Cassazione Penale, Sez. 4, 04 marzo 2024, n. 9177 - Infortunio dell'operaio addetto all'allevamento del bestiame a causa di un malfunzionamento del portellone della biga


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta da:

Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente -

Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere -

Dott. BELLINI Ugo - Consigliere -

Dott. PEZZELLA Vincenzo - Relatore -

Dott. DAWAN Daniela - Consigliere -

ha pronunciato la seguente

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

A.A. nato a il (omissis)

avverso la sentenza del 28/03/2023 della CORTE APPELLO di BRESCIA

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO PEZZELLA;

lette le conclusioni scritte per l'udienza senza discussione orale (art. 23 co. 8 d.l. 137/2020 conv. dalla l. n. 176/2020, come prorogato ex art. 16 d.l. 228/21 conv. Con modif. dalla l. 15/22 e successivamente ex art. 94, co. 2, del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, come sostituito prima dall'art. 5-duodecies della l. 30.12.2022, n. 199, di conversione in legge del d.l. n. 162/2022) e poi dall'art. 17 del D.L. 22 giugno 2023, conv. con modif. dalla l. 10.8.2023 n. 112, del P.G., in persona del Sost. Proc. Gen. FRANCESC CERONI, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

 

Fatto


1. A.A. e la Società agricola B.B. ED EREDI DI C.C. S.S. venivano rinviati a giudizio dinanzi al Tribunale di Cremona, in composizione monocratica, per rispondere:

• A.A.

1) del delitto p. e p. dagli articoli 590 commi 1 e 3 periodo 1 (in relazione all' articolo 513 comma 1 numero 1) cod. pen., perché, in qualità di legale rappresentante della B.B. ED EREDI DI C.C. S.S. SOCIETÀ AGRICOLA cagionava per colpa una lesione personale a D.D., dalla quale derivava una malattia ("frattura a decorso orizzontale interessante entrambi gli archi di C2") giudicata guaribile in più di quaranta (40) giorni; in particolare il lavoratore, assunto con mansioni di operaio addetto all'allevamento del bestiame, dopo aver caricato sul carro movimentazioni animali (c.d. biga) alcune manze da trasportare da una stalla all'altra, veniva attinto alla testa ed alla gamba sinistra dal portello posteriore della biga dopo averlo chiuso manualmente riportando le predette lesioni.

Colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia e colpa specifica ai sensi dell'art. 2087 cod. civ. nonché per violazione delle seguenti disposizioni sulla prevenzione infortuni:

c) art. 28 comma 20 lett. a), in quanto, nell'ambito della valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori di cui all'art. 17 comma 1 lett. a), non procedeva alla corretta valutazione di tutti i rischi ed, in particolare, all'indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei dispositivi di protezione adottati a seguito della predetta valutazione; nella specie non redigeva una procedura specifica per l'utilizzo in sicurezza del carro per la movimentazione animali (c.d. biga) circa le esatte sequenze lavorative;

d)art. 71 comma 4 lett. a) punto 2 del D.Lgs., 81/2008 e s. m. i. in quanto nella specie non metteva a disposizione attrezzature conformi a quanto previsto dall'Allegato V e idonee per eseguire il lavoro in sicurezza; in particolare perché il portellone posteriore della biga ricadeva verso terra dopo essere stato chiuso per il danneggiamento al sistema di chiusura oleodinamico dello stesso.

In Agnadello (CR), 24.10.2016.

• B.B. ed EREDI di C.C. S.S. Società agricola:

3) dell'illecito amministrativo p. e p. dagli articoli 5 comma 1 lettera a) e 6 (in relazione all'articolo 25septies comma 3) D.Lgs. 231/2001, per il reato presupposto di cui al capo 1), da intendersi qui integralmente trascritto, commesso nell'interesse e a vantaggio dell'ente, consistito nel sensibile risparmio di spesa a scapito della sicurezza dei lavoratori, determinato dalla mancata attuazione delle specifiche cautele antinfortunistiche, dal rappresentante legale D.D. soggetto in posizione apicale all'interno della società, senza che venisse adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, un modello di organizzazione e gestione idoneo a prevenire reati della medesima specie di quello per cui si procede.

In Agnadello (CR), 24.10.2016.

Il giudice di primo grado, con sentenza del 4 marzo 2021, all'esito di giudizio abbreviato, dichiarava A.A. colpevole del reato ascrittogli al capo 1) e, ritenuta la sussistenza dell'attenuante dell'avvenuto risarcimento del danno stimata equivalente all'aggravante contestata, lo condannava alla pena, già applicata la diminuente per il rito, di giorni trenta di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali. Con pena sospesa. Dichiarava, altresì, l'azienda agricola responsabile dell'illecito amministrativo di cui al capo 2) e la condannava alla sanzione pecuniaria di 10.329 euro.

Pronunciando sull'appello proposto dall'imputato e dall'ente, la Corte di Appello di Brescia, con sentenza del 28 marzo 2023, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha ridotto la sanzione amministrativa applicata alla società a 8600 euro. E ha confermato nel resto.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, A.A. deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.

Con primo motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge (sostanziale e processuale) e carenza di motivazione in relazione all'esistenza del nesso causale.

Il difensore ricorrente evidenzia che in più occasioni la difesa ha sostenuto, ed in questa sede viene nuovamente ribadita, la mancata esistenza del presupposto necessario al fine dell'esistenza di qualsiasi reato, ovvero del nesso causale tra la condotta e l'evento.

Il ricorrente ricorda lo svolgimento dei fatti del 24/10/2016 e come sia pacifica la rottura dell'attacco del pistone idraulico che gestiva la chiusura del portellone del carro degli animali; il portellone di conseguenza cadeva a terra senza causare alcun danno a persone. Sennonché, gli operatori ivi presenti, decidevano spontaneamente ed arbitrariamente di sopperire alla chiusura idraulica (non più funzionante) con quella manuale, e così facendo ponevano in essere una condotta non ottemperante la normale diligenza. Oltretutto i medesimi operatori, tra cui la stessa persona offesa, dicevano al trattorista E.E. di spostare in avanti il trattore con il carro biga contenente gli animali. Nel compiere tale operazione, E.E. udiva un forte rumore causato dal portellone che si apriva, probabilmente a causa dell'accidentale sblocco dei due ganci.

Orbene, il ricorrente richiama l'arresto giurisprudenziale costituito da Sez. 4 n. 2848/2021 che, con riferimento alla responsabilità penale ascrivibile al datore di lavoro chiamato a prevenire anche comportamenti imprudenti o disattenti del lavoratore, che ha riproposto il principio di diritto secondo cui, ai fini dell'esonero da responsabilità, è necessario provare che il comportamento del lavoratore rimasto infortunato sia causalmente riconducibile alla sua condotta abnorme ed esorbitante rispetto alla sfera del rischio.

Nel caso di specie la difesa del A.A. ritiene che la circostanza per cui il lavoratore D.D. abbia chiuso manualmente un portellone che doveva essere chiuso idraulicamente (in quanto così era stato prospettato dal costruttore) sia espressione di una condotta non prevedibile da parte del datore di lavoro.

La stessa Corte d'appello -si evidenzia- ha usato in sentenza il termine "improvvisare estemporanee e pericolose modalità di esecuzione di quella delicata operazione di carico e trasporto animali" per descrivere la condotta del lavoratore infortunato D.D., pur tuttavia riportandone l'addebito al datore di lavoro che, a detta della medesima Corte territoriale, avrebbe riparato il pistone idraulico alla bene e meglio in epoca antecedente al sinistro e che quindi doveva ritenersi pienamente responsabile dell'accaduto.

Per il ricorrente è, tuttavia, pacifico che il mezzo si fosse rotto alcuni giorni prima rispetto all'accaduto, ma altrettanto pacifica è la circostanza per cui il mezzo doveva essere usato solo con il sistema idraulico; in caso contrario non sarebbe stato riparato, seppur con metodi definiti dalla Corte "casalinghi".

In ogni modo si precisa che la dinamica dell'incidente è stata indicata dagli operanti di PG (il richiamo è a pag. 6 della relazione di servizio del 8/7/2017) in cui si legge: "sulla base delle testimonianze acquisite, contrariamente a quanto citato nella informativa trasmessa nell'immediatezza dell'evento e redatta sulla base delle prime informazioni assunte sul luogo dell'infortunio, il portellone non risultava essere caduto per causa del cedimento del leveraggio, ma invece per la sua accidentale apertura dopo essere stato chiuso manualmente".

Si tratterebbe di un dato oggettivo e pertanto il ricorrente ritiene manifestamente illogica quella parte della sentenza emessa dalla Corte d'Appello di Brescia in cui si legge a pagina 7: "... certamente imputabile all'imputato è la messa a disposizione dei lavoratori di un carro porta bestiame che non era in condizioni di perfetta efficienza e sicurezza. Ci si riferisce ovviamente al fatto che l'attacco del pistone idraulico alla cerniera che governava il movimento meccanico e assicurava la chiusura del portellone era stato oggetto di un'artigianale riparazione dopo una precedente rottura. L'essersi quella parte meccanica troncata appena prima del verificarsi del sinistro, proprio nell'esatto punto in cui era stata fatta la saldatura rivela come questa operazione non avesse assicurato il pieno ripristino delle originarie condizioni di resistenza e di sicurezza del meccanismo".

Ma ciò contrasterebbe con l'accidentalità evidenziata dagli operatori di PG.

Per il ricorrente non c'è dubbio che il sistema idraulico fosse stato riparato in modo non perfettamente consono, ma occorre porre l'attenzione sull'altro passaggio, ovvero sul fatto che sono stati i dipendenti ivi presenti, tra cui il D.D., a decidere di chiudere manualmente il portellone che poi cadeva a terra, per la seconda volta. E solo in tale circostanza causava danno al D.D.

La difesa ricorda di avere sollevato con l'atto di appello le proprie rimostranze in merito all'assenza del nesso causale tra la condotta del datore di lavoro e l'infortunio del D.D., ma lamenta che la Corte bresciana nulla risponda a tale contestazione, limitandosi a descrivere le mancanze del datore di lavoro, circa le norme di sicurezza, ma senza addentrarsi sull'esistenza o meno del nesso di causalità e sulla eventuale interruzione, come invece sosteneva la difesa dell'imputato.

La tesi proposta è che si è realizzato un fatto accidentale indipendente da tali omissioni. Il pistone idraulico si è rotto e il portellone è caduto a terra senza causare danni. I dipendenti hanno deciso di chiudere manualmente il portellone, dicendo oltretutto al trattorista di spostare avanti il trattore col carro, e per un'accidentale apertura, il portellone è caduto addosso a D.D..

Mancherebbe secondo la difesa del ricorrente, l'accertamento in modo certo e indiscutibile che tra la rottura del pistone idraulico e la caduta del portellone addosso a D.D. vi sia un nesso causale non interrotto e tale da ricondurre la responsabilità del fatto al datore di lavoro.

Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.

3. Il PG presso questa Corte ha reso le conclusioni scritte riportate in epigrafe.
 

Diritto


1. Il ricorso è inammissibile.

Con i proposti profili di censura si operano contestazioni generiche alla sentenza impugnata a fronte del carattere di impugnazione a critica vincolata del ricorso per cassazione. Inoltre, la censura avanzata, oltre ad essere fortemente orientata verso un non consentito riesame nel merito, finisce per essere in larga misura meramente reiterativa delle stesse questioni agitate in appello e motivatamente disattese dai giudici del grado, senza che i relativi apporti argomentativi abbiano formato oggetto di un'autonoma e articolata critica impugnatoria, in tal modo finendo per incorrere nel vizio di aspecificità.

Per contro, l'impianto argomentativo del provvedimento impugnato appare puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo i giudici di secondo grado preso in esame le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in sede di legittimità.

2. In premessa, va ribadito il dictum di questa Corte secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, come avvenuto con l'unico motivo proposto, la denunzia cumulativa, promiscua e perplessa della inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, nonché della mancanza, della contraddittorietà e della manifesta illogicità della motivazione rende i motivi aspecifici ed il ricorso inammissibile, ai sensi degli artt. 581, comma primo, lett. c) e 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., non potendo attribuirsi al giudice di legittimità la funzione di rielaborare l'impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dai motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio (cfr. Sez. 1, n. 39122 del 22/9/2015, Rugiano, Rv. 264535; conf. Sez. 2, n. 19712 del 06/02/2015, Mota ed altri, Rv. 263541; Sez. 6, n. 800 del 06/12/2011 dep. 2012, Bidognetti ed altri, Rv. 251528, Sez. 6, n. 32227 del 16/07/2010, T., Rv. 248037). Ancore di recente è stato condivisibilmente sottolineato come sia onere del ricorrente che intende denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, i tre vizi della motivazione deducibili in sede di legittimità ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., -, a pena di aspecificità, e quindi di inammissibilità, del ricorso di indicare su quale profilo la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica, non potendo attribuirsi al giudice di legittimità la funzione di rielaborare l'impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dei motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio, in quanto i motivi aventi ad oggetto tutti i vizi della motivazione sono, per espressa previsione di legge, eterogenei ed incompatibili, quindi non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi in riferimento ad un medesimo segmento della motivazione (così Sez. 2, Sentenza n. 38676 del 24/05/2019, Onofri, Rv. 277518, nella cui motivazione, la Corte ha precisato che, al fine della valutazione dell'ammissibilità dei motivi di ricorso, può essere considerato strumento esplicativo del dato normativo dettato dall'art. 606 cod. proc. pen, il "Protocollo d'intesa tra Corte di cassazione e Consiglio Nazionale Forense sulle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia penale", sottoscritto il 17 dicembre 2015).

Peraltro, già in precedenza (Sez. 2, n. 31811 dell'8/5/2012, Sardo ed altro, rv. 254328 che richiama i precedenti costituiti da sez. 6, n. 32227 del 16.7.2007, T. e sez. 6, n. 800 del 6.12.2011 dep. il 12.1.2012, Bidognetti ed altri) secondo cui è inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso che prospetti vizi di legittimità del provvedimento impugnato, i cui motivi siano enunciati in forma perplessa o alternativa.

Nel caso esaminato nella richiamata Sez. 6 n. 32227/2007, come in quello che ci occupa, il ricorrente aveva lamentato la "mancanza e/o insufficienza e/o illogicità della motivazione" in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari posti a fondamento di un'ordinanza applicativa di misura cautelare personale.

Non si possono, in altri termini, indicare, alla rinfusa, come nel caso che ci occupa, tutti i possibili vizi di legittimità (qui, in aggiunta al caso suvvisto si aggiunge, in via cumulativa, anche la violazione di legge) senza specificare la violazione o il punto della motivazione attinto da vizio.

In particolare, quanto al vizio motivazionale, l'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. stabilisce la ricorribilità per "mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame". Ebbene, tale disposizione, se letta in combinazione con l'art. 581, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. (a norma del quale è onere del ricorrente "enunciare i motivi del ricorso, con l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta") evidenzia che non può ritenersi consentita l'enunciazione perplessa ed alternativa dei motivi di ricorso, essendo onere del ricorrente quello specificare con precisione se la deduzione di vizio di motivazione sia riferita alla mancanza, alla contraddittorietà od alla manifesta illogicità ovvero, se come indicato nell'odierno ricorso, ad una pluralità di tali vizi, in relazione a quali specifici punti della motivazione gli stessi vadano riferiti.

Ciò, nel caso che ci occupa, non è avvenuto.

3. Le circostanze dell'infortunio occorso a D.D., operaio da tempo dipendente dell'azienda agricola F.F., per quello che rileva in questa sede, sono state così ricostruite dai giudici del merito.

La persona offesa, il 24 ottobre 2014, si trovava intento, assieme ad altri lavoratori (il trattorista E.E., il dipendente G.G. e il coadiuvante H.H.), a caricare su una "biga" (un carro agricolo trainato da un trattore e adibito al trasporto di bestiame) alcune manze che dovevano essere trasferite da una a un'altra delle stalle dell'azienda.

Ricordano ancora i giudici bresciani che il portellone si apriva e si chiudeva mediante un pistone oleodinamico che era comandato da una leva posta nella parte posteriore. E che il giorno dell'incidente, la biga era stata posizionata in prossimità della stalla e, appunto agendo su quel comando, il portellone era stato abbassato in modo da permettere alle quattro manze di salire sul carro stesso. Ultimata l'operazione di carico, venne dato il comando di risalita ma il portellone, una volta arrivato a circa metà del suo percorso verso la posizione di chiusura, ricadde a terra a causa della rottura dell'attacco del pistone idraulico che collegava quest'ultimo alla cerniera. La caduta del portellone non cagionò alcuna conseguenza e i presenti, per proseguire nel trasporto e non far quindi scendere le manze, sollevarono a mano il portellone e ne assicurarono la chiusura collegando due aste a gancio, presenti, sui due lati, sulla struttura del carro, ai corrispondenti occhielli posti sul portellone stesso. Appena messo in movimento il trattore trainante, verosimilmente complice anche un movimento del bestiame all'interno della "biga", il portellone, sganciatosi da quei punti di trattenuta, ricadde però nuovamente a terra colpendo stavolta, con le già note conseguenze, D.D.

Gli ufficiali di polizia giudiziaria funzionari delI'U.O.P.S.A.L. dell'ATS Val Padana, una volta esaminato il carro, constatarono che l'attacco del pistone idraulico la cui rottura portò i lavoranti agricoli ad agire manualmente per richiudere il portellone "risultava essere già stato precedentemente oggetto di riparazione", presentando peraltro chiari segni di saldatura. Evidentemente proprio questa pregressa riparazione aveva indebolito la tenuta della struttura dei meccanismi di apertura e chiusura del portellone. La nuova rottura indusse i lavoratori a optare per l'azionamento manuale di quest'ultimo la cui posizione di chiusura fu poi mantenuta non già a mezzo del sistema oleopneumatico che ne avrebbe impedito la riapertura ma grazie ai due ganci infilati nei corrispondenti occhielli presenti sul portellone stesso.

Come ricorda la sentenza impugnata, dall'attività ispettiva compiuta dai funzionari dell'ATS era poi emerso che il DVR della società era privo di qualsiasi indicazione circa le modalità con le quali avrebbe dovuto essere eseguito in sicurezza il trasporto degli animali e, inoltre, che il guasto del sistema idraulico di chiusura del portellone (si era staccata la parte posteriore del pistone di sollevamento) era già stato oggetto di riparazione a mezzo saldatura. A seguito della constatazione del sinistro i funzionari ATS prescrissero il divieto di utilizzo, riparazione e modifica del carro coinvolto nell'infortunio e la società provvide poi ad acquistarne uno nuovo.

4. Il ricorrente non si confronta criticamente con la sentenza impugnata e con i profili di colpa contestati al A.A. nell'editto accusatorio, ritenuti sussistenti nella loro doppia conforme affermazione di responsabilità dai giudici di merito.

Il nesso di causa con quanto accaduto, peraltro contestato in maniera assolutamente generica nell'atto di appello, come si evince chiaramente dal tessuto motivazionale di entrambe le sentenze di condanna, va ravvisato nella mancata previsione del rischio e nell'aver messo a disposizione dei lavoratori un mezzo pericoloso malamente riparato.

Non si vede, in altri termini, come si possa ignorare che l'evento lesivo non si sarebbe realizzato se, come poi avvenuto dopo l'incidente, quel tipo di rischio fosse stato previsto nel DUVRI e come non ci sarebbe stata l'incauta scelta di azionare manualmente l'apertura della biga se il portellone idraulico fosse stato correttamente riparato.

Come rileva la Corte territoriale, la censura mossa con l'atto di appello era del tutto eccentrica rispetto al profilo di colpa che, puntualmente contestato nel capo di imputazione, è stato parimenti ritenuto provato, a carico dell'imputato, dal Tribunale di Cremona e che consiste nell'addebito di non avere previsto e considerato nel DVR lo specifico rischio inerente alla movimentazione degli animali a mezzo di un carro bestiame quale quello nel concreto utilizzato.

La fondatezza di questo rimprovero, come rilevano i giudici bresciani, è davvero indiscutibile perché di quello specifico rischio, precisamente includente anche le possibili interazioni tra le parti meccaniche del rimorchio e la persona degli addetti, non si faceva cenno alcuno nel Documento consegnato dalla società ai funzionari ATS subito dopo l'infortunio e questo nonostante l'obiettivo pericolo insito nelle manovre con quel mezzo eseguite in presenza dei lavoratori. Emblematico in tal senso è che solo successivamente al verificarsi del sinistro per cui è giudizio è stata varata un'integrazione del DVR nel quale si è disposto che, una volta saliti gli animali sulla "biga", il personale deve allontanarsi di tre metri mentre un addetto, constatato che nessuno si trovi in prossimità del mezzo, fa salire idraulicamente la rampa. Il rischio, prima non previsto, è stato dunque regolamentato mediante la previsione della necessaria movimentazione idraulica del portellone e della cautela che, durante tale operazione, nessun altro se non l'addetto sia presente nelle immediate vicinanze della biga.

Coerente e logica appare la conclusione cui pervengono i giudici del gravame del merito che, se queste istruzioni fossero state sin da allora inserite nel sistema antinfortunistico dell'azienda, si sarebbero create le condizioni perché i lavoratori, debitamente avvertiti, non si comportassero nel modo (movimentazione manuale del portellone, stretta prossimità dei lavoranti rispetto alla biga) che poi ha cagionato il sinistro.

La mancata valutazione del rischio e, di conseguenza, la mancata predisposizione di cautele atte a neutralizzarlo o, quantomeno, a limitano sono state correttamente ritenute, nel solco della giurisprudenza di questa Corte di legittimità, direttamente imputabili al legale rappresentante della società da intendersi quale datore di lavoro, ovvero A.A., chiamato a risponderne a prescindere dalla sua presenza in azienda al momento del sinistro.

5. Altrettanto priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto è la motivazione con cui la Corte territoriale ha ritenuto certamente imputabile all'imputato è la messa a disposizione dei lavoratori di un carro porta bestiame che non era in condizioni di perfetta efficienza e sicurezza. Ciò in riferimento al fatto che l'attacco del pistone idraulico alla cerniera che governava il movimento meccanico e assicurava la chiusura del portellone era stato oggetto di un'artigianale riparazione dopo una precedente rottura. L'essersi quella parte meccanica troncata, appena prima del verificarsi del sinistro, proprio nell'esatto punto in cui era stata fatta la saldatura rivela per i giudici del merito come questa operazione non avesse assicurato il pieno ripristino delle originarie condizioni di resistenza e di sicurezza del meccanismo. La riprova dell'insufficienza di mere operazioni "casalinghe" di ripristino si ricava -come si legge ancora in sentenza- dalla stessa prescrizione impartita dai funzionari dell'ATS che vietarono appunto la riparazione del mezzo ai fini della sua rimessa in esercizio.

A.A., dunque, come precisa la Corte bresciana è stato dichiarato responsabile delle lesioni riportate da D.D. non, come intende la difesa, per avere disposto, essendo al corrente della rottura dell'attacco del pistone avvenuta poco prima dell'incidente, che il portellone della biga fosse manovrato manualmente, ma per avere consentito che si continuasse a usare quel carro riparato alla men peggio col rischio che la rottura, riparata con quella precaria saldatura, si ripetesse così da mettere in condizione i lavoranti di improvvisare estemporanee e pericolose modalità di esecuzione di quella delicata operazione di carico e trasporto del bestiame.

6. Quanto alla circostanza che sia stata una scelta imprudente dei lavoratori quella di aprire manualmente il portellone, nell'ambito di una condotta che era pacificamente compresa nella prestazione lavorativa, va ricordato che è pacifico che non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre comunque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente (così questa Sez. 4, n. 7364 del 14/1/2014, Scarselli, Rv. 259321 relativamente ad una fattispecie relativa alle lesioni "da caduta" riportate da un lavoratore nel corso di lavorazioni in alta quota, in relazione alla quale la Corte ha ritenuto configurabile la responsabilità del datore di lavoro che non aveva predisposto un'idonea impalcatura - "trabattello" - nonostante il lavoratore avesse concorso all'evento, non facendo uso dei tiranti di sicurezza).

Non è configurabile, in altri termini, la responsabilità ovvero la corresponsabilità del lavoratore per l'infortunio occorsogli allorquando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità, atteso che le disposizioni antinfortunistiche perseguono il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l'instaurarsi da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza di prassi di lavoro non corrette e, per tale ragione, foriere di pericoli (Sez. 4, n. 22813 del 21/4/2015, Palazzolo, Rv. 263497). Ciò perché il datore di lavoro quale responsabile della sicurezza gravato non solo dell'obbligo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente la loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all'art. 2087 cod civ., egli è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro" (vedasi anche questa Sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014 dep. il 2015, Ottino, Rv. 263200). E, qualora sussista la possibilità di ricorrere a plurime misure di prevenzione di eventi dannosi, il datore di lavoro è tenuto ad adottare il sistema antinfortunistico sul cui utilizzo incida meno la scelta discrezionale del lavoratore, al fine di garantire il maggior livello di sicurezza possibile Sez. 4, n. 4325 del 27/10/2015 dep. il 2016, Zappalà ed altro, Rv. 265942).

7. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
 


P.Q.M.
 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2024.

Depositata in Cancelleria il 4 marzo 2024.