REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SILVESTRI Giovanni
Dott. GARRIBBA Tito
Dott. VECCHIO Massimo
Dott. BONITO Francesco
Dott. PIRACCINI Paola

- Presidente
- Consigliere
- Consigliere
- rel. Consigliere
- Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:
1) R.E., N. IL ***;
2) C.L., N. IL ***;

avverso la sentenza n. 651/2007 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di TARANTO, del 10/10/2008;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/06/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA SILVIO BONITO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Delehaye Enrico, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio per il capo D) e rigetto nel resto.
Uditi, altresì:
L'avv. ***, per la p.c. Legambiente che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito l'avv. ***, sost. Processuale dell'avv. ***, per entrambi gli imputati che conclude per l'accoglimento dei ricorsi e, in subordine per l'applicazione della prescrizione;
L'avv. ***, difensore di C.L., che conclude per l'accoglimento del ricorso e in subordine per l'applicazione della prescrizione.
L'avv. ***, difensore di R. E., che conclude l'accoglimento del ricorso, ovvero per l'applicazione della prescrizione.


Svolgimento del processo e motivi della decisione

1. R.E. e C.L., quale presidente del Consiglio di amministrazione dell'I. SpA, il primo e quale direttore dello stabilimento di ***, il secondo, venivano condannati dal Tribunale di Taranto, in composizione monocratica, con sentenza del 12.2.2007, alla pena, rispettivamente, di anni tre di reclusione e di anni due e mesi otto di reclusione, perché ritenuti colpevoli dei reati di cui al capi A), C), D) ed F) della rubrica, unificati i reati dal vincolo della continuazione ed esclusa per il C. la contestata recidiva. Il Tribunale, inoltre, dichiarava n.d.p. a carico degli imputati in ordine al reato contravvenzionale di cui al capo B) della rubrica, perché estinto a norma del D.Lgs. n. 758 del 1994, art. 24 e li assolveva, infine, dal reato di cui al capo E) della rubrica con la formula "perché il fatto non sussiste".
Avverso detta sentenza proponevano appello gli imputati e, con riferimento all'assoluzione per il reato di cui al capo E), anche il rappresentante della pubblica accusa ed all'esito del giudizio di secondo grado la Corte adita, con sentenza del 10.10.2008, in parziale riforma di quella impugnata, dichiarava, per quanto di interesse nel presente giudizio, non doversi procedere nei confronti degli appellanti in relazione ai reati di cui ai capi C) e D), in questa ultima ipotesi limitatamente alle emissioni provenienti dal reparto cokeria, nonché ai reati di cui ai capi E) ed F) perché estinti per intervenuta prescrizione, e rideterminava la pena per i rimanenti reati di cui al capo A) e di cui al capo D), nella parte giudicata non estinta per prescrizione e quindi limitatamente alle emissioni non provenienti dal reparto di cokeria, reati per i quali confermava il giudizio di colpevolezza, in anni due di reclusione per R.E. ed in anni uno e mesi otto di reclusione per il C..

2. Ricorrono per Cassazione gli imputati, assistiti dai rispettivi avvocati di fiducia, con distinti ricorsi che possono essere unitariamente considerati e valutati dappoiché di identico contenuto, ancorché riferiti alle posizioni processuali dei due diversi imputati.
2.1 Col primo dei tredici motivi di impugnazione denunciano le difese ricorrenti la nullità della sentenza per inosservanza dell'art. 429 c.p., comma 2, ed comma 1, lett. a) e c), art. 110 c.p. e art. 125 c.p.p., commi 1 e 6, art. 183 c.p.p., e art. 185 c.p.p., comma 1, sul rilievo che sarebbe nullo il decreto dispositivo del giudizio e gli atti successivi.
Ad avviso degli impugnanti il decreto in parola risulterebbe viziato da nullità giacché privo della indicazione degli imputati adeguatamente individuati e dei capi di imputazione precisamente loro addebitati, posto che detta precisa individuazione e puntuale descrizione risulterebbero affidate ad allegati non regolarmente sottoscritti dall'ufficio giudiziario.
Detta eccezione è stata proposta dalla difesa sia in prime cure che con l'atto di appello e confutata dai giudicanti, appunto, con la presenza degli allegati, motivazione ritenuta errata col motivo di ricorso sul rilievo che tratterebbesi di atti, quelli riferibili ai c.d. allegati, non formalizzati e non formati nel rispetto delle regole codicistiche, in primis la riferibilità al magistrato procedente, la cui sottoscrizione non sarebbe stata apposta agli atti allegati, giudicati per questo abnormi ed in contrasto con le forme imposte dall'art. 429 c.p.p..
Denuncia ancora la difesa ricorrente, nell'ambito dell'esposta doglianza, l'imprecisione del decreto in parola, là dove indica come imputati R.E. + 6, con ciò ingenerando confusione ed imprecisione rispetto ad imputazioni comunque contestate a sei persone e non a sette e là dove si utilizza il singolare negli avvisi e negli avvertimenti di legge.
2.2 Col secondo motivo di ricorso denuncia, altresì, la difesa ricorrente difetto assoluto di motivazione sul punto appena trattato, sul rilievo che la Corte distrettuale ha posto a fondamento del rigetto della eccezione difensiva una stringatissima motivazione per relationem, richiamando quella illustrata in prime cure dal giudice di primo grado con l'ordinanza del 9.1.2006, in assenza di specifica delibazione dei particolari punti di censura illustrati dalla difesa.
2.3 Col terzo motivo di ricorso denuncia ancora la difesa ricorrente la mancanza di corrispondenza tra la contestazione portata dal capo D) della rubrica e la sentenza anche in relazione al principio della formazione della prova, sia sotto il profilo della violazione di legge (art. 598 c.p.p., art. 521 c.p.p., comma 2 e art. 522 c.p.p.) sia sotto il profilo del difetto di motivazione.
Deducono sul punto le difese dette:
- la sentenza di primo grado ha espresso il giudizio di colpevolezza relativo al capo D) della rubrica distinguendo emissioni provenienti dal reparto cokerie, ed ulteriori emissioni di origine diversa;
- il gravame di merito su tale punto, articolato con riferimento alla reale contestazione della rubrica ed al rapporto tra sentenza e contestazione, è stato risolto mantenendo senza alcuna motivazione la distinzione di prime cure, distinzione che sfociava in una pronuncia di prescrizione per le emissioni dal reparto cokerie, ma con il mantenimento del giudizio di colpevolezza per le ulteriori emissioni;
- il decreto di citazione a giudizio è nullo per genericità ed equivocità della contestazione se in esso ricomprese le emissioni non dal reparto cokerie;
- la sentenza viola il principio di correlazione tra contestazione e sentenza;
- tale violazione comprende quella al contraddittorio ed alla formazione della prova perché mai contestate, anzi, escluse dal processo tali emissioni ulteriori;
- la sentenza impugnata, riguardo ai punti appena sintetizzati, non articola alcuna motivazione, con ciò incorrendo in un difetto assoluto di motivazione.
2.4 Col quarto motivo di gravame denunciano ancora i difensori violazione del principio del ne bis in idem (art. 649 c.p.p.) sul punto argomentando che, anche a voler ritenere non fondate le deduzioni sin qui sintetizzate, le emissioni non riferibili al reparto cokerie e, quindi, provenienti dai parchi minerari dello stabilimento tarantino, risulterebbero oggetto della imputazione a carico degli imputati ricorrenti, nelle rispettive qualità societarie ed aziendali, regolata definitivamente dalla sentenza 28.9.2005 n. 1653-38936, pronunciata dalla Conte di Cassazione, Sez. 3, sempre con riferimento alla contravvenzione di cui all'art. 674 c.p..
2.5 Col quinto motivo di impugnazione lamentano i difensori ricorrenti violazione dell'art. 674 c.p. e difetto di motivazione con riferimento alla contestazione dei cui al capo D), al riguardo osservando che:
- la censura attiene sia alle emissioni dal reparto cokerie, per le quali si insiste per l'assoluzione piena oltre la dichiarata prescrizione, sia in relazione alle altre ipotetiche emissioni;
- le emissioni dal reparto cokerie non hanno mai superato i limiti di legge (pag. 38 sentenza di prime cure) e perché sussista il reato in parola è necessario tale superamento, non essendo sufficiente la fastidiosità delle emissioni;
- le emissioni diverse da quelle appena dette, nello specifico, non è provato che abbiano mai superato i limiti di legge, di guisa che anche per esse, in quanto provenienti da attività economiche lecite e socialmente utili, e, come detto, non superiori ai limiti di legge, non sussiste l'ipotesi contravvenzionale contestata;
- non v'è sui detti punti alcuna motivazione del giudice di secondo grado, ancorché sottoposti al suo esame le esposte argomentazioni attraverso i motivi di appello alla sentenza di prime cure.
2.6 Col sesto motivo di ricorso oppongono i difensori ricorrenti la prescrizione della contravvenzione di cui al capo D) anche se sussistente nella contestata lettura dei giudici territoriali e cioè con riferimento alle emissioni diverse da quelle del reparto cokeria, dappoiché le uniche emissioni accertate sono quelle di cui al capo E), giudicate estinte per prescrizione in quanto provate soltanto fino al 1999. Ne consegue, per i difensori, che anche quelle valutate nell'ambito del capo D) e diverse da quelle esplicitamente indicate in esso (ancora quelle derivanti dal reparto cokeria) non possono essere considerate provate oltre quel termine e, quindi, in tempo utile per contrastare l'eccezione di prescrizione.
2.7 Col settimo motivo di impugnazione deducono i difensori ricorrenti violazione di legge e difetto di motivazione con riferimento al capo A) della rubrica ed all'art. 437 c.p., in particolare osservando che:
- l'omissione contestata al fine di evitare "disastri" ed "infortuni", contemplati nella formulazione letterale della norma incriminatrice, è puramente retorica, dappoiché mai nel processo di essi si è mai discettato;
- nel capo di imputazione, peraltro, si evocano "malattie consequenziali in danno di lavoratori", nonostante di esse la norma incriminatrice di cui all'art. 437 c.p. non faccia menzione alcuna;
- di qui la violazione dei principi di tipicità dell'illecito penale, di tassatività di esso e del divieto di analogia in malam partem;
- la norma incriminatrice indica esclusivamente, accanto ai "disastri", gli "infortuni sul lavoro" diversi dalla malattia, per la quale soccorre l'art. 582 c.p., dappoiché l'infortunio significa lesione provocata da una causa violenta, causa concentrata nel tempo e nello spazio;
- se viceversa l'evento-malattia è conseguenza di una molteplicità di micro-alterazioni fisiologiche, si è al di fuori dell'infortunio sul lavoro;
- l'infortunio del lavoro, a conferma di ciò, diverge dalla malattia professionale e confonderne le nozioni ed i concetti, come ha fatto la sentenza di prime cure pedissequamente fatta propria da quella impugnata ai fini dell'applicazione dell'art. 437 c.p., significa creare una nuova fattispecie penale, come puntualmente segnalato, altresì, dalla Corte Costituzionale, la quale, con sentenza interpretativa di rigetto, ha fatto salva l'ipotesi incriminatrice in parola limitandone però, specificamente, l'interpretazione estensiva;
- anche la diversa tesi secondo cui una "serie di traumatismi diluiti nel tempo con conseguenze a lungo termine" può essere ricompresa nell'ipotesi incriminatrice contestata ai ricorrenti, non sfugge, secondo difensivo opinamento, alla censura che con essa si rinnovi il tentativo di forzare illegittimamente il divieto di interpretazione analogica in malam partem, dappoiché volta comunque, detta tesi, a forzare il significato, letterale e giuridico, di "infortunio" come singolo evento traumatico;
- permane, comunque, al di là delle forzature interpretative, il limite della contestazione, che mai ha fatto riferimento ai concetti testé teoricamente confutati, posto che in essa contestazione la pubblica accusa individua "malattie consequenziali", non contemplate né dalla norma incriminatrice, né dai concetti giuridici desumibili dalla innanzi criticata interpretazione analogica in malam partem;
- decisivo, infine, per la difesa, il rilievo processuale dell'assenza assoluta di motivazione alle esposte considerazioni volte a negare la sussistenza nel caso concreto di ipotesi delittuose riferibili a quella contestata, difese puntualmente portate all'attenzione del giudice dell'appello e da questi, altrettanto puntualmente, secondo difensivo opinamento, ignorate nella motivazione di condanna.
2.8 Con l'ottavo motivo di ricorso denunciano i difensori ancora violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all'art. 437 c.p. ed all'art. 25 Cost. e art. 49 c.p., comma 2, deducendo in particolare che:
- la norma incriminatrice mira a prevenire infortuni sul lavoro e non malattie professionali;
- tanto per valutare, altresì, la tipologia di pericolo rientrante nella fattispecie astratta tipizzata dall'ordinamento, pericolo che la difesa qualifica di pericolo concreto, dalla norma connesso strettamente alla condotta omissiva in essa contemplata;
- nel caso in esame il pericolo concreto della pur criticata, ovviamente nei suoi profili giuridici, "malattia-pericolo" non risulta concretamente accertato;
- nel caso si specie il 10.9.2001 vi fu da parte del GIP di Taranto, a richiesta del P.M., provvedimento di sequestro preventivo che non contemplò affatto lo spegnimento delle batterie nn. 3-6 del reparto cokerie, bensì il semplice allungamento dei tempi c.d. di "sfornamento";
- di qui la deduzione difensiva che la stessa A.G. abbia determinato le modalità esecutive dell'attività industriale in modo tale da evitare il pericolo concreto di malattia professionale, con conseguente possibilità giuridica di richiamare l'art. 51 c.p., comma 1 ed evidente ricaduta sull'elemento psicologico del reato;
- di qui, altresì, l'evidente contraddizione tra il giudizio di colpevolezza ed il giudizio prognostico della stessa A.G. in sede cautelare;
- le esposte considerazione difensive non risultano prese in considerazione in sede di appello.
2.9 Col nono motivo di impugnazione deducono i difensori violazione di legge e difetto di motivazione con riferimento all'elemento psicologico del reato, in particolare sul punto argomentando che:
- illogicamente la sentenza impugnata deduce nella fattispecie concreta la sussistenza del dolo richiesto dalla norma incriminatrice dal ricorso proposto dai ricorrenti al TAR avverso l'ordinanza sindacale di sospensione dell'esercizio delle batterie 3-6 del reparto cokerie, nonché dalla stipulazione di un atto di intesa nel 1997 e di un protocollo nel 2002 recanti espressa menzione della futura riduzione delle emissioni;
- il ricorso al Tar, diversamente da quanto dedotto dai giudicanti, proverebbe, viceversa, per i difensori la piena coscienza in capo agli attuali imputati della legittimità del loro operato, giacché chi si avvale di rimedi giudiziari lo fa perché presume essere la pretesa coerente col diritto;
- del pari gli accordi innanzi evocati comprovano l'insussistenza di pericoli concreti su quanto sia stato oggetto dell'accordo;
- a parte ciò deve ritenersi assorbente la volontà espressa dalla stessa A.G. in sede cautelare, impositiva delle modalità di funzionamento del reparto cokerie e delle batterie 3-6, volontà decisionali alle quali l'azienda si conformò attraverso condotte che non possono pertanto integrare facere delittuoso dolosamente perseguito.
2.10 Col decimo motivo di ricorso denunciano i difensori ricorrenti violazione di legge e difetto di motivazione in ordine al giudizio di colpevolezza espresso a carico dei rispettivi ricorrenti, deducendo, in particolare, la difesa del C.:
- che la contestazione del reato sub D) articolata sul presupposto di un valido rapporto di delega, non può portare ad una singolare identificazione di analoghe responsabilità tra il delegante ed il delegato, in costanza, appunto, di una delega legittima e piena;
- che la colpevolezza in ordine alla contestazione sub A) è stata sostenuta senza nulla argomentare al fine di legittimare l'estensione della responsabilità penale allo stesso ricorrente;
- che decisivo ai fini detti è la considerazione che l'adeguamento aziendale a parametri di funzionalità non dannosa implica, per espresso riconoscimento della sentenza di prime cure (pag. 24) investimenti economici rilevanti comunque esclusi, oggettivamente e soggettivamente, dalle possibilità operative del delegato.
Da parte sua deduce sul punto la difesa del R.:
- che la complessità aziendale e la compiutezza della delega inserisce nel processo la necessità di estendere motivatamente la responsabilità penale riconosciuta in capo al delegato anche al delegante, motivazione nel caso di specie assente ancorché in presenza dei fondamenti del processo penale, volto al riconoscimento dell'innocenza ovvero della colpevolezza dell'imputato come persona fisica responsabile delle sue azioni od omissioni.
2.11 Con l'undicesimo motivo di ricorso contestano i difensori ricorrenti la ritualità dell'ammissione delle parti civili costituite (UIL provinciale e Lega Ambiente), sia sotto il profilo della violazione di legge che del difetto di motivazione.
Al riguardo argomentano i difensori ricorrenti che l'associazione sindacale non può legittimamente tutelare la salute dei lavoratori là dove la condotta incriminata (in questo caso quella di cui ad entrambi i capi di imputazione dedotti nel presente giudizio di legittimità) non incida sull'azione sindacale, giacché in tale ipotesi è il singolo lavoratore ad avere il diritto alla tutela del suo diritto, mentre la Lega ambiente non solo non avrebbe titolo per intervenire in giudizio in relazione a reati, quelli di cui agli artt. 635 e 674 c.p. (capi D) ed F), che non individuano beni protetti riferibili all'ambiente, ma non avrebbe essa addirittura legittimazione processuale propria, potendosi tutt'al più evocare una legittimazione sostitutiva ex art. 81 c.p.c..
Di qui l'illegittimità dell'ordinanza 6.3.2006 del Tribunale di Taranto, ammissiva delle parti civili dette nel processo, ordinanza confermata dalla sentenza poi resa di cui, nella parte in discussione, col detto motivo si domanda l'annullamento.
2.12 Col dodicesimo motivo di ricorso denunciano i difensori ricorrenti violazione di legge e difetto di motivazione in riferimento al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili, perché insussistenti fatti ingiusti giustificativi degli impugnati risarcimenti.
2.13 Col tredicesimo ed ultimo motivo di ricorso impugnano, infine, i difensori ricorrenti, ancora sotto il profilo della violazione di legge e del difetto di motivazione, il trattamento sanzionatorio riservato agli imputati. La difesa del R., in particolare, rileva la illegittimità dell'applicata recidiva in suo danno in relazione a precedente del 1992, per il quale invoca il riconoscimento dell'effetto estintivo del reato collegato alla disciplina di cui all'art. 445 c.p.p., comma 2, non avendo l'imputato nel quinquennio successivo alla citata sentenza commesso reati della stessa indole.
Entrambe le difese ricorrenti invece lamentano, oltre al difetto di motivazione sulle richieste difensive avanzate sul punto, tutte disattese, la violazione del massimo edittale della contravvenzione portata in continuazione del delitto contestato, dappoiché aumentata la pena base di mesi sei in costanza di un massimo edittale di mesi uno di arresto.
2.14 Con distinte ma analoghe memorie difensive depositate ritualmente, le difese ricorrenti hanno aggiunto un ulteriore (il quattordicesimo) motivo di gravame, deducendo, con articolata motivazione, l'intervenuta prescrizione della imputazione di cui al capo A), da conteggiare, in forza della novella del 2005, sulla base massima di anni sette e mesi sei, tempo questo maturato, ad avviso dei difensori, il primo marzo del 2010.
Giova al riguardo osservare che i ricorrenti contestano la legittimità nel conteggio delle sospensioni del predetto termine prescrizionale da parte delle istanze di merito e questo sul rilievo che l'udienza del 10.7.2006 (una di quelle non celebrata a causa dell'adesione dei difensori all'astensione dalle udienze proclamata dalle camere penali) sarebbe stata fissata dal giudicante di prime cure quando l'astensione per quel giorno risultava già fissata, di guisa che la responsabilità processuale del rinvio cadrebbe a carico non già dei difensori astenutisi dall'udienza, bensì del giudicante, che avrebbe fissato l'udienza in costanza di una conosciuta astensione professionale.

3. Le eccezioni processuali sono manifestamente infondate, mentre per le censure di natura sostanziale, le medesime risultano assorbite dalla prescrizione dei reati alle quali si riferiscono.
3.1 Quanto alle censure processuali giova ribadire che col primo motivo di impugnazione le difese ricorrenti deducono la nullità della sentenza perché viziato da nullità il decreto di rinvio a giudizio (le ragioni dell'assunta nullità sono state sintetizzate al precedente paragrafo sub 2.1).
Orbene, osserva il Collegio che nella teoria generale del processo ed in particolare nell'ambito del regime codicistico in tema di invalidità degli atti processuali, è bandita ogni visione formalistica in favore di criteri ispirati alla effettiva e sostanziale tutela di esigenze processuali e di quelle difensive in particolare, degne di considerazione. Si tratta di una precisa scelta legislativa in favore di un modulo procedimentale (tale è il processo) moderno, rispondente alla primaria esigenza di celerità, non fine a se stesso ma volto a consentire la rapida tutela dei diritti, finalità, questa, nella quale si esprime massimamente la natura squisitamente strumentale della regola processuale nell'ambito dell'ordinamento giuridico.
Ciò premesso non può nello specifico non richiamarsi la disciplina codicistica relativa alla sanatoria delle nullità processuali, peraltro nella fattispecie inesistenti, di cui agli artt. 183 e 184 c.p.p. e, con essa, la considerazione che l'atto procedimentale in discussione ha raggiunto pienamente lo scopo processuale al quale era destinato, perché a tanto perfettamente idoneo, e cioè quello di indicare ed individuare gli imputati, descrivere le contestazioni ad essi mosse, indicare l'udienza del processo, avvertire le parti delle rispettive facoltà, potestà e doveri per una regolare costituzione del rapporto processuale.
Del pari manifestamente infondato è, altresì, il rilievo relativo al difetto di motivazione sul punto, dappoiché quella richiamata per relationem dalla Corte distrettuale e contenuta nella ordinanza pronunciata dal tribunale il 9.1.2006 in sede di riscontro alle eccezioni preliminari sollevate difensivamente, si appalesa ampiamente esaustiva, congrua e pienamente rispondente, punto per punto, alle censure ribadite dai difensori fin qui.
Ulteriori censure procedurali sono state dai difensori affidate sia al terzo motivo di impugnazione, col quale si denuncia la mancata corrispondenza tra quanto contestato e quanto giudicato, con riferimento al capo D) della rubrica ed alle emissioni rinvenienti dal reparto cokeria (ritualmente contestate secondo opinamento difensivo) e "rimanenti emissioni", per le difese ricorrenti mai contestate, sia al quarto motivo di impugnazione, deduttivo di un preteso vizio riferito alla violazione del principio del "ne bis in idem".
Osserva la Corte che trattasi in entrambe i casi di censure illustrate in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, perché non provata la proposizione in grado di appello delle relative doglianze e non esibita la sentenza richiamata a sostegno del quarto motivo.
É noto infatti che deve essere recepito ed applicato anche in sede penale il principio della "autosufficienza del ricorso", costantemente affermato, in relazione al disposto di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5, dalla giurisprudenza civile, con la conseguenza che, quando si lamenti la omessa o travisata valutazione di specifici atti del processo penale, è onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante esibizioni documentali ovvero mediante la completa trascrizione dell'integrale contenuto degli atti medesimi (ovviamente nei limiti di quanto era già stato dedotto in precedenza), dovendosi ritenere precluso al giudice di legittimità il loro esame diretto, a meno che il "fumus" del vizio dedotto non emerga all'evidenza dalla stessa articolazione del ricorso (Cass., Sez. 1, 18/03/2008, n. 16706; Cass., Sez. 1, 22/01/2009, n. 6112; Cass., Sez. 1, 29/11/2007, n. 47499; Cass., Sez. feriale, Sent. 13/09/2007, n. 37368; Cass., Sez. 1 (Ord.), 18/05/2006, n. 20344).
3.2 Ogni altra doglianza affidata ai corposi ricorsi di legittimità rimane assorbita dalla declaratoria di prescrizione.
I reati per i quali è residuata all'esito della sentenza di secondo grado la condanna degli imputati sono infatti quelli di cui ai capi D) ed A) della rubrica, il primo, di natura contravvenzionale, punito dall'art. 674 c.p., il secondo dall'art. 437 c.p..
Al caso di specie, in costanza della novella relativa alla disciplina codicistica della prescrizione ed in particolare a mente della norma transitoria di cui alla L. n. 251 del 2005, art. 10, comma 3, si applica la disciplina più favorevole all'imputato, dappoiché pendente in prime cure il processo in parola al momento della entrata in vigore della legge di riforma. In forza pertanto della evocata disciplina il delitto di cui all'art. 437 c.p. (capo A) della rubrica si è prescritto nel termine di anni sette e mesi sei (anni sei aumentati di un quarto) dal di della contestazione (fino al settembre 2002) eppertanto il 1 marzo 2010, termine questo che va protratto al 30 maggio 2010 per effetto delle due sospensioni del processo (udienza del 10.7.2006 e del 18 settembre 2006 nel corso del giudizio di prime cure) riferibili, entrambe, alle astensioni dichiarate dagli avvocati, pari a mesi due e giorni 29.
Di più agevole determinazione appare il termine di prescrizione di cui al reato contravvenzionale di cui al capo D) della rubrica (art. 674 c.p.), accertato il 10.7.2000 col dato della permanenza, che non può protrarsi oltre il termine del settembre 2002, indicata per la più grave delle contestazioni, epoca in cui, sempre secondo il capo di imputazione, l'impianto fu disattivato.
La contravvenzione di cui al capo D) ha pertanto maturato il termine prescrizionale al 30.4.2008 (tenendo conto delle medesime sospensioni processuali innanzi evocate in relazione al delitto).
La pronuncia estintiva dei reati, infine, si impone nella fattispecie su quella assolutoria di merito invocata dalla difesa.
É noto infatti il principio di diritto ormai costantemente affermato da questa Corte, anche nella sua più autorevole composizione, secondo il quale "in presenza di una causa di estinzione del reato (nella specie, la prescrizione), la formula di proscioglimento nel merito può essere adottata solo quando dagli atti risulti evidente la prova dell'innocenza dell'imputato e non nel caso di insufficienza o contraddittorietà della prova di responsabilità" (Cass., Sez. 5, 16/07/2008, n. 39220; ma anche, nello stesso senso: Cass., Sez. 5 Sent, 28/10/2008, n. 4349; Cass., Sez. 2 Sent, 18/05/2007, n. 26008; Cass., Sez. 6, 05/03/2004, n. 26027 ed altre ancora). Il principio, come illustrato nelle motivazioni a sostegno delle decisioni richiamate, si fonda sull'inequivocabile tenore della norma contenuta nell'art. 129 c.p.p., comma 2, in base alla quale la pronuncia liberatoria nel merito può essere emessa soltanto quando dagli atti risulti evidente la prova dell'innocenza dell'imputato (o perché il fatto non sussiste, o perché l'imputato non lo ha commesso, o ancora perché il fatto non costituisce reato, ovvero perché non è previsto dalla legge come reato). Le stesse Sezioni Unite della Corte di Cassazione ebbero ad affermare che "in presenza di una causa estintiva del reato, (amnistia), l'obbligo del Giudice di pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129 c.p.p., postula che le circostanza idonee ad escludere la esistenza del fatto, la sua rilevanza penale e la non commissione del medesimo da parte dell'imputato, emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, sicché la valutazione che in proposito deve essere compiuta appartiene più al concetto di constatazione che di apprezzamento" (così Cass. Sez. Un. 9 febbraio 1995, Cardillo).
Nel caso in esame, in costanza di una doppia pronuncia di condanna da parte delle istanze di merito, non appare ragionevole sostenere che il processo offra la prova evidente della non colpevolezza degli imputati, di guisa che si impone l'annullamento della sentenza impugnata perché estinti i reati per intervenuta prescrizione.
3.3 La declaratoria della estinzione dei reati non coinvolge però le statuizioni civili assunte dalla sentenza impugnata, dappoiché infondate le censure dei ricorrenti sul punto.
Ed invero il giudice di prime cure ebbe a condannare gli imputati al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite, "UIL provinciale" e Legambiente Puglia, rimettendo al giudice civile la relativa determinazione.
Tale punto della sentenza è stato confermato dalla Corte distrettuale.
Le difese ricorrenti ripropongono in questa sede l'eccezione di irritualità dell'ammissione di dette parti civili, sostanzialmente perché non portatrici di interessi tutelabili che possano direttamente riferirsi alle contestazioni in atti, nonché il riconoscimento da parte dei giudici di merito della esistenza di un danno risarcibile (ancorché non determinato concretamente).
Orbene, con riferimento alla legittimazione della onlus "Legambiente", rammenta il Collegio il recente insegnamento di questa Corte secondo cui: "Le associazioni ambientaliste, pur dopo l'abrogazione delle previsioni di legge che le autorizzavano a proporre, in caso di inerzia degli enti territoriali, le azioni risarcitoria per danno ambientale, sono legittimate alla costituzione di parte civile "iure proprio" nel processo per reati ambientali. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto legittima la costituzione in proprio dell'associazione "Legambiente Onlus" al fine di richiedere il risarcimento del solo danno non patrimoniale) (così Cass., Sez. 3, 11/03/2009, n. 19883). Il principio è del tutto condiviso dal Collegio e coerente con la vicenda in esame, giacché non può nella fattispecie negarsi la sussistenza di un danno ambientale dappoiché di questo risultano imputati i ricorrenti.
Del pari va riconosciuta senza incertezze la legittimazione alla tutela civilistica per danni ambientali collegati alla sicurezza dei lavoratori addetti, in favore di ogni associazione, in particolar modo di quelle sindacali, normativamente riconosciute ed operanti con finalità istituzionali ed associative di tutela dei prestatori di lavoro, giacché certa la loro natura di enti esponenziali della collettività, come tali costituzionalmente riconosciuti nelle funzioni sociali svolte.
Di nessun pregio appare, infine, la censura relativa alla mancanza di danno risarcibile in favore delle parti civili costituite, dappoiché oggetto, tale accertamento, del giudice civile, al quale quello penale ha rimesso la cognizione della pretesa giuridica relativa.

4. In conclusione: la sentenza impugnata va cassata senza rinvio perché estinti i reati per intervenuta prescrizione, vanno rigettate le diverse istanze proposte dalle difese ricorrenti ed accolte, nei limiti di cui al dispositivo, le istanza risarcitorie delle spese processuali avanzate dalle parti civili.


P.Q.M.


La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata relativamente ai capi penali perché i relativi reati sono estinti per prescrizione. Rigetta nel resto i ricorsi anche nelle parti relative alle statuizioni civili. Condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese sostenute dalle pp.cc, che liquida in Euro 3000,00, oltre accessori come per legge, a ciascuna di esse.

Così deciso in Roma, addì 16 giugno 2010
Depositata in Cancelleria 9 settembre 2010