REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe
Dott. IACOPINO Silvana Giovanna
Dott. ROMIS Vincenzo
Dott. D'ISA Claudio
Dott. MAISANO Giulio

- Presidente
- Consigliere
- Consigliere
- rel. Consigliere
- Consigliere

ha pronunciato la seguente:

Sentenza

sul ricorso proposto da:
1) R.T., N. IL ***;
avverso la sentenza n. 377/2007 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di TARANTO, del 09/07/2009;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/06/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. CLAUDIO D'ISA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. D'Angelo Giovanni, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio per prescrizione;
Udito il difensore avv. Flascanoviti Francesco per l'imputato che conclude per l'accoglimento del ricorso

 

Fatto

 

R.T. ricorre in Cassazione avverso la sentenza, in data 9.07.2009, della Corte d'Appello di Lecce, con la quale, in parziale riforma della sentenza di condanna emessa il 28.11.2006 nei suoi confronti dal Tribunale di Taranto in ordine al delitto di lesioni colpose aggravate dalla violazione delle norme antinfortunistiche, ha sostituito la pena detentiva inflitta in primo grado con quella corrispondente pecuniaria. Al R. è stato contestato, nella qualità di legale rappresentante della ditta "A. 11 - T.C. a.r.l", di aver cagionato lesioni gravissime al dipendente M.M., perché, in violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, non provvedeva a che le armature di sostegno reggenti un cassero, installate nella fossa realizzata per la posa di tubazioni fognarie, avessero lunghezza sufficiente a coprire le intere pareti dello scavo di riferimento, di tal che una frana di argilla e pietre proveniente dalle pareti della fossa investiva il M. che era sceso nel cassero.

Con un primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge nella specie del D.P.R. n. 164 del 1956, art. 13.

Secondo la corretta interpretazione di tale norma l'obbligo di chi esegue lo scavo non è quello di applicare le armature di sostegno, c.d. cassero, man mano che lo scavo procede in lunghezza, bensì quello di applicarle man mano che lo scavo procede in profondità.

Tant'è che il legislatore si è preoccupato di specificare che tale obbligo sussiste quando lo scavo diventa più profondo di mt. 1,50 e non quando questo è più lungo della stessa misura. Nel caso di specie la pubblica accusa ha contestato al R. la lunghezza non sufficiente del cassero in violazione della richiamata norma.

Con un secondo motivo si denuncia altra violazione di legge in particolare del D.Lgs. n. 494 del 1996. In ottemperanza a quanto stabilito dal capitolato speciale d'appalto e della normativa di cui al D.Lgs. n. 494 del 1996 l'azienda aggiudicataria dell'appalto con nota del 3.10.2000, depositata in atti, ha delegato il geom. C.G. per l'espletamento delle funzioni di Direttore Tecnico anche quale coordinatore in materia di sicurezza e salute della realizzazione dell'opera e di Responsabile per la sicurezza, tale nomina è stata comunicata alla stazione appaltante che l'ha accettata senza apporvi alcuna riserva. Di conseguenza la delega conferita al C. è da ritenersi assolutamente legittima e valida e, pertanto, prive di fondamento sono le valutazioni svolte sul punto dall'impugnata sentenza.

Con un terzo motivo si denuncia la violazione della L. n. 241 del 2006 avendo la Corte d'Appello applicato il condono senza richiesta della parte.

 

Diritto

 

I motivi esposti sono manifestamente infondati e, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Quanto alla richiesta di dichiarare estinto il reato per prescrizione si osserva che la manifesta inammissibilità del ricorso non consente, con il formarsi di un valido rapporto processuale, di rilevare la prescrizione del reato nelle more intervenuta.. É invero giurisprudenza assolutamente consolidata di questa Corte che l'inammissibilità del ricorso per Cassazione preclude ogni possibilità sia di far valere, sia di rilevare d'ufficio, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., l'estinzione del reato per effetto della prescrizione maturata nelle more (confr. Cass. Sez. Un. 22 giugno 2005, n. 23428). Quanto al primo motivo l'interpretazione che il ricorrente da della norma di riferimento (D.P.R. n. 164 del 1956, art. 13), per la individuazione della colpa specifica come contestata, non risponde al dato normativo.

In particolare, a base dell'affermato giudizio di colpevolezza i giudici d'appello hanno posto l'apprezzata carenza organizzativa addebitale all'imputato, il quale violando gli obblighi connessi al ruolo di datore di lavoro, aveva trascurato di assicurare l'adozione da parte dei dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative per ridurre al minimo i rischi connessi al lavoro di escavazione di buche profonde oltre due metri in un terreno la cui consistenza non dava sufficienti garanzia di stabilità. Non è, infatti, dubitabile la posizione di garanzia in cui si trovava il R., nella richiamata qualità di datore di lavoro, in ragione dei propri compiti all'interno dell'azienda, che imponevano ad esso di attivarsi positivamente per organizzare le attività lavorative in modo sicuro (in ossequio agli obblighi comportamentali imposti dalla legge: D.P.R. n. 164 del 1956, artt. 13 e 14), assicurandosi che si provvedesse all'applicazione delle necessarie armature di sostegno man mano che procedeva lo scavo, che è rimasto privo delle necessarie puntellature per buona parte della sua lunghezza; lo scavo, profondo più di mt. 1,50, era lungo mt. 6 mentre l'armatura (cassero) di sostegno delle pareti era lunga solo mt. 3,2. La lettera della norma è inequivocabile: le armature, atte ad evitare il franamento delle pareti dello scavo, vanno applicate man mano che si procede con lo scavo in lunghezza. La opposta tesi del ricorrente, secondo cui le armature vanno applicate man mano che si procede in profondità riguarda l'esecuzione di pozzi. Sul punto la motivazione della sentenza impugnata è pianamente condivisibile per la conformità al dato normativo ed alla giurisprudenza di questa Corte. Per altro, si deve precisare, che, al di là del richiamo operato in sentenza agli artt. 13 e 14, l'addebito di colpa specifica è da ricondurre più generalmente al disposto dell'art. 2087 c.c., in forza del quale il datore di lavoro è comunque costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo reattivo previsto dall'art. 40 c.p., comma 2.

La ricostruzione operata in sentenza, con l'individuazione dell'addebito colposo riconducibile al R. e della rilevanza causale di detto addebito rispetto alla verificazione dell'evento lesivo (secondo motivo), non offre spazi per potere qui recepire l'assunto difensivo che sembrerebbe voler ricondurre detto evento alla responsabilità del geom. C., Direttore Tecnico dei lavori, nominato anche Coordinatore in materia di sicurezza e salute e di Responsabile per la sicurezza.

La puntuale risposta data dalla Corte Distrettuale sul punto è immune da censure di diritto. Corretto, invero, è il richiamo al D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 6, comma 2 - nel testo introdotto dal D.Lgs. n. 528 del 1999 - "La designazione del coordinatore per la progettazione e del coordinatore per l'esecuzione (così denominato, ex art. 2, lett. f) dello stesso decreto, il "coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la realizzazione dell'opera" n.d.r.), non esonera il committente o il responsabile dei lavori dalle responsabilità connesse alla verifica dell'adempimento degli obblighi di cui all'art. 4, comma 1, e art. 5, comma 1, lett. a)".

E il D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5, comma 1, lett. a) espressamente prevede l'obbligo di "verificare, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l'applicazione da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'art. 12 e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro...". Altrettanto puntuale è il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui "in materia di infortuni sul lavoro, dopo le modifiche apportate al D.Lgs. n. 494 del 1996 dal D.Lgs. n. 528 del 1999, l'obbligo di verificare l'effettiva e corretta applicazione delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento grava non solo sul coordinatore per la sicurezza, ma altresì sul committente e sul responsabile dei lavori (Cass. Sez. 4, 6.12.2007, Mandalari e altro).

Giova aggiungere che il testo originario del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 6 non conteneva l'espresso riferimento al comma 1, art. 4, comma 1 e art. 5, comma 1, lett. a). Ne deriva che, ai fini dell'attuazione della direttiva 92/57/ CEE in materia delle prescrizioni di sicurezza e di salute da osservare nei cantieri temporanei o mobili, il legislatore del 1999 ha ritenuto opportuno non solo delineare in termini più specifici gli obblighi dei committenti e dei responsabili dei lavori ma anche ampliarne il contenuto statuendo che essi sono tenuti a svolgere una funzione di supercontrollo, verificando che i coordinatori adempiano agli obblighi su loro incombenti qual è quello consistente, non solo nell'assicurare - come nel testo normativo originario - ma anche nel verificare l'applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'art. 12 nonché la corretta applicazione delle procedure di lavoro.

In definitiva, merita di essere condivisa l'affermazione della Corte territoriale, secondo cui la legge ha inteso rafforzare la tutela dei lavoratori rispetto ai rischi cui possano essere esposti nello svolgimento dell'opera, prevedendo in capo ai committenti ed ai responsabili dei lavori, una posizione di garanzia particolarmente ampia dovendo essi, sia pure con modalità diverse rispetto a datori di lavoro, dirigenti e preposti, prendersi cura della salute e dell'integrità fisica dei lavori, garantendo, in ultima istanza ed in caso di inadempienza dei predetti soggetti, l'osservanza delle condizioni di sicurezza previste dalla legge.

Ma, al di là di queste considerazioni in diritto che già negano valenza difensiva alla tesi proposta dal ricorrente, la Corte d'Appello ha altresì evidenziato in fatto, accogliendo sul punto il rilievo del Tribunale, che la lettera di conferimento, cui ha fatto riferimento il R., al geom. C. dell'incarico di "Direttore tecnico del servizio" e di "Responsabile della sicurezza" non può essere qualificata come valida delega perché non contiene alcun espresso riferimento ai poteri decisionali e di intervento effettivamente trasferiti al C. in materia di predisposizione, attuazione delle misure di sicurezza e di verifica e controllo nel cantiere circa la reale osservanza delle relative norme da parte dei lavoratori e dei preposti.

In vero, come esattamente evidenziato dai giudici di merito, pur accogliendo quella tesi difensiva, non potrebbe essere esclusa la responsabilità del datore di lavoro, sotto il profilo della culpa in eligendo e di quella in vigilando da parte dello stesso. Con ovvie conseguenze in tema di riconducibilità dell'evento lesivo proprio a tale condotta. Il ricorrente dimentica, inoltre, che in sede di legittimità non è possibile una rinnovata valutazione dei fatti e degli elementi di prova.

È principio non controverso, infatti, che nel momento del controllo della motivazione, la Corte di Cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una "plausibile opinabilità di apprezzamento".

Per completezza espositiva, comunque, si osserva che costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, quello secondo cui in materia di infortuni sul lavoro, gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro possono essere delegati, con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al datore di lavoro.

Tuttavia, il relativo atto di delega deve essere espresso, inequivoco e certo e deve investire persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento, che abbia accettato lo specifico incarico, fermo comunque l'obbligo per il datore di lavoro di vigilare e di controllare che il delegato usi, poi, concretamente la delega, secondo quanto la legge prescrive (v. Cass., sez. 4A, 22.10.2002, Bevilacqua; Cass. Sez. 4A, 25 agosto 2000, Archetti e 12 dicembre 1995, Villa ed altro; in particolare, sulla necessità che sia rigorosamente provata l'esistenza di una delega espressamente e formalmente conferita, con pienezza di poteri ed autonomia decisionale, Cass., sez. 4A, 23 marzo 1998, Ruggiero e Cass., sez. 2A, 20 settembre 1994, Cairo), Non è quindi censurabile la sentenza impugnata, che non si discosta da tali principi.

Con riguardo all'ultimo motivo si osserva che il condono va applicato ex officio e non su richiesta di parte, semmai è l'imputato che deve dichiarare di volervi rinunciare.
Segue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di Euro 1000,00 (mille/00) a titolo di sanzione pecuniaria.

 

P.Q.M.

 
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.