Cassazione Penale, Sez. 4, 14 marzo 2024, n. 10656 - Infortunio mortale del montatore di turbine: responsabilità del manovratore dell'autogrù


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta da:

Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente -

Dott. BELLINI Ugo - Consigliere -

Dott. PEZZELLA Vincenzo - Relatore -

Dott. MARI Attilio - Consigliere -

Dott. CIRESE Marina - Consigliere -

ha pronunciato la seguente

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

A.A. nato a C il (omissis)

avverso la sentenza del 27/06/2023 della CORTE APPELLO di GENOVA

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO PEZZELLA;

lette le conclusioni scritte per l'udienza senza discussione orale (art. 23 co. 8 d.l. 137/2020 conv. dalla l. n. 176/2020, come prorogato ex art. 16 d.l. 228/21 conv. Con modif. dalla l.15/22 e successivamente ex art. 94, co. 2, del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, come sostituito prima dall'art. 5-duodecies della I. 30.12.2022, n. 199, di conversione in legge del d.l. n. 162/2022) e poi dall'art. 17 del D.L. 22 giugno 2023, conv. con modif. dalla l. 10.8.2023 n. 112, del P.G., in persona del Sost. Proc. Gen. Luigi Orsi, che ha chiesto annullarsi con rinvio la sentenza impugnata.

 

Fatto


1. La Corte di Appello di Genova, pronunciando sul gravame nel merito proposto odierno ricorrente A.A., con sentenza del 27/6/2023 ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di La Spezia, in composizione monocratica, il 17/10/2020, all'esito di giudizio ordinario, lo ha condannato, concessegli le circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza sull'aggravante di cui all'art. 589 co. 2 cod. pen., alla pena di mesi otto di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali; pena sospesa e non menzione in quanto riconosciutolo colpevole del delitto p. e p. dall'art. 589, primo e secondo comma cod. pen., per avere, quale manovratore dell'autogrù, per colpa generica consistita in imprudenza, imperizia e negligenza e per colpa specifica, consistita nella violazione della disciplina antinfortunistica di cui ai capi seguenti, cagionato a B.B., dipendente dell'Alfamar con mansioni di montatore di turbine come tale addetto, il giorno dell'infortunio, a operazioni di sollevamento e scarico da un semirimorchio, posizionato presso il piazzale della Srl Blu Service, di un impianto di generazione elettrica da turbina a gas di proprietà dell'Alfamar, sollevamento che veniva effettuato mediante il collegamento dello stesso impianto, per il tramite di un'imbracatura con una serie di brache tessili, a una autogru Ormig mod. 45 manovrata dal A.A., cagionato al predetto B.B., a seguito della rottura di una delle brache tessili e il conseguente cedimento della struttura, che investiva il B.B., lesioni personali che lo traevano a morte; accaduto in S, il (omissis).

Con la medesima sentenza il tribunale spezzino assolveva i coimputati C.C. nella qualità di amministratore unico della sr.l. Alfamar, datore di lavoro del lavoratore deceduto, perché il fatto non costituisce reato e D.D., nella qualità di preposto e dirigente di fatto della stessa società per non aver commesso il fatto.

Nei confronti dell'odierno ricorrente sempre il giudice di primo grado dichiarava non doversi procedere per prescrizione in relazione al reato di cui agli artt. 20, secondo comma lett. b), 59 lett. a) D.Lgs. 9/4/2008 n. 81, per avere, nella qualità e nelle circostanze di cui al capo a), omesso di richiedere all'azienda dalla quale dipendeva la messa a disposizione di brache idonee alla tipologia di sollevamento, facendo, viceversa, uso di brache tessili, non adatte a l'operazione stante la presenza di parti taglienti nell'impianto da sollevare e per avere iniziato l'operazione di sollevamento, nonostante la presenza dell'infortunato sopra l'impianto; accaduto in S, il (omissis).

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il A.A. deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.

Con il primo motivo si denunciano violazione di legge penale e vizio di motivazione quanto al ritenuto nesso causale tra la condotta dell'imputato e il decesso della vittima.

Lamenta innanzitutto la difesa che la sentenza impugnata evoca una consulenza disposta dal pubblico ministero che non risulta in atti.

La sentenza d'appello e quella del primo giudice fanno riferimento a quanto dichiarato dalla dottoressa E.E., teste della difesa dei coimputati. La E.E., sanitario operante nell'ospedale della Spezia, ha reso dichiarazioni in forma dubitativa ("non so tante cose, non riesco a formulare una...").

L'istruttoria -prosegue il ricorrente- si è avvalsa delle valutazioni del consulente tecnico della difesa dei coimputati, Dottor F.F.. In realtà, del contributo di quest'ultimo -ci si duole- il provvedimento impugnato non fa alcun cenno.

La citazione del consulente, sommariamente fatta dal primo giudice, per il ricorrente rimanderebbe ad una valutazione che risulterebbe ostativa alla ricostruzione accolta dai giudici di merito in ordine alla responsabilità dell'imputato. Il consulente ha infatti dichiarato che la vittima sarebbe deceduta anche senza incorrere nell'infortunio sul lavoro.

Con il secondo motivo di censura si denuncia vizio di motivazione quanto al mancato accoglimento della richiesta difensiva di disporre perizia medico-legale. La censura risulta fondata sulle deduzioni di cui al motivo che precede.

Con il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione di legge processuale e vizio di motivazione quanto al fatto che il provvedimento impugnato omette qualsivoglia riferimento alla memoria difensiva di replica alle conclusioni scritte del Procuratore generale distrettuale. Il documento, allegato all'odierno ricorso, replica alla requisitoria scritta dal pubblico ministero laddove fa riferimento ad una "consulenza d'ufficio" inesistente agli atti.

Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.

3. Il PG presso questa Corte ha reso le conclusioni scritte riportate in epigrafe.
 

Diritto


1. I motivi proposti sono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato.

2. Il A.A. è stato chiamato a rispondere di omicidio colposo per avere cagionato, quale manovratore di una autogru, la morte dell'operaio B.B., evento dipeso dalla rottura dell'imbragatura tessile (anziché metallica) e dalla conseguente caduta di quanto sollevato (del peso di 27 tonnellate) sulla persona del deceduto.

Secondo la concorde valutazione dei giudici di merito risulta pacifico che in data 22.12.2014 B.B., dipendente della ditta Alfamar, subiva un infortunio sul lavoro nel corso delle operazioni di scarico da un semirimorchio di un macchinario, un generatore di circa 27 tonnellate, da posizionare su un piazzale della ditta Blu Service Srl, in S.

La ditta Alfamar, che aveva acquistato il generatore, aveva dato incarico tramite un contratto di nolo c.d. "a caldo", alla ditta PFT di scaricare, tramite una gru, manovrata da A.A. - odierno imputato e dipendente della ditta PTF - il macchinario nel piazzale sopra indicato.

Al momento dei fatti, il generatore era stato imbragato proprio dal B.B. con braghe tessili e lo stesso, per compiere tale operazione, era salito sopra il macchinario.

Successivamente, sempre con il B.B. sopra il generatore, la gru manovrata dall'odierno ricorrente effettuava il sollevamento, che avveniva per pochi centimetri, in quanto una delle braghe tessili, a causa del peso e del contatto con una parte del macchinario metallico affilato, si rompeva ed il generatore cadeva sul camion, sobbalzando in modo significativo, in ragione della presenza degli ammortizzatori del veicolo; a causa di tale brusco movimento, il B.B. cadeva sulla superficie metallica del generatore, battendo la testa e subendo importanti lesioni personali.

Pacifico è che, nell'occasione, come emerge dalla documentazione medica acquisita in atti, il lavoratore riportò numerose lesioni ossee, prevalentemente vertebrali, fra le quali quella della settima vertebra cervicale.

Successivamente il lavoratore subiva diversi ricoveri, nel corso dei quali si verificavano complicanze che ne determinavano il decesso in data (omissis).

Risulta che il decesso discende da ischemia midollare in un paziente portatore di protesi aortica addominale e toracica e che detto evento deve attribuirsi alle complicanze tipiche del ricovero ospedaliero, in assenza del quale non si sarebbero verificate.

Ribadisce la Corte territoriale che la dinamica dell'infortunio non è mai stata oggetto di contestazione.

Dunque, l'odierno imputato, manovratore della autogru con la quale doveva operarsi la movimentazione di un macchinario del peso di circa 27 tonnellate da un semirimorchio con il quale era stato trasportato al piazzale, aveva fornito al lavoratore infortunato per l'imbragatura del macchinario delle braghe di tela anziché delle catene di ferro, ed aveva consentito che l'infortunato, durante l'operazione di scarico, stesse in piedi sul macchinario medesimo.

3. Incontestati i profili di colpa in capo all'odierno ricorrente, ricostruiti concordemente dai giudici del merito con motivazione logica e congrua.

Il A.A., autista della gru, è stato ritenuto sicuramente responsabile dell'infortunio, in quanto non avrebbe dovuto sicuramente consentire al B.B. di rimanere sul macchinario durante la manovra di sollevamento.

Nel DVR della ditta PFT era previsto, infatti, che "durante il sollevamento, trasporto e messa a deposito del carico, tutto il personale impegnato si tenga a distanza di sicurezza".

Nel caso in questione -come si ricorda in sentenza- il B.B., addirittura si trovava sopra il carico, ciò che integra una grave violazione delle misure di sicurezza da parte del A.A. (viene richiamata in tal senso la deposizione del teste G.G. dell'ASI. 5).

Lo strumento utilizzato per il sollevamento del macchinario, ossia le braghe tessili, erano del tutto inadeguate per la presenza di parti del generatore taglienti, in grado - così come avvenuto - di determinarne la rottura; sarebbero stati necessari dei rinforzi, o, in mancanza, catene.

Evidenziano i giudici del merito che, come chiarito dal teste G.G. dell'ASL 5, era compito di PTF, ossia della ditta che era stata incaricata delle operazioni di scarico tramite il contratto di nolo a caldo", gestire tali operazioni nel modo corretto, utilizzando per tale motivo, i materiali adatti al sollevamento.

A proposito, nel documento di DVR della ditta PFT si dice espressamente che la verifica della manovra deve comprendere l'accertamento 'che il mezzo e tutti gli accessori da impiegarsi siano idonei al tipo di movimentazione da compiere".

Era compito del A.A., in quanto dipendente della ditta PFT, verificare la presenza di imbragature adatte alla movimentazione del pesante carico e, evidentemente, ed anche metterle a disposizione. Ed invece il A.A. consentiva che fosse il B.B., di sua iniziativa, a procurarsi delle braghe di sollevamento, rivelatesi inadatte, e ciò in quanto lo stesso A.A. aveva dimenticato di portare con sé le catene (in tal senso la deposizione del teste H.H., collega del B.B., presente al momento dei fatti).

Coerente la ricostruzione dei giudici del fatto che l'infortunio sia sicuramente ricollegabile alla condotta del A.A., che non utilizzava materiali di imbrago adatti, determinando la caduta del macchinario e, quindi, del B.B. e consentiva che durante la manovra di sollevamento, quest'ultimo rimanesse sopra il generatore, cadendo quindi sul macchinario, al momento della rottura della braga tessile.

4. Il ricorrente ha messo in discussione il nesso causale, per tutto il giudizio di merito, lamentandone il mancato accertamento tramite perizia, non potendosi escludere che l'insorgenza delle patologie che condussero alla morte del B.B. costituiscano causa anomala e indipendente rispetto alle lesioni di cui all'infortunio.

Sul punto insiste in questa sede con i primi due motivi di ricorso, che si palesano infondati.

La Corte genovese ha già motivatamente rigettato l'allegazione difensiva così prospettata e ha confermato la statuizione di condanna pronunciata dal Tribunale di La Spezia, con una sentenza certamente sintetica e in qualche modo e per certi versi alquanto sbrigativa in ordine allo scrutinio del nesso causale, ma che risponde al motivo propostole, soprattutto -trattandosi di c.d. doppia conforme- se letta come un tutt'uno con la pronuncia di primo grado e in ragione, come si dirà in seguito, della genericità dello stesso.

Il giudice spezzino, in punto di nesso di causalità, ha dato atto che non risultava svolta da parte dell'ufficio di Procura una consulenza tecnica sul nesso di causalità, e che, pertanto, la valutazione si fonda sulla documentazione medica acquisita, sulle dichiarazioni rese in sede dibattimentale dalla dott.ssa E.E., medico curante dell'imputato, teste indotto dalla difesa, nonché sulla consulenza della difesa da parte del dott. F.F.

E proprio in relazione a quanto dichiarato dalla dr.ssa E.E. la Corte territoriale ha ritenuto non necessario un ulteriore accertamento peritale sul rilievo tale teste ha chiarito la propria valutazione riconoscendo che senza il ricovero ospedaliero non sarebbero insorte le complicazioni che, innestandosi su una situazione di patologia preesistente dell'infortunato, lo hanno prematuramente condotto a morte.

Ed invero, come si rileva dalla sentenza di primo grado, la dott.ssa E.E., che aveva avuto in cura il paziente prima del decesso, evidenziava che la causa della morte era dovuta ad un'ischemia midollare in un paziente portatore di protesi aortica addominale e toracica e di recente frattura traumatica di C8". La dottoressa nel certificato evidenziava che non si ravvisava "correlazione fra l'evento traumatico (l'infortunio n.d.r.) e l'esito, insorto secondariamente ed evidenziatosi dopo episodio di periarresto con stato di shock di ndd (PAS 50 mmHg)" (cfr. pag. 2 della sentenza di primo grado).

La stessa dott.ssa E.E., nel corso del dibattimento, chiariva però che, nell'effettuare tale affermazione, si riferiva alla causa ultima del decesso, e prospettava - pur non ricordando bene vicenda - che se non vi fosse stato l'infortunio ed il conseguente ricovero in ospedale, il paziente, che prima dell'evento traumatico stava bene, verosimilmente non sarebbe andato incontro a tutta una serie di eventi e complicanze che lo avrebbero portato a morte.

Il giudice di primo grado evidenziava che nella stessa consulenza di parte del dott. F.F., emerge che plurime furono le cause che contribuirono alla morte del B.B.; se infatti si dice, nelle conclusioni, che la complicanza midollare, causa ultima del decesso, era più verosimilmente in relazione diretta., con la preesistente grave vasculopatia sistemica che col trauma originario, vengono indicate, nel corpo dell'elaborato, quali concause, l'ulcera da decubito sacrale e la polmonite ipostatica da stafilococco, definite temibili complicanze nosocomiali.

5. Non pare inficiare il percorso motivazionale del provvedimento impugnato il riferimento (pag. 3) ad una "consulenza tecnica del consulente della Procura" che, come fondatamente rileva il ricorrente, non c'è mai stata. 0 comunque non è in atti.

Al di là del ricordato richiamo, tuttavia, anche la Corte territoriale, come già il giudice di primo grado, ritiene sufficiente l'apporto scientifico introdotto nel processo dalla dr.ssa E.E., escussa a dibattimento, e dal consulente della difesa.

Il diniego alla richiesta di una perizia in dibattimento si colloca nel solco del consolidato orientamento di legittimità che ha in più occasioni evidenziato la natura eccezionale dell'istituto della rinnovazione dibattimentale di cui all'art. 603 cod. proc. pen. ritenendo, conseguentemente, che ad esso possa farsi ricorso, su richiesta di parte o d'ufficio, solamente quando il giudice lo ritenga indispensabile ai fini del decidere, non potendolo fare allo stato degli atti (Sez. 2, n. 677 del 10/10/2014 dep. 2015, Di Vincenzo, Rv. 261556; Sez.2, n.41808 del 27/09/2013, Mongiardo, Rv. 25696801; Sez.2, n.3458 del 1/12/2005, dep. 2006, Di Gloria, Rv. 23339101) precisando, altresì, che, considerata tale natura, una motivazione specifica è richiesta solo nel caso in cui il giudice disponga la rinnovazione, poiché in tal caso deve rendere conto del corretto uso del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non poter decidere allo stato degli atti, mentre in caso di rigetto è ammessa anche una motivazione implicita, ricavabile dalla stessa struttura argomentativa posta a sostegno della pronuncia di merito, nella quale sia evidenziata la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in senso positivo o negativo sulla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento (Sez. 6, n. 11907 del 13/12/2013, dep.2014, Coppola, Rv. 25989301; Sez. 6, n. 30774 del 16/07/2013, Trecca, Rv. 25774101; Sez. 3, n.24294 del 07/04/2010, D.S.B., Rv. 24787201; Sez. 4, n. 47095 del 2/12/2009, Rv. 245996; Sez. 2, n. 41808 del 27/9/2013, Mongiardo, Rv. 256968).

Come più volte chiarito da questa Corte di legittimità, la mancata rinnovazione in appello dell'istruttoria dibattimentale può essere censurata soltanto -il che nel caso che ci occupa non è avvenuto- qualora si dimostri l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 2, n. 677 del 10/10/2014, dep. 2015, Di Vincenzo, Rv. 261556; Sez. 6, n. 1256 del 28/11/2013, dep. 2014, Rv. 258236).

6. È provato, dunque, secondo la concorde valutazione dei giudici di merito, che la situazione di immobilizzazione, dovuta alle gravi fratture ossee vertebrali, portava sia il decubito sacrale che la polmonite ipostatica da stafilococco, e quindi, un generale decadimento delle condizioni generali, che, unite alle gravi patologie preesistenti, causavano la morte.

Correttamente, tuttavia, già il giudice di primo grado aveva concluso che: "Non per questo si potesse ipotizzare un'interruzione del nesso causale, anche perché, come noto, solo le concause successive - e non anche quelle preesistenti - da sole idonee a determinare l'evento, possono determinare l'interruzione del nesso di causalità. Eliminando, pertanto, tramite il giudizio controfattuale, l'infortunio e quindi il conseguente ingresso del B.B. in ospedale, la sua immobilizzazione, con le piaghe da decubito, la grave polmonite e lo scadimento delle condizioni generali, si può affermare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che il paziente non sarebbe morto nelle circostanze in cui tale evento poi effettivamente si verificava".

Le conclusioni cui sono pervenuti entrambi i giudici di merito sono, pertanto, pienamente in linea con il prevalente e consolidato orientamento interpretativo del disposto dell'art. 41, comma 2, cod. pen. più volte riaffermato dalla giurisprudenza di legittimità, (vedasi anche le recentissime Sez. 4, n. 7215 del 24/1/2024 , M. non mass, e Sez. 4 n. 7214 del 24/1/2024, Errerà, n. m.) secondo cui, fermo il principio della ed. equivalenza delle cause o della conditio sine qua non (sul quale è imperniata la disciplina normativa del nesso eziologico), la cause sopravvenute intanto possono giudicarsi atte ad interrompere il nesso di causa con la precedente azione od omissione poste in essere dall'imputato in quanto diano luogo ad una sequenza causale completamente autonoma da quella determinata dall'agente ovvero ad una linea di sviluppo dell'azione precedente, del tutto autonoma ed imprevedibile, ovvero ancora nel caso in cui si prospetti un processo causale non totalmente avulso da quello antecedente, ma caratterizzato da un percorso completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale ovverosia integrato da un evento che non si verifica se non in fattispecie del tutto imprevedibili, tali non essendo, ad esempio, l'eventuale errore del medico (cfr. Sez. 4 n. 11779/1997; Sez. 4 n. 41293/2007; Sez. 5, n. 17394 del 22/03/2005 D'Iginio, Rv. 231634 - 01 in tema di lesioni personali dolose; Sez. 5, n. 39389 del 03/07/2012, Martena, Rv. 254320 - 01 in tema di omicidio preterintenzionale; Sez. 1, n. 36724 del 18/06/2015, Ferrito, Rv. 264534 - 01 in tema di omicidio doloso; Sez. 5, n. 18396 del 04/04/2022 Di Bernardo Rv. 283216 - 02 in tema di lesioni personali volontarie, che ha precisato come in quanto l'intervento dei sanitari costituisce, rispetto al soggetto leso, un fatto tipico e prevedibile, anche nei potenziali errori di cura, mentre ai fini dell'esclusione del nesso di causalità occorre un errore del tutto eccezionale, abnorme, da solo determinante l'evento letale, ciò in una fattispecie in cui si è ritenuto che la serie causale, innescata dalle percosse che avevano determinato la frattura della vertebra sacrale della vittima, non fosse stata interrotta dalle negligenti omissioni dei sanitari, che - unitamente ad altre concause, quali le prolungate carenze di alimentazione e di idratazione della vittima - avevano favorito e accelerato, ma non autonomamente determinato, lo scompenso cardiaco risultato, infine, fatale).

Proprio con riferimento alle infezioni nosocomiali contratte durante la degenza ospedaliera per la cura di lesioni personali colpose cagionate in occasioni di sinistro derivato dalla violazione della normativa prevenzionistica in materia di lavoro, questa Corte ebbe ad affermare condivisibilmente che "...l'infezione contratta dal paziente relativamente alle ferite chirurgiche prodotte dai delicatissimi e plurimi interventi chirurgici resisi necessari a seguito delle gravi lesioni craniche con emorragia meningea subite in conseguenza dell'infortunio... di origine verosimilmente nosocomiale integrano altrettante complicanze nient'affatto eccezionali od anomale né tantomeno di rarissima ed imprevedibile verificazione, trattandosi di eventualità troppo frequentemente verificabili in ambito ospedaliero tanto più in danno di organismi (quale quello dell'infortunato) ... significativamente indebolito dalla lunga spedalizzazione e quindi defedato... sicché deve concludersi che conditio sine qua non dell'evento (ovvero prima, ineludibile condizione dell'evento) non poteva che risultare ... le omissioni colpose ascritte all'imputato..." (Sez. 4 n. 20654 del 28.05.2012, Poli, n.m.).

Analogamente, in materia di incidenti stradali, è stato condivisibilmente chiarito -e va qui riaffermato- che l'eventuale errore dei sanitari nella prestazione delle cure alla vittima di un incidente stradale non può ritenersi causa autonoma ed indipendente, tale da interrompere il nesso causale tra il comportamento di colui che ha causato l'incidente e la successiva morte del ferito (così Sez. 4, n. 41293 del 04/10/2007 Taborelli Rv. 237838 - 01, in un caso in cui la Corte ha escluso l'interruzione del nesso di causalità rilevando che l'errore medico non costituisce un accadimento al di fuori di ogni immaginazione, a maggior ragione nel caso in cui l'aggravamento della situazione clinica del ferito e la necessità di interventi chirurgici complessi risultino preventivabili in ragione della gravità delle lesioni determinate dall'incidente stradale).

Il ricorso pare ignorare che il concetto di causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento di cui all'art. 41 co. 2 cod. pen. si riferisca non solo al caso di un processo causale del tutto autonomo, ma anche a quello di un processo non completamente avulso dall'antecedente, e però caratterizzato da un percorso causale completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale, ossia di un evento che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presuppostale (tra le altre, Sez. 2 n. 17804 del 18/03/2015, Rv. 263581).

Con motivazione logica e congrua, oltre che corretta in punto di diritto -e che, pertanto, si sottrae alle proposte censure di legittimità- il tribunale spezzino prima e la corte genovese poi hanno ritenuto del tutto congruo, ancorché riferentesi ad un soggetto che aveva precedenti patologie, che non possa rientrare in tale nozione un'infezione contratta in occasione dei ricoveri certamente conseguenti alle lesioni ed agli interventi necessari e connessi all'incidente patito.

Nel caso concreto, peraltro, sulla base delle acclarate emergenze di fatto, difetta l'accertamento di qualsivoglia colpa dei medici curanti in relazione all'infezione contratta.

7. In conclusione, ritiene il Collegio che vada operata anche un'ulteriore considerazione.

Si è visto in precedenza, come articolata sia stata la risposta motivazionale in termini di prova della responsabilità da parte del giudice monocratico spezzino, ampiamente richiamata per relationem dalle Corte genovese.

Ebbene, di fronte a tali argomentazioni l'atto di appello del 28/1/2021 a firma degli Avv. Paolo Pasquali e dell'Avv. Antonio Macchiarmi è del tutto generico.

Ed invero, l'atto di impugnazione in questione consta di 5 pagine nelle cui prime tre si riassume il contenuto della sentenza di primo grado e nell'ultima vi è solo il petitum.

I motivi di appello si riducono alla sola pag. 4 ove si legge, testualmente: " A giudizio della sottoscritta difesa, contrariamente alla valutazione del Tribunale, alla luce delle emergenze processuali non è possibile affermare, in conformità del principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio, che l'imputato abbia commesso il reato ascrittogli e ciò, in particolare sotto il profilo dell'accertamento della sussistenza del nesso di causalità tra le lesioni riportate dalla parte offesa per i fatti avvenuti durante le operazioni di scarico del macchinario avvenuto in data 22/12/2014 ed il successivo decesso. In mancanza di adeguata disamina sia in fase di indagini sia, soprattutto, in fase dibattimentale, non si ritiene sia stata raggiunta la prova che le complicanze nosocomiali sopravvenute costituissero l'intrinseco naturale e logico sviluppo delle lesioni riportate dalla parte offesa il giorno dell'infortunio. L'accertata causalità concorrente delle complicanze nosocomiali successivamente insorte (ritenute rilevanti ex artt. 40 e 41 C.P.) a cagionare l'evento difetta, chiaramente, di un serio e specialistico approfondimento. Né può essere ragionevolmente escluso, al di là di ogni ragionevole dubbio, ed in mancanza di un adeguato e doveroso approfondimento specialistico, che l'insorgenza delle patologie che condussero alla morte della parte offesa possano essere considerate "anomale" ed "indipendenti" rispetto alle lesioni di cui all'infortunio e sufficienti, da sole a cagionare l'evento ex art. 41 comma 2 C.P. secondo la dizione normativa, introdotta per mitigare i rigori della teoria condizionalistica di cui all'art. 40 ed all'art. 41 comma 1 C.P. ".

Ha ragione, pertanto, la Corte territoriale ad affermare, alle pagg. 3-4 che: "...il motivo (...), è formulato in termini generici e meramente ipotetici: lamentando il mancato accertamento tramite perizia l'appellante sostiene non essere superato il ragionevole dubbio, non potendosi escludere che l'insorgenza delle patologie che condussero alla morte possa essere considerata anomala ed indipendente rispetto alle lesioni di cui all'infortunio".

Va ricordato e qui ribadito che la specificità della risposta motivazionale del giudice dell'impugnazione va rapportata alla specificità delle censure prospettategli e che, di fronte ad argomentazioni che pure ritiene non meritevoli di una pronuncia di inammissibilità per genericità lo stesso può anche limitarsi a sintetiche considerazioni e ad un richiamo per relationem della sentenza impugnata.

Costituisce ius receptum, infatti, che in tema di integrazione delle motivazioni tra le sentenze conformi di primo e di secondo grado, il giudice dell'appello può motivare per relationem se l'impugnazione si limita a riproporre questioni di fatto o di diritto già esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure prospetta critiche generiche, superflue o palesemente infondate (Sez. 6, n. 5224 del 02/10/2019, dep. 2020, Acampa, Rv. 278611 - 01; conf. Sez. 6, n. 28411 del 13/11/2012, dep. 2013, Santapaola Rv. 256435 - 01).

Questa Corte di legittimità ha anche chiarito che il difetto di motivazione della sentenza di appello in ordine a motivi generici, proposti in concorso con altri motivi specifici, non può formare oggetto di ricorso per Cassazione, poiché i motivi generici restano viziati da inammissibilità originaria anche quando la decisione del giudice dell'impugnazione non pronuncia in concreto tale sanzione (Sez. 3, n. 10709 del 25/11/2014 dep. 2015, Botta, Rv. 262700) - Sez. 5, n. 44201 del 29/09/2022, Testa, Rv. 283808 - 01).

In tema di motivazione, in sede di impugnazione il giudice non è obbligato a motivare in ordine al mancato accoglimento di istanze, nel caso in cui esse appaiano improponibili sia per genericità, sia per manifesta infondatezza (Sez. 2, n. 49007 del 16/9/2014, lussi, Rv. 261423 in relazione ad un caso di 'omessa motivazione dei giudici di appello sulla censura in ordine al mancato rinvio di una udienza celebrata in primo grado per genericità, riconosciuta dallo stesso ricorrente, della documentazione sanitaria prodotta).

8. Né pongono rimedio alla genericità dei motivi di appello - e da qui l'infondatezza anche del terzo motivo di ricorso- le memorie difensive di replica alle conclusioni del PG che effettivamente la Corte territoriale non richiama in sentenza.

Da un punto di vista formale, infatti, questa Corte ha da tempo chiarito che l'omessa indicazione, in sentenza, delle conclusioni delle parti - requisito formalmente richiesto dall'art. 546 cod. proc. pen. - non ne determina la nullità, non essendo quest'ultima prevista espressamente da alcuna norma di legge, né lede in alcun modo i diritti della difesa, sicché non può farsi rientrare neanche tra le nullità di ordine generale (cfr. ex multis Sez. 4, n. 48770 del 24/10/2019, Arna-boldi, Rv. 277876 - 01; conf. Sez. 6, n. 5907 del 29/11/2011, dep. 2012, Borella Rv. 252404 - 01; Sez. 1, n. 39447 del 04/10/2007 Barresi Rv. 237736 - 01).

Sul piano sostanziale, quanto agli specifici temi della memoria di replica del 21/6/2023, in atti, con la quale alquanto genericamente si censura la sentenza impugnata quanto agli asseriti fraintendimenti di quanto prima certificato e poi riferito in dibattimento dalla dott.ssa E.E. e al riportato resoconto del consulente della difesa F.F., si tratta di temi, come si è già evidenziato, che si scontrano con la logicità della motivazione del provvedimento impugnato in punto di nesso di causalità, pienamente corrispondente agli insegnamenti nomofilattici di questa Corte.

In proposito va ricordato che l'omessa valutazione di memorie difensive non può essere fatta valere in sede di gravame come causa di nullità del provvedimento impugnato, non trattandosi di ipotesi prevista dalla legge, ma può influire sulla congruità e correttezza logico-giuridica della motivazione del provvedimento che definisce la fase o il grado nel cui ambito siano state espresse le ragioni difensive che devono essere esaminate dal giudice cui vengono rivolte, a meno che contengano la mera ripetizione di difese già svolte o siano inconferenti rispetto all'oggetto del giudizio (Sez. 4, n. 18385 del 09/01/2018 Mascaro Rv. 272739 -01; conf. Sez. 2, n. 14975 del 16/03/2018, Tropea, Rv 272542 - 01; Sez. 3, n. 23097 del 08/05/2019, Capezzuto, Rv. 276199 - 03; Sez. 5, n. 51117 del 21/09/2017, Mazzaferro, Rv. 271600 - 01; Sez. 1, n. 26536 del 24/06/2020, Min-chella, Rv. 279578 - 01).

Ed invero, non ha rilievo, al riguardo, il silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame qualora, come nel caso in esame si tratti di deduzione disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, non essendo necessaria l'esplicita confutazione delle specifiche tesi difensive disattese ed essendo, invece, sufficiente una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione senza lasciare spazio ad una valida alternativa. Corretto in proposito è il rilievo che alla deposizione della persona offesa non si applicano le regole dettate dall'art. 192. comma 3, cod. proc. pen. e le relative dichiarazioni possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (così ex multis Sez. 2, n. 43278/2015, Manzini, Rv. 265104).

Inoltre, la parte che deduce l'omessa valutazione di memorie difensive ha l'onere di indicare, pena la genericità del motivo di impugnazione, l'argomento decisivo per la ricostruzione del fatto contenuto nelle memorie e non valutato dal giudice nel provvedimento impugnato (così Sez. 5, n. 24437 del 17/01/2019 Arimeli Rv. 276511 - 01 che, in motivazione, la Corte ha precisato che l'omessa valutazione di memorie difensive non costituisce causa di nullità della decisione, ma può unicamente incidere sulla tenuta logico-giuridica della motivazione).

9. Al rigetto del ricorso consegue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 


P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 13 febbraio 2024.

Depositata in Cancelleria il 14 marzo 2024.