REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MARZANO Francesco
Dott. ZECCA Gaetanino
Dott. IACOPINO Silvana Giovanna
Dott. GALBIATI Ruggero
Dott. BIANCHI Luisa

- Presidente
- rel. Consigliere
- Consigliere
- Consigliere
- Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:
1) B.R.;
2) B.A.;
3) B.A.M.;
4) F.R.;
5) G.F. n. il *** imputato;
6) Ba.R. n. il *** imputato;
7) S.B. Srl S. Bologna;
Avverso la sentenza n. 1237/2007 pronunziata dalla Corte di Appello di Bologna il 14/11/2008;
Visti gli atti, la sentenza, e i ricorsi;
Udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione svolta dal Consigliere Dott. ZECCA Gaetanino;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. SALVI Giovanni il quale ha concluso per il rigetto dei ricorsi G. e Ba.; accoglimento dei ricorsi delle parti civili S.B. ed eredi limitatamente alla percentuale di responsabilità; Rigetto nel resto;
Udita per le parti civili B.R., B.A., e F.R., l'Avvocato Codegà Angela che si riporta alle conclusioni scritte e deposita nota spese;
Udito per la parte civile S.B. S. Bologna srl., l'Avvocato Russi Giuseppe che si riporta alle conclusioni scritte e deposita nota spese;
Udito per l'imputato G. l'Avvocato Petringa Nicolosi Roberto che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.


Svolgimento del processo


La Corte di appello di Bologna con sentenza pronunziata il 14/11/2008 ha confermato la sentenza di condanna pronunziata dal Tribunale monocratico di Bologna impugnata dagli imputati, dal responsabile civile e dalle parti civili. Il Tribunale di Bologna aveva ritenuto gli imputati G.F. e Ba.R. responsabili di omicidio colposo (concesse ad entrambi le attenuanti generiche equivalenti per G. e prevalenti per Ba. sulle contestate aggravanti; applicata la non menzione e sospensione ritenute più favorevoli dell'indulto) per la morte di B.G. responsabile locale della ditta S.B. srl., ma talora indicato in sentenza (pg. 11, 27) come "datore di lavoro". Il B. essendo rimasto a lavorare - all'interno dello stabilimento della S.B. in Bologna - in posto non idoneo perché privo di difese contro la caduta di materiali cagionata da attività lavorativa di terzi, veniva investito e schiacciato dal ribaltamento di un carrello elevatore occupato in lavori di sistemazione di bobine di carta del peso ognuna di circa 1.800 kg. Il primo giudice aveva individuato un concorso della vittima rapportato al 50% della responsabilità, aveva condannato gli imputati e il responsabile civile Stili Commerciale srl in persona del suo legale rappresentante, al risarcimento del danno patrimoniale in danno di S.b. srl (limitato alle spese funebri sostenute dall'azienda,e alle spese di consulenza, ma con esclusione delle spese liquidate ai superstiti quali retribuzioni differite), aveva condannato (con condanna generica) gli imputati e il responsabile civile Stili commerciale srl (succeduta nei rapporti di credito/debito di A. e G. srl a seguito di incorporazione per fusione) in persona del suo legale rappresentante, al risarcimento del danno in favore delle altre parti civili, da liquidare in separata sede, nonché al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva, e per importi diversificati, in favore delle parti civili F.R., B.M., B.A., B.R. per il danno morale. La stessa sentenza rigettava la domanda di danno morale avanzata da S.b. srl e, infine, provvedeva sulle spese di controversia tra le parti.

Al G. nella sua qualità di legale rappresentante della ditta A. e G. Commerciale srl., era addebitata imprudenza negligenza imperizia nonché violazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 6 comma 2, per aver venduto alla ditta R. il carrello Cesad Eco KD 250 attrezzato con pinza porta bobine, senza aver provveduto a far sottoporre la macchina risultante dalla combinazione carrello + pinza porta bobine alle verifiche di stabilità previste da L. n. 304 del 1991 e ad aggiornare le targhette relative ai carichi ammissibili con i dati derivanti dalle verifiche effettuate. Il reato contravvenzionale era stato dichiarato estinto per prescrizione fin dalla prima sentenza.

Al Ba., quale facchino addetto alla movimentazione del carrello munito di pinza era egualmente addebitato il reato di omicidio colposo e la specifica violazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 2, lett. b) perché, pur operando in ambiente di lavoro con ridotti spazi di manovra (nella sentenza di primo grado con riferimento a due elaborati di CT si legge che la larghezza del transito era di m. 3,54 a fronte di un ingombro del muletto pari a m. 3,49) e in presenza di persone, ometteva di adottare le doverose cautele non richiedendo, tra l'altro, che la corsia di manovra fosse maggiormente accessibile, ovviando invece al problema con manovre pericolose e per non aver invitato i presenti ad allontanarsi durante le manovre di carico.

Gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione per ottenere l'annullamento del provvedimento appena sopra menzionato.

Hanno pure proposto ricorso per cassazione la parte civile S.B. S. Bologna srl e le altre parti civili costituite. S.b. srl ha proposto ricorso per ottenere l'annullamento dei capi di domanda afferenti l'azione civile e con l'affermazione di responsabilità per danno patrimoniale e per danno non patrimoniale e per l'affermazione di responsabilità esclusiva degli imputati o di minor responsabilità della vittima con rinvio al giudice civile competente. Le parti civili F.R., B.M., B.A., B.R. hanno proposto ricorso per ottenere l'annullamento dei capi di sentenza afferenti l'azione civile in punto di affermazione di un concorso della vittima e di S.b. srl pari al 50% essendo tale responsabilità o esclusiva degli imputati o pari ad una quota percentuale minore di quella ritenuta.

All'udienza pubblica del 5/2/2010 il ricorso è stato deciso con il compimento degli incombenti imposti dal codice di rito.

Motivi della decisione

Ai due imputati G. e Ba. è stato contestato il delitto di cui agli artt. 40 e 41 cpv., art. 589, commi 1 e 2 per aver cagionato per colpa, consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia, nonché nella violazione delle norme per gli infortuni sul lavoro, di seguito meglio indicate, la morte di B.

G., responsabile della unità locale della S.B. srl, il quale, essendo rimasto a lavorare in un posto inidoneo perché non difeso contro la caduta dei materiali in dipendenza della attività lavorativa di terzi, veniva investito e schiacciato da un carrello elevatore a seguito di ribaltamento dello stesso, nel corso dei lavori di sistemazione di alcune bobine di carta del peso ognuna di KG 1.800 circa; condotta come di seguito specificata per ciascuno dei due imputati: per G., quale legale rappresentante della Ditta A. & G. Commerciale srl nella violazione del D.lgs. 19.9.94 n. 626 , art. 6, comma 2 per avere venduto alla ditta R. il carrello Cesab Eco K/D 250 attrezzato con la pinza porta bobine, senza aver provveduto a far sottoporre la macchina risultante dalla combinazione carrello/pinza alle verifiche stabilite da D.Lgs. n. 304 del 1991 e ad aggiornare con l'aggiunta dei dati derivati da tali verifiche le targhette relative ai carichi ammissibili;

per Ba., quale facchino/mulettista alla guida dello stesso muletto Cesab modificato, nella violazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 5, comma 2, lett. B) perché, pur operando in un ambiente di lavoro con ristretti spazi di manovra ed in presenza di persone, ometteva di adottare le doverose cautele, non richiedendo fra l'altro che la corsia di manovra fosse resa maggiormente accessibile invece di avviarvi manovre pericolose, nonché non avvisando e non invitando i presenti ad allontanarsi durante le operazioni di carico.

G.F. imputato ricorrente impugna tutti i punti della sentenza e articola i motivi di ricorso sotto forma di specifiche richieste; 1) la prima richiesta vuole ottenere l'annullamento della ordinanza 6/5/2005 del Tribunale di Bologna e della motivazione di appello nella parte in cui condivide la statuizione di primo grado, che rigettava la opposizione della difesa dell'imputato alla costituzione di parte civile S.b. srl per violazione degli artt. 74 e seg. c.p.p. in relazione all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e) per difetto di legittimazione della S.b., nonché per mancanza di motivazione rappresentata dalla mancata risposta "ai numerosi temi analizzati nell'atto di appello" Secondo il ricorrente G., il B., anche in relazione a delibera assembleare S.b. del 19/6/1995 specificamente menzionata in ricorso, sarebbe stato responsabile S.b. per gli obblighi connessi alla legislazione antinfortunistica con conferimento di autonomia decisionale senza limitazione di poteri, sicché verserebbe in una posizione di garanzia propria di un datore di lavoro, si identificherebbe col datore di lavoro S.B. srl., e la sua concorrente responsabilità nella determinazione dell'infortunio escluderebbe la possibilità di S.b., responsabile attraverso la vittima, della omessa protezione dei luoghi di lavoro contro la caduta dei materiali e della omessa verifica della modificata portata del carrello, di costituirsi parte civile contro gli imputati. Il motivo di censura sottolinea che S.b. era il principale responsabile per gli obblighi di sicurezza dei quali la sentenza censurata afferma la avvenuta violazione.

2) Chiede l'annullamento della sentenza di appello per violazione dell'art. 495 c.p.p., comma 2, in relazione all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), per mancata assunzione di prova decisiva richiesta dalla difesa conche per mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione.

Con l'ordinanza del 15/11/2005 era stata escluso l'esame del teste R. (legale rappresentante della società fornitrice della pinza) per essere le circostanze della sua deposizione ricompresse nella deposizione del consulente di parte ing. Z. da sentire come teste. Viceversa le circostanze erano totalmente diverse (relative quelle di R. alla collocazione al momento della fornitura e non al momento dell'infortunio, della targhetta con la portata della pinza fornita) sicché l'ordinanza in questione aveva privato la difesa di un mezzo decisivo e tale privazione era stata reiterata dalla conferma della Corte di appello.

3) Chiede l'annullamento della sentenza di appello per violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, per mancanza o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla insussistenza del nesso di causalità.

Il ricorrente afferma che anche laddove la targhetta con la esatta portata del mezzo modificato fosse stata correttamente collocata, l'uso di bobine da 1700 kg avrebbe autonomamente determinato il ribaltamento sicché la pur negata mancanza della targhetta non aveva avuto incidenza causale alcuna sulla determinazione del reato.

La motivazione sulla causalità si sarebbe affidata ad una serie di congetture circa le azioni del Ba. prima del sinistro e in relazione alla discussa targhetta con le indicazioni di capacità di carico.

La Corte non avrebbe operato adeguato giudizio controfattuale considerando la ipotesi di corretta esistenza e collocazione della targhetta oggetto di discussione, posto che la presenza della targhetta non avrebbe dato alcuna certezza o altissima probabilità di non verificazione del ribaltamento del muletto.

Ba.R. imputato ricorrente denunzia:

1) Violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e). Manifesta illogicità della motivazione della sentenza della Corte di Appello, in punto di individuazione della colpa dell'imputato, peraltro limitata alla mancata astensione dalla attività di conduzione del muletto con pinza, vizio risultante sia dal testo del provvedimento impugnato che dalla lettura delle deposizioni testimoniali rese; La motivazione in punto di responsabilità del Ba. sarebbe tanto stringata da essere assente e sarebbe illogica per contraddittorietà tra le indicazioni di causalità del ribaltamento e indicazione della colpa per mancata astensione da operazioni di carico in condizioni di pericoloso affollamento di persone.

Sarebbe ancora illogica perché attribuita ad altri due protagonisti una quota di colpa del 50% per ciascuno, nulla residuerebbe a carico del Ba. e perché dopo aver detto il lavoratore Ba. obbligato alla esecuzione di ordini altrui gli aveva addebitato la mancata disobbedienza a quegli ordini.

In fatto il Ba. allega la modificazione della organizzazione del lavoro introdotta dalla stessa vittima B. che aveva disposto la contestuale attività della rotativa e della movimentazione dei rotoli di carta senza che peraltro il rischio conseguente fosse considerato nel documento di valutazione dei rischi aggiornato alla data della modificazione.

3) Violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e). Manifesta illogicità della motivazione della sentenza della Corte di Appello, in punto di conferma della condanna del Ba. al risarcimento dei danni.

Alla assenza di responsabilità penali del Ba. doveva conseguire la riforma della sentenza di primo grado anche in punto di condanna al risarcimento dei danni.

La parte civile costituita S.b. S. Bologna srl denunzia:

1) Carenza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in punto di individuazione di una colpa del B. definito, (forse per errore di scrittura), datore di lavoro, non superiore a quella del G. fornitore della macchina, con riguardo alla ripartizione percentuale tra tre soggetti che non potevano rispondere dunque di responsabilità al 50% ciascuno e dei quali due avevano in tesi responsabilità eguale e uno, il Ba. una responsabilità correlata a condotta sconsiderata e assurda come tale di qualche consistenza rilevante sulla determinazione della percentuale individuale e sulla percentuale residua degli altri due;

2) inosservanza o erronea applicazione della legge penale in punto di rigetto della domanda di risarcimento del danno non patrimoniale per avere la sentenza di primo grado ritenuto, quanto al danno patrimoniale eccedente le spese funerarie e le spese di perizia, che le somme richieste corrisposte dalla azienda ai superstiti quanto meno per la parte corrispondente alla indennità di preavviso compresa nelle indennità corrisposte in ragione di Euro 278.627,87 ex artt. 21 e 25 del CCNL per dirigenti, costituissero forme di retribuzione differita e per avere escluso la risarcibilità di danno non patrimoniale a fronte della natura di persona giuridica del soggetto richiedente e per avere invece la sentenza di appello ritenuto si liquidabile in astratto il danno morale ma per averlo negato in concreto per asserita e non motivata mancanza di prova del danno stesso.

La società ricorrente ha concluso per l'annullamento dei capi afferenti l'azione civile ad eccezione del punto che ha liquidato una parte del danno patrimoniale per Euro 5.229,55 con rinvio degli atti al giudice civile competente per valore.

Le parti civili costituite F.R., B.M., B.A., B.R. denunziano:

Carenza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in punto di quantificazione del concorso di colpa della vittima. Anche questo ricorso ripropone i temi del riparto di responsabilità tra tre soggetti uno dei quali il Ba. ritenuto colpevole per condotta sconsiderata e assurda sicché certamente tra i due ritenuti ulteriori concorrenti non resta una percentuale 100% da ripartire tra loro. I ricorrenti evidenziano la mancata applicazione del principio generale di cui all'art. 1298 c.c. che regola i rapporti interni tra debitori solidali.

Questa Corte rileva:

Dagli accertamenti in fatto operati dalla sentenza di primo grado, e confermati dalla sentenza di appello, risulta che il muletto con originaria capacità di sollevamento fino a KG 2.200 vedeva ridotta questa capacità a causa della portata della pinza solleva bobine capace di massimi KG 1500 mentre al momento dell'infortunio il carico reale era di 1770 KG oltre il peso della pinza e lo spostamento sfavorevole del baricentro del mezzo (CT esaminate in sentenza compresa la CT per l'imputato G. nonché le prove testimoniali).

Il rovesciamento del mezzo (a sua volta causa della morte della vittima) era avvenuto in fase di carico di una bobina, in conseguenza della incompatibilità tra operazione svolta e capacità della macchina impiegata. Secondo l'accertamento di sentenza il sovraccarico aveva contribuito in misura determinante, e non per eccezionale accadimento, al ribaltamento del mezzo.

Il muletto modificato a cura della ditta venditrice A. e G. (secondo indicate deposizioni testimoniali e indicata documentazione specifica) in assenza di alcuna autorizzazione della ditta costruttrice, non portava al momento del fatto (secondo specifica motivazione di merito sul punto) alcuna targa con la indicazione dei carichi massimi ammissibili nel nuovo assetto modificato e neppure era stato fornito all'utente finale con la documentazione relativa agli effetti delle modifiche apportate.

Questa Corte rileva che il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine alla affidabilità e alla valutazione delle fonti di prova e degli esiti della prova (Cass. SU. 29/1/1996 n. 930) mentre restano estranee (Cass. Pen. Sez. 4, 6/2/2004 n. 4842) al giudizio di legittimità, deputato al controllo della correttezza della motivazione, una lettura dei dati del processo diversa da quella operata nel merito e una diversa interpretazione dell'esito delle prove. Ancora gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell'apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità se non quando risulti viziato il discorso giustificativo della loro capacità dimostrativa, sicché restano inammissibili, in sede di legittimità, le censure che siano nella sostanza rivolte a sollecitare una rivalutazione del risultato probatorio (Cass. Pen. Sez. 5, 27/2/2007 n. 8094).

IN ORDINE AL RICORSO G..
La dichiarazione che apre il ricorso del G. il quale denunzia tutti i capi della statuizione impugnata costituisce, secondo i principi appena sopra menzionati, una censura da rigettare per la parte in cui denunzia l'erroneità o la illogicità o i vizi degli accertamenti di fatto svolti in sentenza sollecitando in sostanza un terzo accertamento di merito attraverso la indicazione di una ricostruzione dei fatti antagonista di quella ragionevolmente costruita dalla motivazione della sentenza impugnata.

1) La censura espressa in termini di violazione dell'art. 74 e seg. c.p.p., si affida ad una inesatta identificazione del dipendente delegato per la sicurezza, col suo datore di lavoro, ma tale erronea identificazione è negata dalla registrata qualità di lavoratore dipendente del B., (agli eredi del quale la S.B. srl ha anche versato la indennità sostitutiva di preavviso ex art. 2118 c.c., comma 3, occasione di specifiche domande risarcitorie). La sentenza impugnata ha accertato la esistenza di distinte condotte, addebitabili a soggetti diversi, tutte costituenti fattore causale necessario della morte del lavoratore. Tanto determina la legittimazione a costituirsi parte civile contro i responsabili, di ogni titolare di diritti lesi dal fatto penalmente illecito. Infatti la posizione della S.B. srl è quella di parte danneggiata dal reato che, in quanto colpita da danno risarcibile, è titolare del diritto al risarcimento e può costituirsi, per conseguirlo, parte civile, indipendentemente dal fatto che altra sia la persona offesa dal reato (Cass. Pen. Sez. 5, 9/2/2007 n. 5968). La censura in ogni caso deve essere rigettata, posto che anche il concorrente o il cooperante nella determinazione del fatto reato, può chiedere nei confronti degli altri concorrenti o degli altri cooperanti il risarcimento per la quota di altrui responsabilità che lo danneggia. Il protestato difetto di motivazione per difetto di risposta in ordine "ai numerosi temi analizzati nell'atto di appello" costituisce censura infondata per la genericità attraverso la quale il ricorrente G. si esonera dall'onere di specificità di cui all'art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c). Infine corrisponde alla giurisprudenza di questa corte l'ordinanza impugnata, che ha affermato la ammissibilità di una costituzione di parte civile a fronte di una posizione giuridicamente rilevante attribuibile all'imputato come suscettibile di arrecare danno alla parte che formula domande civili nel giudizio penale,. Sul punto si consideri che la stessa condanna al risarcimento del danno pronunciata dal giudice penale esprime solo un accertamento della potenziale capacità lesiva di un fatto dannoso (le percentuali di concorso indicate in sentenza sono riferite ad una frazione proporzionale del compendio di concorso di colpa per la parte che coinvolge sia il G. che la vittima stessa) che fornisce il dettaglio di alcuni contributi di colpa ma non stabilisce quote di obbligazione per i danni. La individuazione della esistenza di un nesso causale tra il danno e gli autori del fatto dannoso, consente poi, al giudice del separato giudizio civile, di accertare la esistenza di un danno risarcibile con quantificazione da operarsi in quella sede, secondo regola di giudizio che tiene in conto il grado di adempimento dell'onere della prova ai sensi dell'art. 2697 cc. Secondo il testo del capo di imputazione e della sentenza di appello nella parte in cui ne ha verificato la fondatezza, a ciascuno dei due imputati sono state addebitate responsabilità rivenienti da proprie condotte, da proprie omissioni, e dalla specifica posizione di ciascuno rispetto all'infortunio e rispetto alle norme cautelari ordinate ad evitarlo, così come la individuazione di una causalità materiale della condotta e delle omissioni della vittima è stata individuata a fronte degli oneri di cautela che sulla stessa vittima, per altro verso, gravavano.

2) La censura relativa alla mancata ammissione di prova decisiva con conseguente violazione dei diritti di difesa dell'imputato deve essere egualmente rigettata.

Considerato che la sentenza ha motivatamente e adeguatamente accertato la assenza, al momento dell'infortunio, della applicazione di una targa indicativa dei nuovi massimi di capacità di carico della macchina modificata considerata nel suo insieme carrello/pinza (sentenza di appello pg. 5 e pg 9), la censura relativa alla mancata ammissione di prova che riguarderebbe la applicazione di una targa con la capacità di carico della sola pinza, contiene in sè la dimostrazione della irrilevanza (affermata dal giudice di appello, attraverso una motivazione incompatibile con quella rilevanza e decisività) della prova atteso che la colpa del venditore è stata individuata dalla sentenza di appello nella mancanza di una targa portante, non la capacità di carico di un particolare fornito, ma la capacità dell'intero nuovo mezzo formato con la combinazione di carrello e di pinza e con la combinazione di due diversi limiti di carico ulteriormente modificati, a seguito delle intervenute modificazioni, dallo spostamento del baricentro del nuovo mezzo. La prova mancata non ha e non avrebbe avuto nessuna incidenza sul giudizio di colpevolezza del legale rappresentante della società venditrice, giudizio formulato secondo parametri diversi da quelli messi a fuoco dal ricorso e dalla specifica censura.

3) Anche la terza censura del ricorso G. è infondata e deve essere rigettata. Invero la mancanza della targhetta con i dati aggiornati e corrispondenti alla reale capacità di carico del muletto modificato ha impedito l'accesso a informazioni corrette leggibili anche dall'operatore addetto al mezzo così dimostrandosi, in relazione alla stessa attribuzione legislativa di rilevanza delle informazioni e della identificazione dei rischi, la incidenza causale della assenza delle informazioni minime indispensabili nella determinazione del sinistro e dunque l'addebitabilità della colpa, legata a quella assenza, al soggetto venditore/modificatore del mezzo di carico.
La formazione/informazione è nel sistema di legge considerata condizione per la eliminazione o per la riduzione degli infortuni. Ogni giudizio controfattuale legato alla presenza di una regolare targa di informazione non può prescindere dalla rilevanza che la legge per prima assegna a tale presenza, rilevanza che determina valutazioni di incidenza impediente o quanto meno limitativa degli infortuni.

Anche questo terzo motivo di censura è infondato nella parte in cui fa coincidere la qualità di delegato alla sicurezza della vittima, con la qualità (a lui sicuramente estranea per ragioni giuridiche, per ragioni organizzative e per ragioni economiche tutte rilevabili nella sentenza impugnata e nello stesso testo del ricorso, nonostante che entrambi i testi ora citati rivelino una notevole incertezza giuridica sul punto) di datore di lavoro, e nella parte in cui finisce con il cancellare il testo dell'art. 41 c.p., sul concorso di cause, affermando che data una causalità materiale del fatto e una correlata causalità della colpa attribuita alla vittima non possono essere affermate altre cause materiali e altre cause della colpa riferibili ad altri soggetti.
Si deve poi aggiungere che le dichiarazioni del CT dell'imputato G. forniscono ai giudici di merito la base per il giudizio controfattuale sfavorevole agli imputati "se il carico non fosse stato irregolare per eccesso, il ribaltamento e gli effetti conseguenti non si sarebbero verificati". La responsabilità del G. è correttamente legata all'avere la ditta, da lui legalmente rappresentata, fornito il muletto modificato con l'aggiunta della pinza e senza applicazione di targhette indicatrici della nuova (ridotta) portata in violazione di specifica prescrizione di legge (D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 6, comma 2 nonché D.P.R. n. 547 del 1955, art. 171, comma 2 che dettava norme applicabili al caso) e con determinazione della principale causa materiale della morte della vittima (il ribaltamento). La certezza che il provvedere all'obbligo cautelare di posizionamento della informazione in luogo visibile della macchina, avrebbe evitato lo svolgimento di operazioni in sovraccarico, il rovesciamento del muletto e la morte del B., risiede proprio nella funzione che la legge assegna alla informazione preventiva contro gli infortuni, sicché la sentenza impugnata ha svolto un adeguato ragionamento controfattuale.

In conclusione il ricorso del G. deve essere rigettato nella sua interezza.

IN ORDINE AL RICORSO DEL BA..
La responsabilità del Ba., vincolato sul piano disciplinare dagli ordini dei suoi sovraordinati, ma poi direttamente legato all'osservanza dei precetti penali e delle cautele da essi richiamate, con prevalenza su ogni vincolo gerarchico di natura contrattuale, è individuata adeguatamente nella mancata interruzione della sua attività di carrellista in condizioni evidenti di pericolosità percepibili da qualunque uomo medio (pg 11) e comunque determinate dalla assenza di apposite informazioni circa la mutata capacità operativa del muletto modificato. Le condizioni di pericolosità sono state puntigliosamente accertate dalla sentenza impugnata che dunque si è adeguatamente soffermata sul tema scrutinato. Tanto vale per la causalità della colpa e dunque per l'addebito di colpa al Ba., mentre per la causalità materiale del fatto valgono le stesse argomentazioni già svolte dalla Corte di Appello e poi dalle considerazioni di controllo contenute nella motivazione che precede, posto che la vicenda dell'infortunio è una, e una è la valutazione operata dalla sentenza di merito. La motivazione relativa alla responsabilità del Ba. non è affatto esigua e coglie le omissioni addebitate in relazione agli obblighi rivenienti da una ordinaria prudenza e in relazione agli obblighi riferibili ad un operatore qualificato dalla sentenza come adeguatamente professionalizzato e dunque legalmente impegnato a fornire ogni diligenza esigibile da un agente modello.

Va da sé che l'obbedienza alle regole penali e alle regole cautelari da esse richiamate, supera qualsiasi obbligazione che abbia fonte di minore cogenza in regolamenti, negozi, statuti di lavoro e d'azienda.

La sentenza impugnata si sofferma sugli specifici comportamenti ed omissioni del Ba. per ricavare da essi la certezza della colpa oltre che della causalità coinvolgente il Ba. medesimo.

Tanto travolge i due ulteriori motivi di censura derivati dalla affermazione, appena ora smentita, della assenza di responsabilità penali del carrellista.

Fin qui esclusa la evidenza della esistenza di una causa di proscioglimento del ricorrente Ba. si deve dichiarare estinto per prescrizione il reato a lui addebitato secondo quanto di seguito è meglio e più ampiamente scritto sul punto.

In relazione al carattere della condanna penale per danni esigibili sul piano civile si è già detto sopra e dunque le percentuali indicate in sentenza a proposito del riparto di colpa per la parte attribuita a due dei tre imputati, non ha determinato alcuna saturazione della percentuale aritmetica complessiva alla quale ridurre il grado di colpa addebitabile a ciascuno dei soggetti che hanno causato il fatto delittuoso.

IN ORDINE AL RICORSO S.B..
In punto di erronea individuazione della percentuale di colpa attribuita a tre responsabili dell'infortunio, in ragione del 50% ciascuno per due e in ragione di una quantità non individuata per il Ba., si deve qui ripetere quanto sopra già scritto in proposito, con la conseguenza che la relativa censura deve essere rigettata.

La censura che denunzia la assenza di motivazione in ordine alla mancanza di prova del determinarsi di un danno non patrimoniale è infondata e generica, posto che ancora il ricorso per cassazione non menziona le ragioni di diritto che evidenzierebbero la omissione e il conseguente vizio di motivazione. Di certo il testo della sentenza impugnata afferma espressamente che S.B. srl non ha fornito la prova della esistenza di un danno non patrimoniale e ha completamente mancato all'onere di dare dimostrazione della sua esistenza. Il motivo di censura pone tra le cause di danno morale della srl., la ripercussione sulla propria immagine nei confronti della committenza per un fatto particolarmente grave " occorso, per di più, al datore di lavoro". Il motivo di censura riproduce l'errore di duplicare il ruolo del B. che ora è definito lavoratore subordinato (o più specificamente dirigente presso la srl), ora è definito da S.B. srl datore di lavoro. L'impossibilità di identificare una persona giuridica con forma di srl, con una persona fisica e con le sue vicende, non richiede ulteriori spiegazioni. La motivazione in ordine al danno non patrimoniale è dunque sinteticamente ma adeguatamente motivata.

Deve invece essere parzialmente accolta la censura relativa al mancato riconoscimento, a titolo di risarcimento del danno, di talune somme erogate dalla srl per specifica causa di morte del dipendente.

Quanto ai titoli negoziali che, secondo il ricorso S.B. srl., sarebbero versati in atti e proverebbero il fondamento delle pretese per danno patrimoniale rigettate dalla Corte di Appello, osserva questa Corte che il ricorso per cassazione non indica la loro posizione nei fascicoli processuali, non riporta il testo dei contratti e delle norme negoziali singolarmente menzionate, e, in definitiva, non propone lo specifico profilo di censura col carattere della autosufficienza. L'erogazione posta a fondamento della censura per mancata attribuzione di danno patrimoniale è, (secondo quanto è possibile affermare in relazione alla mancanza di autosufficienza e alla genericità del ricorso sul punto senza focalizzare in alcun modo il regime pattizio del recesso e della indennità di preavviso per un dirigente del settore che connoterebbe lo specifico rapporto del B.) una erogazione legata a obbligazione di legge e dunque il suo adempimento deve essere esaminato a prescindere dal tenore di titoli contrattuali restati ignoti nel giudizio di cassazione, in osservanza dei quali, anche, sia stata operata una tale liquidazione. L'indennità di preavviso di cui all'art. 2118 c.c., commi 1 e 2, è un istituto tipico della estinzione del rapporto a tempo indeterminato e si caratterizza per la funzione di ristorare il lavoratore licenziato per giustificato motivo (o licenziato ad nutum, nelle ipotesi residuali in cui tale forma di licenziamento è consentita) dal mancato preavviso di licenziamento, posto che tale preavviso sarebbe destinato a munire il lavoratore di uno spazio di tempo ipoteticamente utile a consentire la ricerca di nuovo collocamento. L'erogazione della indennità per il preavviso non dato, corrisponde ad una obbligazione datoriale scaturita dall'esercizio di una sua facoltà ex lege di non preavvisare a fronte della preesistenza di un rapporto di lavoro subordinato. Tale erogazione costituisce retribuzione imponibile ai soli fini previdenziali, secondo la previsione della L. n. 153 del 1969, art. 12 ancorché sia priva di carattere immediatamente corrispettivo.

L'art. 2118 c.c., comma 3 disciplina invece una erogazione che trova la sua causa giuridica nel verificarsi della fine del rapporto per causa di morte del lavoratore subordinato e l'obbligazione datoriale scaturisce dal verificarsi di un fatto che non è dipendente dalla volontà di alcuna parte del rapporto. Nel caso dell'art. 2118 c.c., comma 3, e senza che venga in rilievo il meccanismo di attribuzione ex art. 2122 c.c., l'assolvimento datoriale della obbligazione di pagamento della indennità sostitutiva di preavviso, priva di ogni carattere di corrispettività rispetto alla prestazione cessata e, al più, erogazione dovuta a fronte di una condizione (cessata) di subordinazione del lavoratore venuto a mancare, attribuisce al datore di lavoro erogante, il diritto (anche nella prospettiva dell'art. 2043 c.c.) di recuperare in forma di risarcimento e da chi abbia cagionato quella morte, le somme di indennità di preavviso pagate ex art. 2118 c.c., comma 3 certamente non dovute ove la morte non si fosse verificata e dunque in quell'evento, e nelle responsabilità che lo hanno determinato, causalmente radicate.

Per quanto più sopra scritto, il giudice civile, a cui deve essere demandata la liquidazione del risarcimento dovuto a S.B. srl dagli imputati per la avvenuta erogazione della indennità di preavviso per causa di morte, procederà alla liquidazione determinando le quote di danno attribuibile ai due imputati e a ciascuno di essi, tenuto anche conto delle diverse responsabilità individuabili nella determinazione del danno (ex artt. 2055 e 2049 c.c.) anche considerando le indicazioni della sentenza di appello che, sul punto, non ha quantificato il rapporto tra la colpa del Ba. da un lato e dall'altro le colpe di G. e B. tra loro pari.

RICORSI PARTI CIVILI.
Le ragioni più sopra esposte in tema di percentualizzazione del grado di colpa degli imputati devono essere poste a base del rigetto delle censure espresse in ordine all'accertato concorso di colpa della vittima, dalle parti civili B.R., B.A., B.A.M., F.R..

Infine la Corte rileva che il fatto addebitato si è verificato in ***, la sentenza di primo grado è stata pronunziata il 24/9/2006, la sentenza di appello il 14/11/2008.

A entrambi gli imputati la sentenza di primo grado, confermata in appello, ha riconosciuto le attenuanti generiche equivalenti per G. e prevalenti per Ba..

Per quanto riguarda il Ba., egli si avvale, proprio per le concesse attenuanti generiche prevalenti, del termine prescrizionale più favorevole indicato dall'art. 157 c.p., nel testo anteriore alla novella 251/2005 (pari a un tempo di sette anni e mezzo). Alla data di entrata in vigore di L. 5 dicembre 2005, n. 251, il processo era ancora pendente in primo grado (L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 10 e sentenza di Corte Cost. 23/11/2006 n. 323).

Quanto al G., il previgente art. 157 c.p., comporta l'applicazione di un termine massimo di quindici anni. L'attuale testo dell'art. 157 c.p. comporta l'applicazione di un termine di anni sei raddoppiato in anni 12 ex art. 157 c.p., comma 6, prorogato di un quarto per le intervenute interruzioni, (art. 160 c.p., comma 3; art. 161 c.p., comma 2). Secondo l'una e l'altra normativa il termine prescrizionale massimo è dunque di anni quindici.

In conclusione la sentenza impugnata deve essere annullata ai fini penali nei confronti di Ba.R. perché estinto per prescrizione il reato a lui addebitato. Deve invece essere rigettato il ricorso dello stesso ai fini civili. Deve essere rigettato il ricorso di G.F. e quello delle parti civili F.R., B.M., B.A., B.R., i quali ultimi, come l'imputato ricorrente G. devono essere condannati al pagamento delle spese processuali.

In parziale accoglimento del ricorso di S.B. srl, deve essere annullata la sentenza impugnata ai fini civili nei confronti di G.F. e Ba.R., limitatamente alla statuizione che concerne la richiesta inclusione nel danno patrimoniale della somma versata a titolo di indennità sostitutiva del preavviso con rinvio sul punto al giudice civile competente per valore in grado di appello. Al giudice di rinvio deve esser anche demandata la liquidazione delle spese tra le parti per questo giudizio di cassazione. deve essere rigettato nel resto il ricorso della stessa S.B. s.r.l..

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata ai fini penali nei confronti di Ba.R. perché estinto il reato per prescrizione.
Rigetta il ricorso dello stesso ai fini civili.
Rigetta il ricorso di G.F. e quello delle parti civili F.R., B.M., B.A., B.R. e condanna questi ultimi e il G. al pagamento delle spese processuali.

In parziale accoglimento del ricorso di S.B. s.r.l., annulla la sentenza impugnata ai fini civili nei confronti di G.F. e Ba.R., limitatamente alla statuizione che concerne la richiesta inclusione nel danno patrimoniale della somma versata a titolo di indennità sostitutiva del preavviso e rinvia sul punto al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui demanda anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo giudizio.

Rigetta nel resto il ricorso della stessa S.B. s.r.l..