REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE D'APPELLO DI TRIESTE
PRIMA SEZIONE PENALE
La Corte d'Appello di Trieste,

Prima Sezione penale,

composta dai Magistrati:
1. dr. Francesca Morelli - Presidente -
2. dr. Donatella Solinas - Consigliere -
3. dr. Gloria Carlesso - Consigliere -

Udita la relazione della causa fatta alla pubblica udienza dal dr. Francesca Morelli, sentiti il Pubblico Ministero, e i difensori degli appellanti non comparsi, nonché il patrocinatore di parte civile,

ha pronunciato il 12/5/2010 la seguente
sentenza

 


nella causa penale contro
1) Sa.At., nato ***, res., Caneva, via *** (dom. det.)
- libero contumace -
2) Al.Re., nato ***, res. Sacile via *** (dom. det.)
- libero contumace -
3) Fe.Al., nato ***, res. Caneva, via ***, con dom. el. presso l'avv. R.R. di Pordenone
- libero contumace -
4) Po.Re., nato ***, res. Caneva, via ***(dom. det.)
- libero contumace -

Imputati
- del delitto p.p. dall'art. 589 c.p., perché nelle rispettive qualità di:
Sa.Gi. e Al.Re. di proprietarie committenti della sua costruzione dell'immobile ove è avvenuto l'infortunio;
Po.Re. direttore dei lavori relativi alla costruzione dell'immobile;
Fe.Al. come socio legale rappresentante della Mz., (e quindi con ruolo di datore di lavoro) per negligenza imprudenza imperizia, nonché (solo nel caso di Fe.) violazione delle norme di prevenzione degli infortuni consistite: per Sa., Al. e Po. nell'aver concorso nella realizzazione di un immobile (contrariamente al progetto depositato ai fini della concessione edilizia che indicava un tetto da realizzarsi in lastre prefabbricate o curvate) provvisto, pur in presenza di lucernai, di tetto con superficie calpestabie; per Fe.Al. per aver consentito al proprio socio di operare su un tetto non calpestabile (situazione di cui aveva contezza, avendo egli visionato personalmente il tetto) in assenza di attrezzature e protezioni idonee (art. 7/8 e 9 del dpr. 303/56);
così per colpa cagionavano il decesso di Ma.Ma. il quale, mentre effettuava dei lavori prodromici all'installazione di tre condizionatori, precipitava dal tetto del capannone ove aveva sede la Mz., di cui era socio; e ciò a causa del tetto non pedonabile e dell'assenza di adeguate attrezzature anticaduta.

 

Appellanti: Gli imputati avverso la sentenza del Tribunale di Pordenone del 17/2/2009 che, dichiarava Sa.At., Al.Re., Po.Re. e Fe.Al. responsabili del reato rispettivamente ascritto e, concesse a tutti gli imputati le attenuanti generiche, condannava Sa.At., Al.Re. e Po.Re. alla pena di mesi quattro di reclusione e Fe.Al. alla pena di mesi otto di, reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali in solido.

Pena sospesa per tutti gli imputati. Pena interamente condonata ai sensi della legge n. 241/2006 per tutti gli imputati.

Visti gli artt. 538 ss. c.p.p. condannava gli imputati al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite Ma.Ro. e Ro.Gi., da liquidarsi in separato giudizio civile assegnando agli stessi una provvisionale immediatamente esecutiva di Euro 10.000,00 ciascuno da porsi a carico dei prevenuti in solido.

Condannava, infine, gli imputati in solido a rifondere alle parti civili Ma.Ro. e Ro.Gi. le spese di costituzione e patrocinio che si liquidavano in complessivi Euro 2.800,00 oltre IVA e CPA come per legge.


 

Fatto

 

 

Con sentenza di data 17/2/09, il Tribunale di Pordenone riconosceva la penale responsabilità di Sa.At., Al.Re., Po.Re. e Fe.Al. in ordine al reato di omicidio colposo in danno di Ma.Ma., evento occorso in data *** a seguito di un infortunio sul lavoro e, concesse a tutti le attenuanti generiche, condannava i primi tre alla pena di mesi quattro di reclusione e il quarto alla pena di mesi otto di reclusione, con concessione tanto della sospensione condizionale che dell'indulto.

 

I quattro imputati venivano altresì condannati al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite, Ma.Ro. e Ro.Gi., da liquidarsi in separato giudizio, con assegnazione alle parti civili della somma di 10.000,00 Euro ciascuno a titolo di provvisionale.

 

Nell'imputazione, si fa carico dell'evento mortale ai singoli imputati in forza dei seguenti ruoli, da essi ricoperti all'epoca del fatto:
- Sa. ed Al. quali proprietari dell'immobile ove avvenne l'infortunio
- Po. quale direttore dei lavori di costruzione dell'immobile
- Fe. quale socio del Ma. nella ditta "Mz." e legale rappresentante della stessa.

 

Ai primi tre si imputa l'avere realizzato un immobile provvisto di copertura non calpestabile, contrariamente a quanto risultava nel progetto depositato ai fini della concessione edilizia e nonostante sul tetto fossero presenti dei lucernai.
Al quarto, in qualità di datore di lavoro della vittima, si addebita l'avere consentito al Ma. di accedere al tetto in assenza di attrezzature e protezioni idonee, così violando anche gli artt. 7, 8 e 9 del D.P.R. 303/56.

L'infortunio è avvenuto in quanto il Ma., per motivi su cui più oltre ci si soffermerà, era salito sul tetto dell'immobile ove aveva sede la società Mz., senza avvalersi di attrezzature adeguate, ed era precipitato a terra da un altezza di circa 7 metri, poiché le lastre di fibrocemento che componevano la copertura non erano calpestabili.

Nella sentenza di primo grado si esaminano compiutamente le risultanze processuali e si raggiungono alcune conclusioni in fatto.
La parte lesa era salita sul tetto in assenza di qualsiasi sistema di protezione anticaduta, non essendo stati preventivamente posti in opera reti fisse, punti di aggancio per cinture di sicurezza, linee di ancoraggio o rimedi idonei a prevenire possibili incidenti.

L'esame della pratica edilizia presso il Comune di Sacile, aveva evidenziato che la copertura del tetto era stata progettata con lastre prefabbricate tipo monopanel curvate, cioè in modo che ne fosse garantita la pedonabilità; in realtà, la copertura era stata realizzata con lastre in fibrocemento non calpestabili.


Ritiene il Tribunale, sulla scorta della deposizione dell'ispettore ASL De., che tale opzione fosse dipesa dai minori costi della copertura in fibrocemento, che aveva garantito un risparmio di circa 40 milioni di Lire.

 

Le altre deposizioni convincono il primo giudice del fatto che il Ma. si fosse recato sul tetto per effettuare lavori prodromici all'installazione di condizionatori e di ciò fosse consapevole il socio, con delega alla sicurezza, Fe.

Il Tribunale non contesta che la copertura del tetto avrebbe potuto essere legittimamente eseguita in fibrocemento ma sostiene che la modificazione dell'originario progetto, che prevedeva la realizzazione di un tetto calpestarle, avrebbe dovuto essere indicata in una richiesta di variante in corso d'opera, in modo da rendere oggettivamente conoscibile a terzi la tipologia del materiale impiegato.

Di qui la responsabilità del progettista e direttore dei lavori, Po., per avere contribuito alla realizzazione delle condizioni che portarono alla caduta della vittima da un tetto che non era calpestatole mentre, dal progetto approvato, risultava invece essere in materiale calpestabile.

La responsabilità da parte dei proprietari dell'immobile, che avevano locato alla Mz. parte di esso, sarebbe invece consistita nell'avere omesso di informare i conduttori della non accessibilità del tetto.

Ritiene, a tale proposito, il primo giudice che vi sia prova del fatto che Sa. e Al. fossero a conoscenza del proposito di Ma. di salire sul tetto.
Inconfutabile e di maggiore gravita sarebbe, infine, la responsabilità del socio - datore di lavoro, Fe., il quale avrebbe consentito al proprio socio di accedere alla copertura del tetto senza alcuna misura di protezione.

A carico di quest'ultimo sarebbero quindi ravvisabili addebiti di colpa specifica mentre gli altri tre imputati sarebbero responsabili dell'evento per colpa generica.
Di qui la diversa determinazione del trattamento sanzionatorio.

Avverso tale sentenza formulano rituale e tempestivo appello le difese degli imputati.

I difensori dei proprietari dell'immobile, Sa. e Al., contestano, in primo luogo, che la scelta di realizzare la copertura in lastre di fibrocemento anziché in pannelli prefabbricati tipo "monopanel" fosse più economica e consentisse il risparmio ipotizzato nella sentenza di primo grado.

Si chiede, in quest'ambito, ove la Corte abbia dei dubbi in merito, di disporre una perizia per la determinazione dei costi dei diversi tipi di copertura.

Si contesta, altresì, che l'esistenza della copertura in fibrocemento non potesse essere pienamente apprezzata se non salendo sul tetto; in realtà, sostengono i difensori, all'interno del capannone era stata realizzata una controsoffittatura in fibrocemento e ciò avrebbe dovuto rendere evidente anche la tipologia del soffitto.
L'assenza di un tetto calpestabile era manifesta, secondo l'appello, anche e soprattutto per l'assenza di accessi al tetto.

 

Infine, la realizzazione di una copertura calpestabile, pur in presenza di lucernai sul tetto, non era imposta dal alcuna norma.


In conclusione, secondo l'appello dei due proprietari, la realizzazione della copertura in lastre di fibrocemento era legittima, la natura della copertura e la non calpestabilità erano evidenti anche dall'interno del capannone e, comunque, non incombeva ai proprietari alcun onere di comunicare ciò ai dipendenti delle imprese che in esso operavano.

Ci si duole, altresì, del fatto che, nella sentenza di primo grado, si ritengano provate circostanze in realtà non provate e comunque eccentriche rispetto alla contestazione contenuta nell'imputazione.
Non risulterebbe, infatti, in alcun modo provato che Sa. e Al. fossero stati informati del fatto che Ma. intendeva recarsi sul tetto ad installare i condizionatori né che avessero preventivamente autorizzato l'operazione.

In proposito, si chiede l'audizione di un teste al fine di confutare la ricostruzione dei fatti operata dal primo giudice.
In subordine, si chiede la riduzione della pena inflitta e la sostituzione con la pena pecuniaria della corrispondente specie, con esclusione della sospensione condizionale.
Per quanto riguarda le statuizioni civili, si chiede la sospensione nell'esecuzione del pagamento della provvisionale, stanti i profili di nullità della sentenza impugnata.

Le conclusioni sono quindi formulate in questi termini:
- sospendere l'esecuzione della condanna al pagamento della provvisionale
- dichiarare la nullità della sentenza ex artt. 516, 521 e 522 c.p.p.
- assolvere gli imputati per non aver commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato
- disporre la rinnovazione parziale del dibattimento con l'audizione del teste Ci. e l'effettuazione di una perizia sui costi di copertura
- ridurre la pena con la sostituzione della pena detentiva in pena pecuniaria e la revoca della sospensione condizionale.

 

La difesa dell'architetto Po. chiede, in via preliminare, la sospensione dell'esecuzione della condanna al pagamento della provvisionale, nel merito, l'assoluzione dell'imputato con la formula ritenuta più opportuna, in via istruttoria, l'acquisizione del progetto strutturale del capannone a firma dell'ing. Be.

L'appellante sostiene che nessuna norma impone la realizzazione di coperture calpestatali in immobili quali quello ove si è verificato l'infortunio e che nulla, nella scheda informativa, nella relazione tecnica, nel collaudo statico, nell'autorizzazione di agibilità potevano far pensare che la copertura fosse stata progettata e realizzata come calpestabile.

Si aggiunge che, nel caso in esame, devono trovare applicazione le norme specifiche in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro che impongono al datore di lavoro di accertarsi, prima di eseguire lavori su tetti, lucernari, coperture e simili, che questi abbiano resistenza sufficiente per sostenere il peso degli operai e i materiali di impiego.
La difesa di Fe. contesta con toni assai polemici la sentenza di primo grado, in quanto avrebbe dato conto di principi giurisprudenziali senza un valido iter logico ed argomentativo e senza una corretta ricostruzione delle risultanze in fatto.

 

L'appellante sostiene che il Fe. non era al corrente della circostanza che il tetto del capannone non fosse calpestabile, dal momento che la realtà differiva dal dato formale risultante dal progetto del concessionario, ed inoltre non era consapevole dell'intenzione, da parte del socio, di salire sul tetto.

Con riferimento a tale ultima circostanza, nell'atto di appello si esaminano le risultanze processuali per ritenere che non è stato provato che Ma. fosse salito sul tetto per effettuare operazioni prodromiche all'installazione dei condizionatori e, in ogni caso, Fe. non era presente e nulla sapeva.

Si rileva, inoltre, che la posizione di socio lavoratore, quale quella della vittima, è diversa da quella di dipendente e richiede un grado di autoresponsabilità maggiore rispetto a quello del semplice prestatore d'opera.

 

Si chiede, in principalità, l'assoluzione di Fe. con conseguente caducazione delle disposizioni civili, in subordine la riduzione della pena e la riduzione della provvisionale.




Diritto

 

 

Va preliminarmente sgombrato il campo da taluni equivoci a cui si presta l'esame degli atti di appello, in modo da stabilire alcune circostanze in fatto che la Corte ritiene provate.

Nessun rilievo, ai fini della decisione, assume l'eventuale risparmio sui costi di installazione del tetto attraverso l'utilizzo del fibrocemento anziché del monopanel.

Va quindi disattesa la richiesta di rinnovazione del dibattimento con l'effettuazione di una perizia sul punto.

Il giudizio di primo grado ha stabilito che la costruzione di una copertura in fibrocemento era assolutamente legittima e non contravveniva alcuna norma in materia di sicurezza.

Apparteneva quindi alla piena discrezionalità dei proprietari decidere se coprire il capannone con un materiale, in ipotesi, più economico, anche se diverso da quello inizialmente progettato.

Da tale presupposto è opportuno partire per una corretta ricostruzione delle responsabilità.

In fatto, appare pienamente provato sia che, al momento dell'infortunio, il Ma. stesse effettuando delle operazioni prodromiche all'installazione dei condizionatori sia che di ciò fossero consapevoli il socio e i due proprietari dell'immobile.
Il teste De., l'UPG che ha effettuato i primi rilievi, ha dato conto della presenza, ai piedi della scala che aveva consentito al povero Ma. di salire sul tetto, di un manufatto in acciaio legato a un filo elettrico e di alcune cinghie mentre, sul tetto, a circa sei metri di distanza dal punto ove era avvenuto lo sfondamento, c'era un rotolo di filo elettrico; all'interno del capannone c'era una parte di impianto di condizionamento.
L'ipotesi formulata dall'UPG è che il manufatto posto sotto la scala dovesse servire da base di appoggio per i condizionatori ed avrebbe dovuto essere issato sul tetto con l'ausilio del filo elettrico (pag. 16).

Ze.Ci., socia di Ma. e Fe. nella Mz., addetta alla parte amministrativa e contabile e fidanzata della vittima, presente in azienda al momento dell'infortunio, ha dichiarato, riferendosi ai due soci "sapevo che dovevano installare l'impianto di condizionamento, climatizzazione, diciamo" (f. 6).

Ma.Ro., padre della vittima, ha riferito che la sera precedente l'infortunio, il figlio gli aveva detto che "doveva istallare questa staffa che doveva portare il motore del condizionatore".

Le dichiarazioni di questi testi, valutate unitamente alla presenza di materiale idoneo all'installazione dei condizionatori nei pressi del luogo ove è avvenuto l'infortunio, dimostrano che il Ma. era salito sul tetto per montare la staffa di appoggio dei condizionatori o, comunque, operazioni prodromiche al montaggio dell'impianto.

Ai fini dell'affermazione di responsabilità non muterebbe il quadro neppure ove si ipotizzasse che il Ma. fosse salito semplicemente per una verifica della fattibilità dell'operazione.

La difesa Sa. e Al. ha prodotto diverse fotografie che raffigurano capannoni come quello in esame con impianti di condizionamento già montati all'esterno, sottolineando che gli impianti non erano montati sul tetto ma sul perimetro laterale.

Si può obiettare che, per installare gli impianti in quella posizione, è comunque necessario accedere al tetto, in quanto i supporti sono montati sulla sommità del perimetro, come agevolmente rilevabile dall'esame delle fotografie.

In ogni caso, provato che Ma. salì sul tetto per eseguire operazioni prodromiche all'installazione dei condizionatori, va chiarito che di ciò era perfettamente consapevole il Fe.

Secondo la deposizione della Ze. e dell'UPG, egli era presente in azienda al momento dell'infortunio e, in particolare, secondo la Ze., stava collaborando con Ma. nell'operazione.
La donna ha dichiarato di essersi trovata in ufficio e che i due soci erano "là" che "andavano avanti e indietro" anche se non sa dire chi fosse salito sul tetto per primo; più avanti, a domanda del difensore, la teste ribadisce" quando sono arrivata, loro erano già lì e stavano preparando la lavorazione" .... "l'ho visto che andavano avanti e indietro perché ognuno faceva e si davano una mano, però, come ho già risposto prima, non ho visto chi è salito prima e chi dopo" (f. 17).
Quanto riferito dalla testimone è, del resto, conforme a logica, nel senso che non si può pensare che, all'interno di un'azienda di ridotte dimensioni, uno dei soci inizi un'operazione complessa quale il montaggio dei condizionatori, all'insaputa dell'altro socio, pure presente negli stessi locali.
L'operazione era tale da dovere essere decisa da tutti i soci, ed in effetti anche la Ze. ne era al corrente; l'ingombro dei materiali, la collocazione di una scala, il posizionamento della staffa e del filo elettrico, non potevano certo sfuggire al socio che si trovava all'interno dello stesso locale.

Diversamente da quanto sostenuto nei motivi di appello vi è piena prova, in fatto, della consapevolezza, da parte del Fe., delle operazioni che l'infortunato si apprestava a compiere.

Tale prova esiste ed è piena anche con riguardo alla posizione dei due proprietari dell'immobile.

Risulta dalle deposizioni testimoniali che costoro svolgevano la propria attività nello stesso capannone parzialmente locato alla Mz. e che erano quotidianamente presenti in azienda (a nulla rileva che, in ipotesi, non fossero presenti il giorno dell'infortunio).

E' conforme a logica ritenere che l'installazione di un impianto di condizionamento sui muri perimetrali di un capannone non possa essere fatta all'insaputa dei proprietari ma il conduttore ne debba chiedere l'autorizzazione.

Ciò trova riscontro nel contratto di affitto in cui si prevede che il conduttore non possa, senza permesso scritto del locatore, eseguire innovazioni, migliorie, addizioni e sostituzioni ai locali e agli impianti (punto 6 del contratto in atti).

Ma, al di là di queste considerazioni di ordine logico, la consapevolezza del tipo di operazione che i titolari della Mz. intendevano compiere, in capo agli appellanti Sa. e Al., è provata dalle deposizioni Ze. e Ma.

La Ze., pur precisando di non sapere con certezza se i proprietari fossero stati informati dell'installazione dell'impianto di condizionamento, ha riferito che essi venivano informati, d'abitudine, circa le modifiche che la loro ditta operava all'interno del capannone (insegna, antifurto, cambiamento delle lampadine, realizzazione di un soppalco) "diciamo che la prassi comunque era quella di chiedere prima di fare un lavoro" (f. 11).

Ma.Ro. è stato assai più preciso e, riferendosi al colloquio avuto con il figlio la sera prima dell'infortunio, ha dichiarato "lui mi ha detto che aveva chiesto ai titolari, che questi gli avevano concesso il permesso di installare la staffa nella quale poi andava inserito il motore" ... "sì mi ha detto che aveva parlato con i proprietari e i proprietari gli avevano dato il permesso di installare la staffa che doveva portare il motore del condizionatore" (f. 24).

L'avvenuta informazione ai proprietari del capannone circa il tipo di operazione che ci si apprestava a compiere è quindi desumibile da considerazioni di carattere logico e da due testimonianze, di cui una in termini di certezza.

Ciò consente di superare i dubbi sollevati nei motivi di appello.

 

Tutto ciò premesso in fatto, se ne ricava con certezza la colpevolezza del Fe. in ordine al reato ascritto.

 

E' noto che, nell'ambito di una società di persone, ciascuno dei soci assuma la posizione di garanzia tipica del datore di lavoro in relazione agli altri soci e sia destinatario degli obblighi in materia di prevenzione antinfortunistica.

In proposito Cass. Sez. IV 26/5/09, Zu. "in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro, in caso di società di persone incombe su ciascun socio l'obbligo di adottare tutte le misure idonee e necessarie alla tutela dell'integrità fisica dei lavoratori, a condizione che non risulti l'espressa delega a soggetto di particolare competenza nel settore della sicurezza" e nello stesso senso Cass. Sez. III 12/4/05, Ca.
A maggior ragione nel caso in esame, in cui, pur a fronte di ridotte dimensioni aziendali, il Fe. era socio con delega in materia di prevenzione degli infortuni.
A lui incombeva l'obbligo di fornire strumenti che garantissero l'accesso al tetto in condizioni di sicurezza.
Superfluo dire che non era stato posto alcun presidio del genere, in quanto il povero Ma. salì sul tetto senza cintura di sicurezza, su una scala mobile e senza contezza del fatto che vi fossero o meno percorsi calpestagli.
Né si può sostenere che Fe. fu indotto in errore, circa la calpestabilità del tetto, dal progetto redatto dall'architetto Po., che dava conto della realizzazione di una copertura in monopanel.


Dal un lato, non vi è alcun elemento per ritenere che Fe. fosse andato a visionare gli atti allegati alla concessione edilizia e da essi avesse appreso la conformazione del tetto; dall'altro, quand'anche si volesse ipotizzare che Fe. avesse letto il progetto originario e si fosse fatto la convinzione che il tetto fosse in monopanel, ciò non significa che potesse consentire al socio di accedere al tetto senza alcuna precauzione, visto che un tetto non è, per sua natura, una superficie pedonabile (nel caso in esame, ciò era escluso dal fatto che non vi fossero accessi fissi al tetto), e comunque in quanto incombe pur sempre al datore di lavoro l'obbligo di accertare, in fatto, la praticabilità della zona.

Corretto appare il richiamo, a tale proposito, dell'art. 7 D.lgs. 303/56 e dell'art. 148 D.lgs. 81/08, ora vigente, contenuto nell'atto di appello della difesa Po.

E' condivisibile l'assunto difensivo secondo cui la responsabilità del socio nei riguardi di un altro socio è meno grave, attesa la posizione quasi paritaria e la possibilità di autodeterminarsi in capo al prestatore di lavoro; di ciò si è tenuto conto nell'irrogare una pena non elevata pur a fronte di macroscopiche violazioni in tema di sicurezza.

 

La doglianza difensiva formulata in via subordinata non può quindi trovare accoglimento.

 

Per quanto riguarda la posizione di Sa. e Al., la difesa giustamente rileva un parziale mutamento di rotta rispetto all'accusa originaria.
Dato per scontato che i due potevano liberamente decidere di coprire il capannone con pannelli in fibrocemento anziché in monopanel e che tale scelta non ha avuto incidenza causale della determinazione dell'infortunio, poiché non risulta che il Ma. sia salito sul tetto senza mezzi di protezione in quanto aveva visionato il progetto originario ed era convinto del fatto che la superficie fosse calpestabile, il profilo di colpa configurabile non attiene al mutamento del materiale di copertura senza dar conto di ciò negli atti amministrativi, quanto piuttosto al non avere informato i conduttori della non praticabilità del tetto, pur nella consapevolezza del fatto che essi si accingevano a compiere operazioni che richiedevano l'accesso al tetto.


I difensori hanno vivamente contestato che il Tribunale potesse infliggere la condanna ritenendo esistente un profilo di colpa diverso da quello contestato, in realtà va richiamata la giurisprudenza della Suprema Corte che indica l'ambito nel quale è consentito tale mutamento senza incorrere nella violazione dell'art. 521 c.p.p. "ricorre la violazione del principio di correlazione fra accusa e sentenza se il fatto contestato sia mutato nei suoi elementi essenziali in modo tale da comportare un effettivo pregiudizio ai diritti della difesa" Cass. Sez. III 12/11/09, Sc.


In questo caso, la problematica relativa alla consapevolezza o meno, da parte di Al. e Sa., del tipo di operazione che Ma. si apprestava a compiere è stata ampiamente dibattuta nel corso del giudizio di primo grado e i due appellanti sono stati posti in grado di difendersi dall'accusa di avere determinato l'evento per colpa generica, costituita nel non avere avvisato il conduttore delle insidie presenti nella salita ad una copertura fatta in materiale non resistente al peso di un uomo.

I due erano perfettamente consapevoli del fatto che il tetto fosse costituito da un materiale che non poteva reggere il peso di un uomo, dal momento che erano stati loro a decidere di realizzare la copertura con un materiale diverso da quello originariamente progettato.

A parere della Corte, incombeva su di loro l'obbligo di realizzare comunque un dispositivo di sicurezza, che poteva essere costituito dal posizionamento di una rete anticaduta nell'intercapedine fra il tetto e la controsoffittatura, ma di tale addebito (sfiorato nella deposizione De. ma non approfondito) non vi è traccia nell'imputazione o negli atti del dibattimento, di talché non si può fondare su esso il giudizio di responsabilità.

In ogni caso, poiché erano stati loro a concedere in locazione il capannone, incombeva un generico obbligo di avvisare i conduttori delle insidie legate al posto di lavoro, fra cui la non calpestabiltà del tetto, a maggior ragione se si considera che essi erano al corrente del fatto che i soci della Mz. avrebbero dovuto accedere alla copertura per sistemare i condizionatori.

Non è vero che il nesso causale fra la condotta genericamente negligente dei locatori e l'infortunio è spezzato dalla constatazione del fatto che i conduttori potevano rendersi conto che il tetto era in materiale non calpestabile.

In realtà, il tetto non era visibile dall'interno del capannone, essendo presente il controsoffitto, né si può dire che la presenza di un controsoffitto in fibrocemento presupponeva necessariamente l'esistenza di un tetto di analogo materiale; in secondo luogo, il Ma. avrebbe potuto pensare che, essendo il tetto non calpestabile, fosse stata posizionata la rete di protezione anticaduta.

In realtà, era necessario salire sulla copertura del capannone per rendersi conto della tipologia di materiale e, a quei punto, il pericolo di caduta non era scongiurabile.

 

Il fatto che i due appellanti debbano rispondere dell'evento a titolo di colpa generica ha indotto il Tribunale ad infliggere una pena assai lieve, in rapporto alla gravita oggettiva del reato, che appare congrua e meritevole di conferma.
La pena detentiva può essere sostituita nella pena pecuniaria di specie corrispondente, con conseguente esclusione della sospensione condizionale, così come richiesto dalla difesa.
Le considerazioni esposte consentono di esaminare con relativa facilità la posizione dell'architetto Po.

 

Se si ritiene legittima, in relazione alla normativa in tema di prevenzione degli infortuni, la scelta di realizzare la copertura in fibrocemento e si ritiene non vi sia prova del fatto che il povero Ma. salì su quel tetto senza alcuna misura precauzionale in quanto pensava si trattasse di un tetto calpestabile, avendo visto il progetto originario a firma del professionista, si deve escludere il nesso causale fra la condotta dell'appellante e l'evento.

L'avere indicato, nel progetto realizzato nel 1996, un certo tipo di materiale e il non avere inserito la nuova tipologia di materiale, effettivamente impiegato per la copertura, in una variante in corso d'opera non ha rilievo in questa sede.
Sa. ed Al. non potevano fare affidamento sul fatto che il capannone avesse un tetto realizzato in materiale calpestabile, in quanto erano stati loro a commissionare il diverso tipo di materiale.

Fe. e Ma. non potevano, parimenti, fare affidamento sulla praticabilità del tetto in quanto non risulta che essi avessero avuto accesso alla pratica edilizia.

Per quanto riguarda le doglianze relative alle statuizioni civili, si osserva che le parti civili sono i genitori della vittima, che non aveva neppure trent'anni quando ha perso la vita; la liquidazione di una provvisionale di 10.000,00 Euro in favore di ciascuno dei genitori, rappresenta un ristoro davvero minimo in relazione anche solo al danno morale.

I tre imputati per i quali viene oggi confermata la sentenza di condanna sono altresì tenuti al rimborso delle spese di difesa delle parti civili nel presente grado, che si liquidano in 3.000,00 Euro oltre rimborso forfetario spese generali, IVA e CNA.

 


P.Q.M.

 


Visti gli artt. 592, 605 c.p.p.,
in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Pordenone di data 17/2/09, appellata da Sa.At., Al.Re., Po.Re. e Fe.Al., assolve Po. dall'imputazione ascritta per non aver commesso il fatto, sostituisce la pena detentiva inflitta a Sa. ed Al. con quella di 4.560,00 Euro di multa e revoca il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Conferma nel resto.
Condanna Fe. al pagamento delle spese del presente grado di giudizio e Fe., Sa. e Al. al pagamento delle spese di difesa delle parti civili che si liquidano in 3.000,00 Euro oltre rimborso forfetario spese generali, IVA e CNA.
Così deciso in Trieste il 12 maggio 2010.
Depositata in Cancelleria il 21 maggio 2010.