REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUARTA SEZIONE PENALE


 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ANTONIO MORGIGNI
Dott. FRANCESCO MARZANO
Dott. CARLO GIUSEPPE BRUSCO
Dott. SILVANA GIOVANNA IACOPINO
Dott. LUISA BIANCHI

- Presidente -
- Consigliere -
- Consigliere –
- Consigliere –
- Rel. Consigliere -

Ha pronunciato la seguente


SENTENZA


sul ricorso proposto da:
1) S.C. N. IL ***
2) O.G. N. IL ***
avverso la sentenza n. 771/2005 CORTE APPELLO di PERUGIA, del 30/09/2008
- omissis -


Svolgimento del processo

Con sentenza in data 24/1/2005 il Tribunale di Perugia, sezione distaccata di Assisi, assolveva S.C., legale rappresentante della E.C., e O.G. direttore dei lavori e coordinatore responsabile in materia antinfortunistica, dal delitto di omicidio colposo del lavoratore M.F., il quale, precipitando il 29.9.1999 da un impalcato privo di protezioni, riportava gravissime lesioni, in conseguenza delle quali decedeva presso l'Ospedale di *** il 2.10.1999.
Il primo giudice riteneva provato che, nelle fasi di allestimento del cantiere per la ristrutturazione della torre piezometrica del Comune di ***, lavori nel corso dei quali si era verificato l'infortunio, erano state commesse numerose violazioni della normativa antinfortunistica, posto che: i piani del ponteggio erano stati realizzati senza scale di accesso (art. 8 D.P.R. 164/56); i piani di lavoro non erano stati adeguatamente accostati alla struttura circolare della torre e presentavano dei vuoti e delle aperture non protette (artt. 23 e 68 D.P.R. 164/56); l'impalcato, in alcuni punti, era sprovvisto di idonei parapetti atti ad evitare la caduta di persone sia dalla parte esterna che dalla parte interna (art. 24 D.P.R. 164/56). Sottolineava il Tribunale come l'infortunio fosse avvenuto proprio nel corso dei lavori di allestimento del ponteggio che sarebbe dovuto servire per effettuare la ristrutturazione della torre piezometrica, allestimento che era stato appaltato ad altra società e che il M., in quel momento, era intento al completamento dell'impalcato ed in particolare alla copertura degli anzidetti spazi vuoti. Riconosceva la responsabilità del S. per la violazione della anzidetta normativa antinfortunistica, nella qualità di legale rappresentante della ditta "E.C." aggiudicataria dell'appalto di ristrutturazione, e appaltante (con appalto illegittimo in quanto in violazione dell'art. 18 della legge n. 55 del 1990) i lavori di approntamento dell'impalcatura ad una diversa società, la B.M. P*, della quale era legale rappresentante il B. (separatamente giudicato) e dipendente il deceduto M..
Osservava come la responsabilità del S. doveva ritenersi comunque sussistente anche qualora, come sosteneva la difesa, si fosse voluto configurare il rapporto intrattenuto con la B.M. P* quale prestazione di opera (consentita dal contratto), per non avere il medesimo provveduto ad aggiornare la notifica preliminare con la presenza di tale ditta ed avere in ogni caso fornito il materiale occorrente per costruire l'impalcatura medesima, materiale per di più non adatto allo scopo, trattandosi di cavalletti che non potevano aderire alla struttura circolare della torre.
Riconosceva altresì la concorrente responsabilità, per le medesime violazioni della normativa antinfortunistica, dell’O., direttore e responsabile dei lavori, che "aveva predisposto e sottoscritto la notifica preliminare di inizio dei lavori in qualità di responsabile dei lavori", aveva predisposto il piano di sicurezza, era coordinatore per la progettazione, coordinatore per l'esecuzione dei lavori e per la sicurezza del cantiere; allorché ebbe a verificarsi l'incidente i lavori erano iniziati da almeno tre giorni senza che egli si fosse in alcun modo attivato per l'espletamento di quei compiti che gli competevano nella detta veste. Dunque aveva tenuto un comportamento colpevolmente omissivo in ordine al controllo dello svolgimento dei lavori e del rispetto della normativa antinfortunistica.
Tanto premesso, riteneva peraltro il primo giudice non provato il rapporto di causalità tra le anzidette condotte colpose dei due imputati ed il verificarsi del sinistro, nel rilievo che non era stato possibile stabilire come esattamente si fosse verificato l'incidente.
La sentenza veniva impugnata dal pubblico ministero e dalle parti civili e, all'udienza del 23.5.2006, veniva sollevata questione di costituzionalità in relazione alla disciplina dell'appello sopravvenuta con legge 46/2006. Gli atti venivano restituiti alla Corte di appello con ordinanza del 5.11.2007 depositata il 14 successivo per nuovo esame della rilevanza a seguito della dichiarazione dell'illegittimità parziale della nuova disciplina disposta con la sentenza n. 26/2007.
Le parti civile e gli imputati depositavano memorie.
Rifissato il dibattimento per l'udienza del 1.4.2008, veniva disposta la parziale rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale con acquisizione della documentazione medica relativa al ricovero di M.F. presso gli ospedali di Perugia ed Assisi, audizione della dott.ssa M. che aveva effettuato la visita esterna del cadavere, e perizia medica legale per accertare le cause della morte.
Sulla base del materiale raccolto, la Corte di appello di Perugia perveniva alla affermazione di responsabilità di entrambi gli imputati e, concesse loro le circostanze attenuanti generiche equivalenti, condannava S. a un anno di reclusione e O. a quella di nove mesi oltre al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, cui assegnava una provvisionale.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso a questa Corte gli imputati per il tramite dei rispettivi difensori.
Con un primo motivo S. lamenta il vizio di cui all'art. 606 lett. e) cpp in relazione all'art. 4 del dpr 547/55 e all'art. 4 del d.lvo 626/94. Sostiene che la realizzazione dell'impalcatura necessaria per i lavori dì risanamento statico della torre costituivano essi stessi un "cantiere" indipendente e autonomo, non si trattava di opera subappaltata, non era opera coesistente all'interno di altro cantiere, né vi era cooperazione tra i dipendenti delle due ditte, tanto è vero che la E.C. stava aspettando la consegna dell'impalcatura per iniziare i propri lavori; comunque, anche ammesso che vi fosse stato un subappalto, deduce che l'obbligo di cooperazione da parte dell'appaltante non può essere inteso come dovere dì supplenza ogni volta in cui l'appaltatore trascuri di adottare le misure di sicurezza nei confronti di propri dipendenti, quale era nella specie l'infortunato; l'obbligo di cooperazione sussiste solo quando vi sia pericolo che l'esecuzione delle opere appaltate possa incidere sia sui dipendenti dell'appaltatore che su quelli dell'appaltante.
Con il secondo motivo lamenta la violazione dell'art. 606 lett. e) cpp in relazione all'art. 40 cp, e all'art. 24 D.P.R. 164 del 56.
Si è trascurato un dato certo, accertato nel corso del procedimento, e cioè che l'infortunato presentava un notevole tasso alcolemico, superiore a quello consentito per la guida in stato di ebbrezza e pertanto ben poteva aver posto in essere comportamenti imprevedibili; argomento disatteso ritenendolo semplicemente "non significativo", e senza tenere conto che la stessa ricostruzione del fatto fornita dalla Corte di appello (il M. si spostò velocemente sul parapetto per trovare un punto da cui poter soddisfare senza ostacoli, neppure psicologici, il proprio bisogno fisico) dimostra come evidentemente la vittima non ebbe immediata coscienza del pericolo, per l'alterazione alcolica in cui si trovava.
Il primo motivo del ricorso O. attiene alla violazione dell'art. 606 lett. c) in relazione all'inosservanza degli artt. 178, 417, 429, 516, 517, 518, cod. proc. pen. Si sostiene la nullità della imputazione per le numerose modifiche intervenute, e che, comunque, non si era compreso il significato della eccezione in questione, già proposta nel corso del giudizio, volta a contestare il fatto che con il capo di imputazione si configurava una sorta di responsabilità oggettiva, genericamente evocata in relazione all'incidente, limitandosi la contestazione ad argomentare che il ponteggio non era, in alcune sue parti, regolare, che una persona era caduta, che l'imputato era responsabile. Il secondo motivo pone la questione della inammissibilità dell'appello del pubblico ministero in quanto il medesimo non era stato proposto nei confronti dell' imputato O., ma solo del S.; l’appello era assolutamente generico e laddove sembrava diventare più specifico s riferisce al S..
Il terzo attiene alla inammissibilità degli appelli delle parti civili perché volti a far emergere una responsabilità penale degli imputati, e non, come previsto dall'art. 576 cod. proc. pen. proposti ai soli effetti della responsabilità civile.
Con il quarto, diffuso, motivo il ricorrente prospetta il vizio di motivazione, che sarebbe contraddittoria ed illogica sotto i seguenti, molteplici, aspetti: deposizione del coimputato B. ritenuta in alcuni punti della sentenza pienamente attendibile ed in altri invece totalmente inattendibile (ad es. , dove riferisce che il M. correva ); critica del sistema di costruzione del ponteggio, realizzato a cavalletti anziché con il sistema del "giunto-tubo"; nel piano di sicurezza elaborato da O. era stato previsto il sistema del "giunto-tubo" e al rispetto del progetto era preposto il geom. V., responsabile del cantiere e direttore tecnico; ricostruzione dell’evento: nessun teste aveva assistito alla reale dinamica dell’evento; inattendibilità del B.; illogicità di ritenere che M. si fosse tolto la maglietta per il sopravvenuto caldo; era più logico pensare che se la fosse tolta già prima, durante il pranzo consumato a terra, lasciandola appunto a terra; si contesta la ricostruzione in termini di assoluta certezza della causazione dell'evento a seguito di caduta dall'alto, sulla base della perizia medico legale, che sarebbe stata malamente interpretata. Nessuna prova vi era della caduta, avendo il perito solo affermato l'astratta compatibilità delle lesioni riportate dal M. con una caduta dall’alto, lesioni che non ha escluso che avrebbero potuto essere provocate da altre cause, un colpo inferto da un terzo o un urto accidentale della testa; in assenza di autopsia non poteva considerarsi provata l’assenza di lesioni interne; mancanza della classica lesione da caduta, cioè la lesione cranica “a mappamondo” e mancanza di lesioni alle braccia e alle mani che avrebbero dimostrato la effettuazione di una manovra di riparo durante la caduta, evidentemente non messa in atto per la diminuita lucidità del M. e dei tempi di reazione; erronea ricostruzione del ruolo dell' O., che non era responsabile del cantiere e al quale non competeva il controllo della sicurezza nella fase di montaggio del ponteggio; inutilizzabilità della testimonianza della dott.ssa M. in quanto relativa ad atto irripetibile; mancata valutazione della incidenza della assunzione di alcolici, illogicamente ritenuta non significativa dalla Corte di appello nonostante il riscontrato valore di alcolemia superiore ai limiti consentiti per la guida e tale da scemare in modo significativo la lucidità del soggetto, tanto più che M. pesava appena 45 kg; M. aveva bevuto quasi un litro di vino in violazione della normativa in materia di sicurezza che impone al lavoratore di prendersi cura della propria salute e sicurezza e quindi di non consumare alcool durante il lavoro; ritenuta irrilevanza del fatto che l'infortunato si sia spostato "correndo" sull'impalcato.
Con il quinto motivo si eccepisce la intervenuta prescrizione del reato per decorso del termine di sette anni e mezzo perché l'aggravante non sarebbe contestata. Si chiede poi la revoca delle statuizioni civili.
 

Motivi della decisione

I ricorsi non meritano accoglimento risultando infondati b manifestamente infondati i motivi proposti.
Il primo motivo di S. è infondato.
Pacifiche devono ritenersi le violazioni antinfortunistiche sopra richiamate, sulle quali diffusamente sì sono soffermate entrambe le sentenze di merito. Di esse correttamente è stato ritenuto responsabile il S., risultato aggiudicatario dell'appalto di ristrutturazione della torre piezometrica del Comune di *** e a sua volta appaltante alla ditta B. della predisposizione del ponteggio. I giudici hanno accertato che nel cantiere, e la situazione non muta anche a volere ritenere che con la ditta B. vi fosse un contratto di prestazione d'opera, operavano più società, tanto è vero che il materiale per il ponteggio era stato fornito dalla E.C. che però non aveva provveduto a mettere a disposizione materiale adatto e sufficiente alla corretta esecuzione del lavoro. Trovava dunque applicazione l'art. 7 del decreto legislativo n. 626 del 1994 che impone agli imprenditori presenti in un cantiere un obbligo di cooperazione al fine dell'apprestamento e del mantenimento delle misure di sicurezza a favore dì tutti i lavoratori presentì, a qualunque impresa appartengono (sez. IV 3.7.2002 n. 31459 rv 222341). Dovere di cooperazione anche di recente ribadito dalla III sezione di questa Corte (sentenza del 4.11.2008 n.1825 rv 242345) con l'affermazione che "nel caso di prestazione lavorativa in esecuzione di un contratto d'appalto, il committente è costituito come corresponsabile con l'appaltatore per le violazioni delle misure prevenzionali e protettive sulla base degli obblighi sullo stesso incombenti ex art. 7 D.Lgs. n. 626 del 1994". Nello stesso senso, ancor più puntualmente rispetto alla situazione in esame, si è espressa sez. III 12.1.2006 n. 15927 rv 234311, secondo cui "In tema di tutela dei lavoratori, la responsabilità del datore di lavoro appellante non è esclusa dal fatto che questi abbia, a sua volta, subappaltato l'esecuzione dell'opera ad altra ditta, che ha così assunto il ruolo concreto di impresa esecutrice dei lavori, atteso che in caso di lavori affidati in appalto la ditta, appaltante o subappaltante, deve fornire le informazioni necessarie sui rischi specifici e sulle misure da essa stessa adottate in relazione all'attività da svolgere, ed entrambe le ditte debbono cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione per i rischi inerenti all'esecuzione dell'opera appaltata; così che in presenza di tale obbligo generale di collaborazione antinfortunistica è esclusa la possibilità che il solo affidamento a terzi della esecuzione dei lavori liberi l'appaltante, o il subappaltante, dalla propria responsabilità prevenzionale".
Né può attribuirsi rilevanza alla eccezione formulata dalla difesa del S. secondo cui l'obbligo di cooperazione sussiste solo quando vi sia pericolo che l'esecuzione delle opere appaltate possa incidere sia sui dipendenti dell'appaltatore che su quelli dell'appaltante, potendosi al riguardo osservare che tale osservazione sembra evocare la prevista limitazione di responsabilità per i rischi specifici dell'appaltatore, situazione certamente non ravvisabile nella specie in cui l'incidente è avvenuto nel corso della predisposizione di un ponteggio che doveva servire per la ristrutturazione della torre da parte dell'impresa appaltante, ponteggio alla cui realizzazione tale impresa collaborava, avendo fornito il materiale da utilizzare, onde i rischi dell'allestimento erano certamente rischi anche della E.C..
Il secondo motivo è manifestamente infondato. La circostanza della alterazione alcolica del M. non è stato affatto trascurata o apoditticamente ritenuta non significativa dal giudice di appello, che invece ha puntualmente riferito quanto accertato dal perito e cioè che il M. aveva bevuto vino durante il pranzo (comportamento abituale di molti lavoratori dell'edilizia) e aveva un tasso alcolemico al momento dell'evento di 1,1 - 1,2 gr./l, valori che potevano implicare una attenuazione della vigilanza e dei tempi di reazione; la Corte ha tuttavia escluso che tale stato potesse valere come causa interruttiva del nesso causale e ha fondato tale conclusione sulla considerazione che il tasso alcolemico, anche perché l'assunzione di vino era avvenuta durante il pranzo, non era tale da comportare un grave stato di ubriachezza, e dunque il mancato controllo delle proprie azioni, e che la caduta dal ponteggio non sarebbe stata possibile ove questo avesse avuto le protezioni regolamentari. Non provata è risultata la circostanza che il lavoratore si fosse messo a correre sul ponteggio, anch'essa peraltro irrilevante alla luce della mancanza delle necessarie protezioni anticaduta.
Passando ad esaminare il ricorso O. deve rilevarsi la inammissibilità del motivo con cui si sostiene la nullità del capo di imputazione per essere lo stesso stato ripetutamente modificato. La inammissibilità deriva dal fatto che il ricorrente non tiene conto delle spiegazioni puntuali e diffuse fornite al riguardo dalla Corte di appello che (pagg. 13, 14 e 15 della sentenza) ha preso in esame tutti i profili della questione nuovamente con il presente ricorso dedotti, senza ulteriori elementi di prospettazione e dunque inammissibili. Né miglior sorte merita la censura di genericità, atteso che l'infortunio è stato ben descritto nella contestazione, derivandone la piena facoltà dell'imputato di difendersi dall'accusa rivoltagli.
Anche le questioni della pretesa inammissibilità dell'appello del pubblico ministero e delle parti civile sono state ampiamente trattate dalla sentenza impugnata che ha puntualizzato come l'appello del pubblico ministero riguardasse l'accertamento del nesso di causalità, essendo stata la relativa prova ritenuta non raggiunta dal primo giudice (che aveva invece accertato la colpa) e cioè una questione che evidentemente investiva la posizione di entrambi gli imputati; quanto all'appello delle parti civili correttamente la Corte di appello ha messo in luce che il riferimento all'accertamento della responsabilità penale era strumentale e prodromico alle statuizioni civili che dallo stesso derivavano. Nulla vi è da aggiungere al riguardo.
Relativamente al quarto motivo di ricorso, con cui si contesta in sostanza la responsabilità dell' O. sotto il profilo della sussistenza di una posizione di garanzia, si deve preliminarmente rilevare la inammissibilità dei riferimenti a circostanze di fatto variamente evocate o alla attendibilità dei testimoni, rientrando le une e le altre negli accertamenti e/o nelle valutazioni che sono compito del giudice di merito, non suscettibili dì diretta valutazione da parte di questa Corte. L'accertamento relativo al decesso del M. quale conseguenza della caduta dal ponteggio dove si trovava a lavorare è stato, anche in assenza di testi oculari, dalla Corte di Perugia congruamente e compiutamente motivato sulla base della rinnovata istruzione dibattimentale che si è sviluppata con l'acquisizione della documentazione medica relativa all'infortunio, con l'escussione del medico che effettuò la visita esterna del cadavere, con l’espletamento di apposita perizia e con l’audizione del perito, con l’esame di testimoni. La riscontrata assenza di parapetti nel punto di caduta, accertato anche per la presenza di una maglietta dell’operaio, hanno consentito alla Corte un giudizio sicuro, compiutamente motivato, in questa sede non censurabile, circa le modalità dell’incidente.
Come già si è osservato sopra, la sentenza ha affrontato anche il tema del tasso alcol emico del M. e quello di un suo eventuale (peraltro non provato) veloce spostamento sul ponteggio, rilevando, come già si è detto, la non idoneità di tali circostanze ad escludere il nesso causale, trattandosi, a tutto voler concedere di concorrenti fatti colposi dell’infortunato pacificamente inidonei ad escludere il nesso di causalità rispetto al comportamento addebitato al prevenuto, di grave violazione delle norme sulla sicurezza.
Quanto alla posizione di garanzia, il motivo si incentra nel sostenere che la sentenza avrebbe frainteso i ruoli, attribuendo all’O. la qualifica di direttore tecnico di cantiere che invece era rivestita da altra persona, tale V.. Al riguardo deve osservarsi che nessun fraintendimento vi è stato, ma anzi la sentenza in questione, come già quella di primo grado, sono state assolutamente precise nel ricostruire le singole posizioni.
La posizione di garanzia dell’O. è stata puntualmente ancorata alla sua qualità di responsabile dei lavori per conto del committente, di progettista, coordinatore per la progettazione e la esecuzione, coordinatore responsabile in materia di sicurezza, e cioè di soggetto cui il committente Comune di *** aveva attribuito i compiti, espressamente previsti dal d.lvo n. 494 del 1996 per la sicurezza nei cantieri, di progettazione e controllo della esecuzione dei lavori, di coordinamento con le altre imprese di cui si prevedeva la presenza nel cantiere sia per la progettazione che per la esecuzione dei lavori, di coordinatore responsabile in materia di sicurezza. La sua qualità di principale responsabile della sicurezza per conto della committenza era ben chiara ai giudici di appello, senza alcuna confusione di ruoli, chiaramente dimostrata dalla circostanza che la stessa sentenza di appello fa espresso riferimento alla diversa persona del geom. V. quale direttore tecnico di cantiere.
Da ultimo deve osservarsi che certamente non è decorso il termine di prescrizione del reato dovendosi avere riguardo, per effetto del giudizio di equivalente delle attenuanti, al termine complessivo di anni 15 (10+5).
Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e alla rifusione, in solido, delle spese del presente giudizio in favore delle parti civili costituite, liquidate in euro 3500,00 oltre accessori come per legge in favore di M.T. e M.G. ed euro 3500,00 oltre accessori come per legge in favore di M.B. e V.L..
 

p.t.m.

La Corte:
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e alla rifusione, in solido, delle spese del presente giudizio in favore delle parti civili costituite e liquida le stesse in euro 3500,00 oltre accessori come per legge in favore di M.T. e M.G. ed euro 3500,00 oltre accessori come per legge in favore di M.B. e V.L..

Così deciso in Roma, il 18.1.2010

DEPOSITATO IN CANCELLERIA 11 MARZO 2010