LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 SEZIONE LAVORO
 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 Dott. SENESE Salvatore - Presidente -
 Dott. CUOCO Pietro - rel. Consigliere -
 Dott. LAMORGESE Antonio - Consigliere -
 Dott. DE RENZIS Alessandro - Consigliere -
 Dott. NOBILE Vittorio - Consigliere -
 ha pronunciato la seguente:
 sentenza 

 sul ricorso proposto da:
 D.M.S., elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI GRACCHI 209, presso lo studio dell'avvocato BUZZI ALBERTO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati PAGNOZZI GIOVANNI,
 GIOVANNI MASALA, giusta procura notarile not. Fresca Fantoni in Milano 18/9/2006; rep. 19713;
 - ricorrente -
 contro
 I. S.p.A. (già I. A. S.p.A), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA CRESCENZIO 91, presso lo studio dell'avvocato LUCISANO CLAUDIO, rappresentata e difesa dall'avvocato SPAGNUOLO VIGORITA LUCIANO, giusta delega in atti;
 - controricorrente -
 avverso la sentenza n. 303/04 della Corte d'Appello di MILANO,  depositata il 22/04/04 R.G.N. 137/2003;
 udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del  14/11/07 dal Consigliere Dott. CUOCO Pietro;
 udito l'Avvocato SPAGNUOLO VIGORITA;
 udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
 

 

Fatto

 

 

 

Con atto del 19 marzo 1999 la I. A. S.p.a. contestò al dipendente D.M.S. di avere chiesto il pagamento delle ore lavorate presso la fiera (OMISSIS) il (OMISSIS) dalle ore (OMISSIS) alle ore (OMISSIS), pur trovandosi egli in quel giorno allo stadio di (OMISSIS) intento a seguire una partita di calcio.

Con atto del 25 marzo 1999 la Società gli intimò poi il licenziamento.
 

Con sentenza del 22 aprile 2000 il Tribunale di Milano annullò il licenziamento (per la sproporzione fra fatto e sanzione); la Corte d'Appello di Milano confermò la decisione; ed in sede di legittimità fu respinto il ricorso per Cassazione (Cass. 13548 del 2004).
 

Nel corso di questo processo, con atto del 1 febbraio 2000 la Società contestò al D.M. l'ulteriore addebito della falsità della dichiarazione che egli si era fatto rilasciare da tale B. (per provare la sua presenza nella fiera (OMISSIS)); e con atto del 13 marzo 2000 dispose un secondo licenziamento.
 

Avverso questo licenziamento il D.M. propose ricorso, chiedendo l'annullamento dell'atto della Società ed il risarcimento del danno alla propria integrità psico - fisica, determinato dai licenziamenti.
 

Con sentenza non definitiva del 27 dicembre 2000 il Tribunale di Milano, ritenendo violato il principio di immediatezza, annullò anche questo licenziamento; la decisione fu confermata con sentenza del 18 gennaio 2002 dalla Corte d'Appello di Milano. Ed il ricorso per Cassazione proposto avverso questa decisione fu respinto.
 

L'ulteriore domanda del D.M., avente per oggetto il risarcimento del danno all'integrità psico - fisica del lavoratore, fu accolta dal Tribunale di Milano, che riconobbe la connessione causale fra fatto (licenziamenti) e danno.
 

Con sentenza del 22 aprile 2004 la Corte d'Appello di Milano, accogliendo l'impugnazione della Società, respinse la domanda del lavoratore.
 

Afferma il giudicante che il lamentato danno discende dall'illegittimità dei licenziamenti; ed alla base dei licenziamenti è la contestata presenza del D.M. alla fiera (OMISSIS) (fatto che egli aveva assunto e che la Società aveva negato).
 

Il D.M., poichè si era affrettato a chiedere la testimonianza del B., poi ritrattata, era ben consapevole che il primo addebito mossogli dalla Società con il primo licenziamento non era pretestuoso.
 

La ritrattazione da parte del B. ed il fatto che nessuno dei testi avesse confermato l'assunto del D.M. di essersi recato in fiera al mattino presto (il giudice ritenne attendibile là sua presenza pomeridiana), rendono ragionevole il comportamento della Società nel disporre il secondo licenziamento.
 

Da ciò il giudicante deduce che "la decisione di adottare i licenziamenti è stata assunta, ragionevolmente, nell'esercizio del potere disciplinare previsto dalla legge".
 

Il danno sussiste: non è stato tuttavia causato da un comportamento vessatorio della Società, bensì dall'oggettivo svolgersi degli eventi (anche processuali).
 

Per la cassazione di questa sentenza D.M.S. propone ricorso, articolato in tre motivi e coltivato con memoria; la I. S.p.a. resiste con controricorso, coltivato con memoria.
 

 

Diritto

 

 

 

1. Con il primo motivo, denunciando violazione dell'art. 2697 c.c., e degli artt. 115, 116 e 247 c.p.c., nonchè omessa e contraddittoria motivazione, il ricorrente sostiene che:

1.a. il giudice ritiene erroneamente che il D.M. avesse dichiarato alla Società una presenza maggiore di quella effettiva;

1.b. "non può dirsi affatto raggiunta la prova della presenza del D.M. alla partita di calcio del figlio; l'unica persona che ha dichiarato di aver visto D.M. alla partita di calcio alle ore (OMISSIS) è il teste G." (altri testi hanno deposto nel senso opposto); "Che credibilità può avere questo teste che mente prima a favore dell'uno e poi concorda con l'altro la sua ritrattazione?";

1.c. se D.M. fosse realmente partito alle ore (OMISSIS) da (OMISSIS), poteva essere alla Fiera non prima delle ore (OMISSIS): pertanto il D.M. non era allo stadio di calcio alle ore (OMISSIS) - (OMISSIS) del (OMISSIS) ( G. si è sbagliato ovvero ha confuso persona ovvero ha mentito);

1.d. " D.M. non era consapevole della non pretestuosità del primo addebito, perchè appunto egli non era allo stadio di (OMISSIS); crollando il presupposto errato (presenza allo stadio certa e nota allo stesso lavoratore), tutto il ragionamento della Corte diviene privo della logica che lo sosteneva".

2. Con il secondo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 1227 c.c. nonchè carenza di motivazione, il ricorrente sostiene che:
 

2.a. il danno è stato causato dai licenziamenti che la Società aveva intimato;

2.b. e non vi era stato da parte del D.M. alcun contributo nella relativa determinazione; ai fini dell'art. 1227 c.c., "l'efficienza causale della condotta del danneggiato deve essere tale che, se fosse stata adoperata la diligenza richiesta, il danno sarebbe stato evitato"; e nel caso in esame, il giudicante, "lungi dall'approfondire gli aspetti peculiari del concorso colposo del danneggiato nella produzione del danno, assume che il comportamento del D.M. escluderebbe il danno.....non indica il dovere di diligenza violato e conseguentemente il grado di colpa attribuito, e neppure spiega come sia possibile che la decisione di licenziarlo sia frutto della negligenza del lavoratore";

2.c. poichè non esiste alcuna prova del fatto che il D.M. sia stato allo stadio verso le ore (OMISSIS) - (OMISSIS) (come affermato dal G.) e che "per parare questa accusa" il D. M. abbia chiesto al B. di sottoscrivere una falsa rappresentazione dei fatti, "il comportamento del D.M. non può in alcun modo essere valutato come concorrente o peggio assorbente di ogni danno";

2.d. il datore di lavoro ha assunto un provvedimento illegittimo, "licenziandolo per ben due volte"; e due sentenze hanno annullato i licenziamenti; nè il giudicante indica come il comportamento di D. M. possa giustificare gli atti della Società.

3. Con il terzo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 92 c.p.c., il ricorrente sostiene che, poichè nella complessiva vicenda processuale (costituita dal licenziamento e dal risarcimento dei danni all'integrità fisica) vi era stata soccombenza reciproca, la condanna del D.M. al pagamento delle spese, motivata con la soccombenza, è illegittima.
 

4. I motivi del ricorso, che essendo interconnessi devono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.
 

5. Il licenziamento illegittimo può determinare un danno (la lesione d'un bene protetto).
 La preesistenza d'un rapporto contrattuale (rapporto di lavoro) conferisce all'illegittimo licenziamento ed al conseguente danno (mancanza del lavoro e della relativa retribuzione) la natura contrattuale.
 Danni causati da inadempimento contrattuale sono la perdita subita ed il mancato guadagno, in quanto dell'inadempimento costituiscano conseguenza immediata e diretta (art. 1223 c.c.).
 Conseguenza immediata e diretta del licenziamento illegittimo sono la mancanza del lavoro e della relativa retribuzione; il danno costituito dalla mancanza della retribuzione, essendo immanente alla stessa (illegittima) cessazione del rapporto (ed avendo il lavoratore con la propria domanda di reintegrazione offerto la propria collaborazione), è presunto juris tantum (prova contraria, il cui onere è di colui che vi abbia interesse, è l'aliunde perceptum: e plurimis, Cass. 10 agosto 2007 n. 17606); e, nella sussistenza dei presupposti della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, e per la limitata misura quivi prevista, il danno è presunto juris et de jure.
 

6. Diversamente è a dirsi per il danno costituito dalla lesione dell'integrità psico - fisica che si assume connessa ad un licenziamento illegittimo.
 

Questo danno non è astrattamente inipotizzabile; nè è da escludersi la sua risarcibilità.
 

Per quanto attiene alla causa di questo specifico danno, sono da distinguere due ipotesi:
 

6.a. danno causato dalla mancanza del lavoro e della relativa retribuzione;
 

6.b. danno causato dall'intrinseco comportamento datorile con cui il licenziamento è attuato (licenziamento ingiurioso ovvero pretestuoso ovvero persecutorio).
 

7. Da ciò, anche la differenza sulla risarcibilità del danno.
 

7.a. In ordine alla prima ipotesi, la lesione all'integrità psico - fisica è conseguenza non dell'illegittimità del licenziamento (quale assenza della relativa ragione fondante: giusta causa o giustificato motivo, violazione di norme legali o contrattuali), bensì della mancanza del lavoro e della relativa retribuzione: del licenziamento è conseguenza solo mediata ed indiretta (quale conseguenza d'una conseguenza).
 

Ciò conferirebbe al (preteso) danno una natura (oltre che contrattuale) anche extracontrattuale (e nel rapporto di causalità fra danno e licenziamento, assumerebbe rilevanza non solo il carattere diretto ed immediato della conseguenza - ex artt. 2056 e 1223 c.c. - bensì la prevedibilità, quale presupposto della colpa).
 

In tale quadro è tuttavia da osservare che il licenziamento rientra nella dialettica fra diritti ed obblighi delle parti contrattuali: è nella "fisiologia" delle relazioni che si svolgono nell'ambito dell'impresa: anche ove sia illegittimo, l'atto è nel bilancio delle eventualità, quale spazio in cui il rapporto di lavoro può a volte svilupparsi. E questo dibattito può conservare la sua natura "fisiologica" anche ove si snodi attraverso una pluralità di licenziamenti. "Fisiologica" resta la relativa conseguenza (costituita dalla mancanza della retribuzione).

Da questa natura fisiologica, la naturale prevedibilità del licenziamento e della conseguenza (insita nello stesso atto: la mancanza del lavoro e della retribuzione).
 Non "fisiologica" (in quanto estranea al normale spazio in cui la dialettica aziendale intorno al rapporto di lavoro si svolge) e pertanto non prevedibile, è ogni altra conseguenza, ed in particolare la lesione dell'integrità psico - fisica del lavoratore (determinata dalla mancanza del lavoro e della retribuzione).
 In tal modo, nei confronti dell'illegittimo licenziamento questa specifica lesione costituisce una conseguenza non immediata nè diretta nè prevedibile. Il danno non è risarcibile.
 

7.b. Diversamente è a dirsi ove l'atto datoriale abbia un proprio intrinseco carattere di illegittimità, estraneo alla (assenza della) relativa ragione fondante (giusta causa o giustificato motivo, violazione di norme); tale è il licenziamento ingiurioso o persecutorio o vessatorio (per la specificità dell'illegittimità del licenziamento ingiurioso, nei confronti dell'illegittimità del licenziamento per mancanza di giustificazione, e per lo specifico onere probatorio, Cass. 1 luglio 1997 n. 5850; Cass. 7 febbraio 1994 n. 1219; v. anche Cass. 245/2007).
 

In questa ipotesi, l'eventuale danno (lesione dell'integrità psico - fisica) diventa conseguenza (non della perdita del posto di lavoro e della retribuzione, bensì) dello stesso comportamento (ingiurioso, persecutorio, vessatorio) con cui è stato attuato, e che costituisce la causa del danno.
 

In quanto conseguenza immediata e diretta del comportamento, questo danno diventa (ex art. 1223 c.c.) risarcibile. E' da osservare che in tale ipotesi il danno, direttamente ed immediatamente connesso al comportamento, assume, per la sua stessa causa - ingiuria o persecuzione o vessazione - anche il carattere della prevedibilità.
 

A differenza dell'ipotesi di danno costituito dalla perdita della retribuzione (in cui il danneggiato ha solo l'onere di provare la causa, che è costituita da un licenziamento e dalla relativa illegittimità), nell'ipotesi di danno costituito da lesione dell'integrità psico - fisica, il danneggiato ha l'onere di provare la causa (che assume una struttura complessa, costituita dal licenziamento illegittimo - per l'indicata assenza di giusta causa o giustificato motivo o violazione di norme - e dal carattere ingiurioso o persecutorio o vessatorio del licenziamento stesso) e la conseguenza (la lesione dell'integrità psico - fisica).
 

8. E' pertanto da affermare quanto segue:
"il danno costituito dalla lesione dell'integrità psico - fisica del lavoratore e causato esclusivamente dall'illegittimità del licenziamento (per assenza della relativa giustificazione: giusta causa o giustificato motivo o violazione di norme legali o contrattuali) non è risarcibile.
 

Il predetto danno è risarcibile ove sia conseguenza immediata e diretta dell'illegittimo comportamento datorile con cui il licenziamento è stato adottato, come nel licenziamento ingiurioso o persecutorio o vessatorio. La prova della causa (di cui il danno è conseguenza immediata e diretta) è onere di colui che il danno lamenti".
 

9. Nel caso in esame, ove oggetto della controversia era il risarcimento del danno all'integrità psico - fisica del lavoratore causato dal licenziamento illegittimo, il lavoratore, da un canto deduce che il danno sia conseguenza dell'illegittimità del licenziamento, e d'altro canto esclude che un proprio comportamento abbia contribuito a determinare l'atto aziendale.
 

10. In ordine alle censure formulate con i primi due motivi (fondate su una connessione causale del danno - la lamentata lesione dell'integrità personale - con l'illegittimità del licenziamento nonchè con l'illegittimità del comportamento datorile), è da osservare che:
 

10.a. nella misura in cui contestano il negato riconoscimento del danno causato dall'illegittimità del licenziamento, le censure sono (sulla base di quanto precedentemente affermato sub "7.a.") infondate;
 

10.b. nella misura in cui attengono alla valutazione delle prove relative al comportamento del datore di lavoro (apprezzamento dell'attendibilità e della concludenza dei singoli elementi probatori; funzione del giudice di merito, che, priva di vizi logici e giuridici - come nel caso in esame - in sede di legittimità è insindacabile: Cass. Sez. Un. 27 dicembre 1997 n.. 13045; Cass. 5 ottobre 2006 n. 21412), le censure sono inammissibili.
 

 

11. Limite nella disciplina delle spese del giudizio è solo la preclusioni della (pur parziale) condanna della parte totalmente vittoriosa (art. 91 c.p.c.: e plurimis, Cass. 4 giugno 2007 n. 12963).
 

 

La discrezionale valutazione del risultato del giudizio (quale parametro nella determinazione dell'onere delle spese) riguarda tuttavia lo spazio processuale della singola controversia cui le spese attengono: non altre controversie, pur connesse per il relativo oggetto (quale la causa avente per oggetto la legittimità del licenziamento, nei confronti della causa avente per oggetto i danni per lesione dell'integrità psico - fisica del lavoratore).
 

Le argomentazioni formulate in relazione alla disciplina delle spese sono pertanto infondate.
 

12. Il ricorso deve essere respinto. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
 

 

 P.Q.M.
 

 

LA CORTE Respinge il ricorso; compensa le spese del giudizio di legittimità.
 

Così deciso in Roma, il 14 novembre 2007.
 

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2008