Categoria: Cassazione penale
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Responsabilità dell'amministratore di una s.n.c. per il delitto di omicidio colposo commesso, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 5 e del D.P.R. n. 164 del 1956, art. 68, comma 1), in pregiudizio di P.G., titolare di impresa individuale omonima, incaricato di visionare un infisso danneggiato e da riparare.

Secondo l'accusa, condivisa dal tribunale, il F., nella richiamata qualità, per colpa consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia e nella inosservanza delle norme, sopra richiamate, sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, aveva lasciato, all'interno di un appartamento in costruzione, un'apertura nel pavimento del piano terra (attraverso la quale avrebbe dovuto realizzarsi una scala di accesso al piano seminterrato) priva di protezione idonea a prevenire i rischi di caduta (parapetto o copertura con idoneo tavolato); apertura attraverso la quale è precipitato il P. che, piombato nel piano inferiore da un'altezza di m. 2,75, ha riportato lesioni rivelatesi mortali.

Condannato dunque in primo grado, viene invece assolto dalla Corte d'Appello perchè il fatto non sussiste.

 

Propone ricorso in Cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'Appello di Milano deducendo vizio di motivazione della sentenza impugnata.
In particolare, manifestamente illogico sarebbe, secondo il ricorrente, l'argomentare della corte territoriale laddove, pur avendo dato atto che la collocazione di varie assi appoggiate al muro per segnalare l'esistenza della botola non era sufficiente a porre in sicurezza il locale, ha ritenuto che l'uscita dall'appartamento e la chiusura della porta, con l'allontanamento del F., fosse indice della conclusione dell'attività del P. e della imprevedibilità di un suo rientro nell'appartamento, benchè costui fosse rimasto sul posto per controllare le misure prese.

Sarebbe illogico, secondo il ricorrente, dare atto che il P. era ancora intento a controllare i dati annotati e contemporaneamente ritenere che l'attività dello stesso si fosse definitivamente esaurita.

Così come illogico sarebbe concludere, a fronte della ritenuta irrilevanza della chiusura o meno a chiave della porta d'ingresso dell'immobile, in termini di assoluzione dell'imputato, laddove doveva ritenersi integrata in capo allo stesso una grave violazione dei doveri di diligenza, per essersi allontanato dopo l'uscita dall'appartamento senza accertarsi che lo stesso avrebbe fatto il P..

E ciò sia che la porta d'ingresso fosse stata solo accostata, sia che la stessa fosse stata chiusa a chiave poi deposta in luogo facilmente accessibile al P..
In altre parole, non era per nulla imprevedibile che la vittima, rimasta sul posto a controllare i dati acquisiti nel corso del sopralluogo, potesse decidere di rientrare nell'abitazione, trovando la porta d'ingresso aperta, ovvero anche chiusa ma avendo la piena disponibilità della chiave. Tale doverosa previsione avrebbe dovuto indurre l'imputato ad attendere fino a quando il P. non si fosse allontanato, ovvero a dare disposizioni per risigillare la pericolosa apertura.

Il ricorso è fondato: la Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio.

 



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MORGIGNI Antonio - Presidente
Dott. MARZANO Francesco - Consigliere
Dott. FOTI Giacomo - rel. Consigliere
Dott. MASSAFRA Umberto - Consigliere
Dott. MARINELLI Felicetta - Consigliere
ha pronunciato la seguente:

 

sentenza

 

 


sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI MILANO;
nei confronti di:
1) F.P. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 5324/2008 CORTE APPELLO di MILANO, del 26/06/2009;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/07/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO FOTI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. De Sandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.


FattoDiritto

 


1- Con sentenza del 29 maggio 2008, il Tribunale di Pavia ha dichiarato F.P.A. colpevole, quale amministratore della "N.D. Ristrutturazioni s.n.c.", del delitto di omicidio colposo commesso, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 5 e del D.P.R. n. n. 164 del 1956, art. 68, comma 1), in pregiudizio di P.G., titolare di impresa individuale omonima, incaricato di visionare un infisso danneggiato e da riparare.

All'affermazione di responsabilità è seguita la condanna dell'imputato, riconosciute le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto all'aggravante contestata, alla pena di un anno di reclusione.

Secondo l'accusa, condivisa dal tribunale, il F., nella richiamata qualità, per colpa consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia e nella inosservanza delle norme, sopra richiamate, sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, aveva lasciato, all'interno di un appartamento in costruzione, un'apertura nel pavimento del piano terra (attraverso la quale avrebbe dovuto realizzarsi una scala di accesso al piano seminterrato) priva di protezione idonea a prevenire i rischi di caduta (parapetto o copertura con idoneo tavolato); apertura attraverso la quale è precipitato il P. che, piombato nel piano inferiore da un'altezza di m. 2,75, ha riportato lesioni rivelatesi mortali.


In fatto, era accaduto che il P., incaricato di riparare un infisso danneggiato, si era introdotto all'interno dell'appartamento, accompagnato dal F., per visionare detto infisso, esaminato il quale i due ne erano usciti, accomiatandosi.

Mentre l'imputato si era allontanato, il P., era rimasto sul posto per riordinare gli appunti presi; da quel momento non era stato più notato da alcuno, essendo stato poi rinvenuto, agonizzante, al piano seminterrato, in prossimità dell'apertura del piano superiore.

Si è quindi pacificamente ritenuto che la vittima era rientrata nell'appartamento, probabilmente per effettuare un secondo sopralluogo, ed era precipitato in basso attraverso detta apertura.

Il giudice di primo grado ha attribuito la responsabilità dell'incidente all'imputato poichè non aveva curato un'adeguata protezione dell'apertura affinchè la stessa non costituisse pericolo per quanti si trovassero nell'appartamento.

Nè il fatto che le protezioni fisse erano state, in realtà, realizzate ed erano state da poco rimosse per consentire l'intervento, previsto per quella stessa giornata, del fabbro incaricato della realizzazione della scala poteva sminuire, secondo lo stesso giudice, le responsabilità dell'imputato, poichè a lui spettava di garantire, in ogni condizione, la sicurezza del cantiere e quindi di assicurare un'adeguata protezione dell'apertura e, comunque, di accertarsi che la porta dell'abitazione fosse chiusa a chiave e che il P. se ne fosse definitivamente allontanato.

 

2- Su impugnazione proposta dall'imputato, la Corte d'Appello di Milano, con sentenza del 26 giugno 2009, in riforma della decisione impugnata, ha assolto l'imputato dal reato ascrittogli perchè il fatto non sussiste.

Il giudice del gravame, premesso che era pacificamente emerso:

a) che fino a poco prima dell'arrivo del P. l'apertura in questione era chiusa in maniera del tutto adeguata e sicura;

b) che la rimozione della protezione fissa si era resa necessaria poichè per il primo pomeriggio era atteso il fabbro che avrebbe dovuto visionare il vano per realizzare una scala a chiocciola di collegamento tra i due piani;

c) che la botola era in ogni caso segnalata con assi mobili e che la stessa era perfettamente visibile, essendo l'ampio locale, ove essa era stata realizzata, del tutto vuoto;

d) che il F. aveva accompagnato il P. per fargli prendere visione dell'infisso danneggiato;

e) che entrambi erano usciti insieme dall'appartamento la cui porta d'ingresso l'imputato aveva chiuso a chiave;

f) che a quel punto il F., avendo ritenuto concluso l'intervento, si era comprensibilmente allontanato, avendo avuto motivo di ritenere che anche il P. se ne sarebbe andato, tanto premesso, dunque, lo stesso giudice ha rilevato come nessun addebito potesse rivolgersi ft all'imputato il quale, dopo avere accompagnato il P. nel suo sopralluogo e dopo averlo riaccompagnato fuori dell'appartamento ed averne chiuso a chiave il portone d'ingresso, aveva la ragionevole convinzione che lo stesso si sarebbe ugualmente allontanato.

Era, cioè, secondo la corte territoriale, del tutto ragionevole ritenere, da parte dell'imputato, che il P., avendo completato il suo intervento di verifica, sarebbe andato via a propria volta, mentre nulla avrebbe potuto far prevedere che egli sarebbe rientrato nell'appartamento.
Nè, hanno soggiunto i giudici del gravame, tale previsione avrebbe potuto esser fatta dall'imputato per il fatto che la chiave dell'appartamento era stata lasciata in luogo a tutti accessibile, certamente noto dal P. che aveva visto ove la stessa era stata collocata; ciò perchè, in ogni caso, ed a prescindere dalla collocazione della chiave, l'imputato, usciti i due dall'appartamento, aveva legittimamente ritenuto concluso l'intervento del P. e del tutto imprevedibile la decisione dello stesso di rientrare nell'appartamento.

 

3- Avverso tale sentenza propone ricorso il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'Appello di Milano, che deduce vizio di motivazione della sentenza impugnata.
In particolare, manifestamente illogico sarebbe, secondo il ricorrente, l'argomentare della corte territoriale laddove, pur avendo dato atto che la collocazione di varie assi appoggiate al muro per segnalare l'esistenza della botola non era sufficiente a porre in sicurezza il locale, ha ritenuto che l'uscita dall'appartamento e la chiusura della porta, con l'allontanamento del F., fosse indice della conclusione dell'attività del P. e della imprevedibilità di un suo rientro nell'appartamento, benchè costui fosse rimasto sul posto per controllare le misure prese.

Sarebbe illogico, secondo il ricorrente, dare atto che il P. era ancora intento a controllare i dati annotati e contemporaneamente ritenere che l'attività dello stesso si fosse definitivamente esaurita.

Così come illogico sarebbe concludere, a fronte della ritenuta irrilevanza della chiusura o meno a chiave della porta d'ingresso dell'immobile, in termini di assoluzione dell'imputato, laddove doveva ritenersi integrata in capo allo stesso una grave violazione dei doveri di diligenza, per essersi allontanato dopo l'uscita dall'appartamento senza accertarsi che lo stesso avrebbe fatto il P..

E ciò sia che la porta d'ingresso fosse stata solo accostata, sia che la stessa fosse stata chiusa a chiave poi deposta in luogo facilmente accessibile al P..
In altre parole, non era per nulla imprevedibile che la vittima, rimasta sul posto a controllare i dati acquisiti nel corso del sopralluogo, potesse decidere di rientrare nell'abitazione, trovando la porta d'ingresso aperta, ovvero anche chiusa ma avendo la piena disponibilità della chiave. Tale doverosa previsione avrebbe dovuto indurre l'imputato ad attendere fino a quando il P. non si fosse allontanato, ovvero a dare disposizioni per risigillare la pericolosa apertura.
Conclude il ricorrente, chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata.
Con memoria depositata presso la cancelleria di questa Corte, il difensore dell'imputato ha contestato l'ammissibilità e la fondatezza delle doglianze proposte.

 

4- Il ricorso è fondato, essendo sussistenti i dedotti vizi motivazionali.

A decisioni tra loro contrastanti sono, dunque, pervenuti il tribunale e la corte territoriale, avendo in sostanza ritenuto

- da un lato, il giudice di primo grado:

a) che la rimozione, sia pure per breve tempo, della copertura posta a protezione dell'apertura sita sul pavimento aveva creato le condizioni di rischio per possibili cadute dall'alto che il D.P.R. n. n. 164 del 1956, art. 68 tende ad evitare, disponendo che le aperture dei solai devono esser poste in sicurezza attraverso la realizzazione, per tutto il perimetro, di parapetti e di tavole ferma piedi, ovvero di idonee coperture,

b) che data la sostanziale situazione di insicurezza dei luoghi, l'imputato avrebbe dovuto quantomeno assicurarsi che nessuno potesse introdursi nell'appartamento, non solo chiudendo a chiave la relativa porta d'ingresso, ma ponendo la stessa in luogo non accessibile agli altri, specie al P., del cui allontanamento dai luoghi avrebbe, comunque, dovuto assicurarsi;

- dall'altro, la corte territoriale che ha, viceversa, ritenuto:

a) che la rimozione della richiamata protezione si era resa necessaria perchè era atteso per il pomeriggio l'arrivo del fabbro incaricato di realizzare la scala di collegamento tra i piani,

b) che eseguito dal P. il sopralluogo, accompagnato dall'imputato, non poteva quest'ultimo prevedere il rientro della vittima nell'appartamento.

Orbene, non v'è dubbio, ed è riconducibile nella normale dialettica processuale, che il giudice dell'impugnazione possa pervenire a decisioni del tutto contrastanti rispetto a quelle adottate dal giudice di primo grado; è, tuttavia, altrettanto certo che il secondo giudice, allorchè ribalti precedenti statuizioni, deve spiegare le ragioni del proprio dissenso rispetto alle conclusioni cui il primo giudice è pervenuto, dopo aver preso compiutamente in esame ed avere sottoposto a critica analitica le argomentazioni poste dallo stesso a sostegno della propria decisione.

Non ritiene questa Corte che ciò sia avvenuto nel caso di specie.

In realtà, con la contestata motivazione il giudice il gravame, invece di sottoporre a doverosa analisi e ad attenta critica la decisione di primo grado, si è limitato a proferire una serie di generiche affermazioni conclusive, contrarie a quella decisione, non accompagnate dalla elaborazione dei passaggi argomentativi idonei a giustificare, con la necessaria coerenza logica, le ragioni del suo dissenso rispetto alle diverse conclusioni rassegnate dal primo giudice.


Ha sostenuto, in particolare, la corte territoriale che "la rimozione della protezione fissa si era resa necessaria perchè nel primo pomeriggio era atteso il fabbro", ma non ha chiarito se e, eventualmente, perchè ed in che termini, tale circostanza può essere opposta alla fondamentale considerazione del primo giudice, secondo cui, l'eliminazione, sia pure provvisoria, della chiusura aveva posto i luoghi, per chiunque li avesse frequentati, a rischio di caduta nel piano sottostante.
Ancora, la stessa corte ha fatto riferimento ad una "segnalazione" della botola con assi mobili, ma non ha chiarito se la stessa segnalazione fosse stata tale da assicurare il rispetto delle norme antinfortunistiche.

Ha sostenuto, ancora, che l'imputato aveva "buoni e ragionevoli motivi per ritenere che il P., dopo essersi segnato sul blocco i dati che gli servivano ... se ne sarebbe andato", ma non ha indicato le ragioni di tale affermazione, specie ove si consideri che è pacificamente emerso che la vittima, dopo essere uscito dall'appartamento appena visionato, accompagnato dal F., si era fermato per controllare gli appunti appena presi e che l'imputato, dopo avere posto la chiave dell'appartamento in un posto che lo stesso giudice del gravame ha indicato come "accessibile" e "notato" dalla vittima, si è allontanato lasciando sul posto il P..

Non è stato chiarito, cioè, quali fossero quei "buoni e ragionevoli motivi" che hanno indotto l'imputato ad escludere che la vittima sentisse la necessità di controllare i dati appena annotati e come tale convinzione possa ragionevolmente coordinarsi con l'attardarsi della stessa vittima nei pressi dell'ingresso dell'appartamento per controllare quei dati; atteggiamento, quest'ultimo, che lo stesso giudice del gravame pur ha ritenuto "possibile e probabile" - nel senso che il P. si potesse accorgere di non avere "preso tutti i dati" e che per questo potesse avvertire l'esigenza di rientrare nell'appartamento - e quindi perfettamente prevedibile.


In sostanza apparente, e talvolta illogica e contraddittoria, si presenta la motivazione della sentenza impugnata, e quindi fondate sono le censure mosse dal ricorrente, di guisa che deve disporsi l'annullamento della stessa sentenza, con rinvio, per nuovo esame, ad altra sezione della Corte d'Appello di Milano.

 

P.Q.M.

 


Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Milano