Categoria: Giurisprudenza amministrativa (CdS, TAR)
Visite: 10546

N. 00469/2010 REG. SEN.

N. 00107/2007 REG. RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 107 del 2007, proposto da:

*** Stefano e *** Roberta, in proprio e quali genitori del minore *** Manuel, rappresentati e difesi dall'avv. Marusca Ambrogi, con domicilio eletto presso Carmela Grillo in Perugia, via Enrico Toti, 32;

contro

Ministero della Difesa e Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Perugia, domiciliata per legge in Perugia, via degli Offici, 14;

per il risarcimento dei danni (biologico, economico ed all’immagine) derivanti da reiterati atti e comportamenti vessatori nell’ambiente di lavoro, idonei a costituire “mobbing”;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa e del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 giugno 2009 il dott. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

 

FATTO e DIRITTO

 

1. Il primo (e principale) fra i ricorrenti, maresciallo ordinario dei Carabinieri, attualmente in servizio a Gubbio, assume di essere stato oggetto di reiterati atti e comportamenti vessatori nell’ambiente di lavoro, idonei a costituire “mobbing”.

Pertanto, insieme alla moglie ed al figlio minore, propone, nei confronti dell’Amministrazione, una domanda di risarcimento:

a) del danno da stress psicosomatico che ha dato luogo all’insorgere della patologia “gastrite erosiva”;

b) del danno economico per il mancato avanzamento al grado superiore e la perdita delle relative maggiori retribuzioni;

c) del danno all’immagine, subito a seguito della condizione di discredito e di sottoposizione psicologica in cui lui ed i famigliari sono stati relegati.

Per la quantificazione del danno, i ricorrenti si rimettono alla valutazione equitativa del Tribunale, indicando peraltro la somma di euro 1. 000. 000 per il maresciallo, 600. 000 per la moglie e 500. 000 per il figlio.

2. Resiste per l’Amministrazione l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Perugia, controdeducendo puntualmente.

3. La responsabilità dell’Amministrazione viene prospettata sulla base dell’inadempimento, da parte dell’amministrazione, dell’obbligo specifico, di cui all’articolo 2087 c.c., che impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità psicofisica e morale del lavoratore; e, nel contempo, in via extracontrattuale, sulla base della violazione del principio del “neminem ledere”.

L’Amministrazione eccepisce il difetto di giurisdizione, con riferimento alla dedotta responsabilità extracontrattuale, ed a quella contrattuale nei confronti della moglie e del figlio del maresciallo ricorrente.

L’eccezione può essere condivisa.

Infatti, deve ritenersi di competenza del Giudice Ordinario l'azione proposta in via extra-contrattuale, che individui il comportamento vessatorio di colleghi o superiori quale titolo giustificativo della pretesa, legata solo occasionalmente al rapporto di lavoro (cfr. , da ultimo, T. A. R. Campania Napoli, II, 17 aprile 2009, n. 2007; vedi anche Cons. Stato, V, 27 maggio 2008, n. 2515; VI, 1 ottobre 2008, n. 4738; Cass., SS. UU., 7 febbraio 2006, n. 2507; 14 dicembre 1999, n. 900).

E, d’altro canto, non può ipotizzarsi una responsabilità contrattuale dell’Amministrazione nei confronti di terzi estranei al rapporto di lavoro (cfr. Cass., lav., 20 luglio 2007, n. 16148).

Peraltro, considerata la duplice prospettazione del ricorso, l’inammissibilità colpisce (oltre alle censure non attinenti alla violazione dell’articolo 2087 c.c. ed in generale all’inadempimento, da parte dell’amministrazione, degli obblighi relativi al rapporto di impiego) soltanto la domanda di risarcimento dei danni lamentati dai famigliari del maresciallo.

4. Nel ricorso vengono elencati comportamenti ed atti che integrerebbero i presupposti del “mobbing” da lavoro.

Nel 1995, quando comandava la stazione di Camporeale (PA), il maresciallo ricorrente si trovò ad avere discussioni con i superiori per fatti attinenti al servizio; soprattutto, nel mese di ottobre, gli venne rifiutato dal Comandante della Regione Sicilia il trasferimento nei pressi della città di Amelia (Terni), dove si trova la famiglia della moglie ed in particolare il suocero, all’epoca colpito da una grave malattia con prognosi di pochi mesi di vita; ciò lo spinse a chiedere un colloquio con il Comandante Generale dell’Arma.

E’ a partire da quel momento che, a dire dei ricorrenti, si sono succeduti numerosi episodi significativi:

- anzitutto, la valutazione caratteristica del 1995 ha registrato un (inspiegabile) netto regresso rispetto alle precedenti valutazioni;

- il maresciallo ricorrente fu poi soggetto a sanzioni disciplinari, delle quali, nonostante fosse trascorso il periodo di estinzione ai sensi dell’articolo 75 del (Regolamento di Disciplina Militare, di cui al d. P. R. 545/1986), fu costretto a chiedere in via gerarchica al Ministero la cancellazione, e per di più la relativa istanza non pervenne mai a destinazione ed anche la relativa copia (allorché il ricorrente chiese l’accesso) non venne più trovata dall’Amministrazione; per tale motivo, al ricorrente è stato precluso l’avanzamento al grado superiore, avvenuto soltanto nel 2004, in quanto gli è stato possibile ottenere la documentazione richiesta con le istanze di accesso soltanto dopo un contenzioso protrattosi per circa tre anni, concluso dalla favorevole decisione di appello (cfr. Cons. Stato, IV, 20 maggio 2003, n. 2721, che ha riformato TAR Umbria, 2 maggio 2002, n. 236);

- in data 27 settembre 1995 lo stesso venne rimosso dal comando della Stazione di Camporeale e il giorno seguente trasferito senza preavviso quale sottufficiale in sottordine alla Stazione di Alimena (PA), nonostante avesse richiesto al Comandante della Regione Sicilia l’applicazione della normativa sul conferimento degli incarichi agli ispettori, chiedendo impieghi consoni al grado rivestito. Al riguardo, il Collegio ritiene opportuno sottolineare, fin d’ora, che detto trasferimento, pur menzionato dal ricorrente e registrato negli atti acquisiti al giudizio, in realtà non venne mai effettuato (la circostanza è pacifica, ma dagli atti non ne emergono le cause); e che, tuttavia, la cancellazione del trasferimento dai documenti matricolari del ricorrente è avvenuta soltanto recentemente;

- nel successivo novembre 1995 venne trasferito all’Aliquota Radiomobile della Compagnia Carabinieri di Ragusa, per essere impiegato quale capo equipaggio di unità radiomobile, in contrasto con la circolare del Comando Generale dell’Arma n. 86/151 – 8 -10 -1990 in data 14 agosto 1995;

- il trasferimento, anche a causa della mancata concessione della licenza di trasferimento di 20 giorni prevista dalla normativa, comportò la necessità, trovare un piccolo alloggio di fortuna e di disfarsi dei mobili posseduti, con perdita di valore patrimoniale ed affettivo;

- nel mese di febbraio 1996 il maresciallo ricorrente ottenne il trasferimento temporaneo per l’Umbria, ma gli vennero sottratte le indennità spettanti per legge, la cui corresponsione è avvenuta soltanto a seguito dell’accoglimento del ricorso straordinario (previo parere Cons. Stato, III, 14 maggio 1999, n. 616/99), e comunque dopo ulteriore ritardo;

- nell’aprile 1996, ottenne un colloquio con il Comandante Generale dell’Arma, in esito a quale ottenne il trasferimento (definitivo) alla Regione Umbria; il ricorrente venne però assegnato alla Compagnia di Gubbio, nonostante avesse richiesto (per i motivi famigliari suindicati – il suocero, peraltro, era morto nel febbraio 1996) sedi (Narni Scalo, San Gemini o Terni) più vicine ad Amelia;

- in data 20 dicembre 1996, 23 gennaio 1997, 28 aprile 1997 e 2 maggio 1997, il Comandante della Compagnia di Gubbio gli ha irrogato (ingiustificati, a dire del ricorrente) “richiami” scritti, addirittura registrati al protocollo, laddove detta sanzione è prevista dalla normativa in forma orale;

- in data 19 maggio 1997, lo stesso Comandante ha inoltrato informativa alla Procura della Repubblica di Perugia ai fini della sottoposizione del ricorrente ad indagine per il reato di minaccia grave, e tale denuncia – risultata poi infondata, tanto che ne venne disposto l’archiviazione in data 8 settembre 1997, affermandosi che la condotta del ricorrente era stata “pienamente legittima e doverosa”- è stata annotata nel registro di protocollo ordinario, pur esistendo presso la Compagnia quello riservato;

- il ricorrente è stato così sottoposto alla “pubblica onta”, ed ha perso di credibilità ed autorevolezza (ne sono testimonianza l’apposizione, davanti al grado ed al nome del ricorrente apposti sulla porta del suo ufficio, della dicitura “ex”; il rifiuto di eseguire ordini ed il controllo reiterato dell’attività burocratica dell’ufficio che il ricorrente comandava interinalmente, da parte dei suoi sottoposti);

- anche la richiesta di essere “riabilitato” all’interno della Compagnia, nonostante le rassicurazioni ricevute dal Comandante regionale, non ha avuto esito; anzi, nel 2002, il maresciallo ricorrente ha appreso che, in ordine ai fatti che hanno originato la suddetta vicenda giudiziaria, vi era stata corrispondenza tra i suoi superiori, culminata, nonostante l’archiviazione, nell’irrogazione di un ulteriore richiamo (cfr. nota prot. 337/7-1 in data 29 novembre 1997), peraltro mai notificatogli.

5. I ricorrenti sostengono che il verificarsi di dette vicende abbia inciso profondamente nella sfera professionale del maresciallo ed in quella personale, sua e dei famigliari.

In data 26 marzo 1999, il maresciallo è stato ricoverato presso l’Ospedale di Gubbio, da cui è stato dimesso in data 11 aprile 1999, con la diagnosi di “gastrite erosiva”, patologia che il ricorrente assume ricollegabile al profondo stato di stress vissuto nell’ambiente di lavoro.

Il ricorrente sottolinea anche che, a causa della patologia, fu costretto ad assentarsi frequentemente dal servizio, e conseguentemente venne escluso dalle aliquote di avanzamento al grado di “maresciallo capo” per gli anni 1998 e 1999, e quindi successivamente impossibilitato ad accedere al concorso per il grado di “maresciallo aiutante”.

Inoltre, le assenze determinarono la mancata redazione della scheda valutativa con giudizio complessivo e qualifica finale, mentre la documentazione caratteristica redatta riportava qualità di poco pregio.

L’infermità predetta è stata riconosciuta dipendente da causa di servizio dalla Commissione medica ospedaliera di Perugia in data 1 luglio 2002. Riguardo alle proprie condizioni di salute ed alla eziogenesi delle infermità accertate, il ricorrente ha anche versato in atti una perizia medico-legale (del dott. Oricchio).

6. L’Amministrazione eccepisce l’intervenuta prescrizione quinquennale, in quanto le pretese vessazioni si collocano dal 1995 al 1997, l’infermità suddetta è stata diagnosticata in data 26 marzo 1999, mentre il ricorso è stato notificato soltanto nel marzo 2007.

6. 1. I ricorrenti replicano che la prescrizione non può maturare, “… in quanto lo stato psicologico cui fa approdare il mobbing pone in una condizione di difficile individuazione da parte del mobbizzato che comunque ne può percepire gli effetti negativi anche a distanza di tempo (quello sarà il momento da cui potrà decorrere la prescrizione) … ”.

Precisano comunque che la prescrizione è stata interrotta con istanza risarcitoria in data 8 giugno 2002 (mentre la patologia è stata conosciuta e rilevata dalla cartella clinica soltanto all’esito delle dimissioni dal ricovero ospedaliero, in data 11 aprile 1999).

6. 2. Il Collegio ritiene che detta ultima tesi possa condividersi (cfr. Cass. , lav. , 20 luglio 2007, n. 16148), e osserva che ne discende la proponibilità della domanda limitatamente allo stress psicosomatico e alla patologia che il ricorrente ad esso ricollega, emersi effettivamente soltanto dalla data di dismissione predetta, rispetto alla quale l’istanza in data 31 marzo 2004 ha interrotto la prescrizione.

Invece, per quanto riguarda il danno all’immagine e quello economico legato alla progressione in carriera, che deve ritenersi fossero percepibili e percepiti fin dall’epoca dei comportamenti che il ricorrente ritiene vessatori (1995-1997), nessuna interruzione della prescrizione risulta effettuata in data anteriore al 31 marzo 2004.

Infatti, come controbatte la difesa erariale, un’istanza 8 giugno 2002, dai contenuti attinenti alle pretese azionate con il ricorso, non risulta ricevuta dall’Amministrazione:

- non potendo ritenersi tale, quella prodotta dal ricorrente come allegato 0 della sua II produzione documentale, in quanto porta la data del 6 settembre 2002, ed è priva degli estremi di ricezione;

- nè l’istanza in data 8 giugno 2002, depositata come allegato 8 della I, e come allegato 1 della II produzione documentale, in copia peraltro limitata alla sola prima pagina, che non riguarda i danni in questione ma i danni relativi alla mancata fruizione dell’alloggio di servizio ed all’omessa erogazione dell’indennità ex lege 100/1987 – come si evince dal parere reso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo prot. 1390 in data 18 gennaio 2003 – cfr. allegato 8 alla I produzione documentale dei ricorrenti).

- né, infine, potendo assolvere l’onere della prova la generica menzione, contenuta nella nota prot. 100/12 in data 5 maggio 2004 inviata dal Comando Provinciale di Perugia al Comando Regionale, della presentazione da parte del ricorrente di una “similare istanza” in data 8 giugno 2002, che troverebbe “riscontro nella lettera di Codesto Ufficio n. 314/11-2002-D del 31-03. 2003”; detta menzione, si ripete, indiretta e generica, non può condurre a ritenere esistente un’istanza dai contenuti che il ricorrente descrive, ma non documenta, laddove i documenti acquisiti al giudizio ragionevolmente confortano la tesi di parte resistente.

6. 3. Tuttavia, i ricorrenti, nella memoria conclusiva, hanno chiesto che venga disposta istruttoria sulla ricezione da parte dell’Amministrazione di un’istanza risarcitoria (dai contenuti conformi a quelli descritti) in data 8 giugno 2002.

6. 4. Il Collegio ritiene di prescindere da una decisione in ordine a tale incombente, stante l’infondatezza del ricorso nel merito (infondatezza che riguarda il presupposto generale delle domande risarcitorie, e quindi anche quelle sopra dichiarate inammissibili).

7. Nel merito, infatti, possono svolgersi le seguenti considerazioni.

7. 1. Per “mobbing” (da lavoro), secondo la giurisprudenza si intende un complesso di atteggiamenti illeciti posti in essere, nell’ambiente di lavoro, nei confronti di un dipendente e che si risolvono in sistematici e reiterati comportamenti ostili, che finiscono per assumere forme di violenza morale o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire l’isolamento e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio psichico e del complesso della sua personalità (cfr. TAR Abruzzo, Pescara, 23 marzo 2007, n. 339; Cass. civ, lav. , 6 marzo 2006, n. 4774; 9 settembre 2008, n. 22858; 17 febbraio 2009, n. 3785).

Il Collegio osserva che un orientamento giurisprudenziale nega la possibilità di riconoscere in via di principio anche alle malattie psichiche e psicosomatiche, e al mobbing in particolare, una eziologia professionale in conseguenza del modo in cui, in un determinato ambiente, è stata organizzata dall’imprenditore l’attività lavorativa; ciò, sulla base dell’asserita mancanza di una “esatta definizione normativa” di dette patologie, di una “consolidata e seria letteratura” scientifica medica e di “univoci indirizzi della giurisprudenza” (cfr. TAR Lazio, III, 4 luglio 2005, n. 2454; vedi anche, Cons. Stato, VI, 17 marzo 2009, n. 1576).

Tuttavia, in contrario (secondo le recenti critiche di autorevole dottrina - cfr. G. Ferrari, in Giurisd. ammm. , 3/2009, 151 ss), può osservarsi che la possibilità di configurare il mobbing come malattia anche ad eziologia professionale è stata affermata dalla Corte Costituzionale (cfr. sent. 19 dicembre 2003, n. 359) e sembra inoltre essere presupposta in alcune pronunce della Corte regolatrice (cfr. Cass. civ. , SS. UU. , 4 maggio 2004, n. 8438) e del giudice amministrativo (Cons. Stato, VI, 23 marzo 2009, n. 1716).

Inoltre, pur mancando in Italia una normativa statale specifica sul mobbing da lavoro (così che la predetta giurisprudenza ha sopperito a tale assenza attraverso il richiamo dei principi costituzionali di cui agli articoli 2, 3, 4, 32 Cost. , dell’articolo 2087 c. c. , dell’articolo 15 dello Statuto dei lavoratori, e dell’articolo 2 del d. lgs. 216/2003), si occupano di tutelare il lavoratore dal mobbing alcune disposizioni regionali (tra le altre, la l. r. Umbria 18/2005) e della contrattazione collettiva (cfr. articoli 6 e 13, del c. c. n. l. 2002-2005 del comparto Ministeri).

Ponendosi nella prospettiva da ultimo indicata, occorre anche sottolineare che il mobbing non è ravvisabile quando sia assente la sistematicità degli episodi, ovvero i comportamenti su cui viene basata la pretesa risarcitoria siano riferibili alla normale condotta del datore di lavoro, funzionale all’assetto dell’apparato amministrativo, o imprenditoriale, nel caso del lavoro privato; o, infine, vi sia una ragionevole ed alternativa spiegazione al comportamento datoriale (cfr. TAR Piemonte, I, 8 ottobre 2008, n. 2438; Cons. Stato, VI, 6 maggio 2008, n. 2015). E che, sempre per configurare il mobbing, non sia sufficiente un singolo comportamento, bensì debba riscontrarsi una diffusa ostilità proveniente dall’ambiente di lavoro, che si realizzi in una pluralità di condotte, frutto di una vera e propria strategia persecutoria, avente di mira l’emarginazione del dipendente dalla struttura organizzativa di cui fa parte (cfr. TAR Campania, Salerno, I, 29 giugno 2006, n. 881; TAR Lazio, Roma, I, 7 aprile 2008, n. 2877; III, 25 giugno 2004, n. 6254; TAR Puglia, Lecce, III, 10 settembre 2007, n. 3143; TAR Lombardia, Milano, III, 8 marzo 2007, n. 403; Cass. , lav. , 9 settembre 2008, n. 22858).

Del resto, anche nella succitata sentenza n. 359/2003, il mobbing viene definito come “fenomeno consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all’obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo”.

E’ stato da ultimo messo in risalto che il tratto strutturante del "mobbing" - tale da attrarlo nell'area della fattispecie comportamenti che altrimenti sarebbero confinati nell'ordinaria dinamica, ancorché conflittuale, dei rapporti di lavoro - è proprio la sussistenza di una condotta volutamente prevaricatoria da parte del datore di lavoro volta a emarginare o estromettere il lavoratore dalla struttura organizzativa.

Pertanto, in ordine all'onere della prova da offrirsi da parte del soggetto destinatario di una condotta mobbizzante, quest'ultima deve essere adeguatamente rappresentata con una prospettazione dettagliata dei singoli comportamenti e/o atti che rivelino l'asserito intento persecutorio diretto a emarginare il dipendente, non rilevando mere posizioni divergenti e/o conflittuali, fisiologiche allo svolgimento di un rapporto lavorativo (cfr. TAR Lombardia, Milano, I, 11 agosto 2009, n. 4581; T. A. R. Lazio, Roma, III, 14 dicembre 2006, n. 14604).

In altri termini, il mobbing - proprio perché non può prescindere da un supporto probatorio oggettivo - non può essere imputato in via esclusiva ma anche prevalente al vissuto interiore del soggetto, ovvero all'amplificazione da parte di quest'ultimo delle normali difficoltà che connotano la vita lavorativa di ciascuno (cfr. T. A. R. Lazio, Roma, I, 7 aprile 2008 , n. 2877).

La sussistenza di una condotta “mobbizzante” deve dunque essere esclusa qualora la valutazione complessiva dell'insieme di circostanze addotte (ed accertate nella loro materialità), pur se idonea a palesare “singulatim” elementi ed episodi di conflitto sul luogo di lavoro, non consenta di individuare, secondo un giudizio di verosimiglianza, il carattere unitariamente persecutorio e discriminante nei confronti del singolo del complesso delle condotte poste in essere sul luogo di lavoro (cfr. Cons. Stato, VI, 1 ottobre 2008, n. 4738; V, 27 maggio 2008, n. 2515).

D’altra parte nell’esaminare i casi di preteso “mobbing” il Giudice deve evitare di assumere acriticamente l’angolo visuale prospettato dal lavoratore che asserisce di esserne vittima. Da un lato, infatti, è possibile che i comportamenti del datore di lavoro, pur se oggettivamente sgraditi, non siano tali da provocare significative sofferenze e disagi, se non in personalità dotate di una sensibilità esasperata o addirittura patologica (per tacere dell’ipotesi, non scartabile a priori, che la rappresentazione delle sofferenze sia inveritiera e meramente strumentale allo scopo di supportare una domanda di risarcimento). Da un altro lato, è possibile che gli atti del datore di lavoro (di nuovo, pur sgraditi) siano di per sé ragionevoli e giustificati e in particolare che abbiano una certa giustificazione o quanto meno spiegazione siccome indotti da comportamenti reprensibili dello stesso interessato, ovvero da sue carenze sul piano lavorativo, difficoltà caratteriali, etc..

Non si deve cioè sottovalutare l’ipotesi che l’insorgere di un clima di cattivi rapporti umani derivi, almeno in parte, anche da responsabilità dell’interessato. Tale ipotesi può anzi essere empiricamente convalidata dalla considerazione che diversamente non si spiegherebbe perché solo un determinato individuo percepisca come ostile una situazione che invece i suoi colleghi trovano normale.

Tale cautela di giudizio si impone particolarmente quando, come nel caso in esame, l’ambiente di lavoro è un corpo militare, caratterizzato per definizione da una severa disciplina e dove non tutti i rapporti possono essere amichevoli, non tutte le aspirazioni possono essere esaudite, non tutti i compiti possono essere piacevoli e non tutte le carenze possono essere tollerate. In questa situazione, un approccio condizionato dalla rappresentazione soggettiva (se non strumentale) fornita dall’interessato può essere quanto mai fuorviante.

Tali considerazioni vengono sin qui esposte solo come preambolo metodologico. Si vedrà poi, in concreto, se e quanto siano pertinenti nel caso di specie.

7. 2. Passando dunque al concreto, nel caso in esame è assai dubbio il riscontro di una molteplicità di comportamenti a carattere vessatorio, connotati dall’intento di persecuzione ed emarginazione (o, secondo una diversa formulazione che appare sostanzialmente equivalente, da un intento emulativo e pretestuoso), nei confronti del maresciallo ricorrente.

Il Collegio esamina nell’ordine le vicende segnalate dai ricorrenti.

L’originario rifiuto di concedere il trasferimento dalla Sicilia in Umbria non appare illegittimo (il diniego, del resto, non venne impugnato), né il ricorrente indica quali profili di illegittimità potrebbero ipotizzarsi nei confronti di detta decisione.

Diversa potrebbe essere la valutazione, sotto il profilo umano, di una eventuale scarsa attenzione prestata dai diretti superiori alle esigenze famigliari del maresciallo ricorrente, ma ciò, evidentemente, esula dalla controversia.

Come si dirà, manca ogni riscontro oggettivo del collegamento causale tra la richiesta di trasferimento, il rifiuto e le asserite vessazioni successive. A meno di non ipotizzare (come viene messo in risalto dalla difesa dell’Amministrazione) una sorta di reazione a catena coinvolgente gran parte dell’Arma dei Carabinieri, a vari livelli ed in diverse sedi e località, con la sola eccezione del Comandante Generale – che appare ipotesi del tutto inverosimile, se non addirittura assurda.

In questa prospettiva, la discrasia fra la valutazione caratteristica del 1994 e quella del 1995 non appare sintomatica, ricordando che i giudizi espressi in ciascun documento caratteristico devono riferirsi esclusivamente al periodo di tempo contemplato nel documento stesso, alle qualità possedute ed al rendimento fornito nel periodo, senza vincolo o condizionamento derivante dalle precedenti valutazioni (cfr. Cons. Stato, III, 14 febbraio 2006, n. 5040/2005; 11 febbraio 2003, n. 3090; IV, 27 aprile 2004, n. 2559).

Senza considerare che la valutazione del 1994 è stata effettuata alla fine del servizio nel Nucleo Operativo della Compagnia di Trapani, mentre quella del 1995 è relativa (anche) al periodo in cui il maresciallo ricorrente svolgeva incarico di comandante della Stazione di Camporeale, e che in detto ultimo periodo il ricorrente era incorso in una sanzione disciplinare (in data 6 febbraio 1995) ed era stato oggetto di interventi scritti in data 23 settembre 1994 e 18 luglio 1995, per disservizi creati nell’azione di comando; tanto che il giudizio, invero poco lusinghiero, riportato nella scheda evidenzia, tra l’altro, la “scarsa attitudine al comando e all’attività di PG” ed il comportamento “sostenuto” con i colleghi e “altezzoso” con i subordinati.

Le sanzioni disciplinari, anche se reiterate, non possono di per sé considerarsi alla stregua di atti vessatori in quanto presuntivamente giustificate, fino a prova contraria (che si sarebbe dovuta dare mediante tempestive impugnazioni) dalle infrazioni commesse dall’interessato (per la vicenda dello “smarrimento” dell’istanza di cancellazione, si veda il punto seguente).

Il trasferimento al NORM di Ragusa (come esposto, il trasferimento ad Alimena non è mai avvenuto), non sembra in contrasto con la circolare n. 86/151, invocata dal ricorrente, che prevede l’impiego dei marescialli ordinari anche quali capo equipaggio di radiomobili, seppur “limitatamente alle aree di maggior impegno operativo e ai grandi centri urbani” – e sembra ragionevole far rientrare in questa categoria Ragusa, capoluogo di provincia, con una popolazione di circa 70. 000 abitanti (circa 300. 000 nella provincia) in una regione con una forte presenza di criminalità organizzata.

La circostanza che alla destinazione non fosse collegata la disponibilità dell’alloggio di servizio, non può inficiare la scelta.

Inoltre, in detta occasione, la facoltà di fruire della licenza di trasferimento non venne negata, ma il ricorrente venne “autorizzato a fruire licenza secondo tempo”, cioè la facoltà venne rinviata (evidentemente, su richiesta del ricorrente), come si evince dal “messaggio” in data 11 novembre 1995 (doc. 13, II produzione dei ricorrenti), che non è stato impugnato. Peraltro, se anche il rinvio dell’esercizio della facoltà fosse da ritenere conseguenza diretta ed automatica dell’ordine di “immediato trasferimento”, non risultando questo altrimenti illegittimo sarebbe comunque arbitrario leggervi un intento vessatorio, per il solo fatto che costituisse fonte di disagi per il maresciallo ricorrente e la sua famiglia. Va ricordato che, all’origine della destinazione, vi era stata pur sempre la non accettazione delle sedi proposte dal Comando Regionale (cfr. “messaggio” succitato).

Senza contare che non è certo che il trasferimento sia stato effettivamente “immediato” (dal doc. 14 della II produzione dei ricorrenti, risulterebbe effettuato soltanto in data 18 dicembre 1995; peraltro, dal documento 14-bis, risulta invece la data del 17 novembre 1995, che corrisponde a quella indicata dai ricorrenti, di due giorni successiva alla notifica del provvedimento).

Anche il collegamento del trasferimento a Ragusa con la richiesta, effettuata tre giorni prima dal maresciallo ricorrente, di avere un colloquio con il Comandante Generale non regge alla verifica cronologica, in quanto era già stato disposto in data 12 ottobre 1995 ed il 11 novembre 1995 venne soltanto confermato, non avendo il ricorrente gradito l’assegnazione ad una delle altre sedi proposte dal Comando (cfr. doc. 13 della II produzione dei ricorrenti).

In definitiva, mancano elementi per qualificare il trasferimento a Ragusa come “atto di ritorsione”.

In relazione al trasferimento in Umbria, i ricorrenti lamentano che la corresponsione dell’indennità di trasferimento sia avvenuta soltanto grazie all’accoglimento di un ricorso straordinario, e lamentano l’assegnazione della sede di Gubbio, assai più distante da Amelia delle altre sedi possibili indicate. La lettura del parere del Consiglio di Stato sotteso alla decisione (Sez. III, 14 maggio 1999, n. 616/99) mostra però che si è trattato di una interpretazione della normativa errata, ma non pretestuosa o manifestamente infondata.

Per quanto riguarda la sede, il ricorrente non spiega perché sarebbe stata violata la succitata circolare; in ogni caso, l’Amministrazione sottolinea che la scelta è stata effettuata valutando i reparti deficitari e, in alternativa, la destinazione al NORM di Terni, in soprannumero e senza alloggio di servizio. Ne consegue che non sono state trascurate le esigenze del ricorrente, come peraltro il sollecito trasferimento in Umbria (prima temporaneo, poi definitivo) sembra dimostrare.

L’irrogazione, tra il 1996 ed il 1997, di quattro “richiami” in forma scritta anziché orale, denota un apparente vizio di forma. C’è tuttavia da considerare, come sottolineato dalla difesa dell’Amministrazione, che la distinzione tra il richiamo (orale), e la riservata personale (scritta) appariva all’epoca, nella prassi di alcuni Comandi periferici e nonostante la previsione dell’articolo 62 del R. D. M. , problematica; e che la circolare (invocata dal ricorrente) con cui il Comando Generale con cui, rilevata la diffusa consuetudine di non distinguere tra i due istituti disciplinari, ha richiamato l’attenzione degli uffici al riguardo, si basa su pareri resi dal Consiglio di Stato nel 2000/2002 ed è stata emanata nel 2003.

Quindi, ad un epoca successiva ai fatti in questione, il che sembra escludere l’intento vessatorio. La registrazione al protocollo dei richiami è poi conseguenza della forma scritta adottata.

Quanto alla segnalazione alla Procura della Repubblica, non può certo ritenersi un atto illegittimo, ancorché sia stata ritenuta infondata dal magistrato inquirente. Né la registrazione nel protocollo ordinario (ancorché, probabilmente, inopportuna) appare illegittima, essendo peraltro la sua consultazione riservata a pochi militari dello stesso Comando.

Dalla lettura degli atti, peraltro, emerge che il ricorrente ebbe effettivamente ad adottare un comportamento che, se non penalmente rilevante, appare poco consono al ruolo rivestito, in quanto il ricorrente, se non “minacciò”, quanto meno prospettò l’arresto e mostrò le manette ad un cittadino il quale protestava, pur vivacemente, per la rimozione della propria autovettura, parcheggiata davanti la sua casa senza contrassegno assicurativo esposto. Così, potrebbe giustificare quell’ulteriore “richiamo” lamentato dal ricorrente (a prescindere dalla efficacia o meno del provvedimento – cfr. nota prot. 337/7-1 in data 29 novembre 1997, doc. 13 della I produzione dei ricorrenti - non essendo stato accertato se effettivamente sia stato notificato o comunicato al destinatario).

Che il ricorrente avesse all’epoca perso credibilità ed autorità (autorevolezza), all’interno della Compagnia, può certamente corrispondere al vero, ma di ciò non può darsi la responsabilità all’adozione degli atti finora considerati, quanto piuttosto ai comportamenti dell’interessato che ne erano stati oggetto.

7. 3. Tra quelli prospettati, l’unico elemento che, non potendo essere ricondotto al normale funzionamento dell’Amministrazione, potrebbe, qualora non trovasse alternative plausibili spiegazioni, assumere un significato vessatorio, è legata alla vicenda dello “smarrimento” dell’istanza di cancellazione (cessazione degli effetti) della sanzione disciplinare, presentata nel 1998.

Detta vicenda sembra essere stata ricostruita nella nota del Comando Regione Umbria n. 172/10-D in data 15 maggio 2002, e trova una spiegazione plausibile nella mole di lavoro dovuta alla crisi sismica, e nelle conseguenti disfunzioni organizzative. Certamente può ritenersi singolare che proprio l’istanza, e non tutto il fascicolo, sia andata smarrita, ma sulla base di tale circostanza non può argomentarsi l’esistenza di un disegno, di una strategia vessatoria, volta alla persecuzione ed all’emarginazione del maresciallo ricorrente.

Quanto alla collegata controversia sul diritto di accesso definita dalla IV Sezione del Consiglio di Stato con la decisione n. 2721/2003, va sottolineato che la documentazione oggetto di accesso andava ben oltre l’istanza di cancellazione presentata dal ricorrente nel 1998, e che in primo grado questo Tribunale aveva respinto il ricorso, così che la sussistenza in concreto del diritto d’accesso poteva ragionevolmente considerarsi opinabile.

In ogni caso, che il mancato avanzamento del ricorrente sia poi dovuto alla omessa (o ritardata) cancellazione delle sanzioni, appare una mera illazione, in quanto priva di un adeguato supporto argomentativo. Delle motivazioni sottese al giudizio peggiorativo per il 1995, di per sé idonee a giustificare il mancato avanzamento, si è detto (dalla nota prot. 218 in data 12 novembre 1996 – allegato 6 della II produzione documentale dei ricorrenti, risulta peraltro che la scheda valutativa relativa al periodo 27 luglio-17 novembre 1995, in cui il ricorrente prestava servizio presso la Stazione di Camporeale, sia stata annullata su richiesta del ricorrente, e poi ricompilata; degli esiti della nuova valutazione non si hanno notizie, né il ricorrente formula al riguardo alcuna ulteriore argomentazione). Per gli anni successivi, l’Amministrazione sottolinea – senza andare incontro a confutazioni - che l’esclusione dall’avanzamento per il 1998 e 1999 fu dovuta alle assenze per malattia ed all’aspettativa per infermità, ai sensi dell’articolo 35 del d. lgs. 198/1995 – come precisato dallo stesso ricorrente – e che, venuta meno detta causa impeditiva, il ricorrente è stato reinserito nella prima aliquota utile di valutazione alla data del 31 dicembre 2003, per essere sottoposto a valutazione quale pretermesso in riferimento all’aliquota del 31 dicembre 1998, ma non è rientrato in posizione utile in graduatoria; cosa che è invece avvenuta nella successiva aliquota, riferita al 31 dicembre 1999 (così da conseguire la promozione a maresciallo capo, a decorrere dal 6 dicembre 1999, con decreto n. 1847/2004).

7. 4. Secondo quanto premesso, per integrare una situazione di “mobbing”, è comunque necessario che i comportamenti e gli atti posti in essere dai superiori e dai colleghi i quali hanno interagito con il dipendente, appaiano ispirati ad un intento unitario particolare, volto alla persecuzione ed emarginazione del dipendente.

Il Collegio, per quanto sopra esposto, non ravvisa elementi che possano condurre ad affermare l’esistenza del predetto elemento soggettivo.

Non vi è pertanto la necessità di valutare se sussista il nesso eziologico tra gli atti e comportamenti contestati ed i pregiudizi lamentati dal ricorrente, e tanto meno la consistenza di detti pregiudizi.

8. In conclusione, il ricorso deve essere in parte dichiarato inammissibile, e comunque respinto in quanto infondato.

9. Sussistono tuttavia giustificati motivi per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

 

P. Q. M.

 

Dichiara in parte inammissibile ed in parte respinge il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 24 giugno 2009 con l'intervento dei Magistrati:

Pier Giorgio Lignani, Presidente

Annibale Ferrari, Consigliere

Pierfrancesco Ungari, Consigliere, Estensore

 

 

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 24/09/2010

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

IL SEGRETARIO