CIIP

Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione

Alcune considerazioni sul recente DL n. 19/24

 

Dopo le ultime stragi di lavoratori di Brandizzo e di Firenze e l’aumento degli infortuni mortali il Governo ha deciso di occuparsi anche di sicurezza del lavoro con un estemporaneo provvedimento sul quale la CIIP esprime un giudizio fortemente critico sia per la forma che ancor più sulle nuove misure adottate.
Il Governo, nel decreto-legge del 2 marzo 2024 n. 19 “Ulteriori disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 52 del 2 marzo 2024, ha inserito una parte dedicata alla definizione di disposizioni in materia di prevenzione e contrasto del lavoro irregolare (art. 29).
In un provvedimento che riguarda una molteplicità di argomenti relativi all'attuazione del PNRR, al Capo VIII sono introdotte "Disposizioni urgenti in materia di lavoro" che apportano importanti modifiche al D.Lgs. 81/08, alle misure di contrasto del lavoro irregolare nonché alle competenze e modalità di intervento dell'INL.
Che ci siano ragioni di necessità e di urgenza nell’affrontare il problema della salute e sicurezza dei lavoratori lo dimostrano i fatti e lo diciamo da tempo: dopo la costante discesa degli infortuni e in particolare degli infortuni mortali dei decenni scorsi (si vedano le sintetiche tabelle allegate) non solo non si riescono ad arrestare le morti sul lavoro ma stiamo assistendo ad un loro aumento e spesso a vere e proprie stragi.
Ma i provvedimenti inseriti nel Capo VII vanno davvero nel senso di invertire questa tragica rotta?
Diciamo subito che tutte le disposizioni previste dal DL hanno un carattere puramente repressivo, che assai poco hanno a che fare con la prevenzione che, invece, a nostro avviso, dovrebbe sempre accompagnare le attività di repressione, pur indispensabili. Ne è un tipico esempio l’introduzione della patente a punti che interviene a posteriori quando reati e delitti si sono già verificati e che, pertanto, non può certo dirsi uno strumento di prevenzione.
Peraltro, la sua realizzazione è procrastinata all’ottobre prossimo e subordinata a diversi adempimenti normativi, il più importante dei quali è la definizione della durata e dei contenuti della formazione del datore di lavoro, provvedimento che si attende ormai da quasi 2 anni.
Il DL non affronta il vero nodo della mancanza di prevenzione: il ruolo principale, centrale, che dovrebbero avere le imprese affinché la normativa sia pienamente, e non solo formalmente, da loro stessi attuata e che la sicurezza e la salute dei lavoratori siano al centro della attenzione e degli investimenti quanto la qualità della produzione, sostenendo la qualificazione delle imprese anche su questi temi, la partecipazione dei lavoratori, rafforzando la rete degli RLS, e la ricerca per la produzione di attrezzature e processi di lavoro più sicuri.
Uno, ma non il solo, degli elementi di qualificazione delle imprese avrebbe dovuto essere la formazione obbligatoria dei datori di lavoro, oggi prevista dal nuovo art. 37, co 7 del D.Lgs. 81/08 (modifica introdotta dal DL 146/21). Come avevamo da molto tempo sostenuto nei nostri documenti, la conoscenza dei rischi e delle misure per prevenirli deve far parte del bagaglio di chiunque intenda avviare una attività lavorativa, contrariamente a quanto avviene oggi dove, addirittura nei settori più rischiosi (es. edilizia), le imprese possono essere avviate senza alcuna garanzia per la sicurezza dei lavoratori in un solo giorno e altrettanto velocemente svanire in caso di verbali sanzionatori. Purtroppo, si attende ancora il provvedimento della Conferenza Stato-Regioni che entro il 30/6/22 avrebbe dovuto definire contenuti e durata dei corsi di formazione dei datori di lavoro. Il richiamo all’art. 37, co7 contenuto nel DL 19/24 appare pertanto di nessuna efficacia dato che non si è voluto ancora realizzare quanto la norma ha già indicato.
E che dire della formazione dei lavoratori autonomi ancora oggi facoltativa come previsto dall’art. 21? Eppure, molto spesso attività rischiose sono affidate all’ultimo anello della catena dei subappalti, i lavoratori autonomi, veri o fasulli che siano.
Al tema della qualificazione delle imprese, peraltro previsto originariamente dal D.Lgs. 81/08 e vanificato dal DL 19/24, dovrebbe poi accompagnarsi una riflessione sul ruolo di controllo dei Committenti, oggi spesso ridotto alla verifica di pochi elementi, spesso non comprendenti la sicurezza del lavoro.
Per non dire del silenzio sul tema gravissimo degli appalti a cui si ricorre non solo in edilizia ma in molti altri settori, pubblici e privati, in cui la rottura della filiera produttiva e l’esternalizzazione di diverse attività lavorative, spesso rischiose, porta ad una lunga catena di subappalti e financo ad appalti a lavoratori autonomi, per i quali le tutele previste dal D.Lgs. 81/08 sono irrisorie, ai quali vengono di fatto delegate attività rischiose in assenza di adeguate forme di coordinamento. Il tutto governato da criteri di risparmio economico che portano ad un lavoro povero e privo delle necessarie misure di prevenzione e protezione.
E più che di silenzio dovremmo, in questo caso, parlare di misure, varate con altri provvedimenti, che vanno esattamente in senso contrario al contrasto di tali fenomeni.
In buona sostanza il DL 19/24 costituisce, a nostro avviso, un rilevante arretramento rispetto a quanto previsto dal D.Lgs. 81/08.
Inoltre, sul versante di controlli le nuove disposizioni e più in generale le novità introdotte negli ultimi anni vanno nella direzione di un ritorno a forme di vigilanza formale, già sperimentata negli anni che hanno preceduto dal L. 833/78, di scarsa incisività, cui è seguita un’ampia riflessione critica che ha accompagnato l’elaborazione delle norme a partire dalla L. 833/78 per continuare con quelle successive di recepimento delle direttive europee.
La prevenzione è una questione complessa che non si può affrontare con provvedimenti estemporanei e incentrati unicamente sulla repressione, pur indispensabile, meritevole di un’ampia riflessione con tutti i protagonisti della stessa prima di tradursi in nuova normativa.
Presentiamo in questo primo documento alcune specifiche considerazioni espresse dai componenti che operano nel Gruppo di lavoro Legislazione della nostra Consulta riproponendoci di tornare successivamente su alcuni temi con alcuni approfondimenti e proposte.
Ma ci permettiamo in primis di sollevare alcune questioni di carattere etico.
Considerazioni etiche
Primissime brevi osservazioni sull’art. 29, comma 19, del DL 19 del 2024
La patente a punti e la qualificazione delle imprese (art. 27)
La patente a punti e la formazione
La Lista di conformità INL e la programmazione della vigilanza dell’INL
Il problema degli appalti pubblici e privati
Il sistema dualistico dei controlli, prevenzione e non solo vigilanza, il rapporto con il territorio
 

A cura del Gruppo di lavoro Legislazione della Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione.
Hanno collaborato:
Gilberto Boschiroli - Presidente CIIP
Claudio Calabresi - SNOP
Norberto Canciani - Ambiente e Lavoro
Susanna Cantoni - Vicepresidente CIIP
Alberto Chinaglia - Esperto in materia di appalti
Graziano Maranelli – SNOP
Paolo Pascucci - Università di Urbino Carlo Bo - Olympus
Katia Razzini - UNPISI
Rocco Vitale – AIFOS


15 marzo 2024


Considerazioni etiche
a cura di Gilberto Boschiroli, Presidente CIIP
L’apertura di Tavoli di lavoro con associazioni scientifiche e professionali da parte del Ministero del Lavoro sui problemi della salute e sicurezza del lavoro, alcuni elementi contenuti nel disegno di Legge d’iniziativa dei deputati RIZZETTO, LUCASELLI e ZUCCONI (v. stampato Camera n. 630) approvato dalla Camera dei deputati il 5 marzo 2024, sembravano aprire uno spiraglio verso la promozione di una cultura della prevenzione, tema che è assai caro non solo alla Consulta, che si è costituita 35 anni fa proprio con questa finalità, ma anche al Ministero del lavoro stesso. Il Manuale informativo per la prevenzione Salute e Sicurezza nei luoghi di lavoro recentemente pubblicato dal Ministero del Lavoro recita in premessa:
“È necessario, infatti, un vero e proprio cambiamento di mentalità, che non releghi più la tematica della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro tra gli obblighi normativi ma, per contro, la consideri un valore e un imprescindibile investimento da strutturarsi nel quotidiano”.
La cultura della prevenzione e della sicurezza può essere definita come un insieme ordinato di valori che, a loro volta, discendono dal rispetto di alcuni principi, cui segue la scelta di determinati atteggiamenti che orientano i comportamenti verso obiettivi di sicurezza.
I principi e i valori sono da ricondurre al rispetto dell’integrità psicofisica propria ed altrui e al rispetto dell’integrità degli “oggetti” con i quali si viene contatto.
Gli atteggiamenti sono acquisizioni inconsce che orientano l’organizzazione e la successione dei comportamenti per conseguire l’obiettivo di tutelare l’integrità psicofisica mia personale e dei miei compagni di lavoro.
Ci si aspetterebbe che anche la normativa di riferimento segua questa logica: ispirarsi ai principi e ai valori della nostra Costituzione per tradurli in politiche di promozione degli atteggiamenti più funzionali e indirizzi più o meno cogenti di comportamenti corretti.
Così non sembra per l’ultimo “provvedimento urgente” emanato dal governo (DL n. 19/24):
• Quali soni i valori etici e i principi costituzionali che lo sottintendono?
• Quali atteggiamenti e comportamenti si vuole incentivare?
Ma davvero si pensa che limitare il sistema di qualificazione delle imprese all’edilizia con la patente a punti sia una scelta eticamente e costituzionalmente razionale?
Il mondo del lavoro, con tutte la sua complessità e le sue tragedie non è un luna park dove chi gioca bene fa punti e chi invece sbaglia li perde.
La vita di una persona è misurabile in punti? O ancora peggio quante ore di fantomatici corsi di formazione vale, visto il sistema di recupero dei punti patente previsto?
Tra le motivazioni del decreto ci sarebbe quella di disincentivare i comportamenti scorretti appunto mediante la perdita dei punti patente. Francamente sembra un po’ ridicolo; le contravvenzioni al D.Lgs. 81/08 sono, come a tutti ben noto, sanzionate con provvedimenti penali e con la sospensione delle attività. Il delitto di lesioni colpose gravi e gravissime in caso di infortunio o malattia professionale è gravato dalla pena della reclusione da tre mesi a tre anni, quello di omicidio colposo dalla reclusione da due a sette anni di carcere, nonché con provvedimenti amministrativi per le imprese. Davvero si pensa che la perdita di qualche punto patente sia un deterrente?
Sembra al contrario che qualcuno possa sentirsi incentivato a non rispettare regole e adempimenti visto che, anche se succede qualcosa, si recupera il tutto con qualche ora di formazione …
Da sempre sosteniamo che la repressione dei reati, pur essendo indispensabile, non è sufficiente se si vuole davvero migliorare la prevenzione nel mondo del lavoro. Un sistema serio dovrebbe prevedere la promozione della cultura della sicurezza e salute sin dalla scuola primaria, mantenendola nel tempo con un sistema formativo per gli adulti serio ed efficace; invece stiamo ancora aspettando la riforma dell’accordo Stato/Regioni sul tema!
L’aver abolito il sistema di qualificazione per le imprese che non fanno parte del settore edile pone ulteriori problemi etici e culturali: il lavoratore che opera in situazioni pericolose per sé o per altri è diverso, (vale meno?!) dal muratore?
Difficile rispondere a queste domande che ci lasciano estremamente perplessi, perché sembra proprio che sul tema manchi una visione complessiva, un progetto a lungo termine che possa davvero affrontare la complessità dei problemi che oggi e soprattutto domani sottintendono al mondo del lavoro e alla sua sicurezza, senza trascurare i riferimenti ai valori e i principi etici che abbiamo ricordato. Si prosegue invece con singoli provvedimenti, tra loro non coordinati, risposte mediatiche a situazioni sempre vissute come emergenziali e urgenti.
Purtroppo, a fronte di alcuni piccoli passettini in avanti, meritevoli di sviluppi, dobbiamo constatare l’enorme passo indietro del DL n. 19/24.

 

Primissime brevi osservazioni sull’art. 29, comma 19, del DL n. 19 del 2024
a cura di Paolo Pascucci, Università di Urbino Carlo Bo
Al di là della singolarità per cui la previsione di cui all’art. 29, comma 19, del DL n. 19/2024 in materia di patente nel settore edile, sebbene sia contenuta in un provvedimento che richiede i presupposti di necessità e di urgenza ai sensi dell’art. 77 della Costituzione, produrrà effetti nei confronti delle imprese e dei lavoratori autonomi di tale settore non prima del prossimo autunno, ed al di là delle possibili osservazioni sulla struttura di questo strumento e della “filosofia” che lo permea, uno dei dati più preoccupante di questa disposizione riguarda la sua ricaduta sistematica sulla disciplina della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.
Infatti, se è vero che l’introduzione della patente nel settore edile era già “annunciata” nel comma 1-bis dell’articolo 27 del d.lgs. n. 81/2008, cui l’art. 29, comma 19, del DL n. 19/2024 non fa che dare attuazione, tuttavia il predetto art. 27 – dedicato, come emergeva nella sua rubrica, al “Sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi”, non solo in relazione al settore edile, bensì erga omnes – nel suo comma 1 prevedeva che “Con il decreto del Presidente della Repubblica di cui all’art. 6, comma 8, lettera g), sono individuati i settori, ivi compresi i settori della sanificazione del tessile e dello strumentario chirurgico, e i criteri finalizzati alla definizione di un sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi, con riferimento alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, fondato sulla base della specifica esperienza, competenza e conoscenza, acquisite anche attraverso percorsi formativi mirati, e sulla base delle attività di cui all’art. 21, comma 2, nonché sull’applicazione di determinati standard contrattuali e organizzativi nell'impiego della manodopera, anche in relazione agli appalti e alle tipologie di lavoro flessibile, certificati ai sensi del titolo VIII, capo I, del d.lgs. n. 276/2003 e successive modificazioni”.
Il decreto del Presidente della Repubblica evocato in tale disposizione è appunto quello di cui parla l’art. 6, comma 8, lettera g), del d.lgs. n. 81/2008, il quale, nel primo periodo, affida alla Commissione consultiva permanente il compito di “elaborare i criteri finalizzati alla definizione del sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi di cui all’art. 27”, prevedendo, nel secondo periodo, che il sistema di qualificazione delle imprese sia “disciplinato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, acquisito il parere della Conferenza per i rapporti permanenti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, da emanarsi entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto”.
Al di là di quest’ultimo termine, da intendersi come ordinatorio e non come perentorio, è peraltro evidente l’importanza che il legislatore aveva assegnato alla qualificazione delle imprese, affidandone l’elaborazione dei criteri all’organismo istituzionale (la Commissione consultiva
permanente) rappresentativo di tutti gli attori pubblici e privati del sistema. Una volta elaborati tali criteri, sarebbe poi intervenuto il decreto presidenziale, acquisito il parere della Conferenza Stato- regioni, a disciplinare formalmente il sistema di qualificazione delle imprese finalizzato alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, che doveva essere peraltro fondato sulla valorizzazione di elementi come la specifica esperienza, la competenza e la conoscenza acquisite anche attraverso percorsi formativi mirati, nonché sull’applicazione di determinati standard contrattuali e organizzativi nell’impiego della manodopera, anche in relazione agli appalti e alle tipologie di lavoro flessibile.
Ne emergeva pertanto un quadro nel quale, da un lato, il sistema della qualificazione delle imprese sarebbe stato definito grazie al contributo di tutti gli attori del sistema e, dall’altro lato, si sarebbe dovuto fondare su elementi realmente qualificanti, vale a dire non limitati solo al possesso dei requisiti di base previsti dalla legge, bensì ad elementi ulteriori, come in particolare una formazione mirata (aggettivo che pare alludere ad un quid pluris rispetto a quella di base), nonché l’applicazione di standard contrattuali e organizzativi nell’impiego della manodopera, essendo evidente come un uso irregolare o distorto della stessa favorisca un’organizzazione opaca e maggiormente esposta a rischi (come confermano le recenti tragiche vicende).
Per la verità, questa disciplina – risultante dal combinato disposto dell’art. 6, comma 8, lettera g), e dell’art. 27, comma 1 – si era sovrapposta, in virtù di successive modifiche legislative (ad opera del d.lgs. n. 106/2009, del DL n. 69/2013 e del d.lgs. n. 151/2025), a quella originariamente prevista dal d.lgs. n. 81/2008, che era tutta incentrata sul ruolo della Commissione consultiva permanente, la quale aveva il compito di definire (e non elaborare) i criteri (v. il testo originario dell’art. 6, comma 8, lettera g)), e nel cui ambito, “anche tenendo conto delle indicazioni provenienti da organismi paritetici”, venivano individuati i settori e i criteri “finalizzati alla definizione di un sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi, con riferimento alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, fondato sulla base della specifica esperienza, competenza e conoscenza, acquisite anche attraverso percorsi formativi mirati” (v. il testo originario dell’art. 27, comma 1).
Nonostante le modifiche legislative, restava comunque fermo il riferimento alla rilevanza dei percorsi formativi mirati.
È pertanto evidente che l’integrale sostituzione, ad opera dell’art. 29, comma 19, del DL n. 19/2024, del precedente testo dell’art. 27 del d.lgs. n. 81/2008, nonché della sua rubrica – nella quale ora campeggia significativamente l’espressione “tramite crediti” – fa venir meno tutti i riferimenti del precedente testo ad un sistema di qualificazione proiettato anche oltre il settore edile, oltre a cancellare quella specifica funzione della Commissione consultiva permanente.
Né può sopperire il fatto che il comma 10 del nuovo art. 27 preveda che le previsioni relative al sistema della patente a punti possano essere estese ad altri ambiti di attività individuati con decreto ministeriale. Infatti, tale previsione non fa che confermare ulteriormente come l’attuale legislatore identifichi il sistema di qualificazione delle imprese esclusivamente con lo strumento della patente, trascurando tutto quanto era previsto nelle precedenti versioni della norma.

Un’altra conferma che quanto ora è previsto non coincide esattamente con quanto il legislatore precedente aveva inteso con l’espressione “sistema di qualificazione delle imprese” (che solo in parte riguardava il sistema dei crediti: v. il citato comma 1-bis del vecchio testo dell’art. 27) si ricava agevolmente dall’incipit dello stesso art. 29, comma 19, del DL n. 19/2024, che riconduce il nuovo art. 27 del d.lgs. n. 81/2008 (ed il sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi ivi previsti) “al fine di rafforzare l’attività di contrasto al lavoro sommerso e di vigilanza in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro”, vale a dire ad un obiettivo indubbiamente nobile e condivisibile, ma che non esaurisce in sé il significato che dovrebbe avere la qualificazione delle imprese.
Infatti, fermo restando che un’impresa “di qualità” non può ovviamente avvalersi di lavoro sommerso o irregolare, la qualificazione dell’impresa non può corrispondere soltanto ad un dato negativo (il non utilizzo di lavoro sommerso o irregolare), che altro non è, a ben guardare, che il “minimo sindacale” che qualunque impresa deve rispettare per dirsi tale ai sensi dell’art. 41 della Costituzione, ma presuppone che oltre a ciò vi sia dell’altro, vale a dire che l’impresa abbia effettuato scelte organizzative “di qualità” che la collochino su di un piano indubbiamente superiore al mero rispetto delle prescrizioni di legge.
In tal senso, colpisce non poco il fatto che il nuovo art. 27 evochi l’adozione (senza tuttavia evocare anche la necessaria “efficace attuazione”) dei modelli di organizzazione e di gestione (MOG) di cui all’art. 30 del d.lgs. n. 81/2008 soltanto nell’ultimo periodo del suo comma 8 ed al solo fine di un incremento dei crediti, laddove, fermo restando il rispetto dei vari requisiti legali lavoristici, contributivi e prevenzionistici che valgono per ogni impresa, proprio l’adozione e l’efficace attuazione dei MOG e dei connessi sistemi di gestione (come l’UNI ISO 45001) dovrebbe costituire il vero elemento che contraddistingue in senso virtuoso un’impresa “di qualità”, dato che l’adozione e l’efficace attuazione di tali modelli costituisce il frutto di una scelta volontaria (e non imposta, al di là dell’onere connesso alla scriminante di cui al d.lgs. n. 231/2001) che si estrinseca innanzitutto in una scelta “etica” mediante la definizione della “politica” della sicurezza sul lavoro dell’impresa.
D’altro canto, lo scopo minimalista della nuova disposizione e la sua incerta attinenza ad un vero concetto di “qualificazione” emergono anche a causa della scomparsa di qualunque riferimento a quei “percorsi formativi mirati” che il vecchio testo dell’art. 27 aveva pur sempre conservato nonostante le sue modificazioni.
Percorsi formativi mirati che, a meno di una sagace integrazione della norma in sede di conversione in legge del DL n. 19/2024, non paiono coincidere con i corsi di formazione di base per datore di lavoro, dirigenti e preposti di cui all’art. 37, comma 7, che il nuovo art. 27 evoca al comma 7 al fine del reintegro dei crediti decurtati, sulla falsariga di quanto avviene nel caso della patente di guida automobilistica.
In questa sede non ci si può soffermare diffusamente sul dettaglio tecnico della nuova
disposizione.
Seppur in estrema sintesi e senza alcuna pretesa di completezza, parrebbe tuttavia opportuno precisare quali siano gli obblighi formativi dei lavoratori autonomi previsti dal d.lgs. n. 81/2008 evocati nel comma 1, lettera c), del nuovo art. 27, dal momento che l’art. 21 del d.lgs. n. 81/2008 configura la formazione per tali soggetti come facoltà e non come obbligo.
Così come forse andrebbe meglio chiarito se con l’espressione “riconoscimento della responsabilità datoriale di un infortunio sul luogo di lavoro” contenuta nel comma 4, lettera d) del nuovo art. 27, si intenda il riconoscimento giudiziale passato in giudicato.
E, ancora, occorrerebbe forse chiarire gli eventuali rapporti tra il potere discrezionale di sospendere in via cautelativa la patente fino ad un massimo di 12 mesi nei casi di infortuni da cui sia derivata la morte o un’inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, e il potere, non discrezionale, di sospendere l’attività imprenditoriale ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 81/2008.
Al di là di queste sporadiche ed incomplete osservazioni, resta tuttavia la complessiva impressione che la nuova disposizione, più che inscriversi nel solco di una effettiva qualificazione delle imprese, costituisca un ulteriore strumento di controllo della loro regolarità, come d’altronde pare confermare il ruolo assegnato all’Ispettorato Nazionale del Lavoro, senza che siano mai minimamente citate le ASL, titolari anch’esse della stessa competenza in materia di vigilanza sulla sicurezza sul lavoro.
Sia chiaro. Un rafforzamento delle funzioni ispettive (cui concorre anche l’art. 31 dello stesso DL n. 19/2024) è certamente salutare, così come l’introduzione di strumenti che consentano di rendere più effettivo tale controllo, che, del resto, non lo si deve dimenticare, era pur sempre previsto nel citato comma 1-bs del vecchio testo dell’art. 27 del d.lgs. n. 81/2008.
Tutto ciò però – ed è bene esplicitarlo a chiare lettere – non può esaurire quell’obiettivo di qualificare le imprese che il legislatore del 2008 aveva giustamente introdotto come uno dei passaggi più innovativi del suo provvedimento.
Perché è evidente che quando si parla di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro non si parla solo, come pure è ovvio, di diritti fondamentali delle persone che lavorano, ma anche, e neppure troppo indirettamente, della qualità dell’organizzazione nella quale esse prestano la propria opera a favore del datore di lavoro.
Pragmaticamente, quindi, in sede di conversione del DL n. 19/2021, appare quanto mai necessario che, ove si intenda conservare la nuova disposizione sulla patente a punti, peraltro opportunamente rivista in alcuni passaggi tecnici, essa confluisca in uno specifico ed autonomo articolo – il 27-bis – senza tuttavia sostituire, come ora, il precedente testo dell’art. 27 del d.lgs. n. 81/2008, che andrebbe quindi conservato fatta eccezione per il suo comma 1-bis e la parte del suo comma 2 ad esso collegato (che ovviamente non occorrerebbero più alla luce dell’art. 27-bis).

 

La patente a punti e la qualificazione delle imprese (art. 27)
a cura di Norberto Canciani, Presidente Ambiente e Lavoro
Nel comma 19 dell’art. 29 del Decreto viene completamente riscritto l’art. 27 del D.Lgs. 81/08 (Sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi tramite crediti) e, in applicazione di quanto previsto dal comma 1-bis della precedente scrittura dell’art. 27, vengono indicati i requisiti per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi che operano nell’edilizia.
Al contempo scompare la necessità di definire un sistema di qualificazione delle imprese in generale, come previsto in origine dal comma 1 del precedente art. 27, e con riferimento alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro nonché sull’applicazione di determinati standard contrattuali e organizzativi nell’impiego di manodopera.
Di fatto viene abrogato l’art. 27 per tutte le imprese che non operano nell’edilizia.
Per quanto riguarda la tabella che riporta le violazioni che prevedono la decurtazione dei crediti, alcune indicazioni appaiono discutibili come, ad esempio, la previsione di una decurtazione minore per violazioni che espongono a rischi di cui all’allegato XI, quali i rischi di seppellimento o cadute dall’alto, rispetto ai rischi indicati nell’allegato I.
Tuttavia, si evidenzia come nella lettera d) si preveda la decurtazione in caso di infortunio mortale o grave solamente quando sia stata riconosciuta la responsabilità del datore di lavoro.
È altresì prevista la possibilità che l’Ispettorato del lavoro, in caso di infortuni mortali o gravi, possa sospendere in via cautelativa la patente fino a un massimo di dodici mesi, ma non è chiaro cosa possa avvenire dopo tale sospensione, in assenza di un riconoscimento formale delle responsabilità eventuali, con sentenza definitiva della Magistratura.
Subordinare la decurtazione di punti al riconoscimento della responsabilità datoriale dell’infortunio significa allungare a dismisura i tempi di una decisione, considerati appunto i tempi della Magistratura per una condanna definitiva (primo, secondo e terzo grado).
Il sistema definito prevede la comunicazione all’Ispettorato del lavoro di tutti i provvedimenti che possono determinare la decurtazione di punti in quanto è affidata all’Ispettorato la formalizzazione del provvedimento.
Tale centralizzazione presuppone un flusso informativo efficiente ed efficace tra amministrazioni differenti in un contesto che, a distanza di 16 anni, non vede ancora realizzato compiutamente un Sistema informativo unico tra tutte le istituzioni coinvolte (SINP).
La sanzione prevista per chi opera in assenza di patente o con un numero di crediti insufficiente appare irrisoria rispetto al valore dei lavori che normalmente vengono affidati attraverso appalti o subappalti.
Si tratta di una sanzione amministrativa, senza conseguenze penali, con la pena accessoria dell’esclusione dalla partecipazione ai lavori pubblici per 6 mesi.
Le imprese, in caso di controllo, attraverso il pagamento di poche migliaia di euro, potrebbero continuare ad operare nei cantieri privati senza alcuna limitazione.
Senza contare che accade frequentemente che le imprese in edilizia si chiudano nel volgere di pochi giorni a seguito di verbali sanzionatori per poi riaprire sotto altra veste societaria nel volgere di breve tempo.


La patente a punti e la formazione
a cura di Norberto Canciani, Presidente Ambiente e Lavoro
Consentire il recupero dei punti attraverso la frequenza ai corsi di formazione previsti dall’art. 37, comma 7 e addirittura prevedere la possibilità di aumento dei crediti iniziali, potrebbe apparire come un elemento positivo in quanto obbligherebbe i datori di lavoro ad una formazione continua sui temi della sicurezza.
Tuttavia, pur tralasciando il fatto fondamentale che i corsi per datori di lavoro non sono ancora stati definiti per il ritardo incredibile nella emanazione del nuovo Accordo unico Stato Regioni, la scrittura di questo comma appare imprecisa in quanto non definisce la durata dei corsi e parla semplicemente di attestato di frequenza senza verifica di apprendimento.
Occorre, comunque, mettere in evidenza che, in una situazione di “mercato” della formazione assolutamente incontrollato e con proposte formative inadeguate che vede spesso coinvolti soggetti formatori improvvisati e spesso incompetenti, tale indicazione rischia di essere assolutamente inefficace se non, addirittura, nociva.
La carenza di strumenti normativi di contrasto nonché di controlli su questo tema ha, infatti, determinato il proliferare di soggetti formatori inadeguati e spesso compiacenti che ha comportato frequentemente il rilascio di attestati falsi.
La previsione della frequenza a corsi per il recupero dei crediti, nel contesto attuale e in assenza di un sistema sanzionatorio e di controlli sistematico ed efficace, provocherebbe inevitabilmente un allargamento del “mercato” delle attestazioni di dubbia provenienza senza alcun effetto positivo e tangibile per la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
 

La Lista di conformità INL e la programmazione della vigilanza dell’INL
a cura di Norberto Canciani, Presidente Ambiente e Lavoro
Sempre nell’art. 29 del Decreto del 2 marzo 2024 n. 19, i commi dal 7 al 9 introducono una “attestazione” di conformità rilasciata dall’Ispettorato del lavoro qualora gli accertamenti effettuati non evidenzino violazioni in materia di lavoro e di legislazione sociale, compresa la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.
Le aziende che non sono state oggetto di verbali e contestazioni di violazioni nel corso di attività di vigilanza dell’Ispettorato del lavoro vengono iscritte in un elenco denominato “Lista di conformità INL” e per un periodo di 12 mesi non vengono sottoposte ad altre attività di vigilanza da parte dell’Ispettorato del lavoro.
Il comma 8 esclude da questa moratoria le verifiche in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, le eventuali richieste di intervento, nonché le attività di indagine disposte dalla Procura della Repubblica, tuttavia tale previsione appare controversa.
Come è possibile immaginare che per il periodo indicato dopo la prima ispezione nell’azienda e nel cantiere non subentrino nuove violazioni anche in considerazione della evoluzione delle attività del cantiere stesso?
Se da una parte può anche essere comprensibile il tentativo di introdurre meccanismi premiali, tale soluzione appare discutibile e, soprattutto, potrebbe aprire a ipotesi, spesso ricorrenti, circa la possibilità di prevedere che soggetti o consulenti privati possano rilasciare attestazioni o certificazioni di “buona condotta” al fine di evitare i controlli degli organismi di vigilanza.

 

Il problema degli appalti pubblici e privati
a cura di Alberto Chinaglia, esperto in materia di appalti
La sostituzione in toto dell’art. 27 del D.Lgs. n. 81/2008 con il nuovo testo introdotto ad opera dell’art. 29 del DL n. 19/2024 non apporta strumenti di comprovata efficacia al fine di perseguire finalità di prevenzione, ma si inserisce ancora una volta nel filone della repressione tout court con dinamiche riparatorie che confermano lo scarso interesse ad un’effettiva educazione alla sicurezza e con essa al progresso etico del sistema produttivo.
Ci si riferisce, in particolare, all’imbarazzante dinamica assolutoria, conseguente alla frequenza di un certo numero di ore di formazione, maggiormente affine ad ambienti di carattere spirituale, piuttosto che ad una normativa prevenzionistica la cui ratio è quella dell’effettività e concretezza.
Per quel che concerne specificamente la materia degli appalti, in questa sede si ribadisce l’inidoneità dell’intervento novativo dell’art. 29 del DL n. 19/2024 a far fronte alle dinamiche, storicamente diffuse negli appalti privati ed introdotte dal nuovo codice, D.Lgs. n. 36/2023, anche negli appalti pubblici, del subappalto a cascata (vietato dal vecchio codice D.Lgs. n. 50/2016 ex art. 105, comma 19).
Vista la situazione, si giunge al paradosso che la regolarità delle condizioni di sicurezza sul lavoro, per quel che concerne gli appalti pubblici, potrà essere tutelata ricorrendo, da parte delle Stazioni appaltanti pubbliche, più a strumenti regolatori da Codice degli appalti (spetta alla Stazione appaltante indicare già nel contratto di appalto quali sono i lavori che non possono essere oggetto di subappalto a cascata. La Stazione appaltante fa la sua valutazione tenendo conto di alcuni elementi: le caratteristiche specifiche dell’appalto e dell’esigenza da soddisfare, la natura e la complessità delle prestazioni o delle lavorazioni da effettuare, l’esigenza di rafforzare il controllo delle attività di cantiere - luoghi di lavoro -, la volontà di garantire più tutela delle condizioni di lavoro e di salute e sicurezza dei lavoratori e prevenire il rischio di infiltrazioni criminali – cfr. art. 119, commi 2, 4 e 17, D.Lgs. n. 36/2023) che a disposizioni peculiari del D.Lgs. n. 81/2008.
La “liberalizzazione del subappalto”, se da un lato favorisce la più ampia concorrenza e partecipazione (tema molto caro alle istituzioni comunitarie), dall’altro impone alla Stazione appaltante pubblica di valutare con estrema cura la sussistenza di esigenze volte rafforzare il controllo delle attività di cantiere e più in generale dei luoghi di lavoro e di garantire una più intensa tutela delle condizioni di lavoro e della salute e sicurezza dei lavoratori.
In tal senso un sistema di qualificazione delle imprese di tutti i settori, come richiamato nell’art. 6 (comma 8 lett. g) e nell’originaria formulazione dell’27 del D.Lgs. n. 81/2008, costituirebbe un valido supporto alle Pubbliche amministrazioni nel controllo degli operatori economici in regime di subappalto ed uno strumento volto a favorire la cultura della prevenzione, a promuovere la sicurezza come fattore organizzativo fondamentale, mediante la continua verifica della idoneità delle imprese e dei lavoratori autonomi.
Inoltre per le figure chiave RUP e DEC/Direttore dei lavori sarebbe sempre opportuno mantenere un alto livello di formazione professionale sulla valutazione dei costi della sicurezza, utilizzando ed attualizzando la documentazione già disponibile quali le “Linee guida per la stima dei costi della sicurezza nei contratti pubblici di forniture o servizi”, le “Linee guida per il Coordinamento della sicurezza nella realizzazione delle Grandi Opere” e le Linee guida per la “Verifica di congruità degli oneri aziendali della sicurezza nei contratti di lavori pubblici” della Conferenza delle Regioni e delle Provincie Autonome.
Per quel che concerne l’ambito degli appalti fra soggetti ed operatori privati, l’asse normativo per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, si sposta decisamente nell’ambito del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, sia in termini di adempimenti prevenzionistici, sia per quel che concerne i controlli compiuti dagli organi con competenze di vigilanza ai sensi dell’art. 13 del richiamato decreto legislativo.
In tale contesto, volendo mantenere un forte presidio nella fase prevenzionistica - rispetto a quella repressiva declinata nel nuovo art. 27 mediante l’impiego di sistemi di pseudo deterrenza - gli strumenti maggiormente indicati andranno approntati nell’ambito del percorso di verifica dell’idoneità tecnico-professionale e di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi di cui all’originario articolo 27 (in correlazione con l’art. 6, comma 8, lett. g) e 89 del D.Lgs. n. 81/2008.
Successivamente, nella fase di esecuzione del contratto, risulta inoltre determinante l’attività di cooperazione e di coordinamento fra committente ed appaltatore (ex art. 26 del D.Lgs. n. 81/2008) e di presidio continuativo e coordinato (in particolare dopo l’emanazione del DL n. 146/2021, convertito in L. n. 215/2021) da parte degli organi con competenze di vigilanza (ex art. 13 D.Lgs. n. 81/2008) in edilizia.
Si ritiene, inoltre, utile la previsione che i progetti relativi agli interventi edilizi che riguardano nuove costruzioni o edifici esistenti debbano prevedere, nella documentazione allegata alla richiesta relativa al titolo abilitativo o alla denuncia di inizio attività, idonee misure preventive e protettive, ai fini della prevenzione dei rischi d’infortunio, in costanza di svolgimento delle attività lavorative, subordinando la concessione del titolo abilitativo al soddisfacimento delle condizioni di sicurezza.

 

Il sistema dualistico dei controlli, prevenzione e non solo vigilanza, il rapporto con il territorio
a cura di Claudio Calabresi e Graziano Maranelli, Direttivo SNOP
• Il DL 19/2024 prosegue nell’opera di sostituzione delle ASL con l’INL all’interno del sistema istituzionale di tutela della SSL, avviata dal precedente governo con la discussa (non, peraltro, da molti) L. 215/2021. Gli attuali provvedimenti sembrano portare ad un’ulteriore esasperazione di alcune premesse poste da quella legge, in una continuità sostanziale di visione e di intenti, solo con una maggiore determinazione e con una più decisa marginalizzazione del SSN.
• Quella che ha operato la L. 215/2021 è stata una effettiva duplicazione dell’organo di vigilanza (ora costituito da ASL e da Ispettorato nazionale del lavoro), introducendo quello che è stato definito un sistema “duale” di vigilanza e affidando la garanzia di omogeneità del suo funzionamento al rafforzamento degli strumenti di coordinamento, quali quelli facenti capo ai Comitati regionali di coordinamento di cui all’art.7 del D.lgs. 81/08. Nonostante alcune e sporadiche esperienze locali, questo sistema sembra ben lontano dall’essere entrato realmente in funzione in maniera integrata.
• Il DL 19/2024, di fatto, sembra superare e annullare il sistema “duale” di vigilanza (che pure già destava forti perplessità): in esso, l’unico attore della vigilanza sembra essere l’INL, che comunque è l’unico sostanzialmente citato. Si fa, infatti, cenno ad altri organi di vigilanza, che non sono evidentemente nella stessa partita, ma solo perché avrebbero il compito di comunicare all’INL condizioni meritevoli di provvedimenti. Nel Decreto-legge, il sistema ASL- Regioni non esiste, viene messo fuori gioco con un evidente sovvertimento, su questi ambiti, della L. 833/78.
• Quella che si realizza non è una semplice “sostituzione” istituzionale nell’ambito della vigilanza: tanto che la preoccupazione non nasce, in sé, per il trasferimento di competenze e compiti da uno all’altro dei soggetti (chi fa), ma ben più per il “che cosa fa, come, con quali reali competenze e con quale efficacia”. Ciò che ben di più interessa è infatti che il passaggio da un soggetto (ASL) ad un altro (INL) comporta un significativo cambio di visione e di obiettivi, prima ancora che di approccio, strategie e strumenti.
• Preoccupa tra l’altro che il DL 19/2024 trascuri i contenuti dell’Accordo Stato-Regioni del 27 luglio 2022 (Rep. Atti n. 142 /CSR), che era stato opportunamente emanato in seguito alle modifiche introdotte dalla L. 17 dicembre 2021, n. 215 con lo scopo di assicurare coordinamento ed integrazione tra i due organi di vigilanza nel nuovo modello istituzionale delineato dall’art. 13 del D.lgs. 81/08. Benché non si abbia contezza del grado di applicazione di quell’Accordo e, anzi, si abbia percezione che esso possa aver offerto ennesima occasione della difformità territoriale nella sua realizzazione, questo nuovo DL sembra procedere tracciando per l’INL vie autonome, che di fatto negano gli obiettivi di coordinamento e integrazione fissati in quell’Accordo.
La nuova norma sembra descrivere una “corsa solitaria” dell’INL, accomunando i due livelli di sua competenza ma piegando quella, fondamentale, relativa alla regolarità del lavoro a quella - che dovrebbe essere condivisa - sulla SSL.
Se la primaria e auspicata preoccupazione dell’INL dovrebbe essere quella della legalità del lavoro, in questo DL, diversamente, la SSL risulta quasi a traino di quella, rivelandone anche una conoscenza e una concezione non appropriate, che certo avrebbero giovato del contributo normativo dell’altra “parte” della vigilanza istituzionale, specialmente se questo confronto fosse avvenuto dentro il Comitato previsto dall’art. 5 del D.lgs. 81/08. Ma nel DL 19/2024 non c’è traccia né dell’Accordo né - e questo parrebbe istituzionalmente ancor più grave - del Comitato ex art.5. Ci si augura che, almeno nella conversione del DL in legge, i soggetti esclusi dalla consultazione e dalla partecipazione (compresi quelli previsti dalla Commissione consultiva permanente ex art. 6 del D.lgs. 81/08 in materia di qualificazione delle imprese), facciano arrivare una richiesta di ragionevole correzione delle sue incongruità.
• Il trasferimento, operato dalla Riforma Sanitaria, delle competenze SSL dall’Ispettorato del lavoro ai Servizi di prevenzione delle (allora) USL era fondato - oltre che sulle evidenze di inefficienza dell’Ispettorato - sull’idea che la salute (e la sicurezza) sul lavoro appartenessero - come tuttora appartengono - a tutti gli effetti all’ambito della salute pubblica e che questa dovesse condividere, pur con le proprie specificità, finalità, strumenti e risorse con il resto della prevenzione.
Ed è questo che - nel silenzio di molti dei soggetti interessati - oggi viene messo in discussione (o forse annullato?) anche con il DL 19/2024.
• Quarant’anni di lavoro dei Servizi PSAL, che oggi sono dentro i Dipartimenti di Prevenzione delle ASL, hanno prodotto su questi temi innumerevoli esperienze, con risultati molto spesso positivi o addirittura eccezionali e una gestione attenta del territorio, che - pur senza dimenticare le molte carenze, difficoltà, disomogeneità e défaillances del sistema ASL, con la progressiva caduta di risorse negli ultimi anni - hanno accompagnato e sostenuto i miglioramenti significativi nelle condizioni di SSL di questi anni, interagendo con tutti i fattori che li hanno determinati (crescita del sistema impresa, progressi tecnici e nelle conoscenze, disponibilità di soluzioni e buone prassi, leggi, vigilanza, azione sindacale, formazione, cultura, incentivi, ecc.).
• L’attuale sbilanciamento del sistema istituzionale verso l’INL e la marginalizzazione di quel che resta del sistema SSL delle ASL
1 che proseguono a livello di politica governativa, non sembrano peraltro meritare l’attenzione di alcuno, a partire dalle stesse Regioni (avendo il Ministero della Salute già da tempo fatto la sua scelta che appare sostanzialmente dismissiva), dai partiti politici, dai sindacati dei lavoratori, dagli stakeholders fino ai cittadini.
• Non vorremmo essere fraintesi: crediamo che, nell’ambito della salute e della sicurezza sul lavoro, la questione primaria non sia quella delle competenze istituzionali ma piuttosto quella dell’effettività della tutela, sulla quale intervengono numerosi altri soggetti e fattori.
Non interessa, quindi, soprattutto chi se ne occupa ma, anche considerati i valori in gioco, quanto viene messo in essere sia appropriato ed efficace. Crediamo, cioè, che l’interesse primario debba essere la salute e la sicurezza di chi lavora e quale sia - ferme restando le responsabilità e le competenze di tutti gli altri soggetti, prime fra tutte le imprese - il modo migliore per il sistema pubblico di garantirla. Non si tratta, quindi, di difendere un sistema (ASL) nei confronti di un altro (INL) ma piuttosto quello di prendere posizione per un approccio alla SSL che sia in grado di coniugare controllo e prevenzione, salute e sicurezza, salute sul lavoro e fuori del lavoro ma anche diritti e salute. Interessa sostenere, quindi, un modello di prevenzione partendo da che cosa serve per i lavoratori, per i cittadini e per la loro salute (il che cosa e il come, indipendentemente da chi lo fa); un modello di prevenzione che si articoli con (e si collochi in) un assetto del mondo produttivo dove regolarità e adeguatezza dei rapporti di lavoro, rispetto dei diritti, siano variabili non dipendenti. I contenuti di questo decreto-legge sono ben lontani dal garantire queste finalità.
• Crediamo che questa risposta politica del DL 19/2024 al tema della SSL, costruita come reazione ad una “emergenza infortuni” nazionale, che peraltro non ha cambiato i propri connotati con la tragedia del cantiere Esselunga di Firenze, sia priva di visione e profondamente sbagliata, e questo per vari motivi:
o fornisce una risposta ai problemi palesemente e del tutto inadeguata ad incidere sulla realtà che sta dietro alle concrete condizioni di insicurezza e di insalubrità dei luoghi di lavoro;
o rappresenta una reazione impulsiva (forse anche in funzione mediatica) ed inappropriata ad un problema, quello degli infortuni - quelli gravi e nel settore edile - che viene separato dall’insieme della complessiva questione della salute sul lavoro, come se fosse un problema a sé, mentre salute e sicurezza sono due facce non separabili della stessa medaglia (dove c’è insicurezza non c’è né può esservi salute, dove non c’è salute non c’è né può esservi sicurezza e naturalmente non c’è tutela di diritti costituzionali);
o tratta le imprese come insieme potenzialmente criminale che risponde solo ai mezzi polizieschi e burocratici, come se le condizioni di lavoro negative per la salute e la sicurezza sul lavoro fossero sempre e solo determinate da volontà illecite e non anche da insufficienze in cultura, conoscenze, supporto, etica e da meccanismi economici;
o non entra minimamente nel problema della qualificazione delle imprese, delle modalità per migliorarne - soprattutto nella parte più debole e prevalente delle micro e piccole imprese - non solo gli adempimenti alle norme ma anche la consapevolezza dell’importanza etica e finanche economica della tutela del “capitale umano” e del valore imprescindibile di un lavoro “a misura d’uomo e di donna”;
o offre ad un problema molto complesso e multifattoriale una risposta univoca e semplicistica com’è quella della sola repressione e delle norme costrittive, dimostrando ignoranza dei ben più articolati meccanismi della prevenzione; introducendo la “patente a punti”, e conteggiando in “crediti a perdere” la perdita di vite o altre conseguenze per la salute meno gravi, si definisce un sistema che pare grottesco e offensivo per tutto il mondo del lavoro, non solo per i lavoratori ma per le stesse imprese;
o dimentica (o ignora) che gli infortuni sul lavoro sono sì, in molti casi, una spia delle condizioni di lavoro ma non certo l’unica, spesso avvengono o non avvengono per casualità: l’assenza di infortuni mortali e gravi non può certo essere l’unico indicatore della “buona salute” di un’impresa o della sicurezza e salubrità di un luogo di lavoro;
o sbaglia sostanzialmente bersaglio perché risponde ad epifenomeni senza affrontare le “cause delle cause” che risiedono in condizioni di lavoro, di contratti, di salari, di appalti, di diritti sui quali d’altra parte, con altri provvedimenti, si interviene in maniera contraddittoria (liberalizzando, riducendo tutele e appunto diritti, favorendo la precarietà, sostenendo i ribassi, ecc.);
o dimostra una scarsa conoscenza (e fiducia) dei possibili, effettivi meccanismi di prevenzione, la cui spendibilità politica è forse ritenuta non adeguata rispetto ai tempi elettorali.

 

 

Infortuni mortali e totali 1951-2016

 


 

15 marzo 2024

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1 E’ significativo che oggi ad un “Tavolo ministeriale per la definizione di obiettivi, standard organizzativi e di personale dei Dipartimenti di Prevenzione” (Decreto del Direttore Generale della Prevenzione Sanitaria del Ministero della Salute del 22 dicembre 2023) le discipline che si occupano di SSL non siano invitate!


fonte: ciip-consulta.it