Categoria: Giurisprudenza amministrativa (CdS, TAR)
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N. 17232/2010 REG.SEN.
N. 00210/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Settima)


ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 210 dell’anno 2009, proposto da:
B.V., rappresentato e difeso dall'avv. Luigi Adinolfi, con il quale è elettivamente domiciliato in Napoli, alla via Po n° 1 (Parco Parva Domus), presso l’avv. Stefano Sorgente;

contro

Ministero della Difesa, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, presso cui è per legge domiciliato, in Napoli, via A. Diaz n° 11;

per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,

del decreto n. 986/D del 14 luglio 2008 con il quale è stato denegato l'equo indennizzo per tardività;
nonché per il riconoscimento del diritto del ricorrente ad ottenere l'equo indennizzo nella misura massima prevista, con condanna dell'amministrazione al pagamento con interessi e rivalutazione monetaria;
nonché, ancora, per l'accertamento del diritto del ricorrente al risarcimento del danno biologico derivante dall'infermità "carcinoma papillare tiroideo", già riconosciuta dipendente da causa di servizio e per colpa del Ministero della difesa, datore di lavoro, in una percentuale non minore del 35%, eventualmente con l'applicazione dei criteri di cui alla legge 302/1990, con condanna dell'Amministrazione al pagamento delle somme a tale titolo dovute, con interessi e rivalutazione monetaria.

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli per il Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 maggio 2010 il dott. Michelangelo Maria Liguori e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con il presente ricorso, notificato a mezzo posta il 10/12 gennaio 2009 e depositato il successivo 15 gennaio, B.V. ha esposto
- che era uno dei 513 soldati (al cui numero erano da aggiungerne altri 45 già deceduti) che avevano accusato patologie associate all’esposizione all’uranio impoverito (cd. sindrome dei Balcani, dovuta all’uso massiccio di tale sostanza negli armamenti utilizzati dalle forze armate della NATO durante l’intervento in tale area);
- che egli, infatti, aveva operato in Kosovo dal 15.3.2000 al 15.7.2000; dal 15.3.2001 al 16.7.2001; dal 25.3.2002 al 26.7.2002, quale Comandante di Squadra, Consegnatario dell’Armeria e Artificiere;
- che, senza dubbio doveva essere ascritto a causa di servizio il carcinoma con metastasi per il quale era stato operato e sottoposto a cicli di chemioterapia (attualmente non stabilizzato), e che alla sua insorgenza aveva certo concorso l’Amministrazione della Difesa, essendo stata anch’essa diretta utilizzatrice di armi all’uranio impoverito e non avendo apprestato idonee misure per contrastare efficacemente la contaminazione dei propri militari;
- che il Ministero della Difesa, su conforme parere del Comitato di Verifica per le cause di Servizio prot. n° 289 del 16.6.2008, aveva sì riconosciuto la dipendenza da causa di servizio della detta patologia, ma non aveva, però, anche riconosciuto l’equo indennizzo, in quanto la domanda sarebbe stata presentata in ritardo rispetto al termine semestrale di cui all’art. 2 co. 1 D.P.R. 461/2001 (assumendosi che la piena conoscenza della natura del male sarebbe risalita al 30.5.2004, a fronte della presentazione della domanda in data 14.1.2005);
Tanto esposto, il ricorrente ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe, di diniego dell’equo indennizzo, chiedendone l’annullamento per violazione e falsa applicazione dell’art. 2 co. 1 D.P.R. 461/2001.
Contestualmente, il B. ha anche chiesto il riconoscimento del proprio diritto ad ottenere l'equo indennizzo nella misura massima prevista, con condanna dell'Amministrazione al pagamento con interessi e rivalutazione monetaria, nonché ancora l'accertamento del proprio diritto a conseguire il risarcimento del danno biologico derivante dall'infermità "carcinoma papillare tiroideo", già riconosciuta dipendente da causa di servizio (e ciò per colpa del Ministero della difesa, datore di lavoro), in una percentuale non minore del 35%, eventualmente con l'applicazione dei criteri di cui alla legge 302/1990, con condanna dell'Amministrazione al pagamento delle somme a tale titolo dovute, con interessi e rivalutazione monetaria.
In data 16 febbraio 2009 si è costituita l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, per l’Amministrazione della Difesa, al fine di resistere al proposto ricorso.
Con ordinanza n° 529/2009, questo Tribunale ha dato ingresso, limitatamente ai profili impugnatori, alla tutela cautelare chiesta dal ricorrente, sospendendo l’efficacia dell’impugnato decreto n° 986/D del 14.7.2008 del Ministero della Difesa – Direz. Gen. Pensioni Militari del Collocamento al Lavoro dei Volontari Congedati e della Leva, con obbligo per la P.A. di riformulare il tratto di azione amministrativa così privato di effetti.
In data 5 maggio 2009, la difesa erariale ha depositato documentazione attestante l’avvenuto annullamento, ad opera del Decreto n° 650/D del 9.3.2009 emesso dal Ministero della Difesa – Direz. Gen. Pensioni Militari del Collocamento al Lavoro dei Volontari Congedati e della Leva, dell’impugnato Decreto n° 986/D del 14.7.2008, con contestuale riconoscimento (nello stesso provvedimento) della dipendenza da causa di servizio dell’infermità “postumi di intervento di tiroidectomia per carcinoma papillare”.
Con ordinanza n° 529/2009 del 13 ottobre 2009, questo Tribunale ha disposto sia adempimenti istruttori a carico dell’Amministrazione della Difesa (al fine di verificare se, a seguito della rideterminazione di cui al Decreto n° 986/D del 9.3.2009 del Ministero della Difesa – Direz. Gen. Pensioni Militari del Collocamento al Lavoro dei Volontari Congedati e della Leva, fossero seguiti il riconoscimento del chiesto equo indennizzo e la liquidazione e corresponsione del relativo importo), sia una Consulenza Tecnica di Ufficio di tipo medico-legale, al fine di stabilire <<tenuto conto del quadro clinico presentato da B. V., quali conseguenze, in termini di danno biologico (inteso secondo le disposizioni di cui agli artt. 138 e 139 Decr. Leg.vo 209/2005, nonché secondo le pronunzie della giurisprudenza intervenute nella materia), abbia comportato la prestazione del servizio militare con esposizione a radiazioni sprigionate da uranio impoverito e il conseguente insorgere dell’infermità “carcinoma papillare tiroideo”; nonché il successivo configurarsi di “postumi di intervento di tiroidectomia per carcinoma papillare” >>; con precisazioni sul <<se l’interessato abbia accusato anche invalidità permanente, con valutazione in termini di punteggio o di percentuale dell’incidenza sulla sua integrità psicofisica, e conseguente monetizzazione delle lesioni subite>>.
In data 2 dicembre 2009 la difesa erariale, al fine di adempiere a quanto disposto in via istruttoria dal Tribunale, ha prodotto copia del Decreto n° 2519 del 25.9.2009 del Ministero della Difesa Direz. Gen. Pensioni Militari del Collocamento al Lavoro dei Volontari Congedati e della Leva, di liquidazione di € 9.445,03 in favore di B. V. a titolo di equo indennizzo in relazione alle affezioni per cui è causa (e quest’ultimo ha, con atto prodotto il 6 maggio 2010, dato conto di aver anche concretamente incassato tale somma di denaro).
Successivamente, in data 30 aprile 2010, il C.T.U. dott. Prof. Massimo Niola, nominato su indicazione del Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi Federico II di Napoli, ha depositato l’elaborato peritale contenente le risposte ai formulati quesiti.
Alla pubblica udienza del 6 maggio 2010, dopo discussione (nel cui ambito il difensore di parte ricorrente ha lamentato il mancato computo di interessi legali e rivalutazione monetaria sulla somma liquidata a titolo di equo indennizzo) la causa è stata quindi nuovamente trattenuta in decisione.

DIRITTO

Con il presente giudizio, B. V. ha formulato sia una domanda impugnatoria (volta all’annullamento del provvedimento con cui l’Amministrazione della difesa gli ha negato, per tardività della richiesta, l’equo indennizzo per la patologia “postumi di intervento di tiroidectomia per carcinoma papillare”), sia domande volte al riconoscimento tanto del diritto all’equo indennizzo, quanto del diritto a conseguire il risarcimento del danno biologico subito in seguito alla malattia “carcinoma papillare tiroideo”, accusata dopo aver prestato servizio come militare per più periodi di tempo in Kosovo, ed essere rimasto esposto a radiazioni emesse dall’uranio impoverito presente nelle armi ivi utilizzate.
Dopo che al ricorrente è stata accordata tutela cautelare dal Tribunale (limitatamente ai profili impugnatori proposti), l’Amministrazione della Difesa ha ritenuto di rideterminarsi autonomamente (come si evince dall’assenza di riserve e dalla presenza di una specifica rivalutazione del giudizio clinico espresso dalla C.M.O. di Padova in data 4.10.2005) in senso positivo per il privato interessato, posto che, con il Decreto n° 650/D del 9.3.2009 emesso dal Ministero della Difesa – Direz. Gen. Pensioni Militari del Collocamento al Lavoro dei Volontari Congedati e della Leva, ha annullato l’impugnato Decreto n° 986/D del 14.7.2008, e contestualmente ha riconosciuto, senza alcuna limitazione, la dipendenza da causa di servizio dell’infermità “postumi di intervento di tiroidectomia per carcinoma papillare” (peraltro già in precedenza riconosciuta, pur senza concessione dell’equo indennizzo per assunta tardiva presentazione della richiesta).
A seguito di specifici accertamenti istruttori disposti dal Tribunale, è poi stato documentato che, con Decreto n° 2519 del 25.9.2009 del Ministero della Difesa – Direz. Gen. Pensioni Militari del Collocamento al Lavoro dei Volontari Congedati e della Leva, è stata disposta in favore di B.V., a titolo di equo indennizzo in relazione alle affezioni per cui è causa, la liquidazione di € 9.445,03; somma poi concretamente a lui corrisposta (come da attestazione di bonifico bancario prodotta in data 6 maggio 2010).
Ciò posto, quanto alla proposta domanda impugnatoria diretta a contrastare l’atto con cui la P.A. intimata ha negato l’equo indennizzo per la patologia “postumi di intervento di tiroidectomia per carcinoma papillare”, va dichiarata la cessazione della materia del contendere, poiché il ricorrente ha conseguito in pieno del bene della vita cui aspirava: infatti, come evidenziato, dopo che l’Amministrazione della Difesa ha ritenuto di rideterminarsi autonomamente in senso positivo per il B., ha poi anche proceduto alla liquidazione in suo favore della somma di € 9.445,03 a titolo di equo indennizzo, e, quindi al relativo pagamento.
Sul punto va solo soggiunto che nessuna rilevanza ostativa in proposito spiegano, in assenza di tempestivo e rituale gravame, le osservazioni svolte oralmente, in sede di discussione, dal difensore del ricorrente circa la mancata corresponsione di interessi e rivalutazione monetaria sul quantum liquidato a titolo di equo indennizzo.
Diversamente, la correlata domanda con cui B.V. ha chiesto il riconoscimento del proprio diritto al chiesto equo indennizzo per la medesima causale, va dichiarata inammissibile, in quanto il giudizio instaurato innanzi al G.A. per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di una malattia o di una menomazione fisica, così come anche quello volto alla liquidazione di un equo indennizzo per le stesse, si configura come giudizio di impugnazione, essendo la posizione del dipendente di interesse legittimo; mentre una posizione di diritto soggettivo sorge solo una volta che ne sia avvenuto il riconoscimento ad opera della P.A. (cfr. Cons. di Stato sez. VI, n° 4621 del 23.9.2009; Cons. di Stato sez. VI, n° 4368 dell’8.7.2009; Cons. di Stato sez. VI, n° 5293 del 24.10.2008; Cons. di Stato sez. IV, n° 3914 del 10.7.2007; Cons. di Stato sez. IV, n° 3769 del 27.6.2007; T.A.R. Liguria n° 802 del 3.6.2005; T.A.R. Lazio-Roma n° 3093 del 26.4.2005; T.A.R. Lazio-Roma n° 12056 del 29.10.2004; T.A.R. Campania-Salerno n° 224 del 27.3.2003).

Rimane, pertanto, da esaminare solo la domanda con la quale il ricorrente ha chiesto accertarsi il diritto al risarcimento del danno biologico a lui derivato in conseguenza dell’infermità “carcinoma papillare tiroideo” e dei connessi “postumi di intervento di tiroidectomia per carcinoma papillare”, con condanna dell’Amministrazione al pagamento di quanto dovuto per tale causale, con interessi e rivalutazione monetaria.

In proposito, va premesso come la giurisprudenza amministrativa abbia reiteratamente affermato (cfr. Cons. di Stato sez. V, n° 2515 del 27.5.2008; T.A.R. Campania-Napoli, n. 3536 del 7.5.2008; T.A.R. Lazio-Roma n. 8008 del 2.9.2008; T.A.R. Lazio-Roma n° 8106 del 14.9.2006; T.A.R. Abruzzo-Pescara n. 339 del 23.3.2007; T.A.R. Campania-Napoli n. 8106 del 14.9.2006; T.A.R. Campania-Napoli n. 6737 del 6.6.2006; T.A.R. Lazio-Roma, n. 2375 del 4.4.2006; T.A.R. Calabria-Catanzaro, n. 1927 del 29.5.2003) che la domanda del dipendente volta alla condanna dell'Amministrazione al risarcimento del danno biologico si presti ad essere qualificata sia come azione di natura extracontrattuale, se proposta ai sensi dell'art. 2043 c.c., e dunque appartenente alla giurisdizione del giudice ordinario, sia come azione per l'accertamento della responsabilità contrattuale della Pubblica Amministrazione quando essa sia invece correlata alla violazione da parte dell’Amministrazione di appartenenza dell'obbligo di tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori dipendenti; e tale ricostruzione è stata più volte avallata in sede di regolamento di giurisdizione dalla Suprema Corte ( cfr. Cass. SS.UU. n. 5785 del 4.3.2008; Cass. SS.UU., n. 7394 del 28.7.1998), la quale con recente pronunzia (cfr. Cass. SS.UU. n. 5468 del 6.3.2009), nell’annullare la decisione n. 6678 del 14.11.2006 della sez. V del Consiglio di Stato che sul punto aveva negato la giurisdizione del G.A., ha ribadito che “la soluzione della questione del riparto della giurisdizione, rispetto ad una domanda di risarcimento danni per la lesione della propria integrità psico-fisica proposta da un pubblico dipendente nei confronti dell'Amministrazione, è strettamente subordinata all'accertamento della natura giuridica dell'azione di responsabilità in concreto proposta, in quanto, se è fatta valere la responsabilità contrattuale dell'ente datore di lavoro, la cognizione della domanda rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, mentre, se è stata dedotta la responsabilità extracontrattuale, la giurisdizione spetta al giudice ordinario”, precisando, altresì, che “non rileva, ai fini dell'accertamento della natura giuridica dell'azione di responsabilità proposta, la qualificazione formale data dal danneggiato in termini di responsabilità contrattuale o extracontrattuale, ovvero mediante il richiamo di norme di legge (art. 2043 e ss., 2087 c.c.), indizi di per sé non decisivi, essendo necessario considerare i tratti propri dell'elemento materiale dell'illecito posto a base della pretesa risarcitoria, onde stabilire se sia stata denunciata una condotta dell'amministrazione la cui idoneità lesiva possa esplicarsi, indifferentemente, nei confronti della generalità dei cittadini e nei confronti dei propri dipendenti, costituendo, in tal caso, il rapporto di lavoro mera occasione dell'evento dannoso; oppure se la condotta lesiva dell'amministrazione presenti caratteri tali da escluderne qualsiasi incidenza nella sfera giuridica di soggetti ad essa non legati da rapporto d'impiego e le sia imputata la violazione di specifici obblighi di protezione dei lavoratori (art. 2087 c.c.); nel qual caso la responsabilità ha natura contrattuale conseguendo l'ingiustizia del danno alle violazioni di taluna delle situazioni giuridiche in cui il rapporto di lavoro si articola e sostanziandosi la condotta lesiva nelle specifiche modalità di gestione del rapporto di lavoro. Soltanto nel caso in cui, all'esito dell'indagine condotta secondo gli indicati criteri, non possa pervenirsi all'identificazione dell'azione proposta dal danneggiato, si deve qualificare l'azione come di responsabilità extracontrattuale”.
Orbene, nel caso in esame, il B., militare dell’Esercito Italiano che ha operato in Kosovo a più riprese tra il 2000 e il 2002, per un periodo complessivo di un anno, dopo aver prospettato, sulla scorta di apposita consulenza medico legale di parte, che la patologia tumorale contratta (carcinoma papillare alla tiroide) e per la quale aveva subito l’asportazione chirurgica della tiroide, era ricollegabile alla esposizione all’uranio impoverito (cd. sindrome dei Balcani), essendo stata tale sostanza massicciamente impiegata negli armamenti usati dalle Forze Armate NATO durante l’intervento militare nei Balcani, ha espressamente lamentato la sussistenza di una responsabilità dell’Amministrazione della Difesa, per aver “impiegato senza alcuna protezione specifica personale militare in zona da lei stessa contaminata con l’uso di proiettili con uranio impoverito”, pur nella consapevolezza della esposizione di tale personale a concreti fattori di rischio, come dimostrato dall’emanazione della normativa di cui all’art. 4 bis D.L. 393/2000, introdotto dalla legge di conversione n. 27/2001, con la quale era stata disposta “la realizzazione di una compagna di monitoraggio sulle condizioni sanitarie dei cittadini italiani che a qualunque titolo hanno operato o operano nei territori della Bosnia –Herzegovina e del Kosovo”.
Sulla scorta di tali elementi, è così indiscutibile, a giudizio del Tribunale, che la formulata domanda risarcitoria trovi il proprio fondamento nella responsabilità conseguente all’inosservanza dei precisi obblighi che l’art. 2087 cod. civ. (“L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”) pone a carico del datore di lavoro rispetto ai dipendenti; norma ritenuta applicabile anche nei confronti della Pubblica Amministrazione: la sua cognizione, quindi, riguardando una questione riferibile al rapporto di impiego di personale non contrattualizzato della P.A., è devoluta alla giurisdizione esclusiva del G.A..
Peraltro, l’azione volta a conseguire il risarcimento del danno biologico (definibile quale “lesione alla integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale… risarcibile indipendentemente dalla sua incidenza sulla capacità di produzione di reddito del danneggiato”, alla luce del disposto di cui agli artt. 138 e 139 Decr. Leg.vo 209/2005, nonché di quelli di cui all’art. 5 D.P.R. 3.3.2009 n. 37 e di cui agli artt. 1, 3 e 4 D.P.R. 30.10.2009 n. 181, trattandosi di disposizioni costituenti espressione di principi generali) risulta cumulabile con la pretesa all’equo indennizzo, posto che, mentre il risarcimento, “quanto ad oggetto e finalità, tende a ristabilire l’equilibrio nella situazione del soggetto turbata dall’evento lesivo e a compensare per equivalente la perduta integrità fisio-psichica”, invece l’equo indennizzo “proprio per il concetto e di discrezionalità ad esso inerente, e per la sua non coincidenza con l’entità effettiva del pregiudizio subito dal dipendente, appare avvicinabile ad una delle tante indennità che l’Amministrazione conferisce ai propri dipendenti in relazione alle vicende del servizio, con funzioni di graduazione e di equa distribuzione di compensi aggiuntivi” (così Cons. di Stato sez. IV, n° 2009 del 31.3.2009, e, in senso analogo Cass. Civ. n° 13887 del 23.7.2004); con la conseguenza che “dall’importo liquidato a titolo di risarcimento del danno alla persona (patrimoniale o biologico) non può essere detratto quanto già percepito dal danneggiato a titolo di pensione di inabilità o di reversibilità, oppure a titolo di assegni, di equo indennizzo, o di qualsiasi altra speciale erogazione connessa alla morte od all’invalidità” in quanto, “perché possa applicarsi il principio della <> è necessario che il vantaggio economico sia arrecato direttamente dal medesimo fatto concreto che ha prodotto il danno”, e invece le erogazioni da ultimo indicate “si fondano su un titolo diverso rispetto all’atto illecito e non hanno finalità risarcitorie” (cfr. Cass. Civ. n° 10291 del 27.7.2001; Cass. Civ. n° 11440 del 18.11.1997; T.A.R. Campania-Napoli n° 3536 del 7.5.2008).
Nel merito, va in primis chiarito che la proposta domanda risarcitoria è stata limitata al solo danno biologico nei termini sopra precisati (e quindi con esclusione di altre voci di danno non patrimoniale; e ciò a prescindere dalla inquadrabilità di queste come tipologie autonome di danno, o meno, secondo quanto affermato da Cass. SS. UU. n° 26973 dell’11.11.2008). Va, poi, in secundis evidenziato che dalla documentazione in atti sono emersi elementi idonei a dar conto della sussistenza della patologia lamentata dal ricorrente (“carcinoma papillare tiroideo”, con i successivi “postumi di intervento di tiroidectomia per carcinoma papillare”), nonché dell’eziologia di questa. In particolare, quest’ultima è risultata legata, quanto meno quale fattore concausale, alla prolungata esposizione del ricorrente all’uranio impoverito, a sua volta dovuta alle concrete mansioni da lui svolte nella sua veste di militare dell’Esercito Italiano per più periodi negli anni 2000/2002 in Kosovo, ovvero in zona contaminata perché in precedenza interessata da operazioni belliche effettuate utilizzando proiettili contenenti appunto tale sostanza (la quale, come notorio, si è rivelata tossica, tanto che con l’art. 4 bis della legge n. 27/2001, di conversione del D.L. 393/2000, è stata disposta “la realizzazione di una campagna di monitoraggio sulle condizioni sanitarie dei cittadini italiani che qualunque titolo hanno operato od operano nei territori della Bosnia-Herzegovina e del Kosovo, in relazione a missioni internazionali di pace e di assistenza umanitaria, nonché di tutto il personale della pubblica amministrazione, incluso quello a contratto, che ha prestato o presta servizio, nei predetti territori, presso le rappresentanze diplomatiche o uffici ad esse collegati, e dei familiari che con loro convivono o hanno convissuto. I relativi accertamenti sanitari sono svolti a titolo gratuito presso qualsiasi struttura sanitaria militare o civile”).
A conferma di tali conclusioni in ordine all’eziologia della patologia in questione, anche il C.T.U. dott. prof. Massimo Niola, dopo aver illustrato ampiamente il punto in relazione, ha concluso (senza che la difesa erariale abbia opposto alcuna contraria osservazione) nel senso che “l’esposizione alle radiazioni ionizzanti sprigionate dall’uranio impoverito è stata causa dell’insorgenza del carcinoma capillifero della tiroide, trattato mediante intervento chirurgico di tiroidectomia totale con successiva terapia adiuvante radio ablativa con I-131”.
Orbene, una volta accertata la derivazione causale della patologia dall’ambiente di lavoro, deve dirsi contestualmente determinata una inversione dell’onere della prova in ordine alla responsabilità dell’Amministrazione di appartenenza del militare per mancata osservanza delle misure minime di sicurezza necessarie a salvaguardare l’integrità fisica dei dipendenti (sul punto cfr. Cass. Civ. n° 17017 del 2.8.2007): pertanto, non essendovi stata alcuna allegazione contraria da parte dell’Avvocatura dello Stato (ma, anzi, risultando la cosa avvalorata dal fatto che l’affezione è stata riconosciuta come dipendente da causa di servizio fin dal primo provvedimento qui impugnato, essendo il diniego del riconoscimento dell’equo indennizzo giustificato esclusivamente con la pretesa tardività della richiesta) deve essere ritenuto sussistente il nesso di causalità tra l’omissione della P.A., che non ha adottato alcuna misura cautelativa, e il pregiudizio che è derivato all’odierno ricorrente.
A quest’ultimo proposito, gli accertamenti svolti dal nominato C.T.U. hanno portato ad evidenziare che effettivamente vi è stata una compromissione dell’integrità psico-fisica di B.V. in dipendenza dalla sequenza causale testé descritta; compromissione risarcibile a titolo di danno biologico e stimata nella misura del 20%: tali conclusioni, non oggetto di contestazioni ad opera di alcuna delle parti in causa, possono quindi, a giudizio del Collegio, costituire idonea base per stabilire il quantum risarcitorio spettante al ricorrente.
Quanto appunto alla concreta determinazione del risarcimento, il Tribunale – atteso che con riferimento alla voce “personalizzazione” dell’importo del risarcimento residua un ambito di valutazione non compiutamente esercitato - ritiene di rimettere il punto alle decisioni delle parti ai sensi dell'art. 35 comma 2 del D. Lgs. n. 80 del 1998, precisando, però, in questa sede i criteri che dovranno guidare l’Amministrazione nella formulazione dell’offerta al danneggiato.
Innanzitutto, va detto che, quale base dell'accordo, non solo dovrà essere valutata la percentuale di compromissione dell’integrità psico-fisica accertata (nella misura del 20%) dal consulente con riferimento alla data di effettuazione dell’intervento chirurgico subito dal ricorrente, ma che per la concreta determinazione del quantum risarcitorio dovranno essere utilizzate, analogamente a quanto fatto dall’ausiliare, le tabelle all’uopo predisposte dal Tribunale di Milano, peraltro tenendosi presente che il debito in questione è di valore, per cui la sua liquidazione deve consentire la rimessa in pristino del patrimonio del danneggiato all’attualità (così Cass. Civ. n° 29191/2008; Cass. Civ. n° 10022 del 24.6.2003; Cass. Civ. n° 748 del 24.1.2000).
Su tale base l’Amministrazione dovrà quindi valutare un opportuno e motivato aumento personalizzato nell’ambito della misura massima sempre prevista dalle citate tabelle, ed effettuare, sempre ai sensi del comma 2 dell’art. 35 Decr. Leg.vo 80/1998, una proposta di risarcimento al B. nel termine di gg. 90 dalla comunicazione in via amministrativa o dalla notifica della presente sentenza.
Le spese del presente giudizio, ivi comprese quelle della svolta C.T.U. (il cui compenso sarà determinato con separato decreto) vengono poste a carico della soccombente Amministrazione pubblica e liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania - sede di Napoli - Sezione VII, definitivamente pronunziando sul ricorso di cui all’epigrafe, proposto da B.V., così provvede:
dichiara cessata la materia del contendere tra le parti in relazione alla proposta domanda impugnatoria del Decreto n. 986/D del 14 luglio 2008 del Ministero della Difesa – Direz. Gen. Pensioni Militari del Collocamento al Lavoro dei Volontari Congedati e della Leva;
dichiara inammissibile la domanda con cui parte ricorrente ha chiesto il riconoscimento del proprio diritto al chiesto equo indennizzo;
condanna l'Amministrazione della Difesa al risarcimento del danno biologico sofferto dal ricorrente, da determinarsi a norma dell'art. 35 D. Lgs. n. 80 del 1998 con i criteri e nei termini di cui in motivazione;
condanna l’Amministrazione della difesa alla rifusione in favore del ricorrente delle spese di giudizio, che liquida in complessivi € 2.000,00 (di cui € 700,00 per diritti ed € 1.300,00 per onorario) cui andranno aggiunte le spese di C.T.U. (che saranno liquidate con separato provvedimento), nonché i.v.a. e c.p.a. come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 6 maggio 2010 con l'intervento dei Magistrati:
Salvatore Veneziano, Presidente
Michelangelo Maria Liguori, Consigliere, Estensore
Carlo Polidori, Primo Referendario

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/08/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO