REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANATO Graziana
Dott. MARZANO Francesco
Dott. ZECCA Gaetanino
Dott. MAISANO Giulio
Dott. MARINELLI Felicetta

- Presidente
- Consigliere
- rel. Consigliere
- Consigliere
- Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA/ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
1) L.D. N. IL ***;
avverso la sentenza n. 1459/2004 CORTE APPELLO di BRESCIA, del 31/03/2008;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/02/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GAETANINO ZECCA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. FEBBRARO Giuseppe, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso;
Sentito per l'imputato l'Avvocato Rubeo Stefano, in sostituzione dell'Avvocato Motta, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.

RILEVATO IN FATTO

La Corte di Appello di Brescia ha confermato la sentenza di condanna di L.D. pronunziata dal Tribunale di Bergamo che aveva ritenuto l'imputato responsabile di omicidio colposo per avere, quale responsabile di O.L.I. srl, nell'ambito di un concorso di cause indipendenti, cagionato la morte di B.I. dipendente della impresa BM., appaltando i lavori ricevuti da F.M. ad una terza impresa CM. senza verificare se quest'ultima subappaltasse (come avvenne) ad altra ditta (BM.) i lavori già subappaltati, senza verificare con opportuna attività di cooperazione secondo le prescrizioni del Decreto del Presidente della Repubblica n. 626 del 1994, articolo 7 che le ditte coinvolte rispettassero le norme di sicurezza.

Nel corso dei lavori effettuati da BM. nei capannoni M. con un carrello elevatore della M., B.I., lavoratore dipendente di BM. veniva incaricato (da P.A. capo cantiere e legale rappresentante della CM.) di condurre un carrello elevatore che ribaltandosi schiacciava il conducente anche a causa del mancato uso di cinture di sicurezza.

L'imputato L. ha proposto ricorso per cassazione per ottenere l'annullamento del provvedimento appena sopra menzionato.

All'udienza pubblica del 19/2/2010 il ricorso è stato deciso con il compimento degli incombenti imposti dal codice di rito.

RITENUTO IN DIRITTO

L'imputato L.D., responsabile di O.L.I. srl., società al vertice di una catena di subappalti, nell'ambito dei quali si è verificato l'infortunio mortale per cui è processo, denunzia:
Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale;
mancanza contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione secondo quanto risulta dal testo della sentenza impugnata;
vizio di motivazione in riferimento all'apprezzamento della prova.

I vizi denunziati sono illustrati nell'atto di ricorso con una elencazione di fatti e di valutazioni operata per accumulazione.

Secondo il ricorso costituirebbe errore della sentenza impugnata l'aver ritenuto che il L. e la srl da lui rappresentata non avessero eseguito alcun controllo circa la presenza di lavoratori non autorizzati, laddove il L. aveva consegnato a spa M.F. l'elenco delle persona abilitate all'ingresso per lavoro mentre CM. (incaricata da O. srl del montaggio delle scaffalature per il magazzino) mai aveva comunicato a BM. d'aver dato i lavori in subappalto a BM. e mentre M.F. spa aveva omesso qualsiasi controllo all'ingresso dei suoi stabilimenti.

Il ragionevole affidamento di O.L. srl nel funzionamento di due filtri all'ingresso sarebbe stato frustrato per omissioni altrui non addebitabili a L..

La presenza sul luogo di lavoro e nel giorno dell'infortunio di B., legale rappresentante di BM. snc subappaltatrice, e del lavoratore, vittima di infortunio mortale, erano ignote al L. e non potevano in modo alcuno essere a lui addebitate.

La mancata comunicazione al L. e alla società da lui rappresentata del subappalto alla BM. escluderebbe ogni colpa omissiva di L..

Nel fascicolo di primo grado dell'imputato era stata depositata ampia documentazione (richiamata in ricorso) attestante le iniziative di coordinamento sviluppate da O., M., CM. e, in particolare, un incontro del 21/6/2001 presso la spa M. per il coordinamento e la cooperazione nella attuazione delle misure di prevenzione e protezione dei rischi di lavoro con le tre imprese sopra richiamate.

E in ogni caso la deposizione dell'ing. F., responsabile tecnico della O., aveva evidenziato che O. fornì alla ditta appaltatrice dettagliate informazioni sugli specifici rischi esistenti all'interno dell'ambiente in cui la stessa era chiamata ad operare in piena aderenza al dettato del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 7.

Sotto altro profilo il contratto di appalto tra M.F. e O. srl prevedeva che ogni operazione di scarico automezzi e avvicinamento a pie d'opera fosse a carico di M. spa., sicché il L. non aveva nessun potere e nessuna posizione di garanzia rispetto alle operazioni di scarico medesime e ai lavoratori impiegati in quelle operazioni, mentre pochi giorni prima dell'infortunio la O. srl riceveva da CM. una comunicazione attestante l'avvenuta valutazione dei rischi per l'attività assunta in appalto.

L'affidamento di un veicolo pericoloso di proprietà M. spa per il compimento di attività secondo contratto spettanti alla M. non doveva essere addebitato in modo alcuno a O. srl.

La sentenza impugnata avrebbe negato, in contrasto con le prove acquisite al processo, il corretto e diligente adempimento della disciplina di cui all'articolo 7 sopra richiamato.

In diritto il ricorrente ritiene che il Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 7 abbia costituito il primo appaltante in una sorta di posizione apicale per il coordinamento tra i diversi appaltatori, ferma restando la responsabilità di ciascuna impresa per i rischi specifici della propria attività, residuando ai carico dei subappaltatori meri oneri di vigilanza e di osservanza delle norme antinfortunistiche.

Per il ricorrente, M. spa rimaneva responsabile della sicurezza, mentre O. srl non aveva responsabilità alcuna per quanto accadeva nelle operazioni di avvicinamento dei materiali alla zona magazzino o a pie d'opera.

Questa Corte rileva che le norme richiamate nel capo di imputazione e correttamente applicate dalla corte di merito sono funzionali alla eliminazione della clandestinizzazione delle responsabilità attraverso la frammentazione di compiti e responsabilità connesse, secondo negoziazioni a cascata e secondo inclusione di un numero di datori di lavoro suscettibile di disorientare ogni individuazione di soggetti responsabili.

Correttamente la sentenza impugnata ha individuato in un adeguato coordinamento antinfortunistico dei vari imprenditori coinvolti il mezzo previsto dall'ordinamento per superare il meccanismo genetico di illeciti senza responsabili, connesso alla diversificazione delle situazioni produttive e alla molteplicità di atti organizzativi attribuibili a soggetti di volta in volta diversi.

Il ricorrente è stato chiamato a rispondere di quel mancato coordinamento nel quale si è prodotto l'evento fatale.

Adeguatamente la sentenza impugnata ha scandagliato le circostanze relative alla autorizzazione all'uso del carrello elevatore concessa da F. spa a O., lo scarto tra scambio di documenti descrittivi e la diversa realtà complessiva dell'operazione e dei subappalti, il mancato coordinamento antinfortunistico relativo alle operazioni, da effettuare per la fornitura chiavi in mano, nel loro reale sviluppo.
In conclusione le censure relative alla erronea applicazione della legge sono infondate a fronte della applicazione operata dalla sentenza impugnata del Decreto del Presidente della Repubblica n. 626 del 1994, articolo 7 utilizzata in relazione a una realtà produttiva e organizzativa accertata e dunque applicata con un corretto procedimento di iscrizione dei fatti nella norma capace di descriverli e dare ad essi regola adeguata.

Le censure di mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione sono infondate perché il compendio motivazionale delle sentenze di merito è ampio sia dal punto di vista grafico che dal punto di vista della completezza dell'esame dei fatti accertati e delle ragioni rappresentate dall'imputato.

Quel compendio non è illogico né contraddittorio perché per un verso non sono state neppure individuate le regole di una logica data che si assumono violate e per altro verso la struttura argomentativa di sentenza è lineare, coerente e porta a conclusioni necessitate le premesse assunte a postulato dei ragionamenti svolti.

Infine l'apprezzamento della prova, svolto con misurata ragionevolezza, non è suscettibile di controllo/sostituzione in sede di legittimità una volta che l'intero percorso giustificativo sia, come nel caso concreto è, esente da vizi di omissione, discontinuità, contestuale impiego di argomenti tra loro incompatibili, utilizzo di postulati non condivisibili.

Il ricorso deve essere rigettato con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.