Consiglio di Stato
Decisione n. 1576  del 17 marzo 2009.
Oggetto: Mobbing

 

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

 

 

sul ricorso in appello proposto da Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro- INAIL in persona del Presidente p.t. rappresentato e difeso dal prof. Avv. Mario Sanino e dagli avv.ti Luigi La Peccerella e Luciana Romeo ed elettivamente domiciliato in Roma via IV Novembre 144, presso lo studio dell'ultima;

contro

Confederazione generale dell'industria italiana (Confindustria), Associazione bancaria italiana- ABI, Nortel Networks s.p.a. in persona dei rispettivi legali rappresentanti rappresentati e difesi dall'avv. prof. Luciano Spagnuolo Vigorita ed elettivamente domiciliati presso l'avv. Claudio Lucisano in Roma via Crescenzio 91;

Confederazione generale dell'agricoltura italiana, Banca nazionale del lavoro s.p.a., in persona dei rispettivi legali rappresentanti, sig. Carlo Siciliani, tutti non costituiti;

e nei confronti

del Ministero del lavoro e delle politiche sociali in persona del Ministro pro-tempore, non costituito;

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Sez.III ter, n.5454 del 4 luglio 2005;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio delle parti sopraindicate;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Alla pubblica udienza del 27 gennaio 2009 relatore il Consigliere Luciano Barra Caracciolo.

Uditi l'avv. Sanino, La Peccerella e l'avv. Terracciano per delega dell'avv. Spagnuolo Vigorita;

 

 

 

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

 

 

Fatto

 

 

Con la sentenza in epigrafe il Tar del Lazio, previa riunione, ha: 1) accolto in parte il ricorso n.2532\2004, proposto un gruppo di associazioni imprenditoriali e di imprenditori, tra cui le attuali appellanti, avverso la circolare INAIL n. 71 del 17 dicembre 2003, riguardante i disturbi psichici da costrittività organizzativa sul lavoro, il relativo rischio e la diagnosi di malattia professionale, nonché le modalità di trattamento delle relative pratiche; 2) respinto il ricorso n. 9497\2004 proposto dai medesimi soggetti per l'annullamento del DM 27 aprile 2004, recante l'elenco della malattie per cui è obbligatoria la denuncia ex art. 139 del DPR 30 giugno 1965, n.1124, nella parte in cui inserisce nella lista II, il gruppo 7), "malattie psichiche e psicosomatiche da disfunzioni dell'organizzazione del lavoro".

Il Tribunale riteneva che la circolare avesse seguito, rispetto alle vicende di accertamento della malattia psichica da costrittività organizzativa, la struttura logica seguita per l'accertamento delle malattie c.d. "tabellate", per le quali vige la presunzione relativa di derivazione della patologia dall'attività lavorativa, in pratica eludendo l'accertamento del nesso di causalità, ed approfondendo solo le questioni di accertamento della sussistenza dei fattori di nocività e la diagnostica della patologie, con ciò tralasciando di dimostrare l'origine lavorativa di alcune patologie ad origine multifattoriale, concentrarsi sui soli comportamenti la cui capacità di produrre malattie psichiche sia, con alta probabilità, oggettivamente univoca e quindi facilmente deducibile in presunzione.

Da ciò la violazione dell'art. 10, co.1, D. lgs. 32 febbraio 2000, n. 38, integrandosi surrettiziamente il complesso delle malattie c.d. tabellate, senza l'accertamento da parte della Commissione scientifica per l'elaborazione e la revisione periodica delle tabelle ex artt. 3 e 211 del DPR 1124\1965, senza l'espressa volizione dei Ministeri a ciò competenti, ma ad opera di un comitato interno all'ente e senza le garanzie partecipative recate dal D.lgs. 38\2000.

Inoltre la circolare aveva pure disatteso le direttive del Consiglio di indirizzo e vigilanza (CIV) in data 20\26.11.2001, laddove incaricò gli organi di gestione di integrare il comitato interno dell'ente con medici di fiducia della parti sociali e di svolgere uno studio sugli orientamenti della giurisprudenza in tema di "mobbing".

Disattesi altri profili di censura, veniva condiviso il motivo che contestava pure il contenuto dell'interpretazione evolutiva propugnata nella circolare, basata su un'erronea lettura del sistema misto della tutela degli infortuni sul lavoro e sulle malattie professionali. Era anche accolta la censura relativa all'irrigidimento della definizione di costrittività organizzativa, quale pratica morbigena indennizzabile, in assenza non solo di un'esatta definizione normativa e di univoci indirizzi della giurisprudenza, ma anche del doveroso approfondimento scientifico medico al riguardo.

La circolare tendeva a confondere il mobbing quale fonte di risarcimento con vicende illecite che già l'ordinamento reprime a favore della dignità del lavoratore, in particolare in base all'art. 2078 c.c. ed all'art. 9 S.d.L. nonché al successivo art. 15, co.1, lett. b), contro le condotte discriminatorie.

Il Tar riteneva pure contraddittoria, in assenza di mutamenti del quadro normativo e scientifico, la trattazione a livello locale anziché accentrata delle vicende di costrittività organizzativa. Veniva invece respinta l'impugnazione del DM 27 aprile 2004, conforme all'art. 10, co. 3, del D. lgs. 38\2000, per cui l'elenco ex art. 130 DPR 1124\1965 poteva contenere anche liste di malattie di probabile o possibile origine lavorativa, da tenere sotto osservazione ai fini della revisione della tabelle di cui agli artt. 3 e 211 stesso DPR. Inserendo le malattie da costrittività organizzativa tra quelle a limitata probabilità di origine lavorativa di cui alla lista II, attuando il principio di precauzione nella materia, il DM legittimava a posteriori la circolare INAIL, non consentendo l'indennizzo automatico, e aveva la funzione della raccolta del dato epidemiologico, per verificare l'eventuale modificazione o integrazione delle tabelle.

 

 

Appella l'INAIL deducendo i seguenti motivi:

I.1.2. Si lamenta il mancato esame dell'eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse avendo il Tar apoditticamente ed erroneamente affermato che la circolare tendeva alla modificazione delle malattie indennizzabili e non avesse rilevanza meramente interna. Non è precisato quale sia la lesione concreta ed attuale della sfera giuridica dei ricorrenti né quale possa essere il contenuto prescrittivo della circolare direttamente operativo nei confronti delle imprese.

L'oggetto della circolare attiene alle modalità di trattazione delle denunce di malattia professionale non tabellata, e quand'anche le disposizioni della circolare avessero rilevanza esterna al più inciderebbero sulla sfera giuridica dei lavoratori. Anche C. d. S.  9 maggio 2002, n. 2542 ha affermato la non attualità ed assenza di concretezza dell'interesse che il datore di lavoro prospetti in relazione al procedimento amministrativo volto ad accertare l'esistenza di una malattia professionale derivante da una causa di lavoro. Anche la Cassazione ha affermato il principio dell'autonomia del diritto alle prestazioni previdenziali rispetto agli interessi giuridicamente rilevanti che il datore potrebbe vantare in relazione all'intervenuto riconoscimento del suddetto diritto in favore del proprio dipendente.

Né potrebbe affermarsi che il contenuto precettivo della circolare sia ravvisabile nella elencazione delle situazioni di "costrittività organizzativa" che finirebbe per incidere sull'autonomia organizzativa delle imprese., essendo tali situazioni elencate solo quali possibili cause di malattia professionale che non si ricollega ex se a colpa o responsabilità del datore.

Va escluso valor precettivo nei confronti delle imprese, perché gli obblighi di tutela dell'integrità psicofisica dei lavoratori hanno fonte in norme di rango primario, considerando la cui portata neppure è ipotizzabile che l'elencazione della circolare introduca elementi di novità estendendo detti obblighi all'organizzazione del lavoro. Alla luce di tali norme costituzionali e primarie, non è fondata la prospettazione che l'autonomia delle imprese sarebbe limitata dal fatto che avvertirebbero una sorta di indiretta imposizione ad adottare scelte organizzative idonee a prevenire l'insorgenza delle patologie in questione.

II. Il Tar ha travisato il contenuto della circolare ove ha ritenuto che con la circolare l'INAIL abbia fornito alle sedi periferiche indicazioni tali da indurre a trattare, in via di fatto, dette malattie come se fossero tabellate, senza seguire l'articolato iter procedimentale che si conclude con l'emanazione di un decreto interministeriale di aggiornamento della suddetta tabella. L'elencazione delle situazioni di costrittività organizzativa e delle patologie che dalle stesse potrebbero essere causate, costituisce l'individuazione di quegli elementi, cui fa riferimento la Cassazione, in assenza dei quali viene esclusa, in sede di trattazione amministrativa, la stessa configurabilità della malattia professionale. La circolare non amplia, ma semmai circoscrive l'ambito della tutela, indicando requisiti minimi in assenza dei quali si esclude ogni ulteriore valutazione in ordine al possibile nesso di causalità. Contro l'assunto del Tar circa la presunzione di sussistenza del nesso di causalità, la circolare specifica che alla verifica dell'esistenza dei suddetti requisiti minimi non si fa luogo quando il medico legale, esaminato il caso specifico, escluda "in limine" la natura professionale della patologia, criterio del tutto diverso da quello usato nel caso di malattia tabellata, ove il nesso di causalità non sarebbe oggetto di valutazione medico legale. Anche le precedenti circolari cui rinvia quella impugnata hanno sempre ribadito che il nesso causale con il lavoro deve essere concretamente accertato nel singolo caso, con onere della prova a carico del lavoratore.

III.1.2. Circa la presunta inversione dell'onere della prova ravvisata nella circolare dal Tar, l'Istituto, stante il ruolo non privatistico assicurativo svolto dall'INAIL, quale ente pubblico, in base all'evoluzione normativa dell'assetto della tutela, è tenuto ad un'attività istruttoria finalizzata all'accertamento di ogni elemento di fatto e di diritto necessario a garantire la legittimità dell'atto amministrativo conclusivo del procedimento, avendo un potere-dovere di verificare l'esistenza dei presupposti dell'asserito diritto, nell'esercizio di attività amministrativa vincolata cui corrisponde un diritto costituzionalmente garantito, sicchè il procedimento amministrativo è caratterizzato da rilevanti elementi di officiosità.

Essendo l'ambito elettivo di applicazione del principio dell'onere della prova la sede giudiziale, la distribuzione dell'onere è governata dalla legge e non è nella disponibilità dell'INAIL, onde l'indicazione della circolare circa il carattere sempre necessario dell'indagine ispettiva per le patologie in questione non si traduce nell'attribuzione agli uffici di poteri diversi ed ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge art. 19 DPR 1124\1965.

IV.1.2. Il Tar erra pure laddove afferma che la malattie professionali non tabellate possono essere indennizzate solo se causalmente ricollegate all'esposizione al rischio specifico di una delle lavorazioni elencate ai fini dell'individuazione dei soggetti tutelabili. Il Tar disconosce le conseguenze del passaggio dal sistema tabellare chiuso al sistema aperto o misto di tutela operato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 179 del 1998, per effetto della quale è tutelabile qualsiasi malattia di cui sia provata la derivazione eziologica dal lavoro, inteso nella sua più ampia accezione, fermo rimanendo il riferimento al rischio specifico di una determinata lavorazione solo per la malattie tabellate, per le quali vale la presunzione semplice di origine professionale. La Cassazione, sent. 15.2.2005, n.4005, ha ribadito che, per effetto dell'introduzione del sistema misto, e quindi della tutelabilità di malattie atipiche, purchè eziologicamente riconducibili al lavoro, è venuta meno la differenza con l'istituto della causa di servizio.

V. 1.2. Tutto l'impianto argomentativo della sentenza è viziato dalla confusione tra funzione di indennizzo sociale e funzione risarcitoria e da una conseguente assimilazione tra mobbing e malattie non tabellate da costrittività organizzativa. Nessuna interferenza può ravvisarsi tra la circolare, che disciplina le modalità di trattazione delle denunce di malattie professionali psichiche da costrittività organizzativa, ai fini dell'eventuale riconoscimento del diritto all'indennizzo sociale, e le problematiche attenenti al diritto al risarcimento da mobbing.

VI. 1.2. Erra il Tar circa la presunta contraddittorietà della previsione di decentramento della trattazione delle denunce, pienamente conforme al modello organizzativo dell'ente, interferendo la pronuncia sulle scelte organizzative rimesse alla discrezionalità dell'ente, che, conclusa una fase di accentramento finalizzata alla definizione di criteri istruttori uniformi, ha ricondotto alla modalità ordinaria di trattazione anche le denunce delle patologie in questione.

VII.1.2. Dunque la circolare non ha effetto modificativo del regime legale delle malattie professionali, contiene esclusivamente istruzioni operative alle unità territoriali e, nell'ambito delle norme vigenti, ne assicura la corretta applicazione senza incidere sulla loro portata.

Erra il Tar anche laddove assume apoditticamente la violazione di talune indicazioni del Consiglio di indirizzo e vigilanza, essendo la circolare espressione di mera attività di gestione, senza interferire sull'attività di indirizzo politico-amministrativo che compete al CIV. Comunque la circolare è stata preceduta dai lavori di un comitato scientifico istituito, allo scopo, dal Consiglio di amministrazione con delibera 608\2001.

VIII.1.2. Il Tar nel rigettare il ricorso proposto avverso il DM 27 aprile 2004, ha confermato la legittimità dell'inserimento delle malattie psichiche e psicosomatiche da disfunzioni dell'organizzazione del lavoro nella lista II, al gruppo 7, quali malattie attualmente non tabellate, da osservare ai fini dell'eventuale inserimento nell'elenco della tabellate. Tali patologie, nonostante alcune differenze terminologiche, coincidono con quelle oggetto della circolare. L'affermazione che una patologia, per poter essere indennizzata come malattia professionale non tabellata, debba essere riconducibile al rischio specifico di una determinata lavorazione, che costituisce il presupposto logico dell'annullamento della circolare, oltre che infondata, è in insanabile contrasto con la statuizione circa la legittimità del DM. e pregiudica l'interesse dei lavoratori alla tempestiva trattazione della pratica relativa alla domanda di indennizzo.

Si sono costituiti parte dei ricorrenti in primo grado, quali indicati in epigrafe, deducendo l'infondatezza dell'appello e proponendo appello incidentale sulla decisione di reiezione del gravame proposto avverso il DM 27 aprile 2004, nella parte in cui inserisce il gruppo 7 "malattie psichiche e psicosomatiche da disfunzioni dell'organizzazione del lavoro", deducendo i seguenti motivi:

I. Erra il Tar nel ritenere che la finalità di studio epidemiologico del DM legittimerebbe l'inclusione in esso di malattie che, mai, quand'anche dimostrata la loro eziologia professionale, potranno essere incluse nell'elenco delle malattie indennizzabili. La disposizione dell'art. 10 D. lgs.38\2000, fondante il DM, stabilisce che l'inclusione tra le malattie "tabellate" debba conseguire a studi finalizzati ad individuare nuove malattie ad origine certamente professionale; la finalità di studio di realizza mediante attività di raccolta di dati che discende dall'obbligo di segnalazione a carico dei medici dell'ASL e dell'INAIL; le malattie in questione, inerendo all'organizzazione del lavoro, e non allo svolgimento delle lavorazioni protette, non sono a priori suscettibili di dare luogo ad indennizzo alcuno ad opera dell'INAIL; non v'è indennizzo, come pure affermato dal Tar, se non per il rischio lavorativo specifico, cioè per la derivazione dall'esercizio di una delle lavorazioni di cui all'art. 1 del DPR 30 giugno 1965, n. 1124, e ciò, anche nel sistema misto, cioè indipendentemente dalla inclusione della malattia nelle tabelle allegate allo stesso DPR. Nulla osta che in adempimento dell'art.10 del D.lgs. 38\2000, l'INAIL disponga modalità tecniche di accertamento dell'eziologia professionale di malattie diverse dal mobbing, causate dallo svolgimento delle lavorazioni protette ex art.1 T.U.. Attuale risulta le lesione degli interessi della aziende ricorrenti.

II. Erra il Tar nell'affermare che il DM attua il principio di precauzione, poiché esso determina un oneroso sistema di controllo, imponendo obblighi di segnalazione ai medici per il semplice sospetto di uno stato di disagio psichico a violazione del dovere di sicurezza del datore di lavoro, pur nella totale assenza di elementi di fatto che consentano di ritenere giustificato o ragionevole il nesso causale tra malessere e lavoro.

III. Si lamenta l'omesso esame della censura di incompetenza assoluta del Ministero del lavoro a proposito della definizione di malattie professionali, rientrando tale attività in riserva assoluta di legge, avendo il Ministero, sebbene sia ancora necessaria un'attività di studio, affermato che se occorrono certe forme morbose e si accerta ad esempio un demansionamento, i due fatti sono tra loro causalmente connessi, sicchè la prescrizione amministrativa individua situazioni di danno riconducibili a responsabilità civile del datore, facoltà che esula dalla potestà di organi diversi dal legislatore nazionale.

 

 

La causa è stata discussa alla pubblica udienza del 27 gennaio 2009 onde è stata trattenuta in decisione.

 

 

Diritto

 

1. Va anzitutto disatteso il primo motivo di appello principale dell'INAIL con cui si reitera l'eccezione di inammissibilità del ricorso avverso la circolare n. 71 del 17 dicembre 2003, sotto il profilo della carenza di interesse delle associazioni e soggetti imprenditoriali ricorrenti in primo grado.

Il Tar non ha, invero, omesso di pronunziarsi sul punto, come dedotto nella prima parte del motivo in esame, ma ha in sostanza ritenuto che la circolare recava nel suo contenuto, contrariamente alla sua natura, delle "statuizioni", nel senso di tendere alla modificazione dell'assetto delle malattie indennizzabili.

La doglianza appellatoria aggiunge peraltro che ciò comunque non rende conto di quale sia la lesione concreta ed attuale della sfera giuridica dei ricorrenti- qui (per una parte di essi) resistenti ed appellanti incidentali- attenendo l'oggetto della circolare alle modalità di trattazione delle denunce di malattia professionale non tabellata, con ciò incidendo al più sulla sfera giuridica dei lavoratori e quindi sul riconoscimento del diritto di questi ultimi alle prestazioni previdenziali.

1.1. Tuttavia, tale deduzione non appare tenere conto degli integrali riflessi dell'atto impugnato, che, comunque, modifica, (come pure concede lo stesso Istituto appellante), "l'assetto delle malattie indennizzabili", sicchè la statuizione sul punto del Tar appare in linea di principio condivisibile, sebbene vada meglio specificata e connotata.

Gli originari ricorrenti, infatti, già nel ricorso introduttivo, avevano precisato che la circolare, con i suoi contenuti prescrittivi, "introduce de facto una nuova categoria di malattia professionale non prevista nella fonte sovraordinata e ciò ha fatto ledendo le prerogative partecipative all'attività dell'INAIL della associazioni datoriali". In ogni modo, secondo gli originari ricorrenti, prevedere, come fa la circolare, la indennizzabilità degli stati patologici derivanti dalla "costrittività organizzativa", fa assurgere al rango di malattia professionale tipizzata il c.d. "mobbing", esulando dalla natura meramente ricognitiva ed esplicativa propria della circolare.

Prospettate in questi termini, deve ritenersi sussistente l'interesse ad agire dei soggetti ricorrenti in primo grado, posto che la lesione lamentata consiste appunto nell'ampliamento, allegato come illegittimo, dell'ambito delle malattie professionali indennizzabili e ciò, in luce delle complessive censure dedotte, anche al di là della loro assimilazione alle patologie "tabellate".

1.2. In proposito soccorre la pronuncia di questa Sezione 9 maggio 2002, n. 2542, (citata per la verità dall'INAIL a proprio sostegno), che ha evidenziato la ipotizzabilità di un danno patrimoniale riveniente alle imprese proprio in connessione all'aumento del tasso di premio conseguente alla ridefinizione del rischio professionale. La stessa decisione ha sottolineato che tale premio, gravante sulle imprese, si determina in base a dati statistici circa il rischio medio su di esse gravante, e quindi, da un lato, tale interesse patrimoniale potrebbe essere fatto valere da tutti i datori di lavoro esposti allo stesso rischio, dall'altro, va aggiunto, è evidente che detto rischio avrebbe una immediata consistenza maggiore ove fosse ampliato, in modo obiettivamente rilevante, il novero delle malattie professionali indennizzabili.

Su tale ordine di argomentazioni si attesta d'altra parte, anche il ricorso di primo grado laddove (pag.26) fa presente che la contribuzione, (ovvero i premi dovuti dai datori di lavoro dall'INAIL), sono calcolati sulla base del rischio medio nazionale per ogni singola lavorazione pericolosa, corretto dal c.d. rischio ponderato, cioè dalla pericolosità della lavorazione in ogni singola azienda".

1.3. L'interesse così definito, dunque, non è escluso dal principio di autonomia del diritto alle prestazioni previdenziali, che impedisce soltanto, secondo le stesse pronunce della Cassazione richiamate in appello, che il singolo datore abbia interesse ad impugnare il capo di sentenza in cui viene affermato il diritto del dipendente alla prestazione previdenziale, essendo certo condivisibile che non possa ipotizzarsi un effetto dell'eventuale giudicato, in ordine alla pretesa del lavoratore, sull'autonomo rapporto obbligatorio intercorrente tra l'INAIL ed il singolo datore di lavoro (aspetto di carattere processuale che, evidentemente, si colloca a valle rispetto ai riflessi sul rischio professionale e sul corrispondente premio della determinazione in via generale, sostanzialmente normativa, delle malattie indennizzabili).

2. Nell'ordine logico delle questioni da affrontare va poi esaminato il quarto motivo di appello, censurante l'affermazione principale del capo di sentenza di accoglimento in primo grado (e che in verità già in quella sede avrebbe avuto carattere assorbente), implicante cioè autonomamente l'annullamento della circolare impugnata; si ha riguardo alla statuizione che ha stabilito che anche le malattie professionali "non tabellate" possono essere indennizzate soltanto se causalmente ricollegate all'esposizione al "rischio specifico" di una delle lavorazioni elencate dalla legge ai fini dell'individuazione dei soggetti tutelabili o, più precisamente, dell'oggetto (ambito dell'attività lavorativa protetta) della stessa assicurazione. Ed infatti, l'individuazione delle lavorazioni in questione più che determinare i soggetti da assicurare, che sono comunque, in linea di principio, i lavoratori dipendenti, conduce a circoscrivere le situazioni di fatto "lavorative" considerate in sé rischiose e dunque definisce l'oggetto naturale del rapporto assicurativo di natura pubblicistica.

2.1. Il punto da trattare attiene quindi all'accoglimento relativo al quarto motivo di ricorso di primo grado, in cui si deduceva che la soluzione apprestata dalla circolare in ordine alla possibilità di intervento in materia di patologie psichiche determinate dalle condizioni organizzativo\ambientali, non troverebbe supporto nella sentenza della Corte costituzionale 18 febbraio 1988, n. 179, richiamata dalla circolare impugnata come fondamento di un interpretazione aderente all'evoluzione delle forme di organizzazione dei processi produttivi.

La statuizione del Tar sul punto deve essere confermata.

2.2. Sostiene l'appello che tale pronuncia del giudice delle leggi avrebbe introdotto un sistema c.d. "misto", che superando il sistema tabellare chiuso, renderebbe tutelabile qualsiasi malattia di cui sia provata la derivazione eziologica dal lavoro, fermo rimanendo il riferimento al rischio specifico di una determinata lavorazione soltanto per le malattie "tabellate", cioè incluse nell'elenco previsto dall'art. 3 del DPR 30 giugno 1965, n. 1124, per la quali vige la presunzione semplice di origine professionale.

Tale assunto è in realtà infondato, dovendo condividersi l'affermazione del Tar per cui, contrariamente ad esso, il sistema misto opera nel senso che la malattia professionale è indennizzata, indipendentemente dalla sua inclusione nelle tabelle allegate al DPR 30 giugno 1965, n. 1124, se trova la sua derivazione causale nell'esercizio di una delle lavorazioni di cui al precedente art.1 dello stesso DPR, come appunto dedotto nel menzionato quarto motivo del ricorso di primo grado.

2.3. Va cioè condivisa la censura dedotta in prime cure, per cui l'art. 1 del cit. DPR n.1124\1965 ha condizionato l'intervento dell'assicurazione obbligatoria per le malattie professionali, anche non tabellate, alla sussistenza di un "rischio specifico" (e non già comune), cui è esposto il lavoratore addetto a determinare lavorazioni, presuntivamente e preventivamente valutate pericolose dal legislatore stesso, mediante, appunto, l'espressa previsione delle "attività protette" di cui allo stesso art.1.

Al riguardo va notato che l'affermazione giurisprudenziale, richiamata dall'Istituto appellante, della progressiva assimilabilità alla "causa di servizio", cioè al sistema di tutela delle patologie professionali insorgenti nell'ambito del pubblico impiego, dell'attuale indennizzabilità delle malattie professionali non tabellate, (conseguente al predetto sistema misto), è una logica implicazione, con riguardo al profilo della non più sussistente tipicità delle conseguenze sanitarie (lesione dell'integrità psico-fisica) rilevanti nel sistema assicurativo in discorso; ma detto indirizzo giurisprudenziale non risulta aver del pari espressamente affermato il superamento del sistema legale di determinazione dell'oggetto del rapporto assicurativo derivante dalla individuazione delle lavorazioni "a rischio", operata, d'altra parte, mediante una clausola aperta, riferita cioè ad attività complementari e sussidiarie a quelle elencate dallo stesso art.1 del DPR n.1124\1965 (cfr; Cass, Sez Lav, 25 febbraio 2005, n.4005, che pur riconoscendo una certa connessione sotto il profilo del nesso causale, ribadisce espressamente la "autonomia dei due istituti" e, comunque, non affronta, neppure per implicito, il problema qui in rilievo della predeterminazione legale dell'oggetto del rapporto).

Dunque, il criterio determinativo del rischio rimane pur sempre connesso alla enucleabilità di un segmento del ciclo produttivo e non anche ad una fase dell'iniziativa imprenditoriale che costituisce il presupposto immanente e generale dell'intera attività produttiva, qual è l'organizzazione del lavoro, la quale, quindi, rimane concettualmente disomogenea rispetto all'attuale criterio legale di determinazione del rischio e, dunque, al di fuori della possibilità di integrazione analogica consentita dal criterio di cui al citato art.1, pur assunto nell'interezza delle sue previsioni.

La conclusione ora riferita obiettivamente esclude, in quanto non rientrante nell'elencazione di cui all'art. 1 DPR n. 1124\1965, la generalizzata rilevanza delle malattie psichiche "riconducibili all'organizzazione aziendale delle attività lavorative", quale categoria di rischio assunta nella sua globalità, prevista dalla impugnata circolare; ciò trova peraltro conferma nella stessa invocata sentenza n. 179 del 1988 della Corte costituzionale.

Questa ha bensì postulato, in adeguamento al precetto di cui all'art. 38 Cost., "l'aggiornamento con adeguata frequenza degli elenchi delle malattie tipiche" nonché "anche e soprattutto il riconoscimento che il sistema tabellare ora in vigore si pone in contrasto con lo stesso precetto costituzionale…, in quanto, in aggiunta alla previsione tabellare non consente (nell'ambito delle attività protette industriali e agricole di cui rispettivamente agli artt. 1, 206, 207 e 208 del DPR n. 1124 del 1965) l'indagine sull'eziologia professionale delle malattie indipendentemente dagli elenchi stabiliti e dai tempi della manifestazione morbosa richiesti dalla legge" (cfr; punto 7, par.1 sent.cit.; sottolineatura aggiunta).

2.4. L'inciso così esplicitato dalla Corte rende conto di come il sistema "misto", introdotto per via di decisione manipolatrice (caducante "nella parte in cui…") del distinto art. 3 del DPR n.1124 del 1965, non sia il risultato di un'immutazione coinvolgente l'art.1, per quanto qui interessa, di cui ha invece serbato la capacità delimitatrice dell'oggetto del sistema assicurativo, avendo cioè il decisum costituzionale riguardato solo la caducazione del principio della tipicità tabellare.

La Corte non ha perciò intaccato il presupposto normativo per cui la malattia professionale indennizzabile risulta collegata ad un obbligo di assicurazione che si giustifica in ragione dell'esecuzione, da parte dei lavoratori "addetti", degli specifici "lavori" previsti dall'elenco di cui allo stesso art.1 comma 3, (e dai successivi commi relativi ai lavori "complementari e sussidiari"), previsione che definisce il "rischio specifico" oggetto dell'assicurazione, dal quale esula la generica categoria della "costrittività organizzativa" prevista dalla circolare impugnata.

La possibilità di estendere l'ambito del rischio assicurato, e quindi la stessa ascrivibilità alle prestazioni previdenziali delle malattie professionali collegate alla generale "organizzazione aziendale delle attività lavorative", richiamata dalla circolare medesima, richiede allo stato l'intervento del legislatore, che riformuli in senso ampliativo lo stesso art.1, ma non può essere compiuto mediante una circolare interpretativa dissonante, tra l'altro, dalla stessa sentenza della Corte costituzionale che la circolare assume a proprio fondamento.

2.5. La reiezione dell'appello sul punto ora trattato, determinante la conferma dell'accoglimento del quarto motivo del ricorso di primo grado, comporta la caducazione della circolare impugnata nella sua interezza e fa ritenere assorbibili gli ulteriori motivi di appello, atteso che, anche in caso di loro positiva delibazione, la circolare medesima non potrebbe rivivere, difettando perciò un concreto interesse al loro accoglimento.

3. Alla stregua delle considerazioni che precedono va invece accolto l'appello incidentale, proposto dagli attuali resistenti, relativo al capo di sentenza con cui è stato respinto il ricorso avente ad oggetto la richiesta di annullamento del decreto del Ministero del lavoro 27 aprile 2004, relativo all'individuazione delle "malattie per le quali è obbligatoria la denuncia ai sensi e per gli effetti dell'art. 139 del DPR 30 giugno 1965, n.1124", nella parte in cui, approvando la lista II, contenente "le malattie la cui origine lavorativa è di limitata probabilità", vi ha inserito il gruppo 7 "malattie psicosomatiche da disfunzioni dell'organizzazione del lavoro".

In effetti, come dedotto nel primo motivo di appello incidentale, tali malattie, inerendo per definizione alla "organizzazione del lavoro", e non connettendosi al presupposto legale del "rischio specifico", costituito dall'essere addetti alle "lavorazioni protette", elencate nel già citato art.1 del DPR n.1124\1965, per gli stessi motivi dianzi illustrati, non risultano a priori suscettibili di dare luogo ad indennizzo.

Ne discende, come appunto dedotto nel motivo di gravame incidentale in esame, che le stesse patologie, in quanto caratterizzate da tale eziologia legata non all'esecuzione della lavorazioni protette ma al fattore "ambientale-organizzativo", non sono legittimamente inseribili, neppure in prospettiva, allo stato della legislazione vigente, tra le malattie di cui alla tabella costantemente aggiornata ai sensi dell'art. 3 del citato DPR, aggiornamento a cui è volto il potere esercitato con il DM impugnato ai sensi dell'art. 10 del D. lgs. 23 febbraio 2000, n. 38 .

In conclusione, l'appello principale va respinto, nei sensi di cui alla motivazione che precede, mentre va accolto l'appello incidentale, annullandosi "in parte qua" il decreto impugnato con il ricorso di primo grado n.9497\2004 RG.

L'incertezza normativa della materia giustifica l'integrale compensazione delle spese per entrambi i gradi di giudizio tra le parti.

 

 

P.Q.M.

 

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe, accoglie l'appello incidentale, riformando in parte, per l'effetto, la sentenza impugnata.

Compensa le spese di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 27.1.2009 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Giuseppe Barbagallo Presidente

Luciano Barra Caracciolo Consigliere est.

Domenico Cafini Consigliere

Maurizio Meschino Consigliere

Roberto Chieppa Consigliere

Presidente

Giuseppe Barbagallo

Consigliere Segretario

Luciano Barra Caracciolo Vittorio Zoffoli

Depositata in Segreteria il 17 marzo 2009