REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORGIGNI Antonio
Dott. GALBIATI Ruggero
Dott. BIANCHI Luisa
Dott. MAISANO Giulio
Dott. MARINELLI Felicetta

- Presidente
- Consigliere
- Consigliere
- Consigliere
- rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) M.A., N. IL ***;
avverso la sentenza n. 4973/2008 CORTE APPELLO di MILANO, del 25/02/2009;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/05/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. FELICETTA MARINELLI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Volpe Giuseppe, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

PREMESSO IN FATTO

M.A. è stato condannato con sentenza emessa in data 7.12.2007 dal Tribunale di Busto Arsizio alla pena di euro 400 di multa per il reato di cui all'articolo 590 c.p., articolo 583 c.p., comma 1, n. 1, Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4 oltre risarcimento del danno e provvisionale, in quanto, nella qualità di presidente del Consiglio di Amministrazione della M. SpA, cagionava al lavoratore N.A. lesioni personali guaribili in giorni 40, consistite nella frattura scomposta del polso destro, per colpa, negligenza, imprudenza, per inosservanza delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, in particolare per avere omesso di adottare idonee misure per eliminare il pericolo di caduta dall'alto del lavoratore nella fase di carico dei carrelli.
Il lavoratore N. doveva infatti scaricare da un nastro trasportatore sacchi contenenti piume e depositarli, mediante l'utilizzo di un gancio, su di un carrello di ferro. Egli operava sul predetto un pianale di ferro, non stabile, né uniforme, privo di protezione, ad un altezza di circa metri 1,50 dal suolo ed il distacco di un gancio dai sacchi trasportati provocava la perdita di equilibrio e la sua conseguente caduta a terra.

Avverso la decisione del Tribunale di Busto Arsizio ha proposto appello il difensore dell'imputato. La Corte di Appello di Milano, con la sentenza oggetto del presente ricorso emessa in data 25.2.2009, confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Busto Arsizio e condannava l'imputato al pagamento delle spese processuali del grado nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile.

Avverso la sentenza della Corte d'appello di Milano il M. proponeva ricorso per Cassazione a mezzo del suo difensore e concludeva chiedendo di volerla annullare senza rinvio e, in subordine, con rinvio.

RITENUTO IN DIRITTO

Il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per i seguenti motivi:
1) articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), inosservanza ed erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4 nonché dell'articolo 533 c.p.p., comma 1 - Carenze investigative
- incertezza circa le istruzioni impartite al lavoratore. Impossibilità di individuare con adeguata certezza la condotta cui il lavoratore era tenuto. Impossibilità di approntare adeguate tutele in presenza di una condotta imprevedibile del lavoratore. Ragionevole dubbio.

Secondo il ricorrente, a causa di evidenti carenze investigative, non sarebbe possibile una ricostruzione certa delle effettive modalità operative con cui il lavoratore avrebbe dovuto svolgere le mansioni e delle concrete prassi lavorative, essendo plausibile che il lavoratore fosse stato istruito al riempimento del carrello con i piedi poggiati a terra. In tal caso il rischio di caduta non avrebbe neppure potuto essere prospettato e al ricorrente non avrebbe potuto essere pertanto rimproverato di non avere approntato misure idonee a tutelare la sicurezza del lavoratore, mettendogli a disposizione un carrello sul quale doveva operare privo di sponde di protezione idonee ad impedire la caduta dall'alto, in violazione del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4.

2) Art. 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e):  inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 40 cod. pen.  - Incertezza circa le istruzioni impartite al lavoratore.
Impossibilità di individuare con adeguata certezza la condotta cui il lavoratore era tenuto.
Conseguente impossibilità di ricondurre causalmente l'evento ad omissioni dell'imputato.
Possibilità di una condotta alternativa equivalente e sicura.
Abnormità del comportamento del lavoratore. Imprevedibilità. Interruzione del nesso causale.

Rileva sul punto il ricorrente che, non essendo stata compiuta alcuna indagine sul contenuto delle informazioni verbali fornite al lavoratore sul corretto svolgimento delle mansioni, non può ritenersi provato il rapporto eziologico tra l'omissione contestata al ricorrente (non avere cioè fornito al lavoratore un carrello fornito di idonee sponde) e l'infortunio. Nessuna colpa potrebbe essere imputata al datore di lavoro nell'ipotesi di rischio imprevedibile, come l'eventualità che il lavoratore ponga in essere una condotta che si discosta dalle consuete modalità operative e si concretizzi in un comportamento abnorme, determinando un pericolo che mai si sarebbe verificato osservando le indicazioni impartite. Se infatti il sig. N. fosse stato istruito a caricare i sacchi di piume sul carrello stando con i piedi a terra, nessun addebito potrebbe essere rivolto all'imputato, che non avrebbe potuto prevedere che il lavoratore adottasse modalità differenti.

I proposti motivi sono infondati.

Tanto premesso si osserva che il ricorso proposto per mancanza e manifesta illogicità della motivazione contrasta una decisione che si costruisce attraverso due motivazioni conformi. Le decisioni sono dunque un compendio motivazionale complesso rispetto al quale non è dato di riconoscere la denunciata mancanza e illogicità della motivazione. Le censure che investono la
contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione impongono infatti una analisi del testo censurato al fine di evidenziare la presenza nel testo scritto dei vizi denunziati. Viceversa la censura che denunzia mancanza di motivazione deve fornire specifica indicazione delle questioni precedentemente poste, specifica comparazione tra questioni proposte e risposte date, approfondita e specifica analisi della motivazione impugnata per evidenziare come nonostante l'apparente esistenza di una compiuta motivazione si sia viceversa venuta a determinare la sua totale mancanza. Tutto ciò non è ravvisatale nel ricorso del M. che manca di qualsiasi considerazione per la confermata e integrata motivazione del Tribunale di Busto Arsizio da parte della Corte di Appello di Milano, costitutiva del complesso motivazionale censurato, e lungi dall'individuare specifici vuoti o difetti di risposta che costituirebbero la complessiva mancanza di motivazione, si duole del risultato attinto dalla sentenza impugnata e accumula fatti che intenderebbero ridisegnare l'infortunio in chiave a lui favorevole, al fine di ottenere in tal modo una decisione solamente sostitutiva di quella assunta dal giudice di merito.

Nella sentenza oggetto di ricorso appare infatti chiaro il percorso motivazionale che ha indotto i Giudici della Corte di Appello di Milano a ritenere che l'infortunio si sia verificato a causa della condotta dell'imputato che avrebbe dovuto valutare, in relazione alla natura dell'attività svolta dal N., i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori.

Né appare sostenibile quanto sostenuto dal ricorrente, che cioè non sarebbe possibile effettuare una ricostruzione certa delle modalità operative con cui il lavoratore avrebbe dovuto svolgere le sue mansioni. I Giudici della Corte di Appello evidenziano sul punto che al lavoratore, che aveva iniziato a lavorare tre giorni prima, avendo un contratto di somministrazione di lavoro interinale della durata di una settimana, erano state fornite solo informazioni verbali di base relativamente al corretto svolgimento delle mansioni (spostamento dei sacchi di piume) e ai dispositivi di protezione (guanti) che dovevano essere utilizzati, mentre non era stato fornito il dossier che normalmente viene consegnato ai dipendenti. Rilevano poi i giudici della Corte territoriale che la ricostruzione fornita dal ricorrente, che cioè il lavoratore dovesse caricare i sacchi di piume sul carrello stando con i piedi per terra e che la sua caduta a terra sarebbe stata del tutto accidentale, risulta smentita oltre che dalle dichiarazioni dell'infortunato, dalle dichiarazioni del teste D.A., collega di lavoro dello stesso e dalla relazione della ASL, con allegata documentazione fotografica, da cui si evince che il pianale del carrello si trovava a circa 10 centimetri da terra, mentre il lavoratore si trovava a circa 1,50 metri da terra sopra i sacchi di piuma.

Sulla base di queste argomentazioni correttamente i Giudici della Corte di Appello hanno ritenuto sussistente il nesso di causalità tra la condotta del M., che aveva fornito al lavoratore un carrello sul quale doveva operare, privo di sponde di protezione idonee ad impedire la caduta dall'alto, omettendo quindi di valutare i rischi per la sua sicurezza nell'espletamento dell'attività lavorativa e .... [ndr non leggibile]
Correttamente quindi veniva confermata la sentenza di primo grado, essendo altamente prevedibile il rischio di caduta del lavoratore che espletava le sue mansioni nelle condizioni sopra descritte.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.