• Mobbing

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Pordenone, in funzione di Giudice del Lavoro, in persona del dott. Angelo Riccio Cobucci

pronuncia la seguente

SENTENZA

 

nella causa in materia di lavoro promossa con ricorso depositato il 21 dicembre 2005 DA C. C. costituita in giudizio con l'avv. P. CUDINI

RICORRENTE

CONTRO

T.G. S.p.A., con sede in Vincenza, in persona dell'Amministratore Delegato E. F. costituita in giudizio con l'avv. R. BIANCHIN

RESISTENTE

 

Oggetto: MOBBING E DEMANSIONAMENTO.

Causa discussa e decisa all'udienza del 15/04/2010 sulle seguenti

CONCLUSIONI

PER LA RICORRENTE

Nel merito:

1) condannarsi la T. G. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro - tempore, al pagamento a favore della ricorrente C. C. del danno biologico, morale ed esistenziale dovuto all'attività persecutoria (mobbing) posta in essere nell'ambiente di lavoro dal periodo di assunzione al licenziamento, oltre a dequalificazione professionale, danno di immagine e spese, per quella somma che il Tribunale riterrà di giustizia.

2) Spese, diritti e onorari di causa rifusi.

PER LA RESISTENTE:

In principalità e nel merito:

1) Per le ragioni di cui in narrativa, rigettarsi le domande proposte nei confronti del T. G. S.p.A.

2) Con vittoria di spese, diritti ed onorari oltre IVA e 2% CNAP.
 

 

Fatto Diritto

 

 

Con ricorso depositato in data 21 dicembre 2005 la signora C. C. - nel premettere di essere stata assunta dalla convenuta T. G. S.p.A. presso lo stabilimento di Vivaro il 7/3/2001 come operaia di terzo livello a tempo indeterminato con mansioni di cernita, incollaggio e controllo qualità delle tessere di mosaico venendo adibita dal maggio 2001, dopo la sua nomina a delegata sindacale, a mansioni non confacenti subendo un insieme di atti e condotte riconducibili alla fattispecie del mobbing - adiva il Tribunale di Pordenone in funzione di Giudice del Lavoro onde sentir condannare la propria datrice al risarcimento del conseguente danno biologico, morale ed esistenziale anche per la dequalificazione asseritamente subita.

 

Si costituiva la società resistente che contestava integralmente le pretese dell'ex dipendente concludendo per il loro rigetto.

 

È noto innanzitutto che, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, per mobbing si intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili, che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisio - psichico e del complesso della sua personalità.

 

Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono pertanto rilevanti:

A) la molteplicità dei comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio;

B) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente;

C) il nesso eziologico tra la condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico ed il pregiudizio all'integrità psico - fisica del lavoratore;

D) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio.

Cass. sez. lavoro 17/2/09 N. 3785.

 

Venendo al caso di specie, rileva il decidente:

1) Risulta circostanza pacifica in causa che all'interno della T. G. tra la C. da una parte ed i rappresentanti del datore di lavoro e le colleghe dall'altra si era addirittura svolto un importante incontro presso l'Unione Industriali di Pordenone CON IL COINVOLGIMENTO DEI VERTICI DEL CENTRO ANTI MOBBING.

Sul punto riferisce C. G. (rappresentante centro anti - mobbing): "oggetto dell'incontro era la NON COMPATIBILITÀ DEL LAVORO SVOLTO DALLA RICORRENTE CON LE SUE CONDIZIONI FISICHE.

La richiesta specifica fatta dal Dott. P., legale rappresentante del predetto Centro, era quella di fare in modo che la signora C. effettuasse mansioni compatibili con il suo stato fisico.

Ricordo che nell'occasione il dott. P. ha proposto alla T. e alla C. di CERCARE DI RECUPERARE I RAPPORTI E LE RELAZIONI TRA LA C. STESSA ED I COLLEGHI".

 

2) L'istruttoria svolta ha consentito di appurare che SUBITO DOPO L'ELEZIONE A RAPPRESENTANTE SINDACALE CGIL-FILCEA E RAPPRESENTANTE DEI LAVORATORI PER LA SICUREZZA (ruolo che consentiva all'odierna attrice di far rilevare carenze e inadempienze da parte della propria datrice) LA C. VENIVA RELEGATA, DA SOLA, IN UN BANCHETTO A CONTROLLARE IL CONTENUTO DI SCATOLE, A PULIRE LE TESSERE DI MOSAICO IMPOLVERATE E A SOSTITUIRE QUELLE ROTTE, SEPARATA DALLE ALTRE DIPENDENTI.

Addirittura nella sala caffè GRAN PARTE DEI COLLEGHI che la vedevano all'interno NON ENTRAVANO NEPPURE E COMUNQUE SI RIFIUTAVANO DI RIVOLGERLE LA PAROLA.

Addirittura dopo il luglio 2001 il signor B. R., figlio del proprietario della società che svolgeva funzioni di caporeparto incollaggio e factotum, le aveva negato la possibilità di essere a contatto con altre operaie alle macchine.

Situazione di isolamento perdurante anche dopo il trasferimento al reparto artistico, dove la dipendente OPERAVA DA SOLA IN UN BANCHETTO TRANCIANDO TESSERE PRELEVANDOLE DA SCATOLE DI VARIO PESO DAI 12 AI 18 KG L'UNA.

Orbene le narrate circostanze si evincono dalle maggiormente attendibili deposizioni di D. M. L., M. U., Z. L. e B. C..

Trattasi in particolare di testimoni che, contrariamente a quelli indotti dalla società resistente, AL MOMENTO DELLE LORO DICHIARAZIONI NON AVEVANO PIÙ UN RAPPORTO DI LAVORO PENDENTE CON QUEST'ULTIMA ed un tanto li ha resi completamente liberi da ogni sorta di condizionamento o timore reverenziale.

3) Alla luce della disposta CTU medico - legale il dott. G. G. ha affermato che il ravvisato DISTURBO DELL'ADATTAMENTO CON ANSIA E UMORE DEPRESSO, CRONICO dai dati anamnestici e soprattutto dalla documentazione sanitaria RICONOSCE VEROSIMILMENTE QUALE FATTORE STRESSANTE L'AMBIENTE LAVORATIVO.

 

Appare pertanto adeguatamente provata la denunciata condotta mobbizzante posta in essere dalla società e protrattasi per l'apprezzabile durata di poco più di due anni sino a quando nel settembre 2003 la C. ha fatto rientro nel reparto incollaggio.

 

In punto risarcimento danni la relativa liquidazione non può che avvenire in via equitativa e va in tal senso commisurata alla quota corrispondente ai 2/3 della retribuzione mensile - indicata in ricorso in Euro 900,00 - moltiplicata per 25 mensilità considerato anche il periodo di assenza dal lavoro della dipendente per malattia.

L'importo così ottenuto pari ad Euro 15.000,00 (25X600,00) va ovviamente maggiorato di interessi e rivalutazione dal giugno 2001 sino all'esecuzione del disposto giudiziale.

Devono invece andare disattese:

a) la domanda di risarcimento del danno biologico da mobbing, considerato che in forza del nuovo sistema vige la copertura INAIL per tutti i danni biologici occorsi nel rapporto di lavoro, rientrandovi dunque la percentuale così come accertata dal CTU;

b) la domanda di risarcimento danni da dequalificazione.

Si rileva in proposito decisivo il fatto che le MANSIONI DELLA RICORRENTE durante tutto il periodo preso in esame sono state SEMPRE DI NATURA PRETTAMENTE ESECUTIVA e, in quanto tali, DI PROFESSIONALITÀ ELEMENTARE (dunque non suscettibili di perdita una volta acquisite né di particolari incrementi qualitativi).

Per giunta la Cassazione a Sezioni Unite, come noto, ha ormai definitivamente chiarito che IL DANNO DA DEMANSIONAMENTO NON È IN RE IPSA MA NECESSITA DI UNA SPECIFICA PROVA DELLA EFFETTIVA E CONCRETA PERDITA ECONOMICA O DI CHANCE DI CARRIERA PROFESSIONALE.

Orbene nel caso di specie un pregiudizio del genere non si è minimamente verificato e non è stato neppure dimostrato dalla odierna attrice.

Accollato sulla società resistente l'intero costo della CTU, si ravvisano giusti motivi, attese le ragioni della decisione, per porre a carico della medesima soltanto la metà delle spese di lite, che in tal misura si liquidano come da dispositivo.

 

 

P.Q.M.

 


Il Tribunale di Pordenone, in funzione di Giudice del Lavoro, in persona del dott. Angelo Riccio Cobucci, definitivamente pronunciando in ordine alla domanda proposta con ricorso promosso dalla signora C. C. e depositato in data 21 dicembre 2005 così provvede:

1) Condanna la convenuta T. G. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, a corrispondere a C. C. a titolo di risarcimento danno da mobbing la capital somma di Euro 15.000,00 maggiorata di interessi legali e rivalutazione monetaria dal giugno 2001 al soddisfo.

2) Respinge le ulteriori domande di risarcimento danno biologico e da demansionamento.

3) Condanna altresì la società resistente a rifondere alla ricorrente - accollato sulla prima il costo della CTU determinato in Euro 1.410,00 IVA compresa - la metà delle spese di lite che in tal misura liquida in Euro 7.500,00 di cui Euro 270,00 per esborsi, Euro 1.771,00 per diritti ed Euro 5.459,00 per onorari oltre accessori.

Così deciso in Pordenone il 15 aprile 2010.

Depositata in cancelleria il 30 aprile 2010.