REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORGIGNI Antonio
Dott. MARZANO Francesco
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe
Dott. IACOPINO Silvana
Dott. ROMIS Vincenzo

- Presidente
- Consigliere
- Consigliere
- Consigliere
- rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:
1) D.P.M., N. IL ***;
2) C.G., N. IL ***;
3) D.P.E., N. IL ***;
4) D.S.V., N. IL ***;
5) D.P.G., N. IL ***;
avverso la sentenza n. 53/2006 CORTE APPELLO di CAMPOBASSO, del 02/12/2008;
visti gli atti, la sentenza e i ricorsi;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/03/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO ROMIS;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. GIALANELLA Antonio, che ha concluso per l'inammissibilità dei ricorsi.
Uditi, per le parti civili, gli avv. Fatica Alessandro e Rivellini Domenico che hanno concluso per l'accoglimento dei rispettivi ricorsi;
udito il difensore avv. Messere Arturo, il quale ha concluso chiedendo inammissibilità dei ricorsi delle parti civili e accoglimento del ricorso dell'imputato.

Svolgimento del processo

D.S.V. veniva tratto a giudizio dinanzi al Tribunale di Campobasso per rispondere del reato di cui all'art. 589 c.p., commi 1, 2 e 3, nonché di violazione della  L. [DPR ndr] n. 164 del 1956, art. 13 e art. 77, lett. b), e art. 2043 c.c., perché - nella qualità di titolare e legale rappresentante della ditta A.T.I., associazione temporanee di imprese, appaltatrice dei lavori di completamento dei lavori di completamento funzionale dell'edificio polivalente per istituti ad indirizzo tecnico in ***, ed altresì in qualità di direttore tecnico di cantiere dei lavori stessi - aveva cagionato la morte degli operai D.P.B. e M.A.; in base all'imputazione, l'infortunio si era verificato secondo la seguente dinamica: in data *** erano in atto i lavori di scavo in terreno bagnato ed argilloso, di scarsa consistenza a più di mt. 1,50 di profondità, e gli operai predetti erano intenti alla posa in opera, nello scavo stesso, di pozzetti e tubi di plastica per la rete fognante: in seguito a cedimento e frana di una parete di scavo - sprovvista di qualsiasi armatura di sostegno e di protezione - il D.P. ed il M. erano rimasti mortalmente investiti e soffocati dal terreno.
A carico del D.S. venivano ipotizzati i seguenti profili di colpa:
a) colpa specifica, consistita nella violazione delle norme sopra indicate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in quanto erano stati eseguiti lavori di scavo ad una profondità superiore a mt. 1,50, su terreno bagnato ed argilloso, senza che le pareti dello scavo fossero provviste di adeguato sostegno;
b) colpa generica, consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia nell'organizzazione, nella direzione e nell'esecuzione dei lavori.

All'esito del dibattimento, il Tribunale condannava l'imputato, per il delitto, alla pena ritenuta di giustizia, con la concessione delle attenuanti generiche valutate equivalenti all'aggravante contestata, oltre al risarcimento dei danni in favore delle parti civili; quanto alla contravvenzione, veniva pronunciata declaratoria di estinzione del reato per prescrizione. Il Tribunale evidenziava che l'infortunio si era verificato in conseguenza del cedimento della parete dello scavo, e che l'evento doveva ritenersi riconducibile a colpa dell'imputato, per aver questi consentito, nella sua qualità descritta nel capo di imputazione, che i lavori di scavo fossero eseguiti senza che le pareti dello scavo stesso fossero dotate di adeguato sostegno.

A seguito di gravame ritualmente proposto dall'imputato, la Corte d'Appello di Campobasso, ritenendo l'imputato meritevole del giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sull'aggravante contestata, pronunciava declaratoria di prescrizione del reato, non ravvisando elementi idonei a legittimare un proscioglimento dell'imputato stesso nel merito. Ai sensi dell'art. 578 c.p.p. la Corte medesima, per la parte che in questa sede rileva, limitava peraltro la responsabilità dell'imputato ad un concorso di colpa pari al 30%, attribuendo la più rilevante percentuale del 70% ad una delle due vittime, esattamente D.P.B., muovendo dal presupposto che quest'ultimo rivestiva nel cantiere la qualifica di preposto ed aveva quindi imprudentemente omesso di impartire le opportune disposizioni affinché si procedesse all'armatura della parete dello scavo pur disponendo del materiale necessario, all'uopo fornito dal D.S..

L'imputato a sua volta, secondo la Corte territoriale, aveva imprudentemente sottovalutato l'atteggiamento del D.P. allorquando in cantiere era stato depositato ciò che era necessario per l'armatura della pareti dello scavo: evidenziavano al riguardo i giudici di seconda istanza che il D.P. si sarebbe meravigliato dell'arrivo in cantiere del materiale per l'armatura della parete dando ad intendere di ritenere superflua qualsiasi struttura di protezione: siffatto atteggiamento avrebbe dovuto allertare il D.S. il quale avrebbe quindi dovuto accertarsi della posa in opera dell'armatura.
Ricorrono per Cassazione il D.S., nonché le parti civili costituite (prossimi congiunti del D.P.), deducendo violazione di legge e vizio motivazionale con censure che possono sintetizzarsi come segue.

Ricorso D.S.:
1) La Corte distrettuale avrebbe fondato il giudizio di colpevolezza espresso nei confronti dell'imputato, su "argomentazioni "possibiliste", di talché il risultato appare ancorato più su ipotesi empiriche e sul rimprovero di mancata indagine psicologica sul pensiero del D.P. che su seri e confortanti elementi probatori e cognitivi" (così letteralmente a pag. 7 del ricorso);
l'atteggiamento del D.P. troverebbe spiegazione non nella ritenuta superfluità dell'armatura, quanto piuttosto nella constatazione di una "rinnovata consegna di materiale già presente in cantiere" (pag. 9 del ricorso); il capocantiere D.P. avrebbe autonomamente deciso di procedere al lavoro senza adottare quelle precauzioni di armatura della pareti dello scavo, peraltro contemplate dal Piano di sicurezza, anzi accelerando le operazioni perché le condizioni atmosferiche erano favorevoli, così ponendo in essere una condotta certamente non prevedibile né prevenibile da parte del D.S.; per la qualifica rivestita, il D.P. avrebbe dovuto addirittura sovrintendere ai lavori e vigilare sull'osservanza dei dispositivi di sicurezza da parte degli operai a lui "sott'ordinati";
B) avrebbe altresì errato la Corte di merito nel riconoscere al D.S. la veste di datore di lavoro; il D.S. era appaltatore di opere pubbliche, con conseguente identificazione del datore di lavoro con la committenza, vale a dire con la stazione appaltante, in forza del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 2, comma 1, lett. b), seconda parte: tesi che troverebbe conferma nel fatto che il coordinatore per la progettazione dei lavori ed il coordinatore per l'esecuzione dei lavori erano stati nominati dall'ente pubblico nelle persone, rispettivamente, dell'architetto R.R. e dell'ing. C.G.; su tale questione, pur dedotta con i motivi di appello, la Corte distrettuale avrebbe omesso qualsiasi motivazione;
C) a nulla rileverebbe la mancanza di una formale delega scritta al D.P. - non avendo la Corte di Appello attribuito una valenza in tal senso alla scrittura datata 5 ottobre 1999, sul rilievo che si sarebbe trattato di una mera consegna di documenti - posto che "i compiti e le mansioni affidate al "responsabile di cantiere" D.P. costituivano parte integrante della sua qualifica" (così letteralmente a pag. 19 del ricorso, compresa la sottolineatura);
D) la Corte territoriale avrebbe erroneamente omesso di valorizzare "il ragionevole affidamento del D.S. sulla maestria e competenza del suo capocantiere, scelto per la pluriennale esperienza maturata nei cantieri ed al quale aveva affidato compiti di direzione, attuazione e controllo del rispetto delle norme di sicurezza da parte dei lavoratori" (cosi a pag. 27 del ricorso); tra l'altro il D.S. era impegnato anche in altri cantieri e quindi sarebbe stato impossibilitato a seguire di persona costantemente l'andamento dei lavori nel cantiere nel quale operava il D.P.;
E) avrebbe infine omesso la Corte di merito di valutare l'impugnazione - proposta con i motivi di appello - dell'ordinanza con la quale il primo giudice aveva ritenuto superflua l'audizione di due testimoni nonostante fossero stati ammessi, disattendendo poi senza alcuna motivazione la richiesta di rinnovazione del dibattimento finalizzata proprio all'esame di quei due testimoni che avrebbero potuto offrire elementi decisivi ai fini della decisione.

2) Ricorso Parti civili D.P.M.R. e D.P.G. -
a) accertata la mancanza di qualsiasi delega formale di funzioni al D.P., persistevano in capo al D.S. gli obblighi di legge, ivi compresa la funzione di controllo quanto all'osservanza delle disposizioni antinfortunistiche, e ciò a maggior ragione perché aveva anche la qualifica di direttore tecnico del cantiere;
b) avrebbe errato la Corte distrettuale nel riconoscere al D.P. la qualifica di preposto, senza aver prima verificato quali fossero in concreto le mansioni svolte dal D.P. stesso, se cioè corrispondenti pienamente a detta qualifica, né a tal fine potrebbe rilevare la deposizione dell'escavatorista avendo questi inteso fare riferimento alle note caratteriali del D.P., quale soggetto dal piglio decisionale, piuttosto che alle funzioni svolte;
c) i giudici di seconda istanza avrebbero erroneamente determinato le percentuali di concorso di colpa avendo omesso di considerare quelle rilevanti omissioni del responsabile della sicurezza in fase di esecuzione e del committente evidenziate dal perito;
d) il D.P. non avrebbe ricevuto alcuna formazione in materia di sicurezza e quindi non avrebbe potuto sovrintendere alle attività lavorative;
e) la Corte di merito avrebbe errato nell'attribuire carattere di abnormità alla condotta del D.P., posto che la colpa concorsuale del lavoratore non può essere ipotizzabile in presenza di qualsiasi errore del medesimo nell'espletamento delle mansioni lavorative.

3) Ricorso Parti civili C.G. e D.P.E. -
a) il D.P. era un semplice operaio, né vi è prova egli fosse a conoscenza ed avesse la piena consapevolezza del ruolo di preposto attribuitogli dalla Corte d'Appello;
b) la Corte stessa avrebbe proceduto ad un vaglio del tutto superficiale delle deposizioni testimoniali cui il primo giudice non aveva attribuito rilevanza alcuna;
c) i giudici di secondo grado avrebbero omesso qualsiasi motivazione circa il rovesciamento della responsabilità piramidale, in conseguenza del quale è stato attribuito al vertice dell'azienda una percentuale di colpa concorrente di gran lunga inferiore a quella riconosciuta all'operaio.

Motivi della decisione

Tutti i ricorso devono essere rigettati per le ragioni di seguito indicate.
Ricorso D.S. - Le censure di vizio motivazionale dedotte dal D.S., in relazione alla dinamica dell'infortunio ed al nesso causale tra le condotte dei protagonisti della vicenda ed il tragico evento, appaiono riconducibili alla doglianza per la mancata assoluzione dell'imputato nel merito ai sensi dell'art. 129 c.p.p., comma 2, posto che nei suoi confronti la Corte territoriale ha pronunciato declaratoria di prescrizione del reato di omicidio colposo.

Per quel che concerne l'applicabilità dell'art. 129 c.p.p., comma 2, va ricordato che, in forza dei consolidati principi di diritto enunciati da questa Corte, il sindacato di legittimità, appunto ai fini della eventuale applicazione della disposizione appena citata, deve essere circoscritto all'accertamento della ricorrenza delle condizioni per addivenire ad una pronuncia di proscioglimento nel merito con una delle formule prescritte: la conclusione può essere favorevole al giudicabile solo se la prova dell'insussistenza del fatto o dell'estraneità ad esso dell'imputato risulti evidente sulla base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni posti a fondamento della sentenza impugnata, senza possibilità di nuove indagini ed ulteriori accertamenti che sarebbero incompatibili con il principio secondo cui l'operatività della causa estintiva, determinando il congelamento della situazione processuale esistente nel momento in cui è intervenuta, non può essere ritardata: qualora, dunque, il contenuto complessivo della sentenza non prospetti, nei limiti e con i caratteri richiesti dall'art. 129 c.p.p., l'esistenza di una causa di non punibilità più favorevole all'imputato, deve prevalere l'esigenza della definizione immediata del processo (in tal senso cfr., ex plurimis, Sez. Unite, n. 35490/2009, Tettamanti); con la conseguenza che, in presenza della prescrizione, non possono rilevare vizi di motivazione o cause di nullità: ed invero, "l'inevitabile rinvio al giudice di merito è incompatibile con il principio dell'immediata applicabilità della causa estintiva" (in tal senso, "ex plurimis", Sez. Un. 28/11/2001, Cremonese).

Nella concreta fattispecie, nella sentenza della Corte territoriale non sono riscontrabili elementi di giudizio idonei ad integrare la prova evidente dell'innocenza del prevenuto, ma sono, anzi, contenute valutazioni di segno diametralmente opposto, logicamente conducenti all'accertamento della responsabilità del prevenuto stesso. Non sono pertanto ravvisabili i profili di violazione di legge prospettati dal ricorrente (anche con riferimento alla doglianza relativa al diniego della rinnovazione del dibattimento), posto che, avuto riguardo al testo della sentenza impugnata, si rileva che la Corte distrettuale - attraverso il percorso motivazionale sopra ricordato (nella parte relativa allo "svolgimento del processo"), da intendersi qui integralmente richiamato onde evitare superflue ripetizioni - ha analizzato, secondo i canoni prescritti, gli aspetti concernenti le problematiche relative alla sussistenza della condotta colposa contestata all'imputato, nonché del nesso causale tra la condotta stessa, quale descritta nell'imputazione, e l'evento, non mancando di esprimere le proprie valutazioni al riguardo, con considerazioni che consentono non solo di escludere che possa ritenersi acquisita la prova evidente dell'innocenza dell'imputato, ma anche di escludere, pur all'esito dell'esame delle risultanze processuali svolto ai fini civilistici ex art. 578 c.p.p., che possa parlarsi di compendio probatorio contraddittorio o insufficiente tale da legittimare il prevalere della causa di proscioglimento nel merito sulla causa estintiva del reato (cfr. Sez. Unite, Tettamanti, Rv. 244273). Al riguardo è sufficiente ricordare che:
a) la Corte distrettuale ha correttamente individuato la posizione di garanzia in capo al D.S. - quale datore di lavoro (nonché direttore di cantiere) - autonoma rispetto a quella riconducibile al D.P., quale preposto, e non trasferita a quest'ultimo (cfr., al riguardo, Sez. 4, n. 39606 del 28/06/2007 Ud. (dep. 26/10/2007) Rv. 237878 Imputato: Marchesini e altro); parimenti del tutto correttamente la Corte medesima ha ritenuto che le mansioni in concreto svolte dal D.P. fossero tali da consentire di individuare in quest'ultimo la figura, appunto, del preposto: situazione, questa, rilevante ai fini delle statuizioni civili;
b) la Corte stessa, come sopra già accennato, ha dato adeguatamente conto del proprio convincimento per quel che riguarda la ritenuta sussistenza della colpa specifica addebitata all'imputato e del nesso causale tra la condotta dell'imputato stesso e l'evento. Né sono ravvisabili connotazioni di assoluta imprevedibilità nella condotta del D.P., trattandosi comunque di comportamento strettamente collegato alle mansioni espletate ed all'attività lavorativa in concreto svolta; giova poi precisare che, secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, le norme sulla prevenzione degli infortuni hanno la funzione primaria di evitare che si verifichino eventi lesivi della incolumità fisica, intrinsecamente connaturati all'esercizio di talune attività lavorative, "anche nelle ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuale disaccortezza, imprudenza e disattenzione degli operai subordinati" (in termini, Sez.4, 14 dicembre 1984, n. 11043): è bene ricordare che i giudici di merito hanno comunque ritenuto di poter riconoscere un concorso di colpa del D.S. nella misura del 70%, come di seguito si avrà modo di dire.

Per completezza argomentativa appare opportuno - avuto riguardo alla dinamica dell'infortunio "de quo" ed ai ruoli ricoperti dai protagonisti della vicenda in esame - ricordare lo schema disegnato nel D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4 el, che può essere così sintetizzato:
1 - il datore di lavoro è colui che esercita l'attività, ha la responsabilità della gestione aziendale e pieni poteri decisionali e di spesa; in connessione con tale ruolo di vertice, l'ordinamento prevede numerosi obblighi specifici penalmente sanzionati;
2 - il richiamato D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4 individua altresì un livello di responsabilità intermedio, incarnato dalla figura del dirigente, che dirige appunto, ad un qualche livello, l'attività produttiva, un suo settore o una sua articolazione; tale soggetto non porta le responsabilità inerenti alle scelte gestionali generali, ma ha poteri posti ad un livello inferiore, solitamente rapportati anche all'effettivo potere di spesa: nel caso di specie, i due livelli ora descritti erano incarnati nella medesima figura del D.S.;
3 - Il terzo livello di responsabilità riguarda la figura del preposto che sovrintende alle attività e svolge, quindi, funzioni di supervisione e controllo sulle attività lavorative concretamente svolte.

É dunque chiaro che il caso in esame non propone propriamente questioni afferenti alla delega di funzioni, giacché il datore di lavoro-direttore tecnico di cantiere, figura dirigenziale, ossia il D.S., era direttamente portatore di un proprio livello di gestione e responsabilità che, per quel che qui interessa, riguardava anche l'organizzazione generale della sicurezza del cantiere. E c'è di più, perché tale livello di responsabilità è stato in concreto esercitato, ma nei modi non congrui descritti nel provvedimento impugnato.

Le suesposte considerazioni valgono a dimostrare l'infondatezza di tutte le censure dedotte dal ricorrente, ma rilevano anche ai fini della delibazione dei ricorsi presentati nell'interesse degli eredi del D.P. che ora si passa ad esaminare.

Ricorsi Parti Civili - I ricorsi proposti distintamente dai due gruppi di parti civili ben possono essere congiuntamente esaminati perché risultano sostanzialmente basati su analoghe doglianze finalizzate a contestare:
a) la ricorrenza in capo al D.P. di estremi di responsabilità, sull'asserito rilievo che egli, secondo le ricorrenti parti civili, era un semplice operaio con atteggiamenti collaborativi; di tal che, ad avviso delle parti civili, i giudici del merito avrebbero operato la c.d. inversione della piramide delle responsabilità, con ripercussioni sull'attribuzione dei coefficienti quantitativi della colpa;
2) la quantificazione del concorso di colpa.

Richiamando tutto quanto innanzi argomentato esaminando il ricorso del D.S., può dunque ben dirsi che la decisione di merito di secondo grado ha colto con sufficienza il cuore del problema, in punto di fatto: in qualità di capo cantiere, responsabile della sicurezza dei lavoratori, il D.P. aveva comunque assunto una posizione di preminenza rispetto agli altri lavoratori, così da poter loro quanto meno impartire istruzioni sul lavoro da eseguire, anche se di natura peraltro meramente esecutiva: di tal che, spettava al D.P., per la posizione di sovraordinazione di fatto assunta, l'onere di vigilare sulla osservanza dei precetti imposti: in specie, il dovere di vigilare a che gli altri lavoratori osservassero le misure e usassero i dispositivi di sicurezza e gli altri mezzi di protezione, comportandosi in modo da non creare pericolo per sé e per gli altri. In materia questa Corte ha avuto modo di enunciare il principio di diritto, assolutamente condivisibile e del tutto pertinente in relazione alla concreta fattispecie, così massimato:
"In materia di prevenzione degli incidenti sul lavoro, il "capo cantiere", anche in assenza di una formale delega in materia di sicurezza sul lavoro, è destinatario diretto dell'obbligo di verificare che le concrete modalità di esecuzione delle prestazioni lavorative all'interno del cantiere rispettino le norme antinfortunistiche" (Sez. 4, n. 12673 del 04/03/2009 Ud. (dep. 20/03/2009) Rv. 243216 Imputato: Pizzonia e altri).
La decisione impugnata non merita quindi censura nella parte in cui ha evidenziato i profili dell'imprudente comportamento del D.P. il quale decise di non armare lo scavo e di proseguire i lavori nonostante le condizioni del terreno mostrassero evidenti segni di cedimento e nonostante il pressante invito dell'escavatorista a fermare i lavori.
Atteggiamento che correttamente i giudici del merito hanno ritenuto quale segno evidente della sottovalutazione da parte del D.P. del rischio esistente in quel particolare momento nell'esecuzione degli scavi. Le parti civili contestano poi la quantificazione della colpa tra il D.P. ed il D.S.. Anche tale doglianza è priva di giuridico fondamento. Al riguardo è sufficiente osservare che, come condivisibilmente precisato da questa Corte (sia pure con riferimento a condotte colpose in tema di responsabilità da sinistri stradali, ma l'identità della "ratio" è evidente), il giudice di merito, riconosciuto il concorso di colpa della persona offesa, adempie al dovere di motivazione in ordine alla graduazione delle colpe concorrenti di cui è impossibile determinare con certezza le diverse percentuali dando atto di aver preso in considerazione le modalità del sinistro e di aver raffrontato le condotte dei soggetti coinvolti (Sez. 4, n. 32222 del 05/06/2009 Ud. (dep. 06/08/2009) Rv. 244431 Imputato: Casati); nello stesso si è espressa Sez. 4, n. 5063 del 28/03/1995 Ud. (dep. 04/05/1995) Rv. 201626 Imputato: P.C. e Cucco: "Poiché la graduazione delle colpe concorrenti nella produzione dell'evento non può essere determinata con certezza e va necessariamente apprezzata dai giudici di merito con criterio di approssimazione, l'obbligo di motivazione sul punto è soddisfatto quando i predetti, nel quantificare il concorso di colpa, hanno tenuto presente le modalità del sinistro e messo a confronto le condotte dei soggetti coinvolti nell'incidente".

Nel caso di specie la graduazione delle colpe concorrenti non poteva essere determinata in termini di certezza e, quindi, doveva necessariamente essere apprezzata dal giudice di merito con criteri di approssimazione e tale graduazione, per sua natura, non richiedeva un'articolata motivazione, che desse conto di una percentuale invece di un'altra; l'obbligo relativo deve ritenersi pertanto essere stato soddisfatto, giacché risulta che il giudice di merito, nel quantificare il concorso di colpa, ha tenuto conto delle modalità inerenti al sinistro ed ha messo sostanzialmente a confronto le condotte dei soggetti coinvolti: motivazione congrua, immune da vizi ed assolutamente plausibile, e nemmeno adeguatamente contestata dalle ricorrenti parti civili che hanno ribadito, senza valide argomentazioni dimostrative, le proprie tesi. Al rigetto di tutti i ricorsi segue, per legge, la condanna dei ricorrenti stessi al pagamento delle spese processuali; tenuto conto dell'esito dei ricorsi, vanno dichiarate interamente compensate tra le parti le spese di lite del presente giudizio.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, e dichiara interamente compensate tra le parti le spese di lite del presente giudizio.