile e maggio 2011, con abbandono parimenti immediato del lavoro (v. pag. 28 del ricorso per cassazione), essendo asseritamente dovute alla presenza di faldoni genericamente "polverosi" nel proprio ufficio (peraltro entro una vetrina) ed in quello adiacente (peraltro fatti rimuovere pressoché subito), oltre a confermare il costante impegno datoriale nel cercare di risolvere la situazione, quale attestato anche dalla Corte di merito, denotano essenzialmente la di lì a poco riscontrata (23.5.2011) inabilità assoluta e permanente a qualsiasi lavoro, sicché, a fronte di un ingravescenza tale da rendere sostanzialmente impossibile ogni collocazione, non vi è necessaria decisività nell'individuare una responsabilità datoriale;

il punto è che, in realtà, i motivi contengono una complessiva allegazione di difese, fatti, di cui sia assume l'errata o la mancata valutazione ed il richiamo a prove e apprezzamenti peritali, così traducendosi complessivamente nella sottoposizione alla S.C., di una rivisitazione del merito e non nella sollecitazione all'esame di stretta legittimità attraverso la formulazione di specifici motivi;

va in definitiva richiamato il principio di fondo per cui i vizi motivazionali sui profili di fatto sono configurabili solo in presenza di motivazione apparente, nelle varie declinazioni precisate da Cass. 8053/2014 cit. (qui da escludere per quanto sopra detto) o in presenza dell'ipotesi dell'omesso esame di fatto decisivo (qui non specificamente impostata, come si è detto);

non si identifica invece validamente un vizio motivazionale quando (Cass., S.U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., S.U., 25 ottobre 2013, n. 24148) vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi in tal caso, il motivo di ricorso, in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest'ultimo, tesa all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione.

in tutte le censure di cui sopra vi sono poi considerazioni sugli esiti dell'interrogatorio formale del Sindaco, nonché sui profili giuridici di imputazione della responsabilità contrattuale, ma di tali aspetti si tratta con il quarto ed il quinto motivo, che li riguardano più in specifico;

3. il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 1218, 1223 e 1453 c.c., in relazione agli artt. 2087 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.), nonché violazione degli artt. 3 e 35 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e art. 18 TCE, oggi art. 153 TFUE e degli artt. 40, co. 2 e 41 c.p., in riferimento agli art. 2043 e 2059 c.c. e 2087 c.c. ed infine degli artt. 2, 3, 29, 30, 31, 32, 35, 36 e 41, co. 2 Cost.;

il motivo è fatto precedere da un elenco di tutti i documenti (in numero di 50) ed atti (in numero di 9) ritenuti rilevanti, la cui genericità lo rende del tutto inutile, stanti i principi che governano il processo di legittimità e su cui è fatto cenno nel rispondere alle prime tre censure;

3.1 ciò posto, la censura, da un primo punto di vista, segnala come la stessa Corte d'Appello avrebbe affermato che la ricorrente sarebbe stata trasferita solo nel 2004;

in realtà la Corte territoriale dice ben diversamente, in quanto essa afferma che dopo le vicende degli anni novanta (emergere della patologia della ricorrente) "il Comune non ha mai fatto riprendere alla A.A. le mansioni originarie, assegnandola in aiuto al servizio protocollo" per quindi nominarla esecutore amministrativo "a far data dal 30.12.1999" e con la vittoria da parte sua nel corso concorso riservato, ancora "in aiuto al servizio protocollo" e quindi "dal 30/4/2004 presso il settore tecnico", per le mansioni di redazione atti e provvedimenti con uso di software e videoscrittura; l'incoerenza della base fattuale della censura rispetto a quanto viceversa affermato dalla Corte di merito, rende il motivo in parte qua inammissibile;

3.2 da altro punto di vista, il motivo si incentra sulla considerazione per cui, a tutto concedere, la ricorrente sarebbe stata comunque adibita a mansioni tali da cagionare contatti dannosi con sostanze dal 1973 al 1997, il che individuerebbe, secondo il sistema e l'assetto presuntivo degli art. 1218 e 2087 c.c., una responsabilità datoriale indebitamente esclusa dalla Corte di merito;

la sentenza, rispetto a questo (risalente) periodo, incentra la sintetica motivazione sulla natura endogeno - costituzionale delle patologie (allergia al nichel e gastrite da steroidi);

tale passaggio sta evidentemente a significare che la causa della patologia non era da ricondurre alle lavorazioni svolte e, una volta posta tale conclusione in relazione con le argomentazioni sul successivo spostamento della lavoratrice ed alle cautele assunte, vale ad attestare che allorquando, con l'acuzie, il problema è emerso, esso è stato affrontato adeguatamente dal datore di lavoro;

premesso quindi che le attività svolte dalla ricorrente in quel periodo erano del tutto ordinarie e non di spiccata pericolosità intrinseca (aiuto cuoca, refettorio, pulizia locali) è evidente che, tenuto conto anche di tempi storici cui la vicenda risale e ad ai cui parametri va fatto riferimento, non si può addebitare alcunché al datore di lavoro, cui non risulta fossero dapprima note le particolari sensibilità poi emerse;

la Corte territoriale non ha dunque deciso discoscostandosi dalle regole di responsabilità che prevedono la necessità che il datore abbia fatto tutto il possibile (art. 2087 c.c.) o che dimostri di essersi adoperato in modo adempiente (art. 1218 c.c.); la Corte territoriale ha invece, seppur sinteticamente, evidenziato una situazione dapprima ignota ed afferente dati costituzionali del dipendente e poi l'adeguamento datoriale a quanto necessario sotto il profilo prevenzionistico, il che non consente di ravvisare violazioni di legge, tenuto conto che la responsabilità datoriale, comunque, per assunto costante (Cass. 23 maggio 2019, n. 14066; Cass. 23 settembre 2009, n. 20142) non è di natura oggettiva, ma colposa;

4. il quinto motivo è formulato come violazione e falsa applicazione delle disposizioni del D.Lgs. 277/91 e delle norme di cui al quarto motivo di ricorso per cassazione, nonché degli artt. 2043 e 2059 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c. e 2697 c.c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.;

il motivo, dopo un richiamo alle precedenti censure, si apre anche in questo caso con la generica elencazione dei documenti ed atti ritenuti rilevanti, per la quale vale quanto già detto rispondendo al quarto mezzo di impugnazione;

analogamente, il motivo si chiude con il richiamo alle regole sulla responsabilità da inadempimento e datoriale, profili per i quali vale parimenti quanto detto con nell'esame della precedente censura; nel nucleo centrale, il motivo assume invece che la Corte territoriale avrebbe indebitamente trascurato gli effetti confessori derivanti dalle risposte rese dal Sindaco all'interrogatorio formale; per quanto può percepirsi dallo stralcio di trascrizione delle risposte rese all'interpello e riportate nel motivo, quest'ultimo non coglie nel segno;

il Sindaco ha affermato infatti di non sapere se la ricorrente usasse la fotocopiatrice, limitandosi a congetturare che lo facesse come gli altri, il che non fornisce di certo dati confessori, ancora più ove si associ tale risposta a quella, di poco successiva, in cui sempre il Sindaco afferma di non credere che la macchina fosse continuamente in funzione;

con riguardo al posizionamento, le risposte sono contraddittorie, in quanto prima si parla di uno sgabuzzino e poi di un corridoio molto ampio con volte e finestre, ma anche nel primo caso si fa riferimento nelle risposte alla presenza di una finestra che il Sindaco dice di avere "spesso .. visto aperta", sicché non vi sono profili francamente confessori; il motivo è dunque in parte qua parimenti infondato;

5. il ricorso va dunque integralmente disatteso, precisandosi che la totale assenza di profili di reale rilievo nomofilattico esclude possa trovare accoglimento l'istanza di fissazione in pubblica udienza formulata dalla ricorrente in memoria;

6. alla reiezione del ricorso segue la regolazione secondo soccombenza delle spese del grado;

7. infine, a tutela dei diritti della ricorrente, che ha promosso una controversia che coinvolge l'accertamento delle sue condizioni di salute, si deve disporre, in caso di riproduzione in qualsiasi forma della presente ordinanza, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi della parte, ai sensi dell'art. 52, comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.

 

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di cassazione che liquida in euro 3.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Dispone, in caso di riproduzione in qualsiasi forma del presente provvedimento, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi della parte ricorrente, ai sensi dell'art. 52, comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.

Così deciso in Roma nell'adunanza camerale del 6 dicembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2024.