REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
IV SEZIONE PENALE


Composta dai Sigg.:

1) Dott.ssa Graziana CAMPANATO
2) Dott. Francesco MARZANO
3) Dott.ssa Silvana IACOPINO
4) Dott. Ruggero GALBIATI
5) Dott.ssa Luisa BIANCHI

- Presidente;
- Consigliere rel.;
- Consigliere;
- Consigliere;
- Consigliere;

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da B.M. n. il ****;
avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano in data 31.10.2008.
Udita in pubblica udienza la relazione svolta dal Consigliere dott. Francesco Marzano;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. Antonio Gialanella, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Non comparso il difensore del ricorrente;
Osserva:

Svolgimento del processo

1.0. Il 6 febbraio 2007 il Tribunale di Monza condannava B.M (ed altri coimputati), riconosciutegli le attenuanti generiche equivalenti all'aggravante contestata, a pena ritenuta di giustizia, nonché al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede in favore delle costituite parti civili, per imputazione di cui all'art. 590, 1° e 3°c., c.p..
Sul gravame dell'imputato, la Corte di Appello di Milano, con sentenza del 31 ottobre 2008, dato atto in motivazione del frattanto intervenuto risarcimento del danno, riteneva le già riconosciute attenuanti generiche prevalenti sulla aggravante contestata e riduceva, conseguentemente la pena inflitta dal primo giudice, confermando nel resto.
1.1. Riferivano i giudici del merito che il *** si era verificato un infortunio sul lavoro, nel corso del quale l'operaio G.I. era precipitato, da un'altezza di circa 6-7 metri, mentre era intento a lavori di copertura del tetto di un capannone, senza disporre ed utilizzare cinture di sicurezza o altri presidi antinfortunistici, riportando trauma cranico e fratture multiple, che avevano determinato la perdita della milza ed il pericolo di vita.
L'incidente era avvenuto in un cantiere facente capo ad Immobiliare S.N. s.n.c, che aveva concordato con il Comune la lottizzazione dell'area ed aveva nominato quale coordinatore per la sicurezza nella progettazione e nell'esecuzione dei lavori l'ing. B.M.. I lavori erano stati affidati all'impresa M. s.r.l., che li aveva subappaltati, quanto al montaggio dei fabbricati in calcestruzzo, alla ditta C. Prefabbricati e, quanto alla copertura, ad altre due imprese, la CO. per alcuni lotti e l'impresa L.C. per altri; la CO., a sua volta, aveva subappaltato la copertura del capannone ad A. Costruzioni s.n.c, senza che il relativo contratto venisse portato a conoscenza del B. che aveva continuato ad ignorare la presenza in cantiere di tale impresa.
Quel giorno, G. (che era dipendente di A. Costruzioni, pur in assenza di formale assunzione) ed altri operai avevano lavorato alla copertura del tetto; verso le ore 17, facendosi buio, avevano terminato il proprio turno di lavoro ed il G. stava cercando di passare alcuni strumenti di lavoro al fratello, allorché era precipitato al suolo, riportando le suindicate lesioni.
1.2. Il primo giudice - dato atto che l'infortunato era dipendente della A. Costruzioni, ancorché non formalmente dalla stessa assunto, e che "l'accordo di subappalto intercorso tra CO. s.n.c. e A. Costruzioni s.n.c. non veniva mai formalmente comunicato al coordinatore della sicurezza, B.M., il quale, pertanto, non veniva portato a conoscenza della presenza in cantiere della ditta A. Costruzioni s.n.c" - riteneva la responsabilità di tale imputato rilevando che "nessun sistema di sicurezza veniva compiutamente individuato nel piano di coordinamento predisposto dalla committente, nel quale si faceva un generico riferimento all'obbligo di utilizzare le cinture i sicurezza, senza, tuttavia, fornire, in concreto, indicazioni precise e dettagliate…”. Egli "avrebbe dovuto, prima ancora dell'inizio delle opere sul tetto, indire una riunione di coordinamento, nella quale mettere a punto ed indicare alle singole maestranze quali presidi di sicurezza avrebbero dovuto essere adottati per la realizzazione dei lavori in quota e con quali modalità ancorarli sul tetto ...; avrebbe dovuto immediatamente attivarsi per accertarsi con quali modalità gli operai stessero lavorando sulla copertura e se in particolare fossero stati adottati presidi necessari per l'aggancio delle cinture di sicurezza, effettuando personalmente sopralluoghi, prendendo notizie dal personale che lavorava in loco e predisponendo un immediato contatto con gli operai preposti a tale genere di attività ... Detto intervento avrebbe certamente consentito all'imputato di rendersi conto che le opere in quota venivano eseguite in assenza di qualsiasi presidio di sicurezza, ponendolo, così, nelle condizioni di bloccare immediatamente i lavori in cantiere ed individuare ed attuare il sistema di ancoraggio delle cinture di sicurezza più idoneo al caso concreto, operando nel contempo un efficace richiamo nei confronti degli operai circa i rischi specifici insiti nel tipo di lavorazioni realizzate e della necessità di utilizzare le cinture di sicurezza ...".
1.2. Nel pervenire alla confermativa statuizione di condanna, la Corte territoriale rilevava, dal canto suo, che la responsabilità di tale imputato doveva essere ricondotta "alla sola ipotesi di violazione dell'art. 5, lett. f), D. Lgs.vo 494/96, come espressione specifica della violazione dell'obbligo di coordinamento che gli competeva, non essendo invece ravvisabili le altre omissioni prospettate". In particolare, "il PCS redatto da B. conteneva le indicazioni circa le misure di prevenzione necessarie per i lavori in quota ...
Ancora non è contestabile a B. di aver omesso la verifica del POS di A. Costruzioni s.n.c, essendo del tutto pacifico che egli non sapeva, senza colpa, della presenza degli operai di quella impresa". In definitiva, "l'unico addebito che si deve muovere al B., nella predetta qualità, è quello di non aver sospeso in tempo utile i lavori in quota, una volta verificato l'arrivo del relativo materiale e l'inizio dei lavori stessi sì da coordinare i lavori delle diverse ditte impegnate …”, in violazione, quindi, del disposto dell'art. 5, lett. f), D. Lgs.vo n. 494/1996: e tale addebito riteneva comprovato, soggiungendo che "è irrilevante in proposito 'l'invisibilità' di A. Costruzioni s.n.c. perché il coordinamento avrebbe in ogni caso dovuto riguardare la sicurezza dei dipendenti di CO. impegnati eventualmente in quota oltre che il fatto che tali lavori non intralciassero o fossero intralciati da altre lavorazioni eventualmente in corso. In sintesi, nel corso del sopraluogo del *** (l'incidente avvenne il *** successivo) B. aveva saputo dell'arrivo del materiale per la copertura del capannone e dell'inizio di lavori. Aveva potuto constatare di persona che all'atto del suo intervento nessuno era sul tetto, ma avrebbe potuto e dovuto vedere o chiedere come si fosse svolta la prima fase dei lavori, posto che non era visibile la predisposizione delle misure precauzionali, con riferimento ai punti che dovevano costituire idoneo sostegno, secondo il suo stesso PCS, alla voce procedure specifiche, tanto più che l'approvato POS di CO. prevedeva un sistema di sicurezze diverso da quello contemplato nelle istruzioni di montaggio di C. ... Nulla era stato in proposito verificato da B. e nulla dice in tal senso il verbale d'ispezione del *** essendosi egli limitato alla generica raccomandazione di sospendere i lavori in caso di maltempo o scarsa visibilità ..."
2.0. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l'imputato, per mezzo del difensore, denunziando:
a) il vizio di violazione di legge, in relazione al precitato art. 5, lett. f), D. Lgs.vo n. 494/1996. Rileva che la norma pone a carico del coordinatore, in fase di esecuzione dei lavori, l'obbligo di sospendere i lavori solo in caso di pericolo grave ed imminente "direttamente riscontrato", ovvero solo se abbia personalmente verificato una situazione di pericolo grave ed immediato. Posto che "l'intero impianto del D. Lgs.vo 494/96 ... non ha mai richiesto al coordinatore la presenza costante e continua in cantiere illegittimamente la sentenza impugnata aveva ritenuto che il coordinatore "avrebbe potuto accorgersene", con ciò dando atto che "un diretto riscontro della situazione di un pericolo grave ed imminente da parte dell'ing. B. non si è mai verificato";
b) il vizio di motivazione. Rileva che "tutte le risultanze dibattimentali ... evidenziano come le cinture ed i relativi apprestamenti di sicurezza fossero stati utilizzati dalla ditta L. che aveva operato - prima di A. Costruzioni - sul tetto ove si è verificato l'incidente". "Posto che nessuna prova è emersa in dibattimento circa il fatto che l'ing. B. non si sia interessato di come fossero stati svolti i lavori in quota …”, deduce che “coerentemente ... l'impresa L. aveva utilizzato le cinture nella prima fase di lavorazione in cui si doveva posare la rete zincata anticaduta. Una volta eseguita questa lavorazione, la copertura era 'in sicurezza' in quanto non vi era più il pericolo di caduta dall'alto e, pertanto, si poteva operare senza l'ausilio delle cinture ...";
c) il vizio di violazione di legge, in relazione all'art. 5, 1° c., lett. f), D. Lgs.vo n. 494/1996. Rileva che la Corte di Appello "nemmeno individua un pericolo grave ed imminente, ma si limita ad ipotizzare un mancato coordinamento in capo all’ing. B. (peraltro smentito dalla stessa sentenza che ha mandato assolto il coordinatore sul punto) …”. Soggiunge che, "volendo ricostruire la volontà della Corte di Appello, risulterebbe che il 'pericolo grave ed imminente' sarebbe consistito nel mancato uso dei dispositivi di protezione ... da parte dei dipendenti di A. Costruzioni …”; ma "la semplice mancata attuazione delle misure di sicurezza e di protezione previste nel piano di sicurezza e di coordinamento e nei piani operativi di sicurezza comporta una serie di obblighi e di responsabilità espressamente previsti da altre norme e, in particolare, da altre lettere - diverse dalla f) - del medesimo art. 5, comma 1, D. Lgs.vo 494/96 …”; quella della lettera f) della norma "è l'ipotesi estrema da attuare quando tutti gli altri adempimenti previsti in capo al coordinatore ed alle altre figure rilevanti non siano idonei a gestire il pericolo (grave ed imminente) …”;
d) il vizio di violazione di legge, in relazione agli artt. 40, 2° c., c.p. e 5, lett. f), D. Lgs.vo n. 494/1996. Posto che la sentenza impugnata ha ritenuto che il ricorrente "avrebbe dovuto chiedere come si fosse svolta la prima fase dei lavori", deduce che "l'ing. B. ha effettuato tale attività pur non verbalizzandola" e che, "in ogni caso, la risposta che avrebbe ottenuto (secondo quanto emerso dalle testimonianze sopra indicate) lo avrebbero confortato circa il fatto che le misure di sicurezza erano attuate dall'impresa L. che già stava operando da qualche giorno sul tetto. Pertanto l'attività ritenuta doverosa (ed omessa)... non avrebbe posto il coordinatore nella condizione di apprendere alcuna violazione delle misure di prevenzione disposte nei piano operativi di sicurezza";
e) il vizio di motivazione. Rileva che "le motivazioni della sentenza impugnata si basano su circostanze di fatto contraddittorie rispetto a quanto emerso nel dibattimento e parzialmente riportato in sentenza, e cioè le testimonianze L. ed H.E. circa l'utilizzo da parte dell'impresa del primo delle cinture di sicurezza nell'effettuazione dei lavori in quota. Tali circostanze erano state oggetto di impugnazione ... dell'atto di appello…”, e, "a prescindere da ogni altra considerazione, tali motivi di appello ... avrebbero dovuto essere oggetto di attenta valutazione da parte della Corte di Appello …”, che, "in particolare …, avrebbe dovuto motivare - o almeno affermare - l'inattendibilità delle testimonianze che minano in radice la ricostruzione effettuata dal giudice d'appello ...";
f) il vizio di violazione di legge, in relazione agli artt. 40, 2° c., c.p. e 5, lett. f) D. Lgs.vo n. 494/1996. Deduce che, "nel caso di specie, la carenza dell'obbligo di coordinamento delle diverse ditte impegnate è del tutto irrilevante in quanto, a prescindere da ogni altra valutazione, è lo stesso giudice di appello nella propria sentenza ad evidenziarne l'inconferenza …”, essendosi ivi affermato che la caduta di G. "rischiò di coinvolgere un dipendente di C.D., altra ditta presente in cantiere, e che lavorava al suolo ...; rischiò, quindi nessun soggetto ha - in concreto - subito alcun danno a causa della - comunque asserita - mancanza di coordinamento ...; dal mancato coordinamento non è dipeso alcun evento dannoso…, nessun intralcio tra lavorazioni è stato causa del sinistro, che si è verificato solo per il mancato rispetto delle regole già esplicitate anche nei PSC e nei POS, da parte di Co. e della subappaltatrice occulta Alba Costruzioni …”;
g) il vizio di motivazione, quanto alla quantificazione della pena.
Posto che "le responsabilità attribuite all' ing. B. sono sostanzialmente meno gravi di quelle imputate ai titolari della Co. …”, illogicamente a lui era stata irrogata la stessa pena inflitta a questi ultimi.
2.1. Il ricorrente ha prodotto, per mezzo del difensore, una memoria con motivi nuovi. Deduce ulteriormente:
a1) "erronea applicazione degli artt. 40 e 41 c.p., in connessione con l'art. 5 D. Lgs.vo 494/1996, quanto alla ritenuta posizione di garanzia dell'ing. B.". "Pur non dubitando dell'astratta configurabilità di una posizione di garanzia in capo al coordinatore per l'esecuzione dei lavori nell'ambito della normativa riguardante i cantieri ", rileva che "il coordinatore ha il compito di coordinare le imprese e non quello di interferire nell'operato dei datori di lavoro nello svolgimento delle loro lavorazioni e, tanto meno, di vigilare e dare direttive ai loro lavoratori ... La posizione di garanzia nasce ed assiste questa più generale esigenza di coordinamento tra le diverse imprese presenti nel medesimo 'teatro' lavorativo ...". Ricorda che "nella vicenda che occupa ... l'impresa A. Costruzioni è fattore sconosciuto alla committenza e contrario agli accordi contrattuali tra Impresa M., di cui il coordinatore è emanazione, e le subappaltatrici: Così il lavoratore infortunatosi apparteneva ad un'entità sconosciuta ed illegittimamente presente sul cantiere, tale da rendere inesigibile qualsiasi condotta prevenzionale da parte dell'ing. B., sotto l'aspetto quanto meno della prevedibilità dell'evento ... Nel caso in esame non solo il coordinatore non è stato informato del mancato utilizzo di determinati dispositivi di protezione, individuali e collettivi, indicati nel PSC, ma nemmeno è stato reso edotto dell'ingresso dell'A. Costruzioni con i relativi lavoratori, operanti in segreto e al di fuori delle norme contenute nel PSC e di quelle di legge…”;
b1) "violazione dell'art. 40 c.p.". Rileva che "non è dal mancato coordinamento delle imprese operanti nel cantiere né dalla mancata sospensione dei lavori che l'infortunio è derivato, quanto semmai dal mancato apprestamento di misure di protezione collettive od individuali adeguate (obbligo tra l'altro non riconducibile alla figura del coordinatore) ... Asserire, come fa la Corte d'Appello, che i controlli da svolgere sull'impresa avrebbero avuto efficacia causale impeditiva dell'evento ... pare un'estensione indebita di ipotesi controfattuali a soggetti sui quali il controllo non era neppure possibile, e denota una confusione tra l'evento concreto ed un evento immaginario portando ad una commistione tra causalità reale ed ipotetica …”;
c1) il vizio di violazione di legge, in relazione all'art. 5, lett. f), D. Lgs.vo n. 494/1996. Rileva che quello indicato da tale norma è "un obbligo legato al più generale compito del coordinatore per l'esecuzione dei lavori, ossia un controllo relativo al coordinamento delle lavorazioni presenti in cantiere e all'applicazione delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento", non dovendo, invece, "sovrintendere e vigilare sulla osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro …”, obblighi, questi, che "spettano, come noto, ai preposti delle singole imprese ...; nella sentenza della Corte d'Appello è evidente il rimprovero per omessa vigilanza relativa ad un livello in realtà attribuibile al ruolo del preposto e non al coordinatore …”.


Motivi della decisione


3.0. Il difensore del ricorrente, sottoscrittore del ricorso, ha rimesso un fax con allegata copia di atto, datato 13 febbraio 2006, col quale il ricorrente dichiarava di nominare suo difensore di fiducia anche l'avv. Vincenzo Paltrinieri, al quale non è stato dato avviso per l'odierna udienza.
Così prospettandosi la questione relativa alla ritualità della instaurazione del contraddittorio in questa sede, deve rilevarsi che, come risulta dagli atti del procedimento, l'imputato nominò inizialmente suo difensore di fiducia l'avv. Ugo Lecis con atto depositato il 12 novembre 2003. In primo grado, all'udienza dell'11 ottobre 2005, fu presente un sostituto dell'avv. Lecis (avv. Matteo Grassi). Successivamente, con atto datato 13 febbraio 2006 (fol. 297 del relativo incarto processuale) l'imputato nominò suo condifensore anche l'avv. Vincenzo Paltrinieri unitamente all'avv. Lecis. All'udienza del 20 febbraio 2006 si dà atto della presenza degli avv.ti Lecis e Paltrinieri. All'udienza del 3 aprile 2006 fu presente l'avv. Marco Arienti designato sostituto dell'avv. Paltrinieri. Analogamente alle udienze del 6 giugno 2006, 17 ottobre 2006, 30 ottobre 2006, 27 novembre 2006. Nel verbale di udienza del 6 febbraio 2007 vengono indicati gli avv.ti Lecis e Paltrinieri: è in atti anche una delega dell'avv. Paltrinieri all'avv. Marco Arienti per essere sostituito in quella udienza.
Tanto in primo grado.
L'appello venne, poi, sottoscritto dal solo avv. Lecis., che propose anche motivi nuovi. All'udienza del 19 maggio 2008 fu presente solo l'avv. Lecis, che nulla rilevò quanto all'altro difensore; analogamente all'udienza del 31 ottobre 2008, nella quale il processo fu deciso. L'avv. Paltrinieri, dunque, è rimasto del tutto assente nel giudizio di appello.
Ciò posto, deve rilevarsi che la revoca di un difensore da parte dell'imputato, che ne abbia nominati due, può avvenire anche implicitamente, per comportamento concludente, ove la parte, assistito da altro difensore, si sia avvalso solo dell'opera di quest'ultimo ed il primo non abbia affatto partecipato al processo (nella specie in grado di appello) e non abbia, perciò, posto in essere alcuna attività difensiva. Tale principio è già stato affermato da questa Suprema Corte, ancorché in fattispecie di nomina di difensore in eccedenza rispetto al numero consentito (Cass., 9 febbraio 2009, n. 3549; id., Sez. I, 6 marzo 2009, n. 12876). Può soggiungersi che ha altra volta ritenuto questa Suprema Corte che, nel giudizio di Cassazione, se uno solo dei difensori nominati dall'imputato abbia sottoscritto il ricorso e/o gli eventuali motivi nuovi, si deve ritenere che l'altro non abbia dato esecuzione all'incarico conferitogli, in quanto l'importanza della prestazione professionale è tale da comportare, in tal caso, una tacita rinuncia al mandato, con la conseguente perdita della rappresentanza processuale e del diritto dell'avviso all'udienza. S'è rilevato che, a differenza di quanto avviene nelle fasi di merito nelle quali la presenza del difensore è indispensabile, nel giudizio di legittimità l'attività del difensore si esplica essenzialmente prima della udienza, con la redazione del ricorso, il quale, determinando l'oggetto del giudizio, realizza lo scopo della prestazione professionale. Se ne è tratta la conclusione che nel giudizio di Cassazione deve ritenersi difensore del ricorrente unicamente il professionista che abbia sottoscritto il ricorso e gli eventuali atti conseguenti (Cass., Sez. V, 14 ottobre 1999, n. 14380). In ogni caso, quand'anche non volesse ritenersi che la mancata sottoscrizione del ricorso comporti, di per sé, la tacita rinuncia al mandato, pure tale omissiva condotta si appalesa del tutto confermativa del persistente disinteresse del difensore e vale ad ancor più corroborare quell'abdicatorio comportamento concludente di cui sopra si diceva.
Alla stregua di tanto, deve, dunque, ritenersi validamente instaurato, nella specie, il contraddittorio in questa sede di legittimità.
3.1. Tanto sin qui ritenuto, le doglianze esplicitate nel gravame non sono condivisibili.
Quanto, difatti, ai motivi sopra indicati sub a), b), c), d), e), f), a1), b1), c1), che conviene esaminare congiuntamente per la interdipendenza che li connota, deve innanzitutto considerarsi che l'obbligo imposto dalla lett. f) dell'art. 5 D. Lgs.vo 14 agosto 1996, n. 494 ("sospendere in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati dalle imprese interessate") non è avulso dall'intero contesto della generalità degli obblighi assegnati al coordinatore per l'esecuzione di lavori, indicati nelle altre lettere della stessa norma, ma, al contrario, con essi si coniuga. Il "pericolo grave ed imminente" ben può, quindi, scaturire, e di norma scaturisce, dalla doverosa attività di verifica delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento, della corretta applicazione delle relative procedure di lavoro, delle misure eventualmente dirette a migliorare la sicurezza nel cantiere.
Assumendo il ricorrente che "il coordinatore ha il compito di coordinare le imprese e non quello di interferire nell'operato dei datori di lavoro nello svolgimento delle loro lavorazioni e, tanto meno, di vigilare e dare direttive ai loro lavoratori", nel contesto della "più generale esigenza di coordinamento tra le diverse imprese presenti nel medesimo 'teatro' lavorativo …”, deve per contro rilevarsi che, in tema di prevenzione antinfortunistica, al coordinatore per l'esecuzione dei lavori non è assegnato dal precitato art. 5 D. Lgs.v. n. 494/1996 esclusivamente il compito di organizzare il lavoro tra le diverse imprese operanti nello stesso settore, ma anche quello di vigilare sulla corretta osservanza da parte delle stesse delle prescrizioni del piano di sicurezza e sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell'incolumità dei lavoratori (Cass., Sez. IV, 4 giugno 2008, n. 27442). E non v'è dubbio che, in riferimento e nei limiti specificamente indicati dalla precitata norma, il coordinatore per l'esecuzione dei lavori - cui la lettera f) della norma medesima conferisce anche poteri a contenuto impeditivo - è titolare di una posizione di garanzia (Cass., Sez. IV, 13 marzo 2008, n. 17502).
Ciò posto, i giudici del merito hanno, in sostanza, considerato che in occasione del sopraluogo del *** l'imputato avrebbe dovuto agevolmente accorgersi, visivamente, della mancata predisposizione dei "punti che dovevano costituire idoneo sostegno" per l'apposizione e l'utilizzo delle cinture di sicurezza, e quindi della "visibile" mancanza della "predisposizione delle misure precauzionali". A tale riguardo, aveva annotato la integrativa sentenza di primo grado, richiamando le dichiarazioni rese dal teste P.G., "in servizio presso l'A.S.L. 3 di Monza", il quale aveva svolto gli accertamenti del caso lo stesso giorno del sinistro, alle ore 20,30, che "la società C. Prefabbricati s.p.a. aveva adottato per la protezione dei lavoratori durante la fase di montaggio, già ultimata, delle strutture prefabbricate ed in particolare un sistema brevettato c.d. Rurefast …, consistente nell'inserimento sul manufatto di boccole all'interno delle quali dovevano essere inseriti dei paletti dell'altezza di circa un metro, sui quali predisporre un sistema di funi tiranti, alle quali, poi, i singoli operatori avrebbero dovuto agganciare le cinture di sicurezza.... Era stato appurato che tale sistema di sicurezza non era mai stato adottato da alcuna ditta operante sul capannone numero otto, sia nella fase di montaggio delle strutture prefabbricate, sia nella fase di copertura del tetto, atteso che al momento del sopralluogo le boccole (erano) risultate ancora coperte dai relativi tappi di protezione, si presentavano pulite e prive di tracce di cemento, segni che avrebbero, invece, dovuto essere presenti ove le boccole fossero state utilizzate per l'inserimento dei paletti dei tiranti ... A sua volta la ditta CO. s.n.c, subentrando nella realizzazione delle opere di copertura già sub-appaltate a C. Prefabbricati s.p.a., predisponeva nel proprio piano di sicurezza, poi consegnato a C. Prefabbricati s.p.a., che a sua volta lo trasmetteva al coordinatore per la sicurezza, un altro sistema finalizzato a scongiurare la caduta dall'alto dei lavoratori impegnati nella realizzazione di opere in altezza, consistente nella installazione di staffe di sicurezza, sulle quali veniva posizionata una fune alla quale i singoli lavoratori avrebbero dovuto agganciarsi con le proprie cinture di sicurezza…; neppure il presidio antinfortunistico veniva predisposto sul capannone numero otto …, atteso che lo stesso, nello specifico luogo di lavoro, non era attuabile, stante l'assenza di pannelli ai quali potere agganciare le funi e stante la particolare lunghezza del capannone che non consentiva alle funi di raggiungere le estremità…”, sicché "le squadre di lavoro impiegate per la realizzazione delle opere di copertura del tetto del capannone operavano in assenza di alcun presidio antinfortunistico di caduta dall'alto ...". Aveva, quindi, annotato il primo giudice che il ricorrente, "avendo effettuato nei giorni precedenti all'infortunio svariati sopralluoghi all'interno del cantiere …, avrebbe dovuto avvedersi del fatto che l'impresa deputata alla realizzazione delle opere di copertura del tetto del capannone non stava utilizzando alcun presidio antinfortunistico finalizzato a scongiurare la caduta dall'alto dei propri operai …”; anzi, "avrebbe potuto rilevare l'inattuabilità delle misure di prevenzione indicate nei piani di sicurezza di C. Prefabbricati s.p.a. e di CO., stante l'inidoneità delle strutture presenti sul posto, che non consentivano alcun tipo di ancoraggio delle cinture di sicurezza con sistemi di tiranti e funi …”.
Rimanendo, in ogni caso, che egli avrebbe dovuto accorgersi della mancata predisposizione delle opere necessarie alla installazione di quel presidio antinfortunistico (le cinture di sicurezza), da tanto insorgeva, evidentemente, un "pericolo grave ed imminente", cioè la concreta possibilità che i lavoratori attendessero agli ulteriori lavori programmati senza la dovuta predisposizione di quella necessaria misura di sicurezza, con grave pericolo per la loro incolumità, donde, conseguentemente, la ritenuta necessità di "sospendere ... le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati dalle imprese interessate", come recita la norma.
In tale omissivo contesto ("nulla era stato in proposito verificato da B. e nulla dice in tal senso il verbale d'ispezione del *** essendosi egli limitato alla generica raccomandazione di sospendere i lavori in caso di maltempo o scarsa visibilità", annota la sentenza impugnata), correttamente è stata ritenuta "irrilevante in proposito 'l'invisibilità' di A. Costruzioni s.n.c", giacché, in sostanza, quella situazione inadempitiva e di pericolo era oggettivamente ravvisabile, essendo, appunto "visibile", e quindi ben oltre ogni possibile ulteriore accertamento circa la riferibilità della situazione al soggetto tenuto ad ovviarvi, considerandosi, altresì, che "il coordinamento avrebbe in ogni caso dovuto riguardare la sicurezza dei dipendenti CO. impegnati eventualmente in quota …”; egli, quindi, avrebbe dovuto rendersi avveduto "che non era visibile la predisposizione delle misure precauzionali, con riferimento ai punti che dovevano costituire idoneo sostegno, secondo il suo stesso PCS, alla voce procedure specifiche, tanto più che l'approvato POS di CO. prevedeva un sistema di sicurezze diverso da quello contemplato nelle istruzioni di montaggio di C. ,,,”; e non aveva esercitato nessun potere impeditivo della prosecuzione dei lavori prima che quella situazione di pericolo venisse idoneamente affrancata: e proprio dalla prosecuzione dell'attività lavorativa senza la mancata predisposizione di quelle misure di sicurezza è dipeso il verificarsi dell'evento lesivo.
Deve, quindi, conclusivamente convenirsi che la sentenza impugnata, in punto di responsabilità, si sottrae a rinvenibili vizi di violazione di legge e di motivazione, che, peraltro, la norma vuole dover essere manifesta, cioè coglibile immediatamente, ictu oculi. E pure giova ricordare che tale ultimo vizio deducibile in sede di legittimità deve, per espressa previsione normativa, risultare dal testo del provvedimento impugnato, o - a seguito della modifica apportata all'art. 606.1, lett. e), c.p.p. dall'art. 8 della L. 20.2.2006, n. 46 - da "altri atti del procedimento specificamente indicati nei motivi di gravame".      Inoltre, l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice del merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali, giacché esula dai poteri della Corte medesima quello di una 'rilettura' degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice del merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Cass., Sez. Un., 30 aprile 1997, n. 6402; id., Sez. Un., 24 novembre 1999, n. 24; in termini sostanzialmente identici, ancorché con riferimento alla materia cautelare, id., Sez. Un., 19 giugno 1996, n. 16; e non dissimilmente, id., Sez. Un., 27 settembre 1995, n. 30; id., Sez. Un., 25 ottobre 1994, n. 19/1994; e, con riguardo al giudizio, id., Sez. Un., 13 dicembre 1995, n. 930/1996; id., Sez. Un., 31 maggio 2000, n. 12). Infine, in tema di sindacato del vizio di motivazione, compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici del merito in ordine alla affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano correttamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Cass., Sez. Un., 13 dicembre 1995, n. 930/1996; id., Sez. Un., 31 maggio 2000, n. 12).
3.2. Quanto, infine, all'ultimo profilo di doglianza, supra, sub g), in punto di trattamento sanzionatorio, i giudici dell'appello hanno riconosciuto le attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante e sono pervenuti alla determinazione della pena detentiva, peraltro sostituita con quella pecuniaria corrispondente, considerando "la gravità del danno patito da G. e il rilevante grado di colpa …”: e tale divisamente, che rimanda ai parametri di riferimento di cui all'art. 133 c.p., si appalesa incensurabile in questa sede, siccome espresso nel legittimo esercizio del potere che al riguardo è dalla legge riservato al giudice del merito. Né è dato cogliere alcun vizio di motivazione per il mero addotto raffronto col trattamento sanzionatorio riservato ad altri soggetti coimputati.
4. Il ricorso va, dunque, rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P. Q. M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Roma, 25 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria 7 Maggio2010