• Mobbing

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 SEZIONE LAVORO
 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 Dott. DE LUCA Michele - Presidente -
 Dott. CELENTANO Attilio - Consigliere -
 Dott. MONACI Stefano - Consigliere -
 Dott. STILE Paolo - Consigliere -
 Dott. IANNIELLO Antonio - rel. Consigliere -
 ha pronunciato la seguente:
 sentenza 

 

 sul ricorso proposto da:
 INFRASTRUTTURE E SERVIZI - I. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA FARAVELLI 22, presso lo studio dell'avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati  BONAMICO FRANCO, DIRUTIGLIANO DIEGO, giusta delega in atti;
 - ricorrente -
 contro D.C.G.;
 - intimato -
 e sul 2^ ricorso N. 19735/05 proposto da:
 D.C.G., elettivamente domiciliato in VIA CRESCENZIO 91, presso lo studio dell'avvocato LUCISANO CLAUDIO, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;
 - controricorrente e ricorrente incidentale -
 INFRASTRUTTURE E SERVIZI INSER S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA FARAVELLI 22, presso lo studio dell'avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati BONAMICO FRANCO, DIRUTIGLIANO DIEGO, giusta delega in atti;
 - controricorrente al ricorso incidentale -
 avverso la sentenza n. 91/05 della Corte d'Appello di TORINO, depositata il 23/02/05 R.G.N. 1731/03;
 udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/02/08 dal Consigliere Dott. Antonio IANNIELLO;
 udito l'Avvocato BOURSIER NIUTTA per delega DE LUCA TAMAJO;
 udito l'Avvocato LUCISANO;
 udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RIELLO Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale.
 

 

 

Fatto

 

 

Con sentenza depositata in cancelleria il 5 luglio 2003, il Tribunale di Torino aveva respinto integralmente le domande proposte da D.C.G. - assunto il primo settembre 1990 dalla I. s.p.a. come dirigente con compiti di direttore generale e dimessosi per giusta causa con lettera del 2 luglio 2001 - nei confronti della propria datrice di lavoro, dirette ad ottenere la condanna di quest'ultima a pagargli la somma di L. 59.144.000 a titolo di indennità sostitutiva di preavviso illegittimamente trattenutagli, di L. 191.872.000 a titolo di indennità sostitutiva del preavviso dovutagli ai sensi dell'art. 2119 c.c., di L. 47.968.000 a titolo di retribuzioni per la durata garantita del rapporto fino al 30 settembre 2001, di L. 157.284.870 a titolo di indennità integrativa che sarebbe stata convenuta in rapporto alla quantità di rifiuti trattati ogni anno dalla società, oltre a L. 150.000.000 a titolo di risarcimento del danno derivato dalla dequalificazione operata dalla società e L. 182.105.000 a titolo di risarcimento del danno biologico e morale subito a causa di una pratica di mobbing posta in essere dalla datrice di lavoro nei suoi confronti.


 

Su appello del D.C., la Corte d'appello di Torino, con sentenza depositata il 23 febbraio 2005, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato la I. s.p.a. a pagare al proprio ex direttore generale, la somma di Euro 129.638,00 - oltre rivalutazione e interessi - a titolo di indennità sostitutiva del preavviso e di restituzione delle somme trattenute dalla società per il medesimo titolo.
 La Corte ha invece confermato la sentenza di primo grado nella parte in cui questa aveva rigettato le ulteriori domande del D.C..

 


 Avverso tale sentenza propone tempestivo ricorso per cassazione la I. s.p.a. articolato su due motivi.
 Si oppone alle domande di cui al ricorso il D.C. con proprio rituale controricorso, contenente altresì ricorso incidentale con un unico articolato motivo.
 Resiste al ricorso incidentale la società con proprio controricorso.
 Ambedue le parti hanno depositato memorie difensive.

 

Diritto

 

 

 I due ricorsi, principale e incidentale, in quanto attinenti alla medesima sentenza, vanno riuniti.


 1 - Col primo motivo, la società ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell'art. 2119 c.c..
 In proposito la I. s.p.a. sostiene che la Corte territoriale avrebbe ravvisato la giusta causa delle dimissioni unicamente sulla base dell'episodio del ritiro, nel febbraio del 2001 - successivamente all'inizio di un periodo di assenza per malattia del D.C. - dell'auto di servizio, delle carte aziendali di credito, etc. nonchè della revoca della firma sul conto corrente.
 E deduce che erroneamente la medesima Corte ha affermato che tale fatto sarebbe avvenuto in prossimità temporale rispetto alle dimissioni, che invece erano state presentate il 2 luglio 2001, dopo che il periodo di malattia era stato interrotto nel mese di maggio, quando il D.C. aveva fruito di ferie e quindi era proseguito fino alla data delle dimissioni.
Poichè l'immediatezza delle reazione rappresenta un elemento costitutivo della nozione di giusta causa, la Corte sarebbe incorsa nel vizio denunciato di violazione della norma di cui all'art. 2119 c.c..
 

2 - Col secondo motivo, la ricorrente deduce l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia.
Sostiene che contraddittoriamente la sentenza, pur muovendo dalla corretta considerazione della necessità di una valutazione unitaria delle diverse condotte asseritamente vessatorie poste in essere dalla società ai danni del proprio direttore generale, che ne aveva affermato la formazione progressiva e la natura composita, avrebbe poi disatteso le stesse proprie premesse, incentrando la motivazione su di un unico elemento di fatto (il ritiro delle carte aziendali e della auto e la revoca della firma sul conto corrente aziendale), che per la sua natura marginale e la posteriorità temporale rispetto a ben più gravi e numerose condotte datoriali denunciate dal D. C. nel ricorso sarebbe inidoneo a dar contezza del dedotto progressivo avveramento dell'emarginazione del dipendente.
 

Del resto la Corte, pur avendo affermato che i fatti posti dall'appellante a sostegno delle domande sono pacifici e risultano dai documenti, sarebbe poi giunta a negare le più importanti tra le condotte vessatorie e illecite denunciate: quanto alla dequalificazione, alla disdetta dal contratto di locazione, al licenziamento delle due impiegate, al mobbing.

Inoltre, anche l'affermazione della importanza del ritiro dell'auto etc. sarebbe apodittica e non motivata, se non contraddittoriamente, in quanto la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto che, già alla fine di gennaio 2001, il D.C., avviando il tentativo di conciliazione avanti alla direzione provinciale del lavoro col denunciare, tra l'altro, un progressivo esautoramento, aveva praticamente dimostrato di ritenere che il rapporto fosse già in crisi; da ciò i giudici di merito avrebbero dovuto desumere che i fatti più importanti sul piano della lesione del rapporto fiduciario erano quelli precedenti rispetto alla predetta revoca, quelli che viceversa la Corte aveva ritenuto insussistenti o dei quali aveva svalutato la rilevanza.

In realtà la deduzione di una giusta causa di dimissioni sarebbe stato solo un pretesto del D.C. per allontanarsi da una società di cui non condivideva più le linee di politica industriale.

Infine, anche il fatto del ritiro delle carte di credito etc. era stato illogicamente ritenuto lesivo della fiducia nei confronti del dirigente, mentre si trattava di un comportamento giustificato, a fronte del fatto documentato di un uso personale fattone dal D. C. nel periodo di malattia e non lesivo, dato che il dirigente era in malattia e quindi impossibilitato ad usare tali strumenti ed esercitare i relativi poteri.
 

 

I due motivi possono essere trattati congiuntamente proponendo questioni in parte connesse.
 

Anzitutto va rilevato che non corrisponde al reale contenuto della sentenza, il fatto che questa attribuisca alla responsabilità della società, tra i comportamenti censurati dal dipendente, unicamente il ritiro delle carte aziendali e dell'auto di servizio nonchè la revoca della firma sul conto corrente bancario.
Ancorchè attraverso una tecnica espositiva abbastanza sintetica, la Corte d'appello ha infatti chiaramente riferito dell'avvenuto accertamento in giudizio di una serie di condotte della società, poste in essere in progressione nell'ultima fase del rapporto di lavoro, a partire dal gennaio 2000, lesive del ruolo e della dignità professionale del proprio direttore generale, indicative della sopravvenuta sfiducia nei suoi confronti, ritenendole giusta causa delle dimissioni.
 

In particolare, si sarebbe trattato della disdetta pretestuosa del contratto di locazione dei locali ove aveva sede la Direzione Generale con conseguente trasferimento della stessa a (OMISSIS), del licenziamento di due impiegate assunte dal D.C., valutato come irrispettoso delle competenze del Direttore generale, della cessione, all'insaputa di questi, dell'impianto di (OMISSIS) e soprattutto del fatto, nella valutazione della Corte territoriale il più importante, anche perchè maggiormente prossimo alle dimissioni, dell'avvenuto ritiro al dirigente nel febbraio 2001 della disponibilità di un'auto di servizio, della via-card, telepass, bancomat e carte di credito aziendali e della successiva revoca della firma sul conto corrente della società.
 

Quello che la Corte ha viceversa escluso è la dequalificazione e il mobbing, ambedue peraltro senza escludere completamente i fatti al riguardo denunciati dal D.C., come si vedrà in sede di esame del ricorso incidentale.
 

Non coglie pertanto nel segno la censura di contraddittorietà della sentenza laddove avrebbe attribuito rilevanza ad un fatto unico, svalutando fatti precedenti che pure doveva ritenere i più importanti nell'ottica del dipendente, se nel gennaio del 2001 questi aveva già attivato una procedura conciliativa lamentando emarginazione e dequalificazione.
 

La Corte territoriale, con motivazione al riguardo incensurabile in quanto adeguatamente fondata sui fatti accertati in giudizio e articolata secondo una struttura sufficientemente logica (sui limiti del controllo di legittimità sulla motivazione della sentenza, che è circoscritta alla verifica, attraverso il filtro di specifiche censure provenienti dalla parte, della correttezza giuridica e coerenza logica della stessa su punti ritenuti decisivi, cfr., per tutte, Cass. S.U. 11 giugno 1998 n. 5802 e, più recentemente, Cass., sez. lav. 6 marzo 2006 n. 4770 e Cass. sez. 1^, 26 gennaio 2007 n. 1754), ha quindi colto in questa progressione dei comportamenti accertati, culminati in quello ritenuto come il più grave, perchè segno di sfiducia estrema, di vero e proprio vulnus alla dignità del direttore generale della società, le ragioni fondanti delle dimissioni.
 

Una tale valutazione è anzitutto censurata dalla società con la deduzione che la Corte territoriale non avrebbe rilevato la tardività della reazione del D.C. rispetto al verificarsi dei comportamenti aziendali che l'avrebbero provocata, in violazione del principio di immediatezza che connota la giusta causa anche delle dimissioni, quale causa che non consente neppure provvisoriamente la prosecuzione del rapporto di lavoro (su cui cfr., tra le scarse pronunce che riguardano alle dimissioni per giusta causa, Cass. 15 maggio 1980 n. 3222).
Va in proposito osservato che non risulta dalle dichiarazioni del ricorso che una tale deduzione abbia costituito oggetto di specifica articolazione in fatto (ad es. con la deduzione oggi formulata secondo cui la malattia non avrebbe impedito l'immediata reazione in quanto interrotta da un periodo di ferie) nell'ambito delle tesi difensive sviluppate nei due gradi del giudizio di merito dalla società e pertanto la stessa dovrebbe ritenersi tardiva.
 

In ogni caso, in una situazione processuale siffatta, deve ritenersi che la Corte territoriale, accertato che il dirigente era assente per malattia dalla fine del mese di gennaio 2001 e ritenendo che l'assenza, come dichiarato dallo stesso in ricorso, fosse durata fino alla data delle dimissioni, abbia implicitamente valutato, con giudizio di fatto incensurabile in cassazione, che la piena presa di coscienza e valutazione della portata del comportamento in progress della società sul piano della permanenza del rapporto di lavoro fosse stata ragionevolmente ritardata dallo stato di malattia del D. C. (per una valutazione di tal genere, nell'ambito del principio più volte affermato per cui tale tempestività deve essere intesa in senso relativo, cfr. Cass. 15 giugno 1977 n. 2485).
Ne consegue che non solo la sentenza impugnata ha interpretato correttamente la norma di cui all'art. 2119 c.c., ma ne ha fatto corretta, adeguata applicazione al caso considerato.
Inoltre, la società deduce che i fatti accertati e valutati dalla Corte come giusta causa di dimissioni non sarebbero stati tali da indurre il dipendente alle dimissioni con effetto immediato.

La deduzione è in parte fondata sull'erroneo convincimento che la Corte abbia negato la effettiva verificazione dei fatti denunciati o la lesività degli stessi sul piano della dignità e della professionalità del D.C., salvo per ciò che riguarda il ritiro delle carte aziendali, della autovettura e la revoca della firma sul conto corrente bancario, comportamento che comunque la ricorrente ritiene, come prima enunciato, giustificato e non lesivo.
Per il resto, la censura si traduce unicamente nel tentativo di una diversa valutazione degli elementi emersi in giudizio, con riguardo a tutti i comportamenti che la sentenza ha giudicato lesivi con argomentazioni giuridicamente corrette e prive di salti logici su snodi decisivi della vicenda.

Inoltre, per sostenere la valutazione di opportunità e giustificatezza del ritiro delle carte e della macchina, la società introduce genericamente l'argomento di un abuso che il dipendente avrebbe al riguardo commesso, senza specificare di che si tratti, con la dettagliata descrizione dei fatti e pertanto in maniera inammissibile.

Infine, appare fuori luogo il rilievo che la misura adottata nel febbraio 2001 era anche poco rilevante perchè il dipendente in malattia non avrebbe comunque potuto utilizzare le carte, usare l'autovettura. Firmare assegni di c.c..
 

In proposito, va infatti rilevato che la Corte ha riconosciuto a tale comportamento una incidenza infine decisiva sul piano delle dimissioni in ragione della sua sostanziale concomitanza con l'inizio dell'assenza per malattia del D.C., del quale in quel momento era prevedibile, sulla base della prognosi nota, il prossimo rientro in servizio e quindi massimamente espressiva, oltre che di disistima nei suoi confronti, anche di assoluta sfiducia in ordine alla correttezza e correntezza futura del rapporto.
 

 

Concludendo, sulla base delle considerazioni svolte, il ricorso principale è infondato e va respinto.

 

Col ricorso incidentale, il D.C. deduce l'illogicità e contraddittorietà della sentenza impugnata con riferimento agli artt. 2103 e 2087 c.c. nonchè agli obblighi contrattuali assunti dalla società nella lettera di assunzione.
In particolare, la Corte d'appello di Torino, pur riconoscendo che la posizione del ricorrente incidentale, di direttore generale, era stata progressivamente e fortemente ridimensionata in termini decisionali a seguito della modifica degli organi societari (gennaio 2000, con la nomina a Presidente del c.d.a. del dott. R.) e avendo accertato la serie di comportamenti denuncianti, che avevano creato per il ricorrente un ambiente ostile, contraddittoriamente avrebbe assolto la società dalle domande di risarcimento del danno da dequalificazione nonchè del danno biologico e morale subito a causa di una pratica di mobbing, sulla base dell'erroneo assunto che sarebbe stato necessario per la realizzazione degli illeciti denunciati l'animus nocendi da parte del datore di lavoro.
 

Il vizio di motivazione riguarderebbe infine anche il diniego della cd. indennità integrativa, operato sulla base dell'erroneo presupposto che le parti dopo averlo concordato, avessero poi raggiunto un accordo per non ritenere più operante un siffatto impegno.
 

Il ricorso è parzialmente fondato.

E' infondato nella censura relativa al mancato riconoscimento del danno da dequalificazione professionale, in quanto il rigetto non è stato al riguardo conseguente all'accertamento di assenza di amimus nocendi della società, ma è stato motivato con la considerazione - non censurata dal ricorrente incidentale - che, cessate le mansioni in precedenza svolte nell'ultimo periodo dal dirigente, per esaurimento del relativo oggetto, la società non aveva potuto provvedere ad assegnargli nuovi equivalenti compiti, in ragione della sua assenza per malattia prolungata fino alle dimissioni.
 

Una analoga sfasatura tra motivo di appello e contenuto della sentenza è verificabile sul punto relativo alla c.d. indennità integrativa, che secondo la sentenza impugnata non sarebbe stata corrisposta in ragione del fatto che alla generica previsione di una indennità siffatta nel contratto di assunzione, con rinvio a singoli accordi successivi tra le parti per la concreta determinazione della stessa, era seguito un solo accordo che aveva coperto unicamente il periodo fino al 31 dicembre 1994.
 

Appare viceversa fondata la censura relativa al difetto di motivazione, in rapporto alla disciplina di cui all'art. 2087 c.c., quanto al rigetto della domanda di "risarcimento del danno biologico e morale subito a causa del mobbing" (pag. 3 in fine della sentenza impugnata).
 

Ritenendo il mobbing un fenomeno unitario caratterizzato dalla reiterazione e dalla sistematicità delle condotte lesive e dalla intenzionalità delle stesse in direzione del risultato perseguito di isolamento ed espulsione della vittima dal gruppo in cui è inserito, la Corte territoriale ne ha infatti escluso la ricorrenza per l'assenza di tali caratteristiche di reiterazione, sistematicità e intenzionalità delle condotte denunciate.
 

Senonchè, il nostro Ordinamento giuridico non prevede una definizione nei termini indicati di condotte rappresentative del fenomeno mobbing, come un fatto pertanto tipico, a cui connettere conseguenze giuridiche anch'esse previste in maniera tipicizzata.
Ciò che pertanto il ricorrente con l'espressione riassuntiva di mobbing riferita alle condotte del datore di lavoro poste in essere nei suoi confronti aveva sottoposto alla valutazione dei giudici di merito, ai fini del richiesto risarcimento dei danni, era la violazione da parte di tali condotte, considerate singolarmente e nel loro complesso, degli obblighi gravanti sull'imprenditore a norma dell'art. 2087 c.c., da accertare alla stregua delle regole ivi stabilite per il relativo inadempimento contrattuale, le quali prescindono dalla necessaria presenza del dolo.
Con l'erronea motivazione adottata, la Corte territoriale ha pertanto omesso di valutare correttamente i fatti accertati, tra quelli denunciati dal dirigente, nell'ambito della fattispecie ipotizzata di inadempimento agli obblighi contrattuali stabiliti dall'art. 2087 c.c..

Nei limiti indicati, il ricorso incidentale è fondato e va quindi accolto.
 

Concludendo, la sentenza impugnata va annullata in relazione al ricorso accolto e nei limiti del relativo accoglimento, con rinvio, anche per ciò che riguarda il regolamento delle spese, alla Corte d'appello di Genova, che si atterrà alle regole enunciate.

 

 P.Q.M.

 

 La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e accoglie, per quanto di ragione, quello incidentale.
 Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese alla Corte d'appello di Genova.
 Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2008.
 Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2008