REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCALI Piero
Dott. ROMIS Vincenzo
Dott. MAISANO Giulio
Dott. IZZO Fausto
Dott. MASSAFRA Umberto

- Presidente
- Consigliere
- Consigliere
- Consigliere
- rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:
1) P.G., N. IL ***;
avverso la sentenza n. 2677/2007 CORTE APPELLO di PALERMO, del03/02/2009;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/04/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO MASSAFRA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Monetti Vito, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 3.2.2009 la Corte di Appello di Palermo in parziale

riforma di quella emessa in data 9.1.2007 dal Tribunale di Termini Imerese - sede distaccata di Corleone, che aveva assolto perché il fatto non sussiste Q.G. e P.G. dal reato di omicidio colposo in danno del lavoratore M.S. (commesso il ***), su appello del P.M., previa concessione a P.G. delle circostanze attenuanti generiche, prevalenti sulla contestata aggravante della violazione delle norme degli infortuni sul lavoro, dichiarava non doversi procedere nei confronti del P. in ordine al reato ascrittogli perché estinto per sopravvenuta prescrizione, confermando nel resto la predetta sentenza.
In particolare, al P. era contestato di aver, quale titolare dell'omonima impresa individuale concernente edilizia e scavi, omesso di predisporre il piano di sicurezza di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4 ed aver omesso di delimitare la zona di scavo inibendo l'accesso ai lavoratori, violando il D.P.R. n. 164 del 1956, art. 102, commi 3 e 4, in relazione al cit. D.P.R., art. 77, così creando le condizioni perché il Q., dipendente del P., operando alla guida dell'escavatore meccanico, colpisse al capo con la benna il lavoratore M.S. causandone il decesso a distanza di sei giorni.
La Corte territoriale riteneva che causa della morte fosse stata, piuttosto, la caduta accidentale del M., geometra (ma non dimostratamente anche capocantiere), e che il P. aveva, come da dichiarazione rilasciata all'Ispettorato del Lavoro, assunto personalmente la responsabilità per la prevenzione infortuni in relazione ai lavori eseguiti dalla sua ditta, omettendo di curare la delimitazione della zona, inibendo l'accesso sia ai lavoratori che a qualunque altra persona, ponendosi così la sua condotta omissiva in diretto rapporto di causalità con l'evento.
Avverso tale sentenza interpone impugnazione il difensore di P.G., assumendo che le acquisizioni probatorie confliggevano con la immotivata scelta di qualificare la posizione della vittima come "lavoratore subordinato".
Richiama talune pronunce di questa Corte circa la possibilità che la delega ad altri soggetti dei compiti inerenti la sicurezza da parte del datore di lavoro possa emergere dalle risultanze processuali e non necessariamente da un atto scritto. Deduce l'omesso esame delle circostanze probatorie acquisite che evidenzierebbe l'infondatezza della presunta violazione del D.P.R. n. 164 del 1956, art. 12, commi 3 e 4 e la carenza di indagini e riscontri processuali sulle condizioni fisiche della vittima, atteso il mancato esame autoptico per l'accertamento di un eventuale improvviso malore.

Motivi della decisione

L'impugnazione, che nemmeno viene adeguatamente qualificata come ricorso per Cassazione, è inammissibile.

Invero, le censure mosse non sono consentite nella presente sede di legittimità in quanto di puro fatto oltre ad essere totalmente generiche.
Non è inutile ricordare, in via preliminare e con riferimento a tutte le deduzioni della difesa, che il nuovo testo dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, con la ivi prevista possibilità per la Cassazione di apprezzare i vizi della motivazione anche attraverso gli "atti del processo", non ha alterato la fisionomia del giudizio di Cassazione, che rimane giudizio di legittimità e non si trasforma in un ennesimo giudizio di merito sul fatto. In questa prospettiva, non è tuttora consentito alla Corte di Cassazione di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
Il novum normativo, invece, rappresenta il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto "travisamento della prova", finora ammesso in via di interpretazione giurisprudenziale: cioè, quel vizio in forza del quale la Cassazione, lungi dal procedere ad una inammissibile rivalutazione del fatto e del contenuto delle prove, può prendere in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti onde verificare se il relativo contenuto sia stato o no "veicolato", senza travisamenti, all'interno della decisione (Cass. pen. Sez. 5, 25.9.2007, n. 39048, rv. 238215; Sez. 6, 18.12.2006, n. 752, rv. 235733 ed altre).
Ma la Corte territoriale ha dato conto, con esaustiva ed adeguata motivazione esente da vizi logici e giuridici, di tutti gli elementi che supportano la responsabilità del P., evidenziando che l'assunzione della responsabilità per la prevenzione infortuni in relazione ai lavori eseguiti dalla sua ditta era intervenuta tramite la dichiarazione rilasciata dal medesimo imprenditore all'Ispettorato del Lavoro.
Né è mai stata revocata in dubbio la qualifica di lavoratore subordinato della vittima di cui non è stato mai dimostrato il ruolo di capocantiere (comunque ininfluente ai fini della responsabilità del datore di lavoro, attesa la dichiarazione predetta).
Ogni altra considerazione, come quella relativa alle condizioni soggettive della vittima, svolta nell'atto di "impugnazione", è palesemente svincolata dal contesto motivazionale dell'impugnata sentenza che ha sul punto completamente soppiantato le argomentazioni di quella di primo grado che ha riformato, e dalla stessa contestazione.
Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale, sent. n. 186 del 7 - 13 giugno 2000) al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della cassa delle ammende.