REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE FERIALE PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Antonio
Dott. ZAMPETTI Umberto
Dott. PALLA Stefano
Dott. MULLIRI Guicla
Dott. PICCIALLI Patrizia

- Presidente
- Consigliere
- Consigliere
- Consigliere
- rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:
1) A.E., N. IL ***;
avverso la sentenza n. 11420/2008 CORTE APPELLO di TORINO, del 08/02/2010;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/08/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Geraci Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Torino confermava quella di primo grado che aveva ritenuto A.E. responsabile del reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica in danno del lavoratore R.S. e, ritenuta la prevalenza delle già concesse attenuanti generiche, comminava la pena di mesi quattro di reclusione.

Si è trattato di un infortunio sul lavoro occorso in data *** al predetto lavoratore - incontestabilmente considerato "di fatto" dipendente della società T., benché formalmente iscritto nell'albo delle imprese artigiane - il quale, mentre stava riparando un'insegna luminosa fissata ad un palo alto circa metri 6,50 senza adottare le necessarie cautele antinfortunistiche (il R. era sprovvisto di cintura di sicurezza e di guanti protettivi nonché non aveva neanche sezionato il trasformatore da smontare tramite l'interruttore generale), a causa di una folgorazione cadeva dalla scala, subendo gravi lesioni encefaliche che ne provocavano il decesso.

L'imputata era stata chiamata a risponderne nella qualità di legale rappresentante della T., essendosi ravvisati a suo carico profili di colpa specifica, fondati essenzialmente sulla omessa adozione di tutti i provvedimenti tecnici organizzativi necessari a tutelare l'integrità fisica dei lavoratori e sulla omessa verifica della idoneità tecnico-professionale del R..

Avverso la predetta decisione propone ricorso per Cassazione A. E. articolando tre motivi.

Con il primo, in via preliminare, eccepisce la nullità della notifica dell'estratto della sentenza della Corte di appello, in quanto effettuata ex art. 161 c.p.p., comma 4, al difensore dell'imputata benché emergesse con evidenza dagli atti che la ricorrente in data 24.10.2005, in sostituzione della precedente elezione di domicilio, aveva dichiarato il domicilio presso la propria abitazione.

Con il secondo motivo, si duole della omessa rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale per l'audizione del direttore tecnico responsabile della T. sulla formazione e sulla competenza tecnica del R., pur avendo la Corte di merito fondato uno dei profili di responsabilità della ricorrente proprio sulla omessa formazione del lavoratore.

Con il terzo motivo, infine, si duole della manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui, pur dando atto della gravissima imprudenza del lavoratore - il quale aveva iniziato il lavoro senza isolare la parte dell'impianto elettrico da riparare ed usando la scala, pur disponendo di un trabatello - aveva escluso l'interruzione del nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento.

Il ricorso non può trovare accoglimento a fronte di una sentenza che non incorre nelle violazione di legge lamentate dalla ricorrente e che appare corretta nella ricostruzione dell'incidente e dei profili di colpa addebitati all'imputata.

Quanto al primo motivo, di carattere procedurale, la ricorrente tralascia di considerare che la mancata notifica all'imputato dell'avviso di deposito di sentenza (o di qualunque altro provvedimento impugnabile) configura una nullità di ordine generale "a regime intermedio" e non assoluta, che resta sanata, per il raggiungimento dello scopo, a norma dell'art. 183 c.p.p., quando i motivi di impugnazione siano stati tempestivamente presentati dal difensore e riguardino il provvedimento effettivamente impugnato ed il suo contenuto motivazionale (v., da ultimo, Sezione 1, 24 febbraio 2010, Italiano ed altri).

Anche il secondo motivo è infondato.

Va in proposito ricordato, innanzitutto, che, per assunto pacifico, la rinnovazione dell'istruzione nel giudizio di appello ha natura di istituto eccezionale rispetto all'abbandono del principio di oralità nel secondo grado, ove vige la presunzione che l'indagine probatoria abbia raggiunto la sua completezza nel dibattimento già svoltosi in primo grado, onde la rinnovazione ex art. 603 c.p.p., comma 1, è subordinata alla condizione che il giudice ritenga, secondo la sua valutazione discrezionale, di non essere in grado di decidere allo stato degli atti.

Tale condizione, legittimante (rectius, imponente) la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, si verifica quando i dati probatori già acquisiti siano incerti nonché quando l'incombente richiesto rivesta carattere di decisi vita ovvero sia di per sé oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza (ex pluribus, Sezione 4, 22 novembre 2007, Proc. gen. App. Genova ed altri in proc. Orlando ed altri).

Anzi, in questa prospettiva, derivandone la coerente conseguenza che, se è vero che il diniego dell'eventualmente invocata rinnovazione dell'istruzione dibattimentale deve essere spiegato nella sentenza di secondo grado, la relativa motivazione (sulla quale nei limiti della illogicità e della non congruità è esercitabile il controllo di legittimità) può anche ricavarsi per implicito dal complessivo tessuto argomentativo, qualora il giudice abbia dato comunque conto delle ragioni in forza delle quali abbia ritenuto di potere decidere allo stato degli atti (tra le altre, Sezione 4; 5 dicembre 2007, San Martino).

Qui, il giudicante ha fornito adeguata giustificazione del mancato esercizio del potere di rinnovazione, non apprezzandosi quella situazione di incertezza ai fini del decidere che, sola, lo avrebbe consentito (anzi, addirittura imposto).

La Corte di merito, infatti, come reso palese dalla lettura della motivazione, applicando correttamente i principi sopra indicati, dopo avere esaustivamente sottolineato che il R. aveva solamente eseguito un corso per elettricista in epoca remota, dedicandosi poi ad altre attività, e che proprio l'assoluta trascuratezza dallo stesso dimostrata il giorno dell'infortunio, ne evidenziava la mancanza di reale formazione, ha rigettato l'istanza di rinnovazione sul rilievo che la prova testimoniale era tardiva e generica.

Non è, pertanto, configurarle nella fattispecie il vizio denunciato dal ricorrente.

Ne può sostenersi, con la difesa - così passando all'esame del terzo profilo di censura, la carenza di motivazione con riferimento alla ritenuta esclusione del nesso di causalità tra la condotta, certamente imprudente della vittima e l'evento.

La censura non tiene conto che, in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro e le altre figure istituzionalizzate, come ripetutamente affermato da questa Corte, sono "garanti" anche della correttezza dell'agire del lavoratore, essendo loro imposto (anche) di esigere dal lavoratore il rispetto delle regole di cautela, conseguendone, appunto in linea di principio, che la colpa dei medesimi, nel caso di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, non è esclusa da quella del lavoratore.

In tal caso, l'evento dannoso è imputato ai soggetti sopra indicati, in forza della posizione di garanzia di cui questi è ex lege onerato, sulla base del principio dell'equivalenza delle cause vigente nel sistema penale (art. 41 c.p., comma 1).

Sotto questo profilo, è assolutamente pacifico l'assunto in forza del quale per escludere la responsabilità del datore di lavoro "in colpa" e, quindi, per interrompere, ex art. 41 c.p., comma 2, il nesso causale tra la condotta colposa di questi e l'evento pregiudizievole derivatone, non basterebbe un comportamento del lavoratore pur avventato, negligente o disattento, che il lavoratore pone in essere mentre svolge il lavoro affidatogli, trattandosi di comportamento "connesso" all'attività lavorativa o da essa non esorbitante e, pertanto, non imprevedibile. Per converso, deve ritenersi che, per interrompere il nesso causale, occorra un comportamento del lavoratore che sia "anomalo" ed "imprevedibile" e, come tale, "inevitabile"; cioè un comportamento che ragionevolmente non può farsi rientrare nell'obbligo di garanzia posto a carico del datore di lavoro. Si deve trattare, in altri termini, di un comportamento del lavoratore definibile come "abnorme", che, quindi, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro (cfr., per tale definizione, la citata sentenza 20 maggio 2010, Dorigo e, in precedenza, tra le altre, Sezione 4, 12 giugno 2009, Lo Bello, Sezione 4, 4 luglio 2003, Valduga; nonché, Sezione 4, 12 febbraio 2008, Trivisonno e Sez. 4, 21 ottobre 2008, Petrillo).

In ogni caso, poi, secondo principio parimenti pacifico, l'eventuale colpa concorrente dei lavoratori non può comunque spiegare alcun effetto esimente per il datore di lavoro e per gli altri soggetti istituzionalmente preposti alla responsabilità ed al controllo della fase lavorativa specifica che si sia reso comunque responsabile (come nel caso in esame) di specifica violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica, in quanto la normativa relativa è comunque diretta proprio a prevenire pure la condotta colposa dei lavoratori per la cui tutela è adottata (v. tra le tante, Sezione 4, 20 maggio 2010, Dorigo).

Il caso in esame, contrariamente a quanto sostenuto dal difensore dell'imputato, il quale ha incentrato il ricorso sulla omessa considerazione da parte dei giudici di merito della condotta del lavoratore del tutto anomala e stravagante rispetto alle mansioni ed ai compiti chiamato a svolgere, non consente soluzioni liberatorie per l'imputato, proprio alla luce della richiamata interpretazione giurisprudenziale.

La sentenza impugnata ha rispetta appieno il richiamato inquadramento di principio, giacché ha correttamente individuato, alla stregua delle risultanze istruttorie, non solo le norme cautelari violate da parte del datore di lavoro, che aveva omesso la formazione del lavoratore ed il controllo sul medesimo per imporgli il rispetto della normativa antinfortunistica, ma ha anche escluso lo svolgimento da parte del lavoratore di un'attività stravagante rispetto alle proprie specifiche mansioni, tale cioè da rilevare come causa interruttiva del nesso eziologico, pur evi deliziandone il rapporto causale con l'evento dannoso.

Non è, pertanto, configurabile nella fattispecie il vizio denunciato dal ricorrente.

Le censure proposte, del resto, una volta apprezzata la correttezza giuridica del ragionamento sviluppato nella decisione gravata, sono evidentemente di mero fatto e implicano una rilettura del compendio probatorio (di cui si offre una lettura alternativa) che non può trovare ingresso in sede di legittimità, non competendo alla Corte di Cassazione rivalutare l'apprezzamento del quadro probatorio quando questo - come nel caso de qua- è assistito da esaustiva motivazione.

Proprio la posizione di garanzia de qua ricoperta dall' A., nella qualità di legale rappresentante dell'impresa T., per la quale il R. svolgeva "di fatto" lavoro dipendente e l'incontestabile accertamento della violazione dell'obbligo di formazione del lavoratore e di controllo dell'osservanza da parte del medesimo della normativa antinfortunistica, non attribuisce alcun rilievo, per escludere la responsabilità dello stesso, ai comportamenti negligenti, trascurati, imperiti del lavoratore, che abbiano contribuito alla verificazione dell'infortunio.

Per le considerazioni svolte il ricorso deve essere rigettato.

Al rigetto consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.