Cassazione Penale, Sez. 6, 03 gennaio 2024, n. 207 - Stalking occupazionale: art. 572 e 612 bis c.p.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE


Composta da:

Dott. CRISCUOLO Anna - Presidente

Dott. CALVANESE Ersilia - Consigliere

Dott. GALLUCCI Enrico - Consigliere

Dott. DI NICOLA TRAVAGLINI Paola - Consigliere

Dott. SILVESTRI Pietro - Relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA
 


Sul ricorso proposto da

A.A., nato a M il (omissis)

avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Milano l'08/03/2023;

visti gli atti ed esaminato il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere, Pietro Silvestri;

udito il Sostituto Procuratore Generale, dott.ssa Elisabetta Cennicola, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;

udita l'avv.ta Anna Lago, difensore della parte civile B.B., che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o comunque rigettato;

udito l'avv. Angelo Colucci, difensore dell'imputato, che ha concluso insistendo per l'accoglimento dei motivi di ricorso;
 

Fatto


1. La Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza con cui A.A. è stato condannato per il reato di cui all'art. 572 cod. pen.

All'imputato è contestato, nella qualità di cugino dell'amministratore della società che gestiva un determinato ristorante e di dipendente con funzioni di responsabile presso il detto esercizio, di avere maltrattato, nell'ambito di un contesto lavorativo di tipo parafamiliare, B.B. dipendente con funzioni di responsabile presso lo stesso ristorante; dette condotte, reiterate ed attuate anche con comportamenti minacciosi, sarebbero state finalizzate alla mortificazione della persona offesa che, alla fine, sarebbe stata costretta a non presentarsi al lavoro e successivamente a rassegnare le dimissioni.

2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato articolando due motivi.

2.1. Con il primo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al giudizio di responsabilità penale.

Il tema attiene alla configurabilità della fattispecie di cui all'art. 572 cod. pen. in ambito lavorativo che, secondo il ricorrente, sarebbe subordinata, da una parte, all'accertato utilizzo in modo improprio e distorto dei poteri del datore di lavoro e, dall'altra, dalla esistenza di un contesto di parafamiliarità.

Nel caso di specie non sarebbe stata accertata la condotta mobbizzante da parte dell'imputato per come evolutasi nel tempo; i testimoni avrebbero riferito di un solo grave episodio avvenuto il 3 aprile 2016 e nel verbale di conciliazione tra il datore di lavoro e il dipendente si sarebbe dato espressamente atto che non vi era nessun riconoscimento delle pretese altrui.

I Giudici avrebbero inoltre errato nel ritenere che l'imputato fosse un superiore gerarchico di B.B.; al contrario, l'assenza di potere direttivo sarebbe stata in realtà confermata, oltre che da verbale di conciliazione e dal teste C.C., anche dalla stessa persona offesa che avrebbe riferito di rivolgersi al ricorrente senza riconoscergli alcun potere.

Si sarebbe al più trattato di un mobbing orizzontale comunque non riconducibile al reato di maltrattamenti in famiglia che, come detto, presuppone l'esistenza di un potere direttivo e disciplinare in capo al soggetto agente.

Nel caso di specie mancherebbe anche il requisito della parafamiliarità, ritenuto erroneamente esistente sulla base della relazione familiare intercorrente "tra l'imputato e la gestione del ristorante e della dinamiche lavorative" createsi.

Si sottolinea come l'istruttoria abbia accertato che l'imputato, assunto con le mansioni di cameriere, non aveva il potere di assumere personale o di licenziarlo spettando dette facoltà solo al titolare, D.D.; né, ancora, sarebbe condivisibile l'argomento utilizzato dalla Corte di appello secondo cui il ristorante sarebbe stato connotato da una comunanza di vita assimilabile a quella di un consorzio familiare: si tratterebbe di una affermazione generica, atteso che al fine della configurazione del reato per cui si procede, rileverebbe invece l'affidamento, la fiducia e le aspettative del sottoposto rispetto a chi esercita su di lui l'autorità; detti aspetti nella specie non sarebbero sussistenti.

2.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione; il tema attiene alla prova del dolo, fatta discendere dal fatto che l'imputato avesse posto in essere condotte marcatamente discriminatorie solo nei riguardi del B.B.; sarebbe stato fatto erroneo riferimento alla deposizione del teste Tornasi che, in realtà, sarebbe stata travisata avendo il teste dichiarato che anche nei suoi riguardi l'imputato si fosse rivolto con maniere "forti".

 

Diritto

 

1. Il ricorso, i cui motivi possono essere valutati congiuntamente, è fondato.

2. La Corte di cassazione ha in più occasioni spiegato che le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (ed. "mobbing") possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusivamente qualora il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente abbia natura para - familiare; si deve cioè trattare da un rapporto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, dal formarsi di consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell'altra (rapporto supremazia - soggezione), dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia, e come tale destinatario, quest'ultimo, di obblighi di assistenza verso il primo (Sez. 6, n. 14754 del 13/02/2018, M, Tv. 272804; Sez. 6, n. 24642 del 19/03/2014, L.G., Rv. 260063; Sez. 6, n. 28604 28/03/2013, Rv. 255976)

La declinazione di tale rapporto inquinato attiene alla "familiarità" ed è solo in tale limitato contesto che può configurarsi il reato di maltrattamenti, ove si verifichi l'alterazione della persona attraverso lo svilimento e l'umiliazione della dignità fisica e morale del soggetto passivo (si fa riferimento, in via esemplificativa, al rapporto che lega il collaboratore domestico alle persone della famiglia presso cui svolge la propria opera o a quello che può intercorrere tra il maestro d'arte e l'apprendista).

3. La Corte di appello non ha fatto corretta applicazione di detti principi.

4. La sentenza è immune da vizi nella parte in cui la Corte, con un'adeguata trama motivazionale ed anche richiamando la decisione del Tribunale, ha ritenuto che l'imputato, cugino dell'amministratore della società che gestiva il ristorante: a) avesse di fatto espropriato l'odierna parte civile delle funzioni di responsabile di sala, costringendolo a svolgere funzioni di cameriere; b) che il titolare del ristorante, informato di quanto stava accadendo dalla stessa parte civile, aveva di fatto avallato le scelte dell'imputato; c) che l'inquadramento dell'imputato nella posizione di lavoro come cameriere fosse solo formale e che in concreto il ricorrente svolgesse un ruolo di supremazia ed esercitasse un potere direttivo, autoritario, padronale; d) che le condotte poste in essere indussero la parte civile in una condizione di sofferenza al punto da indurlo a non recarsi più al lavoro.

Dunque, un potere direttivo esercitato di fatto, con l'avallo del titolare dell'esercizio, che prescindeva dal titolo contrattuale con cui l'imputato fu assunto e che aveva come destinatario l'odierna parte civile.

Sul punto, i motivi di ricorso sono obiettivamente generici perché non si confrontano con la motivazione della sentenza impugnata e si sostanziano nella sollecitazione ad una rivisitazione del quadro probatorio e, in ultima analisi, ad una diversa ricostruzione fattuale, preclusa in questa sede.

5. A diverse conclusioni deve invece pervenirsi quanto al requisito del contesto para-familiare in cui i fatti, secondo i Giudici di merito, dovrebbero essere collocati.

5.1. Secondo la Corte di appello, la prova della natura para-familiare deriverebbe dalla relazione familiare tra l'imputato e l'amministratore della società che gestiva il ristorante e dalla dinamiche lavorative.

In particolare, quanto a queste ultime, si è fatto riferimento alla circostanza che nel ristorante fossero impiegate otto persone e si è ritenuto notorio che il settore della ristorazione sarebbe connotato "dalla comunanza di vita assimilabile a quella caratterizzante un consorzio familiare....i dipendenti, a seconda del ruolo, svolgono funzioni che in parte ricalcano i compiti domestici svolti in ambito familiare, quali il cucinare, servire e pulire e trascorrono sul luogo del lavoro gran parte dei momenti normalmente vissuti in ambito domestico" (così testualmente a pag. 7 della sentenza impugnata)

Ciò sarebbe confermato, si è aggiunto, da alcune fotografie "che immortalano i dipendenti in servizio, tra cui la persona offesa, sorridenti vicino al bancone, quasi appunto a dare l'idea di una grande famiglia".

5.2. Si tratta di un ragionamento viziato per più ordine di ragioni.

Sotto un primo profilo, la circostanza che fatti come quelli in esame si verifichino in un contesto lavorativo come quello di un ristorante con otto dipendenti, non prova di per sé la natura para- familiare che rileva ai fini della configurazione del reato per cui si procede.

Si tratta di un accertamento che non può essere compiuto in astratto, in ragione del tipo di attività o del numero di dipendenti, ma che deve invece essere posto in essere caso per caso, in concreto, sulla base delle prove raccolte, delle verifiche dei singoli comportamenti, della ricostruzione specifica delle dinamiche lavorative, della successione temporale e degli sviluppi delle condotte.

Né nel ragionamento della Corte è chiara quale dovrebbe essere la dimensione minima e sufficiente dell'impresa e del contesto lavorativo per far derivare il reato di maltrattamenti in famiglia.

Sotto altro profilo, come già detto, ciò che deve essere verificato per configurare il reato di cui all'art. 572 cod. pen. è l'esistenza di rapporti caratterizzati da relazioni intense ed abituali, di consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell'altra (rapporto supremazia - soggezione), dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia, e come tale destinatario, quest'ultimo, di obblighi di assistenza verso il primo.

Sul punto, la sentenza è silente; al di là del rapporto, non decisivo, tra l'imputato e suo cugino, amministratore della società che gestiva il ristorante, nulla è stato spiegato sul perché nella specie vi sarebbe stato, dopo l'ingresso dell'imputato nella impresa, un rapporto di fiducia tra questi e la persona offesa e tra A.A. e gli altri dipendenti, e neppure è stato indicato se e in che termini il ricorrente avesse avuto una posizione di assistenza nei riguardi del secondo e questi una posizione di soggezione.

Né è stato detto alcunché su quale sarebbe stato il rapporto di fiducia violato tra l'imputato e la persona offesa.

Né, ancora, è stato chiarito perchè i fatti in esame dovrebbero collocarsi in un contesto parafamiliare, nel senso di cui si è detto, e non invece nell'ambito di una dinamica di soprusi che aveva condotto sin da subito ad una usurpazione delle funzioni lavorative in danno della odierna parte civile; una usurpazione compiuta con il consenso del titolare della impresa, da parte di un dipendente in danno preordinato dell'altro; una dinamica posta in essere in modo continuativo sin dal momento in cui l'imputato "entrò" nella gestione del ristorante e che prescindeva da ogni legame pregresso, da ogni consuetudine di vita costruita nel tempo, da ogni relazione di fiducia.

Una usurpazione autoritaria, immediata, continua.

La stessa Corte di appello ha peraltro chiarito come le condotte per cui si procede iniziarono "all'arrivo" dell'imputato, e, dunque, in un momento in cui nessun rapporto di fiducia e nessuna consuetudine di vita si erano consolidati.

6. Ne consegue che sul punto la sentenza deve essere annullata con rinvio per nuovo esame; la Corte di appello, applicherà i principi indicati e verificherà se davvero i fatti per cui si procede possono essere inquadrati in un contesto parafamiliare e, dunque, possono essere sussunti nel reato per cui si procede ovvero, eventualmente, in altra fattispecie di reato, evocata implicitamente dalla stessa Corte nel corso della motivazione.

 

P.Q.M.


Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano.

Così deciso in Roma, il 14 settembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 3 gennaio 2024.