REPUBBLICA ITALIANA
 
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 
 SEZIONE LAVORO
 
 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
 Dott. SCIARELLI Guglielmo - Presidente
 
 Dott. MONACI Stefano - Consigliere
 
 Dott. STILE Paolo - Consigliere
 
 Dott. DE MATTEIS Aldo - rel. Consigliere
 
 Dott. BALLETTI Bruno - Consigliere
 
 ha pronunciato la seguente:
 
 sentenza

  

 

 
 sul ricorso proposto da:
 
I. S.P.A., in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e come legale rappresentante pro tempore, ing. A.S., elettivamente domiciliato in ROMA VIA BOCCA DI LEONE 78, presso lo studio dell'avvocato IRACE Ernesto, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;
 
 - ricorrente -
 
 contro
 
 I.N.A.I.L. - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma Via IV Novembre 144, rappresentato e difeso dagli avvocati QUARANTA Franco, PIGNATARO ADRIANA, giusta delega in atti;
 
 - controricorrente -
 
 avverso la sentenza n. 643/03 della Corte d'Appello di PERUGIA, depositata il 20/02/04 r.g.n. 247/00;
 
 udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 02/10/07 dal Consigliere Dott. Aldo DE MATTEIS;
 
 udito l'Avvocato IRACE ERNESTO;
 
 udito l'Avvocato PIGNATARO ADRIANO;
 
 udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
 
 


 

 

Fatto

 

La s.p.a. I., attiva nella lavorazione di linee di trasporto e distribuzione di energia, ha adito il pretore di Perugia, giudice del lavoro, con un primo ricorso nel quale si doleva del calcolo, da parte dell'Inail, del tasso specifico aziendale per i premi dall'anno 1983 fino al giugno 1988; quella causa è stata decisa con sentenza della Corte d'Appello di Perugia 17 marzo 1995, passata in giudicato.
 
 

Con successivo ricorso del 10 aprile 1996 l'I. ha nuovamente adito il giudice del lavoro dolendosi di vari errori dell'Inail nel calcolo del tasso specifico aziendale.
 

La Corte d'appello di Perugia, con sentenza 20 novembre 2003/20 febbraio 2004 n. 643/03, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato L'Inail a corrispondere alla s.p.a. I. la somma di Euro 18.142,85 oltre interessi legali dal di della domanda al saldo.

Ha respinto ogni altra domanda.

Ha compensato integralmente fra le parti le spese di entrambi gradi del giudizio.

Il giudice d'appello ha esaminato (pag. 13 sentenza) "la doglianza della I. in ordine al sistema di calcolo della riserva sinistri", dichiarandola infondata sulla base del principio di diritto enunciato da questa Corte a Sezioni Unite 7853/2001; ha riconosciuto un credito della I. di L. 35.129.456 (pari appunto a Euro 18.142,85 di cui al dispositivo) per un errore di calcolo limitatamente all'anno 1984, perchè in tale anno l'INAIL aveva calcolato il tasso dell'82 per mille, ma applicato erroneamente il tasso del 90 per mille; ha dichiarato tutte le ulteriori questioni proposte coperte del giudicato della precedente sentenza della stessa Corte d'Appello del 17 marzo 1995.
 
 

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la soc. I., con unico motivo, illustrato da memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c..

L'Istituto intimato si è costituito con controricorso, resistendo.
 
 
 
 

Diritto
 

 

Con unico motivo di ricorso la società ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione del D.M. Lavoro 10 dicembre 1971, del D.M. Lavoro 14 novembre 1978 e del D.M. Lavoro 18 giugno 1988, anche in relazione all'art. 12 preleggi, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), censura l'opzione interpretativa adottata dalla Corte di Appello secondo cui il tasso specifico aziendale deve essere individuato non con riferimento agli specifici sinistri avvenuti nell'azienda, ma avendo riguardo al livello di "sinistrosità" dell'intero settore di appartenenza dell'azienda.
 
 

Sviluppa tale tesi con dovizia di argomentazioni.
 

Tale motivo non è inammissibile, come sostenuto dall'Istituto resistente; infatti il giudicato, costituito dalla sentenza della Corte d' Appello di Perugina del 1995, copre solo i premi oggetto di quella domanda, e non quelli, successivi, oggetto del presente giudizio, opportunamente esaminati dalla sentenza impugnata nel merito.
 
 

Esso è però infondato, perchè in contrasto con il principio di diritto affermato da questa Corte a Sezioni Unite Civili con la sent. 11 giugno 2001 n. 7853 del 2001, e seguita da tutta la giurisprudenza di legittimità successiva, di cui infra.
 

Il quadro normativo che risulta sul punto controverso dai testi legislativi, dalla giurisprudenza, dalla dottrina, è chiaro ed univoco.
 
 

I testi normativi sono costituiti dal D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 39 e 44 e dai D.M. contenenti le tariffe per il calcolo dei premi che si sono succedute nel tempo, cui il D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 40, rinvia, tra i quali il D.M. 18 giugno 1988, applicabile ratione temporis, e D.M. 12 dicembre 2000, avente valore interpretativo dei precedenti.

La natura giuridica dei D.M. sulla tariffa è quella di un regolamento delegato (D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, ex art. 40), dotato di rilevanza esterna, suscettibile di ricorso ex art. 360 c.p.c., n. 3, di esame diretto e di interpretazione da parte della Corte di legittimità (Cass. S.U. 7 novembre 1997 n. 10930; Cass. 20 gennaio 1996 n. 448; Cass. 23 gennaio 1995 n. 778; Cass. 18 gennaio 1993, n. 550; Cass. 7 gennaio 2003 n. 33; Cass. 3 gennaio 2005 n. 46).
 
 

Nel sistema dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro vige dunque il principio generale, secondo il quale il premio deve essere commisurato alla pericolosità o sinistrosità della attività svolta, anche in relazione alla singola lavorazione.

Tale caratteristica è insita nel fondamento stesso della assicurazione che - pur nell'assorbimento nel sistema generale della sicurezza sociale ai sensi dell'art. 38 Cost. - si basa sul principio del rischio professionale, ed è espressamente enunciato dal D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 40, comma 3.
 
 

Il tasso di premio consiste in un numero assoluto indicante l'importo del premio da pagare per ogni L. mille di retribuzione (D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 41, comma 2).

Chiaramente, nessuna modifica consegue dalla introduzione dell'euro, tenuto conto del fatto che il meccanismo di determinazione del premio non è condizionato dalla nuova divisa: infatti, l'importo del premio continua ad ottenersi moltiplicando il valore assoluto costituente il tasso applicabile per la base imponibile e dividendo il risultato del prodotto per mille.
 
 

Detto tasso è denominato "nazionale" in quanto esso inerisce al rischio medio nazionale delle singole lavorazioni assicurate: esso, quindi, corrisponde al rapporto fra gli oneri sostenuti in un dato periodo dalla gestione in relazione ad una data lavorazione e l'ammontare delle retribuzioni erogate alle persone addette a quella stessa lavorazione.

 
La formazione delle tariffe dei premi e contributi deve avvenire "in modo da comprendere l'onere finanziario previsto corrispondente agli infortuni del periodo in assicurazione" (D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 39, comma 2).
 

Le varie tariffe che si sono succedute nel tempo hanno definito tali oneri (vedi ad es. D.M. 18 giugno 1988, art. 9, art. 6, attuale tabella D.M. 12 dicembre 2000).

Essi sono: gli oneri c.d. diretti, quelli riconnessi agli infortuni e malattie professionali attribuibili alle specifiche lavorazioni; gli oneri indiretti, relativi alle malattie professionali non attribuibili a specifiche lavorazioni, alla rivalutazione delle rendite, alle spese generali ed ai contributi obbligatori nonchè quelli presunti non determinabili in via definitiva; gli oneri presunti, che comprendono gli oneri per i casi di infortunio e di malattia professionale ancora da definire alla data di tale calcolo, e per i quali è apprestata una riserva matematico-attuariale denominata appunto riserva sinistri.
 
 

Mentre gli oneri diretti per le prestazioni sono determinati distintamente per ciascuna gestione e nell'ambito di queste - per ciascuna voce di tariffa, gli oneri indiretti sono ripartiti fra tutte le gestioni tariffarie in funzione degli oneri diretti di ciascuna di essere, e per tale ragione sono anche detti "a caricamento" in quanto gli stessi sono attribuiti alle singole lavorazioni mediante percentuali di caricamento secondo quanto indicato nei bilanci dell'INAIL. Il tasso medio nazionale per classe di rischio determina perciò i contributi che il datore di lavoro deve pagare all'Inail in relazione alla attività esercitata ed alle retribuzioni corrisposte.
 
Il principio di responsabilità che è alla base del sistema impone però che si tenga conto anche della sinistrosità aziendale rispetto alla media nazionale, considerando, cioè, lo scarto eventualmente sussistente tra il rischio connesso ad una specifica azienda ed il rischio connesso, in media, alla classe di appartenenza dell'azienda stessa.
 

Si perviene così al tasso specifico aziendale, che è definito dal D.M. del 1988, art. 20, (ora 22, comma 2, attuale tariffa) come il rapporto fra oneri e retribuzioni della stessa posizione assicurativa, e cioè il rapporto tra gli oneri sostenuti dall'INAIL per infortuni e malattie occorse ai dipendenti dell'azienda nei primi tre anni del quadriennio precedente l'anno di decorrenza del provvedimento e le retribuzioni denunciate nello stesso periodo da quell'azienda per la stessa posizione assicurativa (art. 20 tariffa 1988). Il successivo comma 3, precisa che il tasso specifico aziendale è calcolato con gli stessi criteri, elementi, e norme tenuti presenti per la determinazione dei tassi medi di tariffa, sulle basi statistico-economiche, specifiche e generali, del periodo cui il tasso si riferisce.
 

Costituisce da tempo jus receptum che il tasso specifico aziendale deve essere calcolato secondo gli stessi criteri del tasso medio nazionale, e quindi vi debbono essere inclusi gli oneri diretti, quelli indiretti e quelli presunti (Cass. Sez. Un. 13 ottobre 1997 n. 9961; Cass. 12 giugno 1995 n. 6613; Cass. 16 luglio 1997 n. 6533; Cass. 27 giugno 1996 n. 5937, nonchè le sentenze n. 10880 del 1992, n. 4036, 4117 e 12201 del 1993, n. 5370 del 1994, n. 2040, 2418, 4414, 4446, del 1995).
 

Era sorto contrasto nella giurisprudenza di questa Corte, limitatamente agli oneri presunti, per il caso in cui la singola azienda non avesse subito infortuni sul lavoro o malattie professionali nel periodo di osservazione. L'orientamento maggioritario, partendo dal principio generale riferito, aveva dedotto che la omogeneità degli elementi del calcolo richiede che le singole voci siano in concreto configurabili sotto il profilo temporale nella singola realtà aziendale, sicchè non potrebbe calcolarsi una riserva sinistri coi metodi previsti per il tasso medio nazionale allorchè sia accertata l'assenza di tali eventi nell'azienda.
 
 

Il contrasto è stato risolto dalle Sezioni Unite di questa corte (Cass. 11 giugno 2 001 n. 7853), le quali hanno statuito che gli oneri presunti vanno calcolati nel tasso specifico aziendale anche quando nell'azienda e nel periodo considerato non si siano verificati infortuni, ed a tale interpretazione si sono attenute Cass. 11 febbraio 2002 n. 1941, Cass. 15 ottobre 2003 n. 15448, Cass. 7 luglio 2004 n. 12518.
 
 

La interpretazione delle Sezioni Unite è avvalorata dal D.M. 12 dicembre 2000 (emanato in forza del D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 3), il cui art. 22, comma 3, prevede il calcolo del tasso specifico aziendale negli stessi termini del D.M. del 1988, solo specificando che gli oneri presunti sono calcolati "a stima su base nazionale ed attribuiti alle singole posizioni assicurative con criterio statistico-attuariale".
 
 

La ricorrente assume che il criterio riportato è lesivo del principio di proporzionalità del premio alla sinistrosità aziendale, e deprime la funzione premiale verso il datore di lavoro che abbia un comportamento anti infortunistico responsabile.
 

La tesi non può essere condivisa, perchè il criterio di cui si discute attiene al computo di una singola componente del tasso specifico aziendale, presunta, che avviene perciò per imputazione e non per rilevazione diretta, mentre la funzione premiale è ottenuta con la oscillazione del tasso medio nazionale, a norma del D.M. del 1988, art. 20 (artt. 19 e 22 della attuale tariffa).
 

Il D.M. 12 dicembre 2000, art. 19, prevede per i primi due anni di attività una riduzione su domanda del 15% del tasso medio di tariffa ove il datore di lavoro fornisca all'assicuratore elementi idonei a comprovare il pieno e totale rispetto delle norme in materia di prevenzione infortuni e igiene sul lavoro; nella stessa percentuale, tale tasso è suscettibile di aumento, d'ufficio, ove da provvedimenti adottati dall'autorità competente risulti la mancata osservanza delle predette norme.
 

Ai sensi del successivo art. 22, una volta trascorsi i primi due anni dalla data d'inizio della attività, il tasso medio è suscettibile ogni anno di variazione, sia in aumento o in diminuzione, in relazione all'andamento degli infortuni e delle malattie professionali nonchè in relazione alla forza lavoro dell'azienda (c.d. "lavoratori anno"), secondo i criteri matematici analiticamente specificati nell'articolato. Come rilevato in dottrina, per effetto delle ipotesi di oscillazione da applicare dopo i primi due anni di attività, un'azienda che sia rispettosa delle norme in materia di igiene e prevenzione, in regola con gli adempimenti contributivi e assicurativi e presenti un andamento infortunistico fisiologico, può fruire di una riduzione del tasso medio di tariffa fino al 32% (22 + 10) se occupa non più di 100 lavoratori anno, e fino al 40% (35 + 5) se occupa oltre 500 lavoratori anno. Inoltre, come rilevato dalla stessa dottrina, la manovra dell' oscillazione concilia gli interessi apparentemente contrapposti del datore di lavoro e dell'Istituto, in quanto garantisce al primo un'effettiva corrispondenza del tasso al rischio proprio della sua azienda, e da al secondo la possibilità di accertare eventuali omissioni del primo, dal momento che "se, infatti, il datore di lavoro ha tutto l'interesse a denunciare le retribuzioni erogate ai propri dipendenti nella minor misura possibile, l'Istituto assicuratore in occasione della manovra dell'oscillazione esegue un raffronto a livello aziendale fra contributi incassati e spese sostenute e, se questo risulta sperequato, può aumentare il tasso. Di qui una certa remora all'evasione contributiva.
 
 

Il ricorso va pertanto respinto.
 
 

Le spese processuali seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
 

 

 

P.Q.M.

 

 rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare le spese del presente giudizio liquidate in Euro 13,00 oltre Euro 2.500,00 per onorari di avvocato, oltre accessori.
 
 Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 2 ottobre 2007.
 
 Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2007