Cassazione Penale, Sez. 3, 04 aprile 2024, n. 13653 - Infortunio mortale dell'operaio agricolo. Annullamento con rinvio. Necessario determinare il grado di esigibilità della condotta informativa e del conseguente onere di controllo del datore di lavoro



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LIBERATI Giovanni - Presidente

Dott. ALANTI Alberto - Consigliere

Dott. MENGONI Enrico - Consigliere

Dott. MAGRO Maria Beatrice - Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio - Relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA



sul ricorso proposto da

A.A., nato a F il (Omissis);

avverso la sentenza del 12 dicembre 2022 della Corte di appello di Venezia;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Zunica Fabio;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. Cuomo Luigi, che ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata;

udito l'avvocato Resenterra Roberta, difensore di fiducia della parte civile B.B., che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso e ha depositato conclusioni scritte e nota spese;

udito l'avvocato Coppa Ferdinando, difensore di fiducia delle parti civili C.C. e D.D., che ha chiesto di confermare la sentenza impugnata e ha depositato conclusioni scritte e nota spese;

udito l'avvocato Perco Luciano, difensore di fiducia del ricorrente, che ha insistito nell'accoglimento del ricorso.

 

Fatto


1. Con sentenza del 18 gennaio 2021, la Corte di appello di Venezia confermava la sentenza del 21 novembre 2019, con cui il Tribunale di Belluno aveva condannato A.A. alla pena, condizionalmente sospesa, di anni 1 e mesi 4 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all'art. 589 cod. pen., a lui contestato per aver cagionato per colpa, quale datore di lavoro, la morte del dipendente E.E., operaio agricolo addetto al taglio e alle operazioni di esbosco; fatto verificatosi il 10 aprile 2015 in S. Parimenti confermate erano state le statuizioni civili del primo giudice, che aveva condannato A.A. al risarcimento del danno, da liquidare in separata sede, assegnando una provvisionale alla madre della vittima, D.D.

2. Con sentenza n. 10334 del 24 febbraio 2022, la Quarta Sezione della Corte di Cassazione annullava la sentenza della Corte territoriale, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Venezia per vizio di motivazione rispetto alla formulazione del giudizio di colpevolezza dell'imputato.

3. In sede di rinvio, con sentenza del 12 dicembre 2022, la Corte di appello di Venezia confermava la sentenza resa dal Tribunale di Belluno.

4. Avverso la seconda sentenza della Corte lagunare, A.A., tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi.

Con il primo, la difesa deduce l'inosservanza dell'art. 627 comma 3 cod. proc. pen., non avendo i giudici del rinvio tenuto conto dei dettami della sentenza rescindente, nella quale era stato smentito il presupposto delle decisioni di condanna, che avevano rimproverato a A.A. di non aver richiesto l'osservanza delle linee guida per le operazioni di esbosco, per cui alcun profilo di colpa specifica era ravvisa bile nel caso di specie; la Corte territoriale ha quindi evocato profili di colpa generica, concernenti l'inosservanza della norma generale di cui all'art. 2087 C9d. civ. E' stato così stigmatizzato l'asserito scuotimento del pioppo con delle 13 pinze idrauliche, che avrebbe determinato la situazione di pericolo che doveva indurre l'imputato a prestare le necessarie cautele. Ma il presunto tentativo di rimozione del pioppo con l'escavatore era stato preso esplicitamente in considerazione dalla Suprema Corte, che lo ha ritenuto circostanza del tutto priva di attinenza logica con l'oggetto delle accuse elevate a carico di A.A., accuse che non fanno alcun riferimento a tale evenienza, che infatti è rimasta priva di alcun approfondimento probatorio, non avendo alcun testimone affermato di aver assistito a operazioni di scuotimento della pianta. Non vi sarebbe comunque dimostrazione alcuna sulla sussistenza di un'incidenza causale tra l'asserito scuotimento del tronco e l'evento mortale, circostanza questa introdotta dalla Corte di appello in via del tutto presuntiva e ipotetica.

In ogni caso, il giudice del rinvio, nell'attribuire a A.A. un obbligo costante e ininterrotto di sorveglianza del lavoratore, non ha fatto buon governo del principio di diritto fissato dalla Corte di legittimità che, dopo aver precisato che Fanfani era un lavoratore esperto e che A.A. aveva impartito le corrette istruzioni su come procedere, ha riconosciuto che l'imputato ben poteva confidare sul rispetto di tali istruzioni, allontanandosi temporaneamente, non potendosi trascurare il profilo di esigibilità in capo al datore di lavoro di un dovere di sorveglianza che si spinga a un controllo costante del rispetto delle istruzioni in tema di sicurezza da parte dei lavoratori.

Con il secondo motivo, è stato eccepito il vizio di motivazione in ordine alla valutazione della condotta concretamente tenuta dalla persona offesa, non essendo stati considerati alcuni dati incontrovertibili, ossia che la vittima era un lavoratore esperto nel settore, che era stata correttamente informata anche in relazione alla specifica operazione di incagliamento delle piante, che aveva ricevuto dal datore di lavoro specifiche istruzioni per lo svolgimento di tale operazione, che non era stata autorizzata da A.A. a eseguire l'attività di taglio dell'albero che gli ha cagionato la morte, e infine che l'imputato, dal luogo in cui si trovava, non poteva vedere quello che la persona offesa stava compiendo, per cui si era in presenza di un comportamento qualificabile come abnorme, tale da interrompere il nesso causale ed escludere profili di colpa del datore di lavoro.

Con il terzo motivo, oggetto di doglianza è la violazione dell'art. 533, comma l, cod. proc. pen., rilevandosi che nessuno dei punti essenziali su cui poggia la sentenza di condanna è stato dimostrato con elementi probatori univoci e precisi, essendo state ignorate tutte le ricostruzioni alternative probabili, ciò in violazione della regola della condanna "al di là di ogni ragionevole dubbio".

 

Diritto


Il ricorso è fondato nei limiti di seguito esposti.

1. Nel circoscrivere l'oggetto della verifica sollecitata dal ricorso, occorre partire dalla sentenza rescindente, ossia la n. 10334 del 24/02/2022, con cui la Quarta Sezione di questa Corte ha innanzitutto premesso che il reato contestato a A.A., quale titolare dell'omonima impresa individuale, che operava nell'occorso come subappaltatrice ed esecutrice di lavori di taglio ed esbosco in località "B", è quello di aver cagionato per colpa e con violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, la morte di E.E., dipendente non regolarizzato della predetta impresa individuale, che aveva iniziato a lavorare in nero per la ditta da quella stessa mattina e che era stato adibito nell'occasione ad operazioni di esbosco di piante già tagliate nei giorni precedenti; durante queste operazioni, vi era l'esigenza di rimuovere un pioppo che, dopo il taglio, era rimasto incastrato in una pianta di carpino. E.E., anziché provvedere alla rimozione utilizzando il verricello forestale e trainare il pioppo in direzione contraria a quella di caduta senza che nessun operatore stazionasse nell'area sottostante, come previsto dalle linee guida della Regione Veneto per l'esecuzione delle utilizzazioni forestali, segava il carpino, con il risultato che un ramo di quest'ultimo colpiva il lavoratore al capo e alla schiena, procurandogli lesioni gravi che in poche ore provocavano la sua morte. Ad A.A. si rimprovera, in sintesi, di non aver richiesto l'osservanza delle predette linee guida, contenenti misure necessarie a tutelare l'integrità fisica del lavoratore. Ciò posto, la Corte di merito aveva escluso che vi fossero elementi di prova circa il fatto che A.A. avesse dato disposizioni conformi alle linee guida, disponendo che la pianta tagliata e rimasta impigliata doveva essere rimossa agganciandola a un trattore e trascinandola; secondo la Corte distrettuale era emerso, per di più, che A.A. aveva proceduto al taglio nei giorni precedenti lasciando numerosi tronchi recisi addossati ad altri alberi e rimasti in posizione pericolante. È stata invece ritenuta poco attendibile, anche in relazione a talune circostanze di contorno, la deposizione del teste F.F., secondo il quale sarebbe stato E.E. a decidere autonomamente di operare diversamente dalle disposizioni del datore di lavoro, il quale avrebbe stabilito che i tronchi incastrati venissero rimossi con il verricello; invece, secondo la Corte di appello, non poteva essere stato E.E., ultimo arrivato, a potersi discostare dalle regole stabilite dal datore di lavoro. I giudici di secondo grado avevano quindi tratto la conclusione che A.A. omise di dare disposizioni a E.E., assunto quella stessa mattina, su come operare nel caso in cui un albero reciso e pericolante dovesse essere rimosso; omise altresì di controllarne l'attività, pur consapevole del pericolo collegato alla presenza di alberi già recisi e pendenti, e si allontanò per una pausa caffè assieme ad altri dipendenti, abbandonando E.E. a se stesso. Era stata infine esclusa l'abnormità del comportamento del lavoratore.

1.1. Tanto premesso, è stato evidenziato nella sentenza rescindente che la Corte di merito non si era debitamente confrontata con le dichiarazioni del teste G.G. circa le disposizioni impartite da A.A. a E.E., che si sarebbero in realtà uniformate alle linee guida della Regione Veneto richiamate nell'imputazione, mentre la valutazione di inattendibilità del teste F.F. non poteva ritenersi esente da vizi logici e da contraddittorietà: non risultava affatto improntata a tali requisiti l'affermazione secondo la quale l'inattendibilità del teste (secondo il quale E.E. si sarebbe discostato di propria iniziativa dalle disposizioni del ricorrente, tagliando il carpino) sarebbe comprovata dalla circostanza che A.A. avrebbe tentato di rimuovere il pioppo con un escavatore dotato di pinze anziché con il verricello, circostanza del tutto priva di attinenza logica all'oggetto delle accuse formulate a carico del ricorrente; né più attinenti risultavano le ulteriori circostanze di contorno (la posizione dei tronchi, le diverse versioni sui termini dell'accordo intervenuto con la persona offesa) sulla base delle quali la Corte aveva reputato inattendibile il teste F.F.: circostanze peraltro accennate in modo vago e senza una precisa indicazione del collegamento logico delle stesse con la regiudicanda. Restava il fatto, si legge nella sentenza rescindente, che F.F. era l'unico testimone oculare dell'accaduto e che le sue valutazioni dovevano essere scrutinate con particolare attenzione, anche alla luce di quelle dell'altro teste G.G., a loro volta oggetto di una valutazione parziale e incompleta da parte della Corte di merito. Anche l'ulteriore passaggio logico della sentenza impugnata circa la condotta asseritamente omissiva di A.A., letto alla luce delle dichiarazioni testimoniali dei testi G.G. e F.F. riguardanti le modalità di rimozione dei tronchi, mostrava alcuni limiti logici: se, infatti, si muove dalla considerazione che le deposizioni dei predetti testimoni facevano riferimento a istruzioni che A.A. avrebbe dato a E.E. su come procedere alla rimozione del tronco impigliato, e se si considera che lo stesso E.E., come sostenuto tra l'altro dal teste G.G., era un lavoratore esperto nel settore (a nulla rilevando che fosse stato assunto quella mattina dalla ditta dell'imputato), è di tutta evidenza che l'allontanamento momentaneo di A.A. dal luogo ove erano in corso le operazioni non potrebbe essergli in sé rimproverato: una volta impartite le corrette istruzioni a un lavoratore provvisto della necessaria esperienza, ben poteva A.A. confidare sul rispetto di dette istruzioni allontanandosi temporaneamente, non potendosi trascurare il profilo dell'esigibilità, in capo al datore di lavoro, di un dovere di sorveglianza che si spinga a un controllo costante e ininterrotto del rispetto delle prescrizioni in tema di sicurezza da parte dei lavoratori: esigibilità che invece, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. 4, n. 10712 del 14/02/2012), non si estende all'obbligo di monitoraggio "momento per momento" delle lavorazioni e dell'ottemperanza alle prescrizioni antinfortunistiche da parte dei lavoratori e degli altri soggetti obbligati. Di qui l'annullamento con rinvio della prima decisione della Corte di appello.

2. Tanto premesso, occorre verificare se la sentenza impugnata si sia posta o meno in sintonia con i criteri direttivi elaborati dalla pronuncia rescindente. Ora, i giudici del rinvio, ripercorsi gli snodi principali della vicenda processuale, hanno innanzitutto sottolineato che, se è vero che costituisce principio generale quello secondo cui il dovere di sorveglianza del datore di lavoro non può spingersi fino a richiedergli un controllo costante e ininterrotto del rispetto delle prescrizioni impartite, tuttavia il caso in questione presentava peculiarità tali da richiedere che A.A. sovrintendesse non a tutte le operazioni di esbosco demandate ai suoi sottoposti, ma all'opera specifica di "liberazione" del pioppo dal carpino su cui, cadendo, si era incastrato. Sul punto sono stati rimarcati due aspetti, il primo dei quali è che l'operazione di "liberazione" del pioppo era stata già tentata con mezzi meccanici ma senza successo, tanto è vero che sul tronco del pioppo sono state rinvenute dal consulente tecnico del P.M. delle tracce di agganciamento con una pinza idraulica utilizzata per lo spostamento dei tronchi, segno evidente che già si era tentata la rimozione tramite mezzo meccanico del tronco, ma senza successo. Tale tentativo, peraltro, era stato posto in essere dallo stesso imputato, che, come riferito dal teste H.H., era l'unico a gestire l'escavatore con le pinze. Questo elemento non era affatto privo di attinenza, perché attestava che l'operazione da effettuare non era ordinaria, altrimenti A.A., imprenditore esperto, avrebbe risolto il problema con le pinze idrauliche, ma presentava peculiari difficoltà. Il secondo aspetto valorizzato nella sentenza impugnata attiene al fatto che la vittima, pur essendo un boscaiolo esperto, era stato assunto, sia pure in nero, proprio il giorno della tragedia, sicché lo stesso non era stato presente il giorno prima presso il cantiere, cioè quando la situazione di pericolo si era verificata, per cui E.E. non aveva avuto modo di avere una conoscenza diretta della situazione creatasi e della sua pericolosità. Anche tale aspetto, secondo la Corte territoriale, avrebbe .dovuto consigliare a A.A. di sovrintendere personalmente non a tutte le operazioni di esbosco, che potevano essere gestite dai suoi due collaboratori con l'ordinanza diligenza e la pregressa esperienza professionale, ma a quella specifica e contingente operazione che presentava peculiari caratteristiche di pericolo che non potevano essere conosciute del tutto e valutate fino in fondo dalla persona offesa, fino a quel momento assente, essendosi a ciò aggiunto che, pur essendo ravvisa bile una colpa concorrente di E.E. nel prendere un'iniziativa non autorizzata e di certo imprudente, tuttavia ciò non escludeva la negligenza di A.A., il quale, allontanandosi pur dopo aver dato le opportune indicazioni, senza sovrintendere alla specifica operazione, aveva violato il precetto generale ex art. 2087 cod. civ.

3. Orbene, ritiene il Collegio che il giudice del rinvio non si sia confrontato del tutto con i rilievi mossi dalla sentenza rescindente. La Quarta Sezione di questa Corte, in particolare, aveva richiamato le deposizioni dei testi F.F. e G.G., rimarcandone la valutazione "parziale e incompleta" da parte della prima sentenza, sebbene il primo fosse l'unico testimone oculare dell'accaduto, dovendo le sue dichiarazioni essere scrutinate "con particolare attenzione, anche alla luce di quelle dell'altro teste G.G.", il quale a sua volta aveva riferito circa le disposizioni impartite da A.A. a E.E. prima del taglio. Ora, la sentenza impugnata, da un lato, non ha proprio menzionato nel suo percorso argomentativo la deposizione del teste G.G., e, dall'altro lato, ha affermato di prendere atto delle considerazioni della sentenza rescindente rispetto alla valutazione della testimonianza di F.F., che aveva riferito che A.A. aveva dato indicazione di tirare il pioppo rimasto incastrato sul carpino con il verricello, solo al fine di escludere il contestato profilo di colpa specifica ex art. 18, comma 1, lett. F, del D.Lgs. n. 81 del 2008, senza tuttavia approfondire l'incidenza di tale deposizione rispetto alla dinamica dell'incidente mortale. Peraltro, la sentenza rescindente non aveva dato per scontata l'attendibilità del teste, ma aveva solo precisato che la iniziale valutazione di inattendibilità del dichiarante non era immune da alcuni vizi logici circa gli indici di presunta inaffidabilità della relativa deposizione, per cui sarebbe stata necessaria in sede di rinvio una più attenta considerazione della valenza delle dichiarazioni dei testi F.F. e G.G., e ciò anche alla luce delle restanti fonti dimostrative acquisite. A ciò deve aggiungersi che non è stata adeguatamente esplorata la tematica, pure evocata dalla Quarta Sezione Penale, circa l'eventuale concorrenza della colpa della persona offesa, che a quanto risulta era un lavoratore esperto del settore, non potendosi sottacere che il giudice del rinvio, pur riconoscendo che vi fu negligenza da parte della vittima, non ha tuttavia specificato in che misura la stessa ha inciso sul verificarsi dell'esito mortale dell'infortunio e, soprattutto, se si fosse o meno in presenza di un comportamento abnorme, valutazione questa da compiere secondo i consolidati principi elaborati da questa Corte (cfr. Sez. 4, n. 7012 del 23/11/2022, dep. 2023, Rv. 284237, Sez. 4, n. 33976 del 17/03/2021, Rv. 281748 e Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Rv. 269603), secondo cui in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea a escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia, essendo stato altresì chiarito (cfr. Sez. 4, n. 37986 del 27/06/2012, Rv. 254365) che il datore di lavoro, in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all'incolumità fisica dei lavoratori, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori il rispetto delle regole di cautela, sicché la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e, comunque, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile. Resta solo da precisare che, pur non apparendo affatto illogiche le considerazioni del giudice del rinvio circa la peculiarità dell'incarico assegnato a E.E., che, per quanto esperto, aveva preso servizio il giorno in cui è avvenuto l'incidente, e circa la necessità di un più stringente onere informativo sulle modalità in cui procedere al taglio e ai seri rischi dell'intervento assegnato, tuttavia tali rilievi, per quanto corretti, andavano adeguatamente inseriti nel quadro delle emergenze probatorie delineatesi, e ciò anche al fine di verificare i limiti di esigibilità da parte del datore di lavoro di un più accurato dovere di vigilanza, quantomeno dell'inizio delle operazioni di rimozione della pianta incastrata. In definitiva, le affermazioni della Corte territoriale circa la colpa prevalente di A.A. andavano maggiormente ancorate ai risultati dell'attività istruttoria svolta e alla concretezza della vicenda storica, tanto più ove si consideri che, ove venga meno la violazione specifica contestata, la negligenza del datore di lavoro va ancorata al richiamato precetto generale di cui all'art. 2087 cod. civ. (la cui violazione è del resto sufficiente a integrare l'aggravante di cui all'art. 590, comma terzo, cod. peno (cfr. Sez. 4, n. 18628 del 14/04/2010, Rv. 247461), per cui a maggior ragione doveva essere maggiormente circostanziato da parte del giudice del rinvio sia il contesto fattuale in cui è avvenuta la vicenda, sia e soprattutto il grado di esigibilità della condotta informativa e del conseguente onere di controllo da parte del datore di lavoro, e ciò avuto riguardo anche alla riconosciuta esistenza della colpa della vittima, di cui andava specificata l'effettiva entità, oltre che la reale incidenza rispetto al verificarsi dell'infortunio.

4. Alla stregua di tali considerazioni, si impone pertanto l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia, cui è demandata anche la regolamentazione delle spese sostenute dalle parti nei gradi di legittimità.
 


P.Q.M.

 

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia.

Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2023.

Depositata in Cancelleria il 4 aprile 2024.