REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCALI Piero
Dott. CAMPANATO Graziana
Dott. GALBIATI Ruggero
Dott. ROMIS Vincenzo
Dott. MASSAFRA Umberto

- Presidente
- Consigliere
- Consigliere
- Consigliere
- rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:
1) A.G., N. IL ***;
avverso la sentenza n. 1077/2008 CORTE APPELLO di MESSINA, del 22/06/2009;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/06/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO MASSAFRA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. De Santis Fausto, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore avv. Lo Presti Giuseppe di Bracellona (ME) che chiede l'accoglimento insistendo nei motivi di ricorso.

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 22.6.2009 la Corte di Appello di Messina confermava quella in data 30.10.2007 del Giudice monocratico del Tribunale di Barcellona P.G., sezione distaccata di Lipari, che aveva condannato A.G., con circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, alla pena condizionalmente sospesa di mesi diciotto di reclusione per il delitto di cui all'art. 589 c.p. per avere, nella qualità di rappresentante legale e responsabile tecnico della Impresa A. sas - in cooperazione con P.A., F.A., G.M., B. G. e M.R. (nei confronti dei quali si procedeva separatamente) - per imprudenza, negligenza ed inosservanza di legge cagionato la morte di M.G. il quale, accedendo nell'area del cantiere per la esecuzione dei lavori di completamento della salita *** e di sottosbancamento della salita ***, non vietata al transito pedonale da alcuna segnaletica né da transennamenti, o impedimenti di sorta ancorché limitante a strapiombo sulla sottostante scogliera, si appoggiava ad una ringhiera in ghisa collocata ad apparente protezione dallo strapiombo senza che i relativi montanti fossero stati fissati nella pavimentazione con alcun rimedio stabile tale da reggere a sollecitazioni anche di modestissima entità in condizioni di normalità o di emergenza, e precipitava sugli scogli a seguito dell'immediato cedimento degli appoggi dei montanti. Colpa consistita, quanto all' A., per non avere provveduto alla collocazione della segnaletica di sicurezza (D.P.R. n. 524 del 1982) ed alla recinzione del cantiere nonostante la particolare condizione di rischio di caduta sulla scogliera senza apprestare neppure opere provvisionali per scongiurare detto pericolo nella fase di sospensione dei lavori - come nella specie - durante la quale attenuato è il controllo del cantiere e più probabile l'ingresso da parte di estranei. Tanto anche in violazione di specifica normativa richiamata nel capitolato d'appalto (D.P.R. n. 547 del 1955, art. 8, D.P.R. n. 164 del 1956, art. 16). Con l'aggravante di cui all'art. 589 c.p., comma 2 per aver commesso il fatto con violazione delle norme che disciplinano la prevenzione degli infortuni nei lavori (commesso il ***).

Avverso tale sentenza nonché avverso l'ordinanza dibattimentale della Corte di Appello di Messina che rigettava l'eccezione di nullità del decreto di citazione dinanzi a detta Corte per l'udienza del 22.6.2009 e l'ordinanza dichiarativa della contumacia dell' A., ricorre per Cassazione A.G. deducendo i seguenti motivi.

1. La violazione di legge in relazione all'art. 157 c.p.p., comma 1, artt. 171, 178 e 179 c.p.p. e vizio motivazionale, assumendo l'erroneità del rigetto dell'eccezione di nullità della notifica del decreto di citazione a giudizio di 1^ grado: adduce che la madre "domiciliataria" come qualificata nella relata di notifica, tale non era, in quanto egli pur avendo eletto il domicilio in via dei ***, non aveva però indicato la madre come domiciliataria.

2. La violazione dell'art. 484 c.p.p., art. 420 c.p.p., comma 2, art. 420 quater c.p.p., comma 1, artt. 598, 171, 178 e 179 in ordine alla dichiarazione di contumacia dell'imputato attesa l'irritualità della notifica sopra rilevata.

3. La violazione di legge e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza del reato, poiché il testimoniale assunto portava ad individuare quale causa dell'evento il fatto illecito di terzi che avevano rimosso (la sera prima dell'incidente) le recinzioni regolarmente collocate dall'impresa: la Corte aveva omesso di esaminare la specifica censura di appello (il primo motivo) in ordine all'applicabilità dell'art. 41 c.p..

4. La violazione di legge e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine all'art. 597 c.p.p., comma 1 e art. 589 c.p., assumendo che la Corte territoriale aveva omesso di pronunciarsi sulla censura relativa alla nullità della contestazione dell'aggravante di cui all'art. 589 c.p., comma 2, a causa della mancata indicazione delle norme giuridiche in materia di infortuni sul lavoro pretesamente violate dall'imputato.

5. La violazione di legge e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine all'art. 597 c.p.p., comma 1 e artt. 157 e 589 c.p., assumendo che la Corte territoriale aveva omesso di pronunciarsi sulla censura relativa alla nullità della contestazione dell'aggravante di cui all'art. 589 c.p., comma 2, allorquando il reato originariamente contestato di cui all'art. 589 c.p. era già prescritto.

6. La violazione di legge e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione allorché la Corte aveva disatteso la censura d'appello relativa alla richiesta del giudizio di prevalenza delle concesse circostanze attenuanti generiche rispetto all'aggravante, non avendo valutato taluni elementi a favore dell'imputato.

7. La violazione di legge ed il vizio motivazionale avendo la Corte territoriale disatteso il 9^ motivo d'appello, con il quale ci si doleva dell'eccessività della pena inflitta che avrebbe dovuto essere ricondotta nel minimo edittale.

È pervenuta una memoria difensiva con motivi "aggiunti" di data 8.6.2010, con cui si insiste sull'omessa pronuncia di estinzione del reato per prescrizione.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va rigettato.

Sub 1 e 2. Corretta ed ineccepibile è la motivazione addotta dalla Corte territoriale in ordine al rigetto dell'eccezione di nullità della notificazione del decreto di citazione dell' A. e della conseguente dichiarazione di contumacia.

Premesso che l'eventuale non convivenza del consegnatario dell'atto notificato necessita di prova rigorosa e che può essere anche solo temporanea, è palese come il termine "domiciliataria" attribuito alla madre dell'imputato rinvenuta all'indirizzo indicato dal medesimo e quindi al domicilio dichiarato, non vale a modificare la dichiarazione stessa.
Peraltro, la nota sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 119 del 27.10.2004 (Rv. 229541) non solo ha chiarito che in tema di notificazione della citazione dell'imputato, la nullità assoluta e insanabile prevista dall'art. 179 c.p.p. ricorre soltanto nel caso in cui la notificazione della citazione sia stata omessa o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell'atto da parte dell'imputato; la medesima nullità non ricorre invece nei casi in cui vi sia stata esclusivamente la violazione delle regole sulle modalità di esecuzione, alla quale consegue la applicabilità della sanatoria di cui all'art. 184 c.p.p., ma altresì che l'imputato che intenda eccepire la nullità assoluta della citazione o della sua notificazione, non risultante dagli atti, non può limitarsi a denunciare la inosservanza della relativa norma processuale, ma deve rappresentare al giudice di non avere avuto cognizione dell'atto ed indicare gli specifici elementi che consentano l'esercizio dei poteri officiosi di accertamento da parte del giudice.

Sub 3. È evidente l'aspecificità della censura, atteso che a tale doglianza la sentenza impugnata ha risposto con motivazione ampia e congrua (pagg. 5-11 sent), ribadendo l'onere di vigilanza incombente sull'imprenditore circa l'efficienza di quanto predisposto per la sicurezza anche durante il periodo di sospensione dei lavori e la qualità inadeguata (ringhiera con montanti infilati in buchi e fissati con cunei di legno) delle misure prevenzionali e ciò a prescindere dall'intervento di terzi la cui condotta avrebbe potuto al massimo concorrere con quella dell' A. ma giammai escluderne la responsabilità.

Ma anche i motivi di ricorso sub 6 e 7 sono aspecifici, essendosi limitati a riproporre in questa sede le medesime doglianze rappresentate in appello e da quel giudice disattese con motivazione ampia e congrua, immune da vizi ed assolutamente plausibile: infatti deve ritenersi inammissibile il ricorso per Cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev'essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare o eludere le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell'art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all'inammissibilità (cfr. Cass. pen. Sez. 4, 29.3.2000, n. 5191 Rv 216473 e successive conformi, quale: Sez. 2, 15.5.2008 n. 19951, Rv. 240109). Del resto, quanto al giudizio di comparazione di mera equivalenza, si deve rammentare che le "statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti sono censurabili in Cassazione soltanto nella ipotesi in cui siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico, essendo sufficiente a giustificare la soluzione della equivalenza aver ritenuto detta soluzione la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto" (Cass. pen., sez. 1, 16.2.2001, n. 15542, rv. 219263): nel caso di specie, non può ravvisarsi alcuna violazione di tali principi, essendo stata correttamente ed adeguatamente motivata l'impossibilità di addivenire ad un giudizio più favorevole della mera equivalenza.
Del pari corretta ed esaustiva è la motivazione in ordine al rigetto della richiesta di riduzione della pena, ritenuta "del tutto equa e proporzionata alla gravità dei fatti e alla personalità dell'imputato", tenuto conto "dei limiti minimo e massimo previsti dalla relativa norma incriminatrice" e pienamente legittima la conseguente risoluzione di non accordare alcuna riduzione alla pena inflitta.

Quanto alle censure sub 4 e 5, se ne deve rilevare l'infondatezza poiché - a parte il fatto che la contestazione formale in udienza fu del tutto rituale e comunque non poteva essere preclusa dal decorso del minor termine prescrizionale previsto per il reato non aggravato in assenza di specifica sollecitazione al riguardo, atteso lo svolgimento in corso del giudizio, in ogni caso siffatta contestazione, di natura prettamente formale con riferimento all'art. 589 c.p., comma 2, era sostanzialmente superflua, dal momento che la condotta colposa in violazione delle norme antinfortunistiche, e quindi l'aggravante stessa, già risultava implicitamente ed "in fatto" formulata nel testo complessivo dell'imputazione. Non era, infatti, nemmeno necessaria la precisa indicazione delle norme antinfortunistiche violate che, tuttavia, risultano a sufficienza richiamate nell'imputazione (D.P.R. n. 524 del 1982, D.P.R. n. 547 del 1955, art. 8, D.P.R. n. 164 del 1956, art. 16). Consegue che non poteva ritenersi maturato il termine prescrizionale che, per effetto dell'aggravante in questione, si realizza in 12 anni, secondo la nuova formulazione dell'art. 157 c.p., comma 6, elevato a 16 anni per l'effetto interruttivo di cui all'art. 161 c.p..
Attesa la commistione di cause d'inammissibilità e di infondatezza con prevalenza di queste ultime, deve conseguire il rigetto del ricorso e, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.