Cassazione Penale, Sez. 4, 08 marzo 2024, n. 9902 - Elettrocuzione in cantiere. Assenza di persone esperte (PES) o persone avvertite (PAV)



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta da:

Dott. DOVERE Salvatore - Presidente

Dott. MICCICHÈ Loredana - Consigliere

Dott. MARI Attilio - Relatore

Dott. D'ANDREA Alessandro - Consigliere

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

A.A. nato a P il omissis

avverso la sentenza del 13/01/2023 della Corte Appello di Bologna

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Attilio Mari;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Kate Tassone

Il PG conclude il non doversi procedere in quanto il reato è estinto per prescrizione.

L'avvocato Zaccaria Cosimo del foro di Modena in difesa di:

A.A. ha inviato revoca di trattazione orale
 

Fatto


1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d'appello di Bologna ha confermato la sentenza emessa il 16/707/2021 dal Tribunale di Modena nei confronti di A.A., imputato del reato previsto dall'art. 590, commi 1, 2 e 3, in relazione all'art.583, comma 1, n.1, cod.pen. e con la quale lo stesso era stato condannato alla pena di mesi tre di reclusione, con concessione dei benefici della sospensione condizionale e della non menzione.

Era stato contestato all'imputato di avere, quale titolare delle Euro Group Srl - ditta esecutrice di lavori di installazione di impianti elettrici di cantiere - con colpa generica consistente in negligenza, imprudenza e imperizia nonché con colpa specifica consistente nella violazione dell'art.82, comma 1, lett.b), del T.U. emesso con D.Lgs. 9 aprile 2008, n.81 - inviato i lavoratori B.B. e C.C. a effettuare la sostituzione del cavo di alimentazione generale del cantiere della AEC Costruzioni (committente dei lavori elettrici) nonostante si trattasse di soggetti privi della necessaria formazione professionale, ponendo così in essere la causa dell'infortunio occorso allo stesso C.C.; il quale, incaricato di distaccare il cavo di alimentazione del cantiere, non avendo previamente isolato e posto fuori tensione la morsettiera cui esso era attaccato e procedendo unicamente con una brugola metallica, aveva subito una elettrocuzione che gli aveva cagionato lesioni guaribili in oltre quaranta giorni.

2. La Corte territoriale ha previamente esposto la ricostruzione del fatto operata da parte del Tribunale; esponendo che, sulla base delle risultanze istruttorie, era emerso che, in data 06/08/2015, lo C.C. era stato inviato presso il cantiere della AEC Costruzioni Srl, società committente dei lavori elettrici alla Euro Group Srl, al fine di sostituire il cavo di alimentazione che forniva energia al cantiere, agganciato al quadro generale della Euro Group, a propria volta collegato al contatore ENEL; che il B.B., che ricopriva il ruolo di caposquadra, aveva indicato fisicamente allo C.C. quali fossero i cavi da staccare, ovvero quelli posti a "valle", colleganti il quadro elettrico con il cantiere e posti a circa due metri di altezza; che, al fine di compiere tale operazione, era necessario lavorare in assenza di tensione elettrica, di modo che era stata tolta la corrente all'interruttore generale di cantiere ma che tale operazione non aveva comportato la disattivazione dell'erogazione da parte del generatore ENEL, collegato al quadro di cantiere tramite i cavi "a monte"; che lo C.C., nel tentare di staccare i cavi, aveva quindi lavorato su quelli "a monte" tramite una brugola, ricevendo immediatamente una scossa elettrica che gli aveva cagionato lesioni personali.

La Corte territoriale ha quindi rilevato che, sulla base della prospettazione accolta nella sentenza di primo grado, nei confronti del A.A. - quale capocantiere e preposto - era stato ravvisato il mancato rispetto della normativa tecnica CEI 11-27:2014-01, che prescrive che i lavori in prossimità di tensione elettrica devono essere compiuti da persona esperta (PES) o avvertita (PAV) mentre le persone comuni (PEC) sono abilitate a svolgere tali lavori solo sotto la supervisione di un PES o di una PAV, qualifiche possedute dal solo A.A.; che l'attività dello C.C. doveva ritenersi essere stata svolta, quanto meno, in prossimità di parti attive in quanto nelle immediate vicinanze di cavi attraversati da corrente elettrica; che non poteva ritenersi applicabile la clausola 6.4.2 della normativa tecnica, che consente al PEC di operare in autonomia sul luogo di lavoro in tensione attraverso mezzi che consentano il mancato contatto tra l'agente con la zona di lavoro sotto tensione, in quanto lo C.C. non era stato dotato di alcun dispositivo di sicurezza; che non assumevano rilievo, in punto di giudizio controfattuale, le indicazioni fornite dal B.B., essendo lo stesso comunque soggetto privo delle necessarie fondamenta teoriche per la gestione del rischio, la quale doveva invece integralmente essere ricondotta al solo A.A..

In punto di nesso causale, il giudice di primo grado aveva altresì argomentato che il rischio creato non poteva dirsi eccentrico in quanto le lavorazioni effettuate nella contingenza rientravano nella sfera di rischio riconducibile alla posizione di garanzia rivestita dall'imputato, pur in presenza di un evidente errore da parte della persona offesa.

La Corte territoriale ha rigettato il motivo di appello inerente al dedotto difetto di colpa in capo al datore di lavoro, con specifico riferimento all'argomentazione in base alla quale il lavoro sui cavi presupponeva il necessario distacco dell'interruttore del contatore ENEL, sulla base di un'indicazione che il A.A. avrebbe asseritamente impartito la mattina stessa dell'incidente e che il B.B., disattivando il solo contatore di cantiere, avrebbe scientemente disatteso.

Sul punto, i giudici di appello hanno comunque ritenuto ravvisabile un profilo di colpa in capo all'imputato derivante dal difetto di organizzazione del lavoro per non essersi sincerato delle condizioni in cui i due dipendenti avrebbero dovuto operare, con specifico riferimento alla concreta possibilità di provvedere al distacco del contatore ENEL in dipendenza della disponibilità della relativa chiave, elemento di fatto che la sua posizione di garanzia gli avrebbe imposto di accertare, accettando quindi il rischio - non eccentrico o imprevedibile - che i dipendenti staccassero il solo contatore di cantiere trasformando quindi il lavoro come svolto "in prossimità" di tensione; ha quindi rilevato che l'imputato aveva omesso di recarsi sul posto e di verificare personalmente le modalità di esecuzione delle opere, limitandosi ad affidarle a due persone prive della necessaria preparazione quanto alla gestione del rischio elettrico e senza dare le necessarie istruzioni dipendenti dalla omessa accessibilità del contatore ENEL.

La Corte ha altresì rilevato che, sulla base delle predette argomentazioni, doveva ritenersi infondato anche il motivo di appello riguardante la pretesa interruzione del nesso di causalità; ha argomentato che gli errori ascrivibili ai lavoratori - ovvero il disinserimento del solo contatore del cantiere (da parte del B.B.) e l'errata individuazione dei cavi sui quali intervenire (da parte dello C.C.) - non erano estranei rispetto alla sfera di rischio gestita dal responsabile, non integrando tali condotte fatti abnormi tali da eliminare il necessario rapporto di causalità.

3. Avverso la predetta sentenza ha presentato ricorso per cassazione A.A., tramite il proprio difensore, articolando tre motivi di impugnazione.

Con il primo motivo ha dedotto - ai sensi dell'art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. - l'errata applicazione di norme giuridiche extrapenali, con particolare riferimento all'art.83 del D.Lgs. n.81/2000 e alla norma CEI 11-27, in riferimento alle disposizioni 6.4.1.3 e 6.4.2.1.

Ha dedotto che il Tribunale, rispetto all'ipotesi indicata nel capo di imputazione, avrebbe assunto una posizione intermedia ritenendo che il lavoro svolto dallo C.C. fosse stato effettuato, quanto meno, in prossimità delle parti elettriche attive se non su parti propriamente attive, ritenendo comunque necessaria la presenza di un PAS o di un PEV; mentre, di contro, la Corte d'appello aveva qualificato l'area di lavoro come caratterizzata dalla prossimità di tensione, ipotesi normativizzata dall'art.83 del D.Lgs. n.81/2008 e non dall'art.82; ha quindi dedotto che le due ipotesi fattuali predette erano regolate da norme tecniche tra di loro distinte, atteso che il lavoro in sola prossimità di parti attive -contrariamente a quello sotto tensione - avrebbe potuto essere svolto anche da un PEC (persona comune) a condizione dell'utilizzo di un "blocco meccanico" rispetto al contatto con le parti attive; ha quindi dedotto che, constando che il contatore di cantiere era stato disattivato, l'operazione potesse essere svolta anche da una persona comune; ha altresì dedotto che, ai sensi della disposizione 6.4.1.3, i lavori in prossimità potevano essere svolti da una PEC sotto la supervisione di PES o PAV e che, nel caso di specie, il lavoratore B.B. soddisfaceva tutti i requisiti per essere considerato tale indipendentemente dall'investitura formale; ha contestato, sul punto, le argomentazioni della Corte territoriali in base alle quali, se il B.B. fosse stata persona veramente esperta, non avrebbe consentito allo C.C. di lavorare erroneamente sui cavi posti "a monte"; ha quindi dedotto che la considerazione in base alla quale lo C.C. non avrebbe dovuto essere delegato a svolgere il distacco dei cavi a valle doveva ritenersi contrastante con la suddetta norma tecnica nella parte in cui permette a una PEC di operare in aree in prossimità sotto la supervisione o la sorveglianza di una PAV o di una PES, supervisione del tutto sussistente nel caso di specie, dovendosi considerare la condotta all'origine dell'infortunio come frutto di un mero errore da parte dell'esecutore.

Con il secondo motivo ha dedotto - in relazione all'art.606, comma 1, lett.c), cod.proc.pen. - la violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza, in riferimento agli artt. 521 e 522 cod.proc.pen..

Ha dedotto che la Corte territoriale aveva ascritto al A.A. un difetto di organizzazione del lavoro e che si sarebbe tradotto nel non avere appurato il dato relativo alla disponibilità della chiave di apertura del contatore ENEL, pur dopo avere impartito la direttiva di staccare la corrente dal fornitore; ha quindi dedotto che tale contestazione si sarebbe posta su un piano di eccentricità rispetto a quella afferente alla violazione dell'art.82 del D.Lgs. n.81/2008 e comunque riguardante la gestione del rischio elettrico in senso stretto, non essendo mai stata contestata alcuna inefficienza organizzativa; ha quindi argomentato che - essendo nel caso di specie stato contestato unicamente un profilo di colpa specifica - si sarebbe concretizzata la predetta violazione del principio di correlazione con conseguente lesione del diritto di difesa; aggiungendo che, secondo la sentenza impugnata e in difetto di previa contestazione, al A.A. sarebbe stato anche ascritto di avere inviato in cantiere personale non qualificato accettando il rischio che gli stessi dipendenti non staccassero la corrente, giungendo ad attribuire all'imputato una condotta valutabile sotto il profilo del dolo eventuale.

Con il terzo motivo ha dedotto - in relazione all'art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. - l'errata applicazione dell'art.43 cod.pen. in punto di prevedibilità ed evitabilità dell'evento.

Ha dedotto che lo C.C. avrebbe subito l'evento lesivo in conseguenza di una propria azione consapevole e volontaria, disattendendo la specifica direttiva impartitagli dal B.B. e attinente al solo distacco dei cavi posti a monte anziché di quelli a valle del contatore; ha quindi dedotto che una rigorosa applicazione in tema di causalità della colpa e di giudizio controfattuale avrebbe dovuto portare a un giudizio assolutorio, attesa la mancanza di argomentazioni sulla base delle quali ritenere che l'imputato fosse effettivamente in grado di governare, in concreto, il rischio conseguente alla lavorazione, attesa la sussistenza degli elementi rappresentati: da una formazione preventiva e adeguata della persona offesa, dalla spiegazione in dettaglio delle procedura da seguire e della precisa spiegazione in loco da parte del caposquadra B.B..

4. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta nella quale ha concluso per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.

 

Diritto


1. Il ricorso è inammissibile.

2. Va premesso che, vertendosi - in punto di valutazione di responsabilità dell'imputato - in una fattispecie di c.d. doppia conforme, le due decisioni di merito vanno lette congiuntamente, integrandosi le stesse a vicenda, secondo il tradizionale insegnamento della Suprema Corte; tanto in base al principio per cui "Il giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile" (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, Ambrosino, Rv. 209145; in conformità, tra le numerose altre, Sez. 6, n. 11878 del 20/01/2003, Vigevano, Rv. 224079; Sez. 6, n. 23248 del 07/02/2003, Zanotti, Rv. 225671; Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016, Genitore, Rv. 266617).

3. Va pregiudizialmente affrontato, per ragioni di priorità logica, il secondo motivo di impugnazione, con il quale la difesa del ricorrente ha dedotto una causa di nullità della sentenza impugnata ai sensi dell'art.522 cod.proc.pen., derivante dall'essersi fondata la pronuncia di secondo grado su un profilo di colpa omissiva non contestato nel capo di imputazione e consistente nell'avere ascritto all'imputato di non essersi previamente assicurato dell'effettiva apertura della cassetta contenente il contatore ENEL ovvero della immediata disponibilità della relativa chiave; in tal modo, secondo la prospettazione difensiva, sarebbe stato contestato all'imputato un profilo di colpa attinente a una dedotta inefficienza organizzativa aggiungendo che - attraverso il riferimento testuale all'accettazione del rischio che i lavoratori non staccassero la corrente - il profilo di responsabilità contestato sarebbe trasmodato nel dolo eventuale.

Il motivo è manifestamente infondato.

Sul relativo profilo di diritto le Sezioni Unite hanno affermato in più occasioni il principio in base al quale, in relazione al rispetto del combinato disposto degli artt. 521 e 522 cod.proc.pen., per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, cosicché si pervenga a una incertezza sull'oggetto della imputazione da cui scaturisce, un reale pregiudizio dei diritti della difesa; conseguendone che l'indagine non va esaurita nel mero e pedissequo confronto puramente letterale tra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto della contestazione (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205619; Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051).

Tali principi sono coerenti con quelli costituzionali racchiusi nella norma di cui all'art. 111 della Carta fondamentale, ma anche con l'art. 6 della Convenzione E.D.U., come interpretato, in base alla sua competenza esclusiva, dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, a partire dalla pronuncia Drassich c. Italia (CEDU 2 sez. 11 dicembre 2007); ma anche, successivamente, con la pronuncia del 22 febbraio 2018, Drassich c. Italia (n.2), con la quale la Corte di Strasburgo ha escluso la violazione dell'art. 6 cit. nel caso in cui l'interessato abbia avuto una possibilità di preparare adeguatamente la propria difesa e di discutere in contraddittorio sull'accusa alla fine formulata nei suoi confronti (così, in motivazione, Sez.4, n.3922 del 17/12/2020, dep. 2021, Zizzi, n.m.).

In applicazione del suddetto principio e a proposito dell'ambito specifico dei reati colposi, è stato quindi affermato che la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell'obbligo di contestazione suppletiva di cui all'art. 516 cod. proc. pen. e dell'eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'art. 521 stesso codice (Sez. 4, n. 18390 del 15/02/2018, Di Landa, Rv. 273265; Sez. 4, n. 7940 del 25/11/2020, dep. 2021, Chiappalone, Rv. 280950; Sez. 4, n. 6564 del 23/11/2022, Spampinato, Rv. 284101).

Deve quindi escludersi che l'aggiunta, operata nella motivazione della sentenza di secondo grado, di ulteriori profili di colpa generica rispetto a quelli individuati nel capo di imputazione - il quale, peraltro, oltre alla contestazione del predetto profilo dì colpa specifica faceva anche previo riferimento alla negligenza, imperizia e imprudenza - possa ritenersi idonea a perfezionare la violazione sanzionata dall'art.522 cod.proc.pen., non essendo l'aggiunta medesima idonea a concretizzare un'effettiva immutazione del fatto - essendo comunque la relativa condotta da ritenersi come mera specificazione della contestazione generica originariamente formulata.

A tale proposito, va richiamata la lettura giurisprudenziale in base alla quale, qualora il fatto venga dal giudice di appello diversamente qualificato, attraverso la modifica della posizione soggettiva rilevante per la colpa, ma solo senza che l'imputato abbia preventivamente avuto modo di interloquire sul punto, la garanzia del contraddittorio - prevista dall'art. 111 Cost. e dall'art. 6 CEDU così come interpretato dalla Corte EDU - resta comunque assicurata dalla possibilità di contestare la diversa definizione mediante il ricorso per cassazione e, unicamente qualora la nuova qualificazione dell'addebito, sotto il profilo della posizione soggettiva, abbia inciso in concreto sulle strategie difensive, l'imputato deve essere restituito nella facoltà di esercitare pienamente il diritto di difesa, anche attraverso la proposizione di richieste di prova rilevanti in relazione al diverso contenuto dell'accusa (Sez. 2, n. 46401 del 09/10/2014, Destri, Rv. 261047; Sez. 3, n. 22296 del 09/03/2017, Bavila, Rv. 269992; espressiva di analogo principio anche Sez. 5, n. 27628 del 23/05/2019, F., Rv. 276643).

Nel caso di specie, in relazione alla questione di fatto indicata nell'ambito del motivo di ricorso, deve ritenersi che l'imputato abbia avuto la piena possibilità di esplicare le proprie facoltà difensive anche in ordine alla stessa.

Trattandosi di tema - quello della necessità di assicurarsi del previo distacco del contatore ENEL - comunque emerso nel corso del giudizio in quanto, come sottolineato tanto nella sentenza di primo grado quanto in quella di secondo grado, riferita nell'ambito dell'istruzione dibattimentale e oggetto di specifiche dichiarazioni rese dall'imputato nel corso del proprio esame.

D'altra parte, quanto a ulteriore profilo di doglianza da intendersi sollevato nel motivo di appello - e afferente alla dedotta eccentricità della ritenuta responsabilità per difetto di organizzazione da parte dell'imputato - deve ritenersi che il relativo profilo fosse stato già indicato nell'atto di esercizio dell'azione penale, in cui si prospettava la ragione di colpa derivante dall'aver inviato a eseguire lavori su impianti elettrici dipendenti privi della necessaria qualificazione per l'attività da svolgere.

4. Con il primo motivo di impugnazione, il ricorrente ha dedotto che la Corte territoriale avrebbe errato nell'interpretare il disposto dell'art.83 del D.Lgs. n.81/2008, nella parte in cui ha ritenuto che una lavorazione nella prossimità delle parti attive potesse essere eseguita solo da persone esperte (PES) o persone avvertite (PAV), trascurando la disposizione contenuta al punto 6.4.1.2. delle norme tecniche CEI 11-27 (come indicate nel capo di imputazione e nel testo applicabile ratione temporis) nonché l'applicabilità della disposizione n.6.4.2.1 e regolante il mezzo di protezione adottabile ai sensi della stessa, consistente nella attivazione di un blocco meccanico.

Il motivo è, complessivamente, inammissibile in quanto manifestamente infondato.

4.1 Come sopra accennato, il Tribunale e poi, ancora più esplicitamente, la Corte territoriale - in riferimento all'originaria contestazione di colpa specifica facente riferimento al disposto dell'art.82 del D.Lgs. n.81/2008 - hanno ritenuto che l'operazione all'esito della quale si era verificato l'incidente fosse stata eseguito "in prossimità di tensione", con la conclusione in forza della quale la regola cautelare violata doveva essere identificata in quella contenuta nell'art.83 dello stesso T.U. e in base a cui: "1. Non possono essere eseguiti lavori non elettrici in vicinanza di linee elettriche o di impianti elettrici con parti attive non protette, o che per circostanze particolari si debbano ritenere non sufficientemente protette, e comunque a distanze inferiori ai limiti di cui alla tabella 1 dell'allegato IX, salvo che vengano adottate disposizioni organizzative e procedurali idonee a proteggere i lavoratori dai conseguenti rischi. 2. Si considerano idonee ai fini dì cui al comma 1 le disposizioni contenute nelle pertinenti norme tecniche"; indicando il richiamato allegato IX le relative distanze minime dipendenti dal grado di tensione presente nel caso di specie.

Ciò premesso, la stessa disposizione delle norme tecniche CEI 11-27 richiamata dalla difesa, sempre nel testo del 2014 applicabile ratione temporis, prevedeva specificamente che i lavori "in prossimità" dovessero essere svolti da PES o PAV e che le persone comuni privi di tale qualifica (PEC) potessero svolgere lavori in prossimità alla sola condizione che una PES ovvero una PAV gestisse il rischio elettrico mediante "una supervisione o una sorveglianza".

4.2 Deve quindi ritenersi che le sentenze di merito abbiano esaurientemente affrontato - con motivazione congrua e non palesemente illogica - la questione di fatto oggetto del motivo di ricorso; il quale, in definitiva, si sostanzia sul punto in una mera reiterazione di argomentazioni già affrontate e smentite da parte della Corte territoriale.

In particolare, i giudici di appello hanno rilevato - sulla base del presupposto in forza del quale la veste di PES o di PAV necessità di una formale attribuzione da parte del datore di lavoro - che, oltre alla persona offesa, neanche il caposquadra B.B. (sulla base di circostanza comunque emersa nel corso dell'istruzione dibattimentale) fosse munito della qualifica medesima; avendo specificamente il giudice di primo grado (pag.3 della sentenza) rilevato, con argomentazione rimasta priva di censura, che il solo B.B. aveva assunto tale qualifica nel successivo anno 2017 e rimanendo del tutto irrilevanti, pertanto, le argomentazioni difensive in ordine alla dedotta esperienza maturata dal predetto dipendente in materia di lavori da eseguire su impianti elettrici; elemento di fatto, incidentalmente, smentito dallo stesso A.A. in sede di esame reso nel corso del primo grado di giudizio nel corso del quale, con affermazioni riportate nella sentenza, lo stesso aveva dichiarato che il B.B. "non era una persona pronta per essere PES o PAV".

4.3 D'altra parte, del tutto inconferente appare altresì il richiamo - operato dalla difesa nell'esposizione del motivo di ricorso - alle specifiche disposizioni tecniche contenute nel punto 6.4.2 delle norme 11-27, nel cui ambito è previsto che i lavori in prossimità di parti attive possano essere eseguiti anche da una PEC senza prescrizioni aggiuntive particolari quando siano stati posti in essere le specifiche misure di protezione indicate al punto 6.4.2.1, ovvero "protettore o una barriera o sistemi di blocco meccanico o sistemi equivalenti"; ciò in quanto gli stessi devono essere predisposti, come pure indicato nella disposizione, al fine di impedire "la penetrazione nella zona di lavoro sotto tensione".

Deve quindi trattarsi - come rilevato dal Tribunale alla pag.4 della sentenza di primo grado - di opere idonee a impedire l'avvicinamento alla zona sotto tensione in relazione ai limiti metrici indicati, a propria volta, nel richiamato allegato IX al D.Lgs. n.81/2008; dovendosi quindi escludere, in relazione alla prospettazione difensiva, che possa essere valutata a tali fini la condotta consistente nella sola disattivazione dell'interruttore della corrente elettrica destinata al cantiere.

Va quindi ritenuto che - con argomentazioni logiche e, come detto, consequenziali rispetto alla formulazione del capo di imputazione - i giudici di merito abbiano ravvisato la responsabilità del datore di lavoro derivante dall'aver inviato personale non adeguatamente qualificato a svolgere lavori in prossimità di linee elettriche senza comunque assicurarsi previamente, in quanto unico soggetto munito delle necessarie qualifiche specialistiche, che le opere fossero effettivamente svolte in condizioni di sicurezza; condizioni di sicurezza, a propria volta e come ampiamente illustrato dalla Corte territoriale, necessitanti del previo distacco del passaggio della corrente elettrica da parte del contatore ENEL posto a monte rispetto al quadro elettrico del cantiere.

5. Con il terzo motivo di impugnazione, il ricorrente ha dedotto l'assenza del necessario nesso causale con la condotta colposa ascritta attesa la volontaria deviazione, in capo alla persona offesa, rispetto alle direttive impartite con conseguente interruzione del processo causale medesimo in relazione al disposto dell'art.43 cod.pen..

Il motivo è inammissibile, in quanto manifestamente infondato.

5.1 Sul punto, le argomentazioni sottese al motivo di ricorso costituiscono la riproposizione di analoga censura già formulata in sede di appello e argomentatamente confutata dalla Corte territoriale, la quale ha evidenziato l'assorbente rilievo causale della condotta colposa ravvisabile nei confronti dell'imputato - come sopra specificata - pure in presenza di un comportamento imprudente in capo alla persona offesa.

5.2 A tale proposito - come argomentato in parte motiva da Sez. 4, n. 37986 del 27/06/2012, Battafarano, Rv. 254365 - va quindi rilevato che le norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro hanno la funzione primaria di evitare che si verifichino eventi lesivi della incolumità fisica, intrinsecamente connaturati all'esercizio dell'attività lavorativa, anche nelle ipotesi in cui tali rischi siano conseguenti ad eventuale disaccortezza, imprudenza e disattenzione da parte del lavoratore subordinato.

Tale conclusione è fondata sulla disposizione generale di cui all'art. 2087 cod.civ. e di quelle specifiche previste dalla normativa antinfortunistica, secondo le quali, il datore di lavoro o comunque la persona dallo stesso delegata, è costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo reattivo previsto dall'art.40, comma 2, cod.pen..

Ne consegue che il titolare della posizione di garanzia ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici e del fatto che il lavoratore possa prestare la propria opera in condizioni di sicurezza, vigilando altresì a che le condizioni di sicurezza siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l'opera, essendo tale posizione di garanzia estesa anche al controllo della correttezza dell'agire del lavoratore, essendo imposto al garante (anche) di esigere dal lavoratore il rispetto delle regole di cautela.

Le censure avanzate dal ricorrente non tengono quindi conto del fatto che, in tema di infortuni sul lavoro, l'eventuale colpa concorrente dei lavoratori non può spiegare alcun effetto esimente per il garante della sicurezza sul posto di lavoro, che si sia reso comunque responsabile, come nel caso in esame, di specifica violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica, in quanto la normativa relativa è diretta a prevenire pure la condotta colposa dei lavoratori per la cui tutela è adottata.

In particolare quanto alla censura volta a prospettare l'interruzione del nesso causale basata sul comportamento della vittima (che, come risultato dall'istruttoria espletata, ha lavorato su cavi elettrici posti "a monte" rispetto al generatore di cantiere), questa non tiene conto che, poiché le norme di prevenzione antinfortunistica mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza ed imperizia, la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in presenza di un comportamento del lavoratore che presenti i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, che sia del tutto imprevedibile o inopinabile.

Peraltro, in ogni caso, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento.

Derivando, da tale argomento, anche l'ulteriore principio di diritto in base al quale perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante (Sez. 4, n. 7364 del 14/01/2014, Scarselli, Rv. 259321; Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242).

5.3 D'altra parte, rispetto alla dedotta abnormità del comportamento del lavoratore, deve considerarsi come tale il comportamento imprudente del medesimo che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli.

In particolare, ancora più specificamente, la giurisprudenza di questa Corte ha rilevato che, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del garante e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 16397 del 05/03/2015, Guida, Rv. 263386; Sez. 4, n. 33976 del 17/03/2021, Vigo, Rv. 281748; Sez. 4, n. 7012 del 23/11/2022, dep. 2023, Cimolai, Rv. 284237, cit.).

In sostanza, sulla base dell'esame sinottico dei principi dettati dalla giurisprudenza di legittimità, deve ritenersi che sia interruttiva del nesso di condizionamento la condotta del lavoratore nel solo caso in cui la stessa si collochi in qualche modo al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso.

Rilevando altresì che la giurisprudenza di legittimità è ferma nel sostenere che non possa discutersi di responsabilità (o anche solo di corresponsabilità) del lavoratore per l'infortunio quando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità (Sez.4, n.16888 del 07/02/2012, Pugliese, Rv.252373, nonché, in senso coerente, anche Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242, cit.), ciò in quanto le disposizioni antinfortunistiche perseguono, infatti, il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, onde l'area di rischio da gestire include il rispetto della normativa prevenzionale che si impone ai lavoratori, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l'instaurarsi, da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e per tale ragione foriere di pericoli (Sez.4, n.4114 del 13/01/2011, n.4114, Galante, n.m.; Sez. F, n. 32357 del 12/08/2010, Mazzei, Rv. 247996).

5.4 Deve quindi ritenersi che, nel caso di specie, i giudici di merito abbiano fatto adeguato governo dei predetti principi; ritenendo, specificamente, che il comportamento del lavoratore - pure connotato da un'imprudenza derivante dal fraintendimento delle direttive impartite dall'altro lavoratore presente sul posto (e comunque, come sopra rilevato, privo della necessaria qualifica per gestire lavori in prossimità di parti attive di cavi elettrici) - non avesse integrato alcunché di esorbitante o di imprevedibile, tale da poter rilevare ai fini dell'interruzione del nesso causale, avendo ravvisato la sussistenza del medesimo con le inosservanza colpose ascritte all'imputato della normativa di settore; la cui corretta applicazione avrebbe dovuto anzi evitare, a monte, che lavoratori non qualificati potessero svolgere lavorazioni del tipo di quelle che avevano costituito il necessario antecedente logico dell'evento lesivo.

Nel caso di specie deve quindi ritenersi che la Corte distrettuale, rimarcando il rilievo causale da attribuire al comportamento dell'imputato - che ha omesso di recarsi sull'area del cantiere pur essendo l'unico soggetto qualificato per svolgere le lavorazioni affidate ai dipendenti - abbia correttamente identificato l'assenza delle cautele volte a governare anche il rischio di imprudente esecuzione dei compiti assegnati.

6. Alla declaratoria d'inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", il ricorrente va condannata al pagamento di una somma che si stima equo determinare in Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
 


P.Q.M.
 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso, il 16 gennaio 2024.

Depositato in Cancelleria l'8 marzo 2024.