3.6. Sopralluogo a Reggio Calabria (14-15 marzo 2010)
Il 14 e 15 marzo 2010, la Commissione ha inviato una sua delegazione, composta dal presidente Tofani e dalle senatrici Bianchi e Maraventano, a Reggio Calabria, per acquisire informazioni su due incidenti mortali sul lavoro verificatisi rispettivamente il 13 e il 27 febbraio nei pressi di Gioia Tauro, all'interno dei cantieri dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria.
L’organizzazione dei lavori della Salerno-Reggio Calabria, come tutte le opere pubbliche di grandi dimensioni, è alquanto articolata: la stazione appaltante è ANAS s.p.a., che ha assegnato i lavori a un contraente generale, SA-RC s.p.c.a., sotto il quale operano i vari affidatari e subappaltatori, tra i quali in particolare il Consorzio E.R.E.A., affidatario di primo livello.
Dei due infortuni sui quali ha indagato la Commissione, il primo, quello del 13 febbraio 2010, è costato la vita al signor Rocco Palumbo, operaio della ditta Edilniti s.r.l. di Gela, subappaltatrice del Consorzio E.R.E.A. Il signor Palumbo è precipitato da un'altezza di 7 metri, cadendo da un pilone in costruzione (uno di quelli in cemento armato utilizzati come sostegno per i ponti dell’autostrada). Secondo la versione fornita dai responsabili della ditta Edilniti e del Consorzio E.R.E.A., la caduta sarebbe stata accidentale, posto che il signor Palumbo non avrebbe dovuto trovarsi, per le mansioni a lui affidate, nel punto da cui è caduto, ossia ai bordi del pilone. In realtà, questo particolare è stato oggetto di specifico accertamento da parte della magistratura, che ha verificato se il programma di prevenzione e di esecuzione dei lavori in sicurezza escludesse espressamente la presenza del lavoratore in quella posizione e chi eventualmente avrebbe dovuto controllare questo aspetto.
Quando è precipitato, il signor Palumbo non aveva un'imbracatura di sicurezza né il casco protettivo: la ditta Edilniti e il Consorzio E.R.E.A. hanno sostenuto che tali attrezzature erano disponibili nel cantiere, ma l’operaio non era tenuto a indossarle perché la sua postazione di lavoro era altrove, in una zona recintata. I magistrati auditi dalla Commissione hanno però rilevato che il parapetto di sicurezza aveva caratteristiche di costruzione assolutamente insufficienti a prevenire rischi di caduta, sia perché; troppo basso rispetto al piano di lavoro, sia perché non montato in modo corretto: infatti, quando il signor Palumbo è caduto il parapetto non si è spezzato, ma si è subito divelto.
Dalle notizie acquisite dalla Commissione successivamente al sopralluogo, in data 8 settembre 2010 la Procura di Palmi ha concluso le indagini, chiedendo il rinvio a giudizio del titolare del responsabile del servizio di prevenzione e protezione della ditta Edilniti, del direttore di cantiere per conto del Consorzio E.R.E.A. e del preposto alla sicurezza dello stesso cantiere per conto del contraente generale SA-RC s.p.c.a., con l’accusa di omicidio colposo, cooperazione nel delitto colposo e violazione delle norme antinfortunistiche. Secondo i magistrati, essi avrebbero omesso di adottare le necessarie precauzioni non dotando la zona del pilone di idonee opere provvisionali o adeguati parapetti, anche sul piano di lavoro realizzato per predisporre la cassaforma destinata alla successiva gettata del cemento e sul quale il signor Palumbo stava operando, né munendo quest'ultimo di idonee imbracature e dispositivi individuali di protezione.
Il secondo incidente del 27 febbraio 2010 si è verificato sullo stesso pilone (o spalla) del precedente, causando la morte del signor Salvatore Pagliaro, operaio dell’impresa Eurofin, che fa parte insieme ad altre due del Consorzio E.R.E.A. Al momento dell’infortunio il signor Pagliaro stava lavorando alla colata di cemento che doveva riempire una delle parti interne del pilone in cemento armato: queste strutture sono infatti realizzate su più livelli, con un'armatura di ferro in una gabbia di legno (casseratura), che viene poi riempita di calcestruzzo. In particolare, l’operaio doveva guidare la pompa della betoniera che versava il calcestruzzo mediante un comando a distanza. Nello stesso cantiere si trovavano anche alcuni dipendenti della Edilniti, l’impresa che ha l’incarico di realizzare il pilone (o spalla) in cemento armato.
A un certo punto vi è stato un cedimento della gabbia di legno e del piano di lavoro sul quale si trovava il signor Pagliaro, che si è aperto sotto i suoi piedi facendolo precipitare da circa 8 metri di altezza. Essendosi aperta l’ingabbiatura, tutto il cemento fino ad allora versato si è riversato sopra l’operaio, che ne è rimasto sopraffatto. Sui motivi del cedimento la magistratura sta indagando ed è prematuro trarre qualsiasi conclusione: le ipotesi possibili sono un errore di montaggio della gabbia di legno o un cedimento degli elementi strutturali della stessa. Le ditte coinvolte (in particolare la Edilniti che aveva eseguito i lavori) hanno assicurato che il montaggio era stato fatto correttamente, trattandosi di strutture di tipo standardizzato, già realizzate numerose volte nei lavori dell’autostrada. Inoltre, su quello stesso piano di lavoro, nelle settimane precedenti, gli operai avevano lavorato senza problemi. Dagli elementi raccolti dalla Commissione, è emerso tuttavia che la carpenteria, una volta realizzata, non era stata verificata in ordine alla stabilita strutturale, forse per la fretta di riprendere i lavori dopo la sospensione e il sequestro legati al precedente infortunio. La struttura infatti era stata montata prima dell’incidente del 13 febbraio e il dissequestro era stato concesso una volta apprestate le misure di sicurezza aggiuntive richieste dalla magistratura.
Per quanto riguarda quest'ultimo infortunio, le indagini non sono al momento ancora concluse e occorrerà attendere per ricostruire tutti i passaggi e stabilire le eventuali responsabilità. Aldilà dei fatti specifici, tuttavia, sia il primo che il secondo incidente testimoniano ancora una volta l’elevato rischio infortunistico negli appalti in cui intervenga una pluralità di soggetti, in particolare quelli delle grandi opere, e la conseguente necessità di adottare specifiche forme di coordinamento e di controllo. In questo l’esperienza dei lavori di ammodernamento dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria è emblematica, per l’articolato sistema di gestione previsto.
Come illustrato dai rappresentanti dell’ANAS, in base alle norme vigenti l’opera è suddivisa in lotti ordinari e in macrolotti: nei primi, l’ANAS gestisce direttamente gli appalti, curando tutti gli aspetti, compresi quelli della sicurezza, con personale interno. Nei macrolotti, l’ANAS affida la gestione di tutte le attività al contraente generale, che agisce da committente unico per affidatari e subaffidatari ed è responsabile della sicurezza e dei relativi controlli, attraverso un'apposita struttura, nella quale spicca il coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione (CSE), un soggetto esterno. L’ANAS nomina il responsabile del procedimento (un suo dipendente, che coincide con il responsabile dei lavori) e svolge l’alta sorveglianza sul contraente generale e sul rispetto degli obblighi contrattuali.
I rappresentanti dell’ANAS hanno ribadito l’attenzione della società per gli aspetti della sicurezza nei cantieri dell’autostrada, mettendo in risalto la validità del sistema e dei controlli costantemente effettuati sia dalla stessa ANAS nell'alta sorveglianza, sia dal contraente generale nei riguardi delle imprese affidatarie e subaffidatarie (dei cui risultati l’ANAS è informata). L’ANAS ha in seguito inviato alla Commissione una dettagliata relazione sull'attività effettuata negli ultimi anni in materia di gestione della sicurezza nei cantieri attualmente aperti, incluse le contestazioni e i provvedimenti adottati verso le imprese non regola. Nel 2009, su circa 400 aziende, per una media di quasi 3.300 lavoratori e oltre 5 milioni di ore lavorate, si sono avuti meno di 200 infortuni, di cui 2 mortali, in calo rispetto al 2008, quando vi sono stati oltre 200 infortuni, di cui 1 mortale. A febbraio del 2010, a fronte di un pari numero di imprese, risultavano impiegati quasi 3.400 lavoratori.
La gestione dell’opera è dunque obiettivamente complessa: come hanno ammesso i rappresentanti del contraente generale, se gli affidatari di primo livello sono in genere imprese che garantiscono elevati livelli di qualità e sicurezza, con apprestamenti e con la formazione, il problema nasce negli affidamenti dei subappalti successivi, dove non sempre le imprese sono qualificate e si viene a perdere quel filo conduttore che dovrebbe garantire che tutti gli operai siano formati e informati sulle nuove tecniche costruttive e sui rischi che si corrono nell'ambiente lavorativo.
A Ciò si aggiunge la vastità dell’opera e l’alto numero dei cantieri, sparsi lungo 30 chilometri di autostrada, nei territori di cinque Comuni: gli enti di controllo hanno sottolineato la difficoltà, anche per la scarsità dei loro organici, di essere presenti ovunque e di fare tutte le ispezioni che sarebbero necessarie. Le conseguenze sono che, pur all'interno di un sistema ben definito e organizzato, si creano in tal modo «zone grigie» di irregolarità del lavoro, come hanno esposto alla Commissione sia i sindacati che le forze dell’ordine.
I sindacati hanno denunciato casi di turni di lavoro oltre le normali 8 ore (ad es. nella realizzazione di alcune gallerie) e di scarsa formazione di taluni lavoratori, sulla quale spesso si soprassiede per la grave crisi occupazionale di queste zone. Ancora, i sindacati hanno lamentato la scarsità dei controlli, condizionata anche da una situazione difficile dell’intera sanità pubblica calabrese. Soprattutto, però, hanno posto in evidenza il diffuso clima di illegalità che condiziona molta parte della vita economica e sociale della Calabria, a causa delle pervasive infiltrazioni della criminalità organizzata, che ha proprio nel settore edile uno dei principali campi di azione. Molte imprese e cantieri subiscono estorsioni e ricatti, non solo mediante richieste di denaro, ma anche, ad esempio, con l’imposizione dell’assunzione di determinati lavoratori, tanto che molti sindacalisti hanno ormai remore a svolgere la loro attività presso i cantieri perché non sanno neanche se possono fidarsi di chi hanno a fianco.
Anche le forze dell’ordine hanno rimarcato tale aspetto, confermando che, per quanto frequenti e numerosi siano i controlli, sulla Salerno-Reggio Calabria non si riesce a coprire tutti i cantieri e si creano smagliature dove riesce a insinuarsi la criminalità organizzata o dove comunque si violano le norme relative alla sicurezza sui luoghi di lavoro, alle assunzioni dei lavoratori e agli obblighi contributivi (per esempio, l’assunzione di lavoratori minorenni). Il problema naturalmente riguarda, in vario modo, tutti i settori dell’economia locale, dove si registrano anche fenomeni di lavoro nero, di caporalato e sfruttamento illegale della manodopera (si pensi ai tragici fatti di Rosarno del gennaio 2010). Ad esempio, nel 2009, in provincia di Reggio Calabria la Guardia di finanza ha scovato 50 datori di lavoro agricoli che impiegavano 480 lavoratori in nero e, nel corso dell’ultimo triennio, ha denunciato 300 falsi braccianti agricoli, per un danno erariale procurato di circa 500.000 euro e redditi non dichiarati di quasi 7,5 milioni di euro. Se si considera che i controlli avvengono in modo mirato e su una platea selezionata di soggetti, si capisce come la dimensione del fenomeno possa essere sicuramente preoccupante.
Pur in questo quadro difficile e a tratti anche drammatico, istituzioni e parti sociali stanno lavorando insieme per affinare sempre di più sinergie e forme di cooperazione, attraverso varie intese e protocolli operativi, che vedono anche la presenza indispensabile delle forze dell’ordine. Un esempio importante segnalato alla Commissione riguarda la stipula di due protocolli tra istituzioni e parti sociali per favorire i controlli sui problemi di sicurezza nelle forniture di cemento e negli atti preparatori per la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina, prevedendo specifici compiti e responsabilità a carico di tutti i soggetti, pubblici e privati, coinvolti nelle varie operazioni.


3.7. Sopralluogo a Civitavecchia (12 aprile 2010)
Il 12 aprile 2010 la Commissione ha effettuato una missione a Civitavecchia, in provincia di Roma, alla quale ha preso parte una delegazione formata dal presidente Tofani e dai senatori De Angelis, Maraventano e Nerozzi. La missione mirava ad acquisire informazioni sul tragico incidente avvenuto la mattina di sabato 3 aprile, causando la causato la morte di un operaio e il ferimento di altri tre.
Gli operai stavano eseguendo un lavoro di manutenzione nel quarto gruppo della centrale, sopra un ponteggio alto circa 12 metri, per disostruire una condotta a pressione che trasporta acqua e ammoniaca, sostanza usata per diminuire l’emissione di monossido di azoto nell'impianto. A un certo punto dalla tubazione è fuoriuscito un violento getto di esalazioni che ha colpito al volto uno di loro, il signor Sergio Capitani, gettandolo contro un palo, dove ha sbattuto violentemente il capo. L’uomo, ricoverato in rianimazione nell'ospedale di Civitavecchia, è morto poco dopo l’incidente. Gli altri operai sono invece rimasti solo lievemente intossicati, senza conseguenze gravi.
La squadra era formata da un dipendente dell’ENEL e da tre operai di ditte esterne, la Mario Guerrucci s.a.s., alla quale apparteneva anche il signor Capitani e che aveva l’incarico di svolgere quell'intervento, e la Tecnostrutture s.r.l., che però non aveva un ruolo diretto nella manutenzione. Le indagini della magistratura sono ancora in corso e bisognerà attenderne la conclusione per ricostruire la dinamica e le circostanze dell’incidente. La ditta Mario Guerrucci dalla quale dipendeva il signor Capitani lavora da circa quarant'anni all'interno della centrale ed ha una grande esperienza nel settore, tuttavia, in base a quanto è stato riferito alla Commissione, l’intervento era impegnativo e non di routine, anche perché la condotta da disostruire si trovava su un ponteggio a 12 metri di altezza, in mezzo a un fitto intrico di tubazioni e in un punto molto scomodo da raggiungere. Bisognerà quindi verificare sia l’idoneità della procedura seguita e delle attrezzature utilizzate, sia l’effettiva preparazione del personale chiamato rispetto a quel tipo di manutenzione.
Ad esempio, nel corso delle audizioni, i rappresentanti della ditta Guerrucci hanno dichiarato che il signor Capitani non aveva completato la sua formazione, salvo inviare successivamente alla Commissione una lettera ufficiale nella quale hanno affermato che il signor Capitani era comunque addestrato per quel tipo di intervento, esibendo i relativi attestati. Analoga conferma è arrivata dall'ENEL, i cui rappresentanti sono stati ascoltati sia durante il sopralluogo a Civitavecchia, che nel corso di una successiva audizione svoltasi in Senato il 5 maggio 2010.
L’incidente ha creato molto allarme nel contesto locale, tanto che il sindaco di Citavecchia ha disposto il fermo temporaneo della centrale, per consentire ai tecnici degli organismi di controllo di verificare in modo puntuale le condizioni della sicurezza sul lavoro all'interno dell’impianto.
Al di la dello specifico infortunio, durante il sopralluogo sono emerse criticità di carattere più generale sulla sicurezza del lavoro presso la centrale di Torrevaldaliga Nord che hanno indotto la Commissione ad ulteriori approfondimenti, acquisendo dati e notizie dai competenti organismi di controllo e svolgendo due specifiche audizioni, con i rappresentanti del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco (in data 21 aprile) e con quelli dell’ENEL (in data 5 maggio).
Occorre anzitutto rilevare che l’infortunio sul lavoro del 3 aprile non è, purtroppo, il primo che colpisce l’impianto ENEL di Civitavecchia, dove - secondo i dati forniti dall'ENEL e dalla Direzione provinciale del lavoro (DPL) di Roma - fra il 2006 e il 2009 si sono avuti ben 278 infortuni di varia gravità, tra i quali due mortali (rispettivamente nel 2007 e nel 2008). A partire dal 2007 si registra comunque una significativa diminuzione degli infortuni e il raggiungimento di un minor indice di frequenza e di gravità. Torrevaldaliga Nord è un sito industriale di grande complessità. Dal 2006 a oggi la centrale è stata riconvertita dall'alimentazione ad olio combustibile a quella con il cosiddetto «carbone pulito»: i lavori hanno comportato un investimento superiore ai 2 miliardi di euro e dato vita ad un enorme cantiere, nel quale, sempre secondo i dati forniti dall'ENEL e dalla DPL, sono stati impegnati dall'inizio dei lavori 12.600 persone di 56 nazionalità diverse, con 18,7 milioni di ore lavorate ed una presenza media giornaliera, nelle fasi di picco, di circa 3.200 lavoratori. Sono stati stipulati più di 300 contratti tra appalti e forniture e gestiti più di 700 contratti di subappalto, con oltre 1.300 aziende che, a vario titolo e in momenti diversi, hanno operato all'interno del cantiere.
I lavori di conversione sono in via di completamento: una parte significativa dell’impianto (tra cui quella dove è avvenuto l’ultimo incidente) è passata dalla fase di cantiere a quella di produzione, ma resta una realtà produttiva complessa, con un altissimo grado di interferenza e tutti i problemi connessi, dalla gestione degli appalti e subappalti, al coordinamento organizzativo e ai controlli della sicurezza.
Per quanto riguarda appalti e subappalti, i rappresentanti sindacali hanno parlato di alcuni contratti assegnati all'interno della centrale con ribassi addirittura del 60-70 per cento, specie da parte delle imprese piccole o piccolissime. Questi ribassi si sarebbero tradotti in un inevitabile risparmio sui costi della sicurezza e in un aumento dei rischi per i lavoratori, già sottoposti a ritmi di lavoro molto pesanti e talora privi di un'adeguata formazione. Anche il sindaco di Civitavecchia ha denunciato i rischi di un'applicazione indiscriminata del criterio del massimo ribasso, specie nel subappalto, laddove le imprese selezionate non siano obiettivamente in grado di sostenere i ribassi offerti.
Dal canto suo, l’ENEL ha negato la possibilità di ribassi così ampi, in quanto l’azienda è soggetta all'applicazione delle norme del Codice degli appalti pubblici (decreto legislativo n. 163 del 2006) relative ai settori speciali e utilizza un sistema di selezione delle imprese e di gestione degli appalti molto sofisticato. Il sistema valuta le imprese verificandone la qualificazione tecnico-professionale (anche sotto il profilo della sicurezza), il rispetto delle disposizioni vigenti e la congruità economica dell’offerta. L’aggiudicazione degli appalti avviene in genere mediante prezzi liberi offerti dalle imprese senza pubblicazione del preventivo ENEL: in tal modo i ribassi eccessivi sarebbero scoraggiati e lo scostamento dei prezzi di aggiudicazione rispetto al preventivo risulterebbe inferiore al 10 per cento. Anche il regime dei subappalti è molto rigido: le aziende proposte dagli appaltatori sono attentamente valutate sotto il profilo legale, tecnico ed economico, verificando che l’importo del contratto di subappalto non superi il 30 per cento del valore della categoria prevalente o del contratto principale, che i prezzi del subappalto siano non inferiori all'80 per cento di quelli dell’appalto e che non vi siano ribassi sugli oneri per la sicurezza. Infine, sono previsti controlli successivi sul rispetto dei contratti da parte delle imprese terziste.
Malgrado queste cautele, i numerosi controlli degli organi ispettivi hanno però evidenziato una serie di problemi nella gestione delle imprese esterne operanti nel cantiere. In particolare, il 18 dicembre 2008 e il 15 dicembre 2009, sono state compiute due grandi operazioni, alle quali hanno preso parte ispettori della DPL e dell’ASL, coadiuvati da Polizia, Carabinieri e Guardia di finanza, nelle quali, oltre ad una serie di violazioni accertate, sono emersi aspetti significativi che riguardavano appunto l’eccessiva esternalizzazione dei lavori e la presenza di un numero elevatissimo di imprese. Nelle due ispezioni sono state complessivamente identificate oltre 1.300 aziende che a vario titolo e in momenti diversi hanno lavorato nel cantiere, con una presenza media giornaliera di circa 3.200 operai.
Secondo le indicazioni fornite dalla DPL di Roma, appositamente interpellata dalla Commissione, è emerso che tutta l’opera è stata appaltata con affidamento di lavori ad associazioni temporanee di imprese (ATI) e a consorzi, al cui interno però, come in un sistema di scatole cinesi, vi erano altre ATI e consorzi, per arrivare, in alcuni casi, fino a 90 imprese per ogni commessa. Ciò ha comportato la compresenza di aziende di piccole dimensioni, il 90 per cento circa con meno di 10 dipendenti. I rischi da interferenza erano dunque elevati, anche per la presenza di numerose aziende specializzate di varia nazionalità, che impiegavano manodopera straniera. A Ciò però non ha fatto riscontro un adeguato servizio di coordinamento.
Si sono poi registrate varie violazioni in materia di sicurezza del lavoro e di prevenzione infortuni, mentre altri accertamenti sono ancora in corso sugli appalti e sulle posizioni lavorative di una parte del personale, anche per verificare i sospetti circa eventuali episodi, sia pure marginali, di lavoro nero o di caporalato. Si è infine riscontrata una diffusa violazione dell’orario di lavoro, posto che in vari casi i turni superavano le 1112 ore e coinvolgevano a volte anche il sabato e la domenica.
All'attività ispettiva, gli organismi di controllo hanno affiancato, con il concorso dei sindacati e della stessa ENEL, importanti iniziative di prevenzione, introducendo migliori procedure di controllo e di sicurezza. Ad esempio sono stati previsti interpreti per i lavoratori stranieri e corsi di formazione ad hoc per particolari figure. Un'attenzione speciale è stata dedicata alle macchine e alle attrezzature (come quelle da sollevamento meccanico): alcune, prese a nolo o in leasing all'estero tramite società terze, non avevano le istruzioni in italiano o prevedevano per l’utilizzo una formazione non adeguata alle effettive necessità. Essenziale è stata poi l’istituzione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza nei cantieri (RLSC) e del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza del sito produttivo (RLSP), anticipando in parte il decreto legislativo n. 81 del 2008. Si è così operata una formazione continua del personale impiegato, che ha dato risultati positivi, pur nella complessità della situazione e anche se, purtroppo, gli infortuni non sono mancati e ve ne sono stati anche di mortali.
I sindacati auditi dalla Commissione hanno confermato i rischi d'interferenza e i problemi di coordinamento derivanti dalla frammentazione degli appalti e dalla compresenza di un così alto numero di soggetti, segnalando come i pericoli maggiori si siano creati soprattutto con la transizione dalla fase di cantiere a quella di produzione ed esercizio. Questa è infatti una delle fasi di maggiore incertezza e di particolare rischio, a causa della sovrapposizione delle lavorazioni delle differenti maestranze e dell’interferenza generata dalle diverse necessità. Anche la Direzione provinciale del lavoro di Roma ha richiamato con forza l’attenzione su questo aspetto, tenendo conto che entro l’anno il cantiere dovrebbe chiudere e partire definitivamente la produzione di energia.
I sindacati hanno chiesto che anche nella parte di produzione si applichino quelle stesse procedure di controllo che hanno dato buona prova nella parte del cantiere: in particolare, una formazione sulla sicurezza diffusa per i lavoratori ed una presenza ampia dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, estendendo la figura del rappresentante per la sicurezza del sito produttivo anche alla zona di esercizio. Merita poi di essere segnalata anche la proposta avanzata dall'INAIL regionale, circa la creazione di un osservatorio in loco con il concorso dei vari enti di controllo, sul modello di analoghe esperienze svolte in siti produttivi complessi (ad esempio l’ILVA di Taranto). In proposito, successivamente all'incontro con la Commissione, l’ENEL ha avviato un confronto con i sindacati per studiare le misure più opportune per elevare il livello di sicurezza all'interno dell’impianto di Torrevaldaliga Nord.
In questo contesto, non può essere sottaciuta anche la rilevanza sociale del problema. Come hanno ricordato i rappresentanti delle istituzioni locali, in particolare della Provincia e del Comune, impianti di questo genere hanno un enorme impatto sul territorio, sotto il profilo dell’occupazione, dell’ambiente e della salute, e sono inevitabilmente al centro dell’attenzione delle comunità locali. Nel richiamare i dibattiti (anche aspri) che nel corso degli anni hanno sempre accompagnato la presenza della centrale e la stessa scelta del passaggio dall'alimentazione a olio combustibile a quella a carbone, le istituzioni locali hanno chiesto un'attenzione sempre maggiore ai temi della salute e della sicurezza, sia per i lavoratori che per le popolazioni del territorio circostante.
Il quadro descritto testimonia dunque la difficoltà di gestione di siti produttivi complessi sotto il profilo operativo e sicurtario. Gli alti rischi di interferenza richiedono un'attenzione e un presidio costanti da parte di tutti i soggetti coinvolti, affiancati da adeguati sistemi di coordinamento e comunicazione, oltre che ovviamente da una formazione/informazione costante di tutti i lavoratori, sia dal punto di vista tecnico-professionale che della sicurezza.
Si tratta di considerazioni apparentemente semplici, ma che sono talvolta trascurate o applicate in misura parziale, con conseguenze tutt'altro che banali. Per fare un esempio, uno dei problemi pratici segnalati dai rappresentanti dei lavoratori alla Commissione è che, a causa dell’alto numero di imprese e lavoratori addetti, talvolta nell'avvicendarsi delle squadre non si riusciva a effettuare un adeguato passaggio di consegne. La squadra successiva poteva quindi ignorare alcuni problemi riscontrati da quella precedente, con ovvi rischi per la sicurezza.
L’ENEL è nota per la grande esperienza nella progettazione e realizzazione di centrali elettriche, oltre che per i sistemi di controllo assai rigorosi, alcuni dei quali sono stati in precedenza richiamati. Tuttavia il caso di Torrevaldaliga Nord dimostra che il governamento di siti così complessi richiede soluzioni organizzative sofisticate, capaci di coinvolgere in un circuito virtuoso tutti gli attori del processo, dalle aziende ai lavoratori, dagli enti istituzionali di controllo alle forze dell’ordine.
Un altro aspetto è, naturalmente, quello degli appalti e subappalti. Le grandi aziende come l’ENEL hanno un sistema di selezione e gestione certamente sofisticato, ma la proliferazione delle aziende affidatarie e subaffidatarie raggiunge in alcuni casi livelli eccessivi e andrebbe meglio controllata. Oltre alla filiera del subappalto verticale, proprio l’esperienza di Torrevaldaliga Nord evidenzia che esiste talvolta anche una filiera di tipo orizzontale, attraverso i raggruppamenti di imprese come i consorzi e le associazioni temporanee. Si tratta naturalmente di formule del tutto legittime, spesso indispensabili per reperire determinate capacità tecniche e per consentire anche a imprese di piccole o piccolissime dimensioni di poter partecipare ai grandi progetti. Ma l’uso troppo ampio di queste formule può condurre a un'eccessiva frammentazione dei processi produttivi e lavorativi, con inevitabili ripercussioni sulla capacità di coordinamento e sulla sicurezza del lavoro. Inoltre, proprio nell'allungamento della catena delle imprese si possono annidare fenomeni di ribassi eccessivi e quindi di compressione delle tutele a favore dei lavoratori.
Infine, occorre accennare a un'altra questione emersa durante il sopralluogo a Civitavecchia e sulla quale la Commissione ha compiuto ulteriori approfondimenti. Nel corso dell’incontro con i rappresentanti dei Vigili del fuoco è risultato che la centrale ENEL di Civitavecchia e le consistenze annesse erano originariamente in possesso di un certificato di prevenzione incendi, che è stato rinnovato fino al 2006 per le consistenze ancora in essere, ma che è ormai decaduto per le modifiche apportate con la trasformazione. Contestualmente, è stata avviata l’istanza di esame del progetto per tutte le attività principali e le sottoattività ricomprese nel nuovo assetto della centrale. Nelle more delle procedura d'esame (conclusasi a marzo 2010), su richiesta dell’ENEL, tre sottoattività hanno ottenuto l’autorizzazione provvisoria all'esercizio (la stazione di compressione metano, la rete metano e un impianto termico asservito alla stazione di compressione).
Si tratta di procedure del tutto normali e legittime, ma che pongono una serie di problemi, emersi anche in altri sopralluoghi della Commissione. Da un lato, il fatto che impianti industriali anche molto complessi possano operare dal punto di vista antincendio solo con autorizzazioni di tipo provvisorio, ossia in assenza del certificato di prevenzione antincendi, durante le fasi di trasformazione o transizione, a volte per periodi anche lunghi. Dall'altro, l’effettiva capacità di intervento e controllo da parte dei Vigili del fuoco presso le imprese, in relazione alle autorizzazioni provvisorie all'attività e dopo il rilascio del certificato definitivo di prevenzione incidenti. Al fine di chiarire tali aspetti, la Commissione ha quindi deciso di audire, nella seduta del 21 aprile 2010, i rappresentanti del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco.
Costoro hanno anzitutto chiarito i termini dell’attività di prevenzione contro il rischio di incendi e di esplosioni affidata al Corpo dalle disposizioni vigenti, che si esercita sia nel campo della prevenzione incendi in senso stretto, sia in quello della sicurezza negli ambienti di lavoro, sia infine rispetto alle attività a rischio di incidente rilevante, regolate dalla cosiddetta direttiva Seveso (decreto legislativo n. 334 del 1999). Indipendentemente dal contesto specifico, nell'ambito di questa competenza i Vigili del fuoco possono sempre compiere ispezioni e sopralluoghi per la prevenzione di incendi ed esplosioni, anche di loro iniziativa e a campione, segnalando eventuali rischi alle autorità preposte o adottando essi stessi provvedimenti d'urgenza.
Per quanto riguarda le autorizzazioni provvisorie all'esercizio di singole attività dal punto di vista antincendio, è stato precisato che si tratta di provvedimenti rilasciati, nell'ottica della semplificazione amministrativa, per consentire alle imprese e ai soggetti interessati di poter comunque operare in attesa del completamento dei controlli per il rilascio dell’autorizzazione definitiva (certificato di prevenzione incendi), che prevede l’esame del progetto di attività e può avere tempi lunghi. Anche le autorizzazioni provvisorie prevedono però l’adozione di adeguate precauzioni contro il rischio incendi. Nel caso di siti produttivi molto complessi, specialmente nelle fasi di trasformazione o riconversione (come nel caso della centrale ENEL di Civitavecchia), si tende a frazionare il progetto sottoposto ai Vigili del fuoco e il conseguente controllo in fasi successive, per facilitare il processo di verifica.
I rappresentanti dei Vigili del fuoco hanno comunque evidenziato che, anche se le norme vigenti attribuiscono loro adeguati poteri di ispezione e controllo, l’espletamento concreto di molte attività si scontra però con risorse, specie di organico, decisamente sottodimensionate rispetto alle effettive esigenze e alle vaste competenze affidate ai Vigili del fuoco. Ad esempio, essi svolgono anche importanti compiti di protezione civile (come nel terremoto dell’Aquila) e amministrativi (come coadiuvare le Regioni nelle istruttorie per le autorizzazioni delle attività a rischio di incidente rilevante). Il risultato è che la parte delle ispezioni non obbligatorie, a campione, può a volte essere più sporadica, ma il Corpo ha comunque tutti i necessari poteri d'intervento.
Un altro tema emerso nell'audizione è stato il ruolo delle squadre antincendio autonome che a volte sono presenti in alcuni stabilimenti, qualora tale circostanza possa determinare un'esclusione dell’intervento dei Vigili del fuoco contro eventuali incendi. Al riguardo è stato spiegato che, specialmente nel caso di aziende di grandi dimensioni, la presenza sul posto di squadre antincendio è uno specifico obbligo di legge. Piccoli incidenti senza particolari conseguenze possono anche essere gestiti direttamente dalle squadre dell’azienda, ma i Vigili del fuoco hanno sempre il potere di intervenire o fare controlli. Il problema è che se nessuno li avvisa, alcune notizie possono sfuggire. Peraltro, in situazioni del genere, ove ci dovesse essere dolo da parte di chi non denuncia, si tratterebbe di un'omissione sanzionabile sotto il profilo amministrativo e penale.
La normativa in materia è dunque completa ed esaustiva e prevede anche una procedura flessibile per l’introduzione di aggiustamenti alle disposizioni di dettaglio, che si possano rendere necessari nel tempo in relazione a sopravvenute esigenze.


3.8. Sopralluogo a Villa Santa Lucia (24 maggio 2010)
Il 24 maggio 2010 una delegazione della Commissione, formata dal presidente Tofani e dai senatori De Angelis, De Luca e Maraventano, ha effettuato un sopralluogo a Villa Santa Lucia, in provincia di Frosinone, per raccogliere notizie in merito ad un progetto per la realizzazione in loco di un impianto per il trattamento di rifiuti contenenti amianto, nonché per verificare le relative misure adottate o da adottare per la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori e delle popolazioni residenti.
Nell'ambito della competenza della Commissione d'inchiesta, infatti, rientra anche il tema della prevenzione e del contrasto alle malattie professionali, tra le quali le patologie da amianto detengono un triste primato. Nel corso del precedente sopralluogo a Torino (di cui si è parlato nel paragrafo 3.5), la Commissione ha avuto modo di conoscere in dettaglio i problemi legati alle attività di bonifica, trattamento e smaltimento dell’amianto e di essere sensibilizzata sul fatto che oggi i rischi maggiori legati al contatto con questo materiale riguardano proprio i lavoratori addetti a tali operazioni. Avendo quindi avuto notizia del progetto di realizzazione di un impianto per il trattamento dei rifiuti contenenti amianto, che sarebbe stato anche del tutto innovativo in Italia per le dimensioni e le caratteristiche di lavorazione, è sembrato opportuno approfondire la questione.
Il quadro che ne è risultato è piuttosto complesso. Il progetto in discorso era stato avanzato da una società di Correggio (in provincia di Reggio Emilia), la Progetto Immobiliare s.r.l. Esso prevedeva la realizzazione di un impianto per il trattamento di rifiuti speciali contenenti amianto, mediante smaltimento, inertizzazione e riciclaggio. L’inertizzazione avviene attraverso il trattamento termico del rifiuto, portato a temperature superiori a 900 °C in un forno speciale, derivato dall'industria ceramica. L’amianto assume così una struttura cristallina (processo di vetrificazione o ceramizzazione), senza più rilascio di fibre o polveri che costituiscono il principale veicolo del rischio cancerogeno. Il materiale inertizzato, ormai innocuo, può essere riciclato come materia prima per altri processi industriali (ad es. nell'edilizia).
I rifiuti destinati al trattamento sono «materiali da costruzione contenenti amianto» individuati dal codice CER 170605*, dei quali si prevedeva di smaltire 60.000 t/anno. Si tratta, evidentemente, di un quantitativo assai rilevante, specie considerando che, a quanto è dato di sapere, l’unico impianto funzionante che utilizza un processo di inertizzazione per vetrificazione dei rifiuti contenenti amianto, quello della INERTAM di Morcenx, in Francia, è in grado di processare da 4.000 a 6.000 t/anno. Peraltro, l’impianto proposto dalla Progetto Immobiliare S.r.l. si basava su una tecnologia diversa da quella della INERTAM e che - sempre in base alle notizie raccolte dalla Commissione - è stata finora realizzata solo in via sperimentale in collaborazione con l’Università di Parma da un'altra società di Correggio, la Nial Nizzoli s.r.l., legata alla Progetto Immobiliare e attiva nel settore delle bonifiche ambientali e del trattamento dei rifiuti. La sperimentazione è avvenuta per circa un mese nel 2007 in un impianto pilota con una capacità ridotta (3 t/anno di rifiuti); la Nial Nizzoli, attraverso un'altra società, la Econial s.r.l., sempre nel 2007 ha poi presentato un progetto per un impianto definitivo ubicato nell'area SIPRO del Comune di Ostellato (in provincia di Ferrara), in grado di trattare fino a 15.000 t/anno di rifiuti contenenti amianto. La stessa Econial, alla fine, ha però deciso di abbandonare il progetto, anche per l’opposizione dei cittadini e degli enti locali (Comune e Provincia).
Il progetto per l’impianto di Villa Santa Lucia, assai più grande e complesso di quello di Ostellato, ha cominciato a delinearsi già a fine del 2007, è stato formalizzato nel 2008 e doveva ubicarsi nell'area del COSILAM (Consorzio per lo sviluppo industriale del Lazio meridionale).
Dopo un lungo iter, nel 2009 ha ottenuto un parere favorevole dai competenti organismi della Regione Lazio per la valutazione di impatto ambientale (VIA) e, al momento del sopralluogo svolto dalla Commissione d'inchiesta, si trovava all'esame della Conferenza dei servizi, che lo stava valutando ai fini del rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA). Le comunità locali - che avevano di fatto appreso la notizia solo nel gennaio 2010 - hanno duramente contestato l’iniziativa, dando vita a varie manifestazioni e comitati civici. Gli enti locali coinvolti (Comune e Provincia), che non si erano pronunciati nella fase di esame per la VIA, avevano stavolta manifestato contrarietà sul progetto, che non avrebbe offerto a loro avviso sufficienti garanzie sotto il profilo della sicurezza e della salubrità per i lavoratori addetti e per il territorio circostante, già fortemente penalizzato sotto il profilo ambientale per la presenza di numerosi impianti industriali e discariche di rifiuti (anche abusive). Dubbi e richieste di chiarimenti ed integrazioni informative erano state poi formulati anche dagli organismi tecnici (ARPA e ASL).
Durante il sopralluogo sia i rappresentanti degli enti locali che i tecnici dell’ARPA e dell’ASL hanno ribadito alla Commissione le rispettive posizioni. Le perplessità dei tecnici si appuntavano soprattutto sulla mancanza di una sperimentazione adeguata per un impianto così innovativo e sull'idoneità delle procedure di controllo previste nel progetto riguardo alle fasi di conferimento e stoccaggio dei rifiuti contenenti amianto prima e durante il trattamento, ritenute le più critiche ai fini della sicurezza e della salute dei lavoratori addetti e del territorio circostante. Le parti sociali, e in particolare i rappresentanti dei sindacati, pur non dichiarandosi pregiudizialmente contrari a progetti di questo tipo, hanno manifestato analoghe perplessità. I rappresentanti della Regione, infine, si sono riservati di valutare la decisione finale nella successiva riunione della Conferenza dei servizi che avrebbe dovuto essere convocata di lì a poco.
I rappresentanti della società Progetto Immobiliare, dal canto loro, hanno ribadito la validità del progetto sotto il profilo sia tecnico che economico-imprenditoriale. Tuttavia, in ragione del mutamento delle condizioni complessive, hanno adombrato la possibilità di un eventuale ritiro o riconversione del progetto stesso, pur senza assumere una posizione definitiva.
Anche prescindendo dalle valutazioni di merito sul definitivo accoglimento o reiezione del progetto, che spettavano alla Conferenza dei servizi della Regione Lazio, l’iniziativa in questione, per le dimensioni, per il carattere innovativo e per l’impatto complessivo che avrebbe potuto avere, anche sotto il profilo dei rischi per la salute e per la sicurezza, acquistava oggettivamente un rilievo di livello nazionale. Per tali ragioni, la Commissione ha ritenuto di approfondire ulteriormente il tema, acquisendo anche le valutazioni del competente del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sia riguardo al progetto in discorso sia, più in generale, riguardo alle politiche attuali e future concernenti lo smaltimento ed il riciclaggio dei materiali contenenti amianto nel nostro Paese. Tale confronto ha avuto luogo nella seduta del 1° luglio 2010, con l’audizione del sottosegretario di Stato Roberto Menia.
Il rappresentante del Governo ha anzitutto confermato che il tema sollevato dalla Commissione è di grande attualità e di interesse non solo regionale, ma nazionale, per i suoi contenuti di pianificazione e di gestione dei rifiuti di amianto, che attualmente sono destinati principalmente all'estero. Per quanto riguarda specificamente la Regione Lazio, purtroppo oggi in essa non si può smaltire amianto in quanto mancano discariche autorizzate, ad eccezione di un sito di stoccaggio provvisorio a Viterbo.
Ciò spiega l’interesse per soluzioni alternative come la realizzazione di impianti del tipo di quello proposto a Villa Santa Lucia, tenendo nel giusto conto sia i vantaggi che le criticità. I vantaggi sono rappresentati dalla riduzione dei volumi dei rifiuti di amianto compatto e dalla trasformazione in prodotti ceramizzati che ne consentirebbe l’uso come materia seconda per la produzione di ceramiche o di cemento, riducendo nel contempo lo scavo di nuovo materiale dalle cave di serra e carbonati. Le criticità sono, invece, rappresentate dal problema delle procedure e delle metodiche per il controllo della qualità dell’impianto. Appare quindi evidente la necessità di contemperare le legittime esigenze di favorire un'attività di smaltimento/riconversione dell’amianto, in una Regione povera di altri siti, con l’altrettanto legittima preoccupazione di garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori addetti e della popolazione locale nei confronti di un eventuale impatto negativo di tale attività.
Il quadro normativo di riferimento per la bonifica dei rifiuti contenenti amianto è peraltro ormai ben definito11 e prevede precise procedure, anche per quanto riguarda i requisiti delle imprese che intendono effettuare tali attività , che devono iscriversi ad un'apposita sezione dell’Albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti. Secondo le ultime statistiche in materia fornite dall'ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, l’ex APAT), nel 2008 sono state gestite circa 166 mila tonnellate di rifiuti, di cui circa 94 mila avviate a discariche (purtroppo l’unica forma di smaltimento definitivo oggi presente in Italia e in genere non abilitate a rifiuti pericolosi) e circa 73 mila destinate all'estero (Austria e Germania).
In base alle disposizioni vigenti, i processi di trattamento dei rifiuti contenenti amianto possono essere distinti in due gruppi principali: quelli che riducono il rilascio di fibre senza modificare la struttura cristallochimica dell’amianto, o modificandola in modo parziale, e quelli che ne modificano completamente la struttura e che, pertanto, annullano la pericolosità connessa ai minerali di amianto. I rifiuti/materiali risultanti dal processo, a seconda della tipologia di trattamento effettuata e delle loro caratteristiche, potranno essere avviati, nel rispetto delle normative vigenti, allo smaltimento in discarica oppure al riutilizzo come materie prime. Quest'ultima opzione può ovviamente essere prevista solo nel caso in cui sia completamente annullata la pericolosità connessa alla presenza dell’amianto. Deve, pertanto, essere assicurata la completa modificazione della struttura cristallochimica dell’amianto e la rispondenza del materiale ai requisiti stabiliti dalla normativa vigente in materia.
Il sottosegretario Menia si è poi soffermato sulle caratteristiche tecniche del progetto di Villa Santa Lucia, rilevando come i competenti organi di valutazione, la Conferenza dei servizi della Regione Lazio, l’ISPRA e l’ARPA Lazio avessero riscontrato numerose criticità, formulando una serie di rilievi e di prescrizioni per la ditta proponente. Infine, ha confermato che, il 17 giugno 2010, nel corso di una riunione presso la Regione Lazio, alla presenza del sindaco del Comune di Villa Santa Lucia e di componenti dei comitati civici locali, i rappresentanti della società Progetto Immobiliare avevano preannunciato l’intendimento di rinunciare al progetto.
Al di là del caso specifico, resta comunque aperto il tema della ricerca di metodi di smaltimento dei rifiuti contenenti amianto più efficaci e meno invasivi, diversi dal semplice conferimento in discarica, che si rivela ormai sempre più difficile per i numerosi problemi di impatto ambientale che inevitabilmente comporta.


3.9. Sopralluogo a Capua (22 settembre 2010). I problemi della sicurezza del lavoro negli ambienti confinati
Il 22 settembre 2010 una delegazione della Commissione, composta dal presidente Tofani e dai senatori Bugnano, Carloni, De Luca e Maraventano, ha svolto un sopralluogo a Capua, in provincia di Caserta. Scopo della missione era quello di indagare sul gravissimo incidente verificatosi l’11 settembre presso lo stabilimento della DSM s.p.a., nel quale hanno trovato la morte tre operai.
La DSM s.p.a. di Capua ha attualmente circa 300 dipendenti, fa parte di un gruppo chimico-farmaceutico multinazionale con sede in Olanda e produce, tra l’altro, semilavorati per le industrie alimentari e i mangimi animali. Alcuni di questi prodotti sono ottenuti per fermentazione all'interno di speciali cisterne (chiamate appunto fermentatori), alte circa dodici metri, in ambiente pressurizzato e a tenuta stagna. Nei mesi precedenti si era constatato che il prodotto ottenuto in uno di questi fermentatori non rispondeva agli standard qualitativi richiesti: poiché il problema poteva dipendere da un difetto di tenuta del serbatoio che causava il danneggiamento del prodotto, a luglio di quest'anno si era deciso di intervenire, per verificare la presenza di eventuali microperdite. Si è così iniziato un complesso lavoro di controllo e di manutenzione, nel quale sono intervenute una serie di ditte esterne, alcune delle quali lavorano da tempo nello stabilimento. Tra queste vi erano la Errichiello Antonio e Luigi Costruzioni s.r.l., addetta alla manutenzione edile e che ha provveduto a montare all'interno del serbatoio un ponteggio su più livelli per consentire i lavori di manutenzione, e la DBF s.r.l., incaricata della manutenzione meccanica e che si è occupata di isolare il sistema di condutture e valvole del serbatoio per consentire le verifiche.
Ad un certo punto, poiché i normali controlli non hanno dato l’esito sperato, la DSM ha deciso di ricorrere ad una procedura speciale con una miscela di elio e azoto, al fine di rilevare le microperdite. La miscela in questione è stata fornita dalla Rivoira s.p.a., un'azienda specializzata nel trattamento di gas industriali, e immessa a pressione nella cisterna da personale della stessa Rivoira e di un'altra ditta fiduciaria, la SICI s.r.l. Tale operazione ha avuto luogo nella mattinata del 10 settembre; successivamente, il personale della DSM si è occupato di depressurizzare ed aerare il serbatoio, aprendo alcune valvole e il portello posto sulla cima. Il giorno successivo, ritenendo evidentemente che tali manovre fossero state sufficienti, si è data disposizione alla ditta Errichiello di far entrare una squadra di operai nel serbatoio per smontare il ponteggio precedentemente allestito.
Gli operai chiamati a svolgere questo lavoro erano Giuseppe Cecere, Antonio Di Matteo e Vincenzo Russo. Purtroppo, in realtà nel fermentatore erano ancora presenti i gas, in particolare l’azoto: i tre operai, entrati attraverso il portello superiore del fermentatore, sono quindi morti quasi subito, verosimilmente per anossia. Mentre i signori Di Matteo e Russo sono rimasti sul piano superiore del ponteggio, il signor Cecere è precipitato sul fondo della cisterna.
Questo drammatico incidente, per le circostanze in cui è verificato e per il numero dei soggetti coinvolti, presenta ancora molti aspetti da chiarire, sui quali la magistratura sta tuttora indagando, pertanto è assolutamente prematuro formulare qualunque tipo di ipotesi. Al momento del sopralluogo, del resto, erano trascorsi appena undici giorni dall'evento e la stessa dinamica dei fatti, pur chiara nelle sue linee generali, doveva essere ancora pienamente ricostruita negli aspetti di dettaglio, allo scopo di valutare l’idoneità delle procedure seguite dai vari soggetti coinvolti nell'incidente ed individuare le esatte responsabilità.
Al di là dei risultati a cui perverranno le indagini, tuttavia, appare evidente come in questo incidente vi siano state gravissime negligenze ed omissioni, tanto nella valutazione dei rischi quanto nel coordinamento tra le varie ditte coinvolte. La vicenda è ancora più dolorosa perché ripete lo schema di tanti, troppi incidenti simili verificatisi negli anni recenti e di cui ha avuto modo di occuparsi la stessa Commissione d'inchiesta in questa e nelle precedenti legislature.
Secondo fonti di stampa, infatti,12 negli ultimi quattro anni si sono avuti almeno 25 morti in incidenti che hanno coinvolto operai impegnati in operazioni di manutenzione o pulizia di cisterne o vasche (cosiddetti «ambienti confinati»), venuti a contatto con sostanze esplosive, tossiche o comunque nocive che, in assenza di protezioni adeguate, ne hanno causato la morte. Le cause sono altrettanto ripetitive: omissione dei controlli preventivi sull'agibilità all'interno dei contenitori, mancata informazione sulla possibile presenza di sostanze pericolose e inosservanza delle regole di sicurezza, a cominciare dall'utilizzo dei dispositivi di protezione individuale. Come nel caso della DSM, inoltre, spesso negli infortuni sono coinvolti dipendenti di ditte esterne, estranei al processo produttivo principale e quindi ignari o non sufficientemente informati dei possibili rischi. Secondo quanto riferito alla Commissione dai rappresentanti della ditta Errichiello, ad esempio, i tre operai erano stati regolarmente autorizzati ad entrare nel serbatoio, ma nessuno aveva informato la ditta circa la presenza dei gas.
D'altra parte, le norme generali di sicurezza per operare all'interno degli ambienti di lavoro confinati esistono da molto tempo e sono assai chiare, in particolare quelle contenute nel paragrafo 3 dell’allegato IV al Testo unico, che fissa i requisiti per i lavori in «vasche, canalizzazioni, tubazioni, serbatoi, recipienti, silos». Il concetto fondamentale è sempre quello della prevenzione: si prevedono specifiche cautele per controllare anticipatamente l’eventuale presenza di sostanze nocive o condizioni ambientali dannose, per garantire l’uso di protezioni adeguate e per agevolare le operazioni di intervento e soccorso in caso di emergenza. Purtroppo, tali misure sono spesso disattese o male applicate, soprattutto nei siti produttivi dove intervengono più soggetti e sia necessario, oltre alla preparazione dei singoli operatori, anche il coordinamento e l’informazione reciproci. Si tratta dei già citati rischi di interferenza, che sono tra i più pericolosi e determinano ogni anno un numero altissimo di infortuni sul lavoro, anche mortali.
Come accennato nel paragrafo 2.7, il Ministro del lavoro, nel corso della recente audizione del 13 ottobre, ha preannunciato una serie di misure ad hoc volte ad accrescere la sicurezza e i controlli dei lavori che avvengono in ambienti confinati. Tali proposte, già condivise dai rappresentanti delle Regioni e delle parti sociali, prevedono anzitutto l’inserimento delle lavorazioni che si svolgono in ambienti confinati tra le attività per le quali dovrà operare il futuro sistema di qualificazione delle imprese, al fine di garantire ex lege che le imprese chiamate a svolgere tali operazioni siano soltanto quelle che applicano adeguate misure in termini di sicurezza. Sono poi previste altre misure incentrate sulla formazione specifica delle imprese committenti ed appaltatrici, sul divieto di subappalto delle attività di lavoro in ambienti confinati e sulla presenza obbligatoria di un rappresentante dell’impresa committente ai lavori effettuati dall'impresa appaltatrice, in funzione di controllo e indirizzo e a fini di prevenzione.
Nel corso del sopralluogo a Capua, la Commissione d'inchiesta, come in altre occasioni, ha avuto un interessante e proficuo confronto con i rappresentanti della magistratura incaricati delle indagini. La locale procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere ha sviluppato negli anni una notevole competenza sul tema del contrasto agli infortuni sul lavoro, confrontandosi con un contesto economico e sociale assai difficile, condizionato anche dalla presenza della criminalità organizzata e, più in generale, da un diffuso clima di illegalità.
Uno dei fenomeni più ricorrenti, come riferito dalla Direzione provinciale del lavoro, è quello del lavoro sommerso, specialmente nel settore dell’edilizia, nel quale dal 1° gennaio al 31 agosto di quest'anno i controlli hanno individuato circa il 41 per cento di lavoratori in nero. Si deve poi ricordare che, pochi giorni prima del sopralluogo della Commissione, la procura di Santa Maria Capua Vetere ha disposto l’arresto di quattro ispettori del Servizio prevenzione infortuni e sicurezza negli ambienti di lavoro (SPISAL) della locale ASL e di cinque consulenti del lavoro, accusati di molteplici reati di concussione, falso e truffa ai danni dello Stato nonché di vari imprenditori operanti in provincia di Caserta, per aver falsificato risultati e documenti dei controlli sulla sicurezza del lavoro in cambio di denaro ovvero per aver estorto con minacce alle imprese il pagamento di somme.
Anche in questo caso occorrerà naturalmente attendere la conclusione del lavoro dei magistrati, ma l’episodio è indicativo di una condizione purtroppo frequente di illegalità, che in molti luoghi di lavoro si traduce anche nella violazione delle norme sulla sicurezza. La procura di Santa Maria Capua Vetere, proprio per concorrere a contrastare e prevenire questi fenomeni, ha da tempo avviato una serie di importanti iniziative: la stesura di un manuale operativo per tutti gli organismi coinvolti nei controlli sugli infortuni sul lavoro; un protocollo d'intesa con il servizio 118 della ASL, che consente di avere notizia in tempo reale di un evento ricollegabile ad un infortunio sul lavoro; l’avvio di un progetto per una banca dati aggiornata e permanente degli infortuni, per attingere notizie e programmare investigazioni e controlli, alla quale è auspicabile concorrano con dati e informazioni tutti gli enti istituzionali competenti nel settore (ASL, DPL, INAIL, ecc.).
Altri spunti di riflessione sono venuti dall'incontro con i rappresentanti sindacali. Essi hanno richiamato l’attenzione sui problemi della sicurezza nei lavori affidati in appalto e subappalto, mettendo in evidenza il fatto che spesso, anche se l’impresa committente è attenta agli aspetti della sicurezza e fornisce un'adeguata formazione ai suoi dipendenti, un'uguale preparazione non si riscontra sempre nelle imprese terziste, in relazione ai compiti concretamente affidati. Da questo punto di vista, i sindacati hanno denunciato l’impossibilità per i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS) dell’impresa committente di verificare la qualificazione e il rispetto delle norme sulla sicurezza da parte delle ditte appaltatrici, chiedendo un cambiamento anche normativo che consenta loro di poter esercitare i controlli di sicurezza lungo l’intera filiera di processo e non soltanto nelle fasi di stretta competenza dell’impresa madre. Nel confronto, è emerso anche il tema correlato della responsabilità preventiva dell’impresa committente nella selezione delle imprese terziste, che dovrebbero essere chiamate a svolgere soltanto i compiti per i quali sono effettivamente preparate e attrezzate.
Ancora, richiamando anche il difficile contesto ambientale e il diffuso clima di illegalità, i sindacati hanno chiesto un rafforzamento dei controlli da parte degli organi di vigilanza, sottolineando la difficoltà per gli RLS di esporsi in prima persona nel denunciare le violazioni riscontrate in materia di sicurezza, a causa della frequente minaccia di ritorsioni da parte delle aziende, a cominciare dal licenziamento (molte di queste imprese hanno meno di 15 dipendenti e possono licenziare anche senza giusta causa). Per ovviare a tale difficoltà, i rappresentanti dei lavoratori hanno avanzato la proposta che le denunce di questo tipo possano essere presentate anche attraverso le stesse organizzazioni sindacali, in modo da non esporre direttamente le singole persone.


3.10. Sopralluogo a Paderno Dugnano (14-15 novembre 2010)
L’ultima missione in ordine di tempo della Commissione ha avuto luogo a Paderno Dugnano, in provincia di Milano, il 14 e 15 novembre 2010, mediante l’invio di una delegazione formata dal presidente Tofani e dai senatori Colli, Maraventano, Nerozzi e Roilo. Il sopralluogo era volto ad acquisire elementi conoscitivi sul gravissimo incidente verificatosi il 4 novembre presso lo stabilimento della EURECO S.r.l. di Paderno Dugano, a seguito del quale un operaio ha perso la vita ed altri sei sono rimasti gravemente feriti.
Il 4 novembre, poco prima delle ore 15, Sergio Scapolan e Salvatore Catalano, due operai della ditta EURECO S.r.l., un'impresa specializzata nella raccolta e nello smaltimento di rifiuti speciali, si trovavano nel piazzale dello stabilimento per seguire i lavori di divisione e stoccaggio dei rifiuti, per i quali era stata incaricata la TNL S.r.l. Quest'ultima è un'azienda che si occupa di facchinaggio e movimentazione merci ed è formata da personale di origine albanese: al momento dell’incidente sul piazzale erano presenti cinque dipendenti della TNL, i signori Leonard Shehu, Harun Zekiri, Kasen Xhani, Erjon Zeva e Ferik Meshi. Mentre si stavano svolgendo queste attività, improvvisamente si è avuta una violentissima esplosione, seguita da altri scoppi e poi da fiammate che hanno investito in pieno gli operai.
Quattro di loro, Scapolan, Catalano, Shehu e Zekiri, sono rimasti gravemente ustionati su quasi tutto il corpo: in particolare, il signor Scapolan è morto a distanza di alcuni giorni, il 13 novembre, mentre permangono ancora critiche le condizioni degli altri tre. Fortunatamente invece, il resto degli operai hanno riportato conseguenze più lievi e sono ormai in via di guarigione.
Anche per il breve tempo trascorso tra il momento dell’incidente e quello del sopralluogo della Commissione, non si hanno ancora certezze in merito all'accaduto. La magistratura sta tuttora indagando e occorrerà quindi attendere l’esito delle verifiche, che dovranno in primo luogo identificare esattamente i materiali e i prodotti presenti sul piazzale al momento dell’esplosione, in particolare in alcuni container da cui potrebbe essere partita l’esplosione ovvero l’incendio che ha innescato la reazione. In secondo luogo, si dovrà poi capire il tipo di operazioni e trattamenti che era in corso in quel momento e se erano state adottate tutte le necessarie misure di sicurezza. Sul piazzale erano certamente presenti vari tipi di materiali e prodotti, anche di tipo infiammabile, per cui i fattori di innesco potrebbero essere stati diversi; d'altra parte, al momento non è ancora chiaro se si sia determinato prima un incendio ovvero un'esplosione.
A seguito della reazione, si è comunque sviluppato un grosso incendio e la zona è stata immediatamente isolata, anche per la vicinanza di un'importante arteria stradale (la SP 35 Milano-Meda). I controlli finora effettuati dai Vigili del fuoco e dall'Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (ARPA) della Lombardia hanno escluso pericoli in tal senso, ma lo stabilimento è stato sottoposto a sequestro, anche per consentire le indagini sull'infortunio.
La Commissione ha appreso che precedentemente, rispettivamente il 5 e il 18 agosto 2010, si erano verificati altri due incendi di minore entità presso lo stabilimento. In entrambi i casi gli accertamenti dei Vigili del fuoco e dei tecnici dell’ARPA non hanno rilevato elementi significativi e non sono stati avviati procedimenti giudiziari, anche se a seguito dell’incidente del 5 agosto l’ARPA ha disposto la sospensione di una serie di lavorazioni ritenute rischiose. Peraltro, in base alle informazioni raccolte, le cause dei due incendi non sono state determinate, il che lascia aperti una serie di interrogativi sull'esistenza di rischi non considerati all'interno dello stabilimento, anche in relazione al successivo e più grave incendio del 4 novembre. Saranno naturalmente le indagini della magistratura a dare risposta anche a queste domande, tuttavia appare chiaro che all'interno dello stabilimento della EURECO, per i materiali e i prodotti trattati e le operazioni svolte, vi era un livello di rischio elevato.
Come già detto, infatti, la EURECO S.r.l. si occupa di trasporto, raccolta, smaltimento, stoccaggio e conferimento negli impianti di smaltimento di rifiuti speciali, assimilati agli urbani, pericolosi e non. La società ha sede in un'area di circa 9.500 m2, nella quale sono presenti altre aziende, riconducibili alla stessa proprietà della EURECO: ditta individuale Merlino Giovanni, GE.TRA.ME. S.r.l., Project Engineering S.r.l. e C.R. S.r.l. (quest'ultima con sede operativa in provincia di Pavia). Tutte le aziende operano a vario titolo nel campo della bonifica ambientale e della gestione dei rifiuti speciali, pericolosi e non, e hanno per la maggior parte meno di 15 dipendenti.
L’altra azienda coinvolta nell'incidente, la TNL S.r.l., è una società appaltatrice della EURECO, alla quale fornisce manodopera per servizi di movimentazione, facchinaggio e manutenzione. L’azienda impiega oltre 80 dipendenti (tutti di nazionalità albanese) e presta servizi a varie aziende, tra le quali appunto la EURECO, dove svolge anche operazioni preliminari al trattamento dei rifiuti (cernita, suddivisione dei materiali, ecc.).
Sia i rappresentanti della EURECO che quelli della TNL, ascoltati dalla Commissione, hanno affermato di aver adottato tutte le necessarie misure di sicurezza, nonché di aver adeguatamente formato i loro dipendenti e averli dotati dei prescritti dispositivi di protezione individuale. Peraltro, essi non hanno fornito dettagli sul tipo specifico di formazione impartita, soprattutto per quanto riguarda i dipendenti della TNL, anche se è stato precisato che, tra questi ultimi, coloro che prestano servizio presso la EURECO, oltre alla formazione generica, ne ricevono pure una più specifica per le operazioni svolte in quel contesto, che hanno un carattere particolare.
Un contributo importante per cercare di ricostruire i vari elementi della vicenda, oltre che dalla magistratura e dalle forze dell’ordine, è venuto dal Sindaco di Paderno Dugnano. Il Comune si è attivato immediatamente dopo l’incidente per aiutare a circoscrivere l’incendio e per verificare che non vi fossero pericoli per la salute o l’incolumità degli abitanti della zona. Contemporaneamente, un'attenzione particolare è stata dedicata ad aiutare le vittime (alcune delle quali sono tuttora in gravissime condizioni) e le loro famiglie.
Nell'ambito delle informazioni raccolte, un elemento rilevante e anche preoccupante è poi il fatto che la ditta EURECO sia da tempo al centro dell’attenzione degli organismi di controllo ambientale e che, in passato, sia stata anche coinvolta in varie vicende giudiziarie. Alla proprietà sono state infatti contestate numerose infrazioni, sia di carattere amministrativo che penale in relazione alle attività di trattamento e smaltimento di rifiuti: tra le accuse più gravi, vi è ad esempio quella di traffico illecito di rifiuti, risalente al 2008. Tali vicende (alcune delle quali sono ancora in corso di definizione) non hanno comunque finora dato luogo a provvedimenti inibitori dell’attività dell’impresa, che risulta quindi regolarmente esercitata.
L’azienda, precedentemente denominata Merlino, opera nel territorio di Paderno Dugnano fin dalla meta degli anni '80 e fu autorizzata per la prima volta con decreto della Giunta regionale nel 1988. Secondo la relazione svolta dal Sindaco di Paderno Dugnano dinanzi alla Commissione, l’autorizzazione regionale, come tutte le altre che seguirono, aveva validità temporanea quinquennale e fu concessa in variante allo strumento urbanistico comunale. Nel corso degli anni, l’autorizzazione è sempre stata rinnovata, sia dalla Regione che dalla Provincia (che, per modifiche normative, per un breve periodo, assunse nel 2002 la competenza delle autorizzazioni per gli impianti di gestione rifiuti). L’ultimo permesso risale al 2007 e ha validità fino al 2013. L’azienda nel frattempo si è ingrandita ed è stata autorizzata ad estendere la sua attività anche allo smaltimento di rifiuti tossico-nocivi e a costruire gli ulteriori edifici e strutture necessarie.
La presenza di un insediamento ad alto impatto ambientale, per di più nelle vicinanze di una arteria stradale assai importante come la Milano-Meda, è stata spesso contestata dal Comune di Paderno Dugnano, in particolare nel 1998, quando decise di opporsi al rinnovo dell’autorizzazione concessa alla EURECO facendo ricorso al TAR Lombardia, che però nel 2005 dichiaro il ricorso improcedibile, a causa della «mancata impugnazione del decreto regionale del 1993», di cui l’atto di impugnazione del 1998 costituiva il rinnovo.
Il contesto nel quale è avvenuto l’incidente rimane dunque assai incerto e presenta ancora molti aspetti da chiarire. Gli organismi tecnici di controllo ambientale (Vigili del fuoco e ARPA) hanno confermato l’attenzione costante da tempo riservata all'EURECO, al pari di tutte le aziende che operano nel settore della gestione dei rifiuti. Come già detto, nei confronti dell’impresa sono state effettuate nel corso degli anni varie segnalazioni e, in alcuni casi, contestate anche infrazioni di tipo sia amministrativo che penale.
Per quanto riguarda le circostanze dell’incidente del 4 novembre, non è stato possibile da parte degli enti tecnici fornire elementi specifici, essendo le indagini appena iniziate. Tra gli aspetti più rilevanti emersi vi è comunque la circostanza che, sebbene le operazioni di trattamento dei rifiuti più rischiose (ad esempio quelle che possono determinare emissioni nocive) avvenissero all'interno dello stabilimento, in aree appositamente attrezzate, vi erano comunque alcune fasi preliminari della lavorazione che erano svolte all'aperto, sul piazzale.
La Commissione ha interpellato anche le organizzazioni sindacali, che hanno evidenziato di non avere informazioni dirette da offrire, posto che sia la EURECO che la TNL sono imprese non sindacalizzate. I rappresentanti dei lavoratori hanno comunque richiamato l’attenzione sulla necessità di garantire la piena attuazione delle disposizioni vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro, con particolare riguardo alle situazioni più sensibili e rischiose come quelle dei lavoratori delle ditte appaltatrici.
Si è poi evidenziato il fatto che in molti casi le aziende tendono, per evidenti ragioni economiche, ad utilizzare forme contrattuali di altri comparti, che però possono comportare anche minori obblighi dal punto di vista della sicurezza sul lavoro. Ad esempio, è stato rimarcato che, sulla base delle disposizioni vigenti, i dipendenti della ditta EURECO sono inquadrati con il contratto del settore commerciale, così come quelli della TNL sono inquadrati nel comparto metalmeccanico.
Conclusivamente, le cause e la stessa dinamica dell’incidente del 4 novembre sono ancora da chiarire e, pertanto, qualunque ipotesi è prematura. Tuttavia il quadro complessivo nel quale si è determinato l’incidente, così come è stato possibile ricostruirlo, appare molto nebuloso e pone numerosi interrogativi circa l’adeguatezza delle procedure e delle stesse disposizioni vigenti rispetto all'esigenza di garantire in modo efficace la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori addetti alle operazioni di trattamento e smaltimento dei rifiuti, in particolare di quelli speciali e pericolosi. Al riguardo, sembra quindi opportuna una riflessione sul tema, che possa condurre alla elaborazione di soluzioni più efficaci ai fini della prevenzione dei rischi e della formazione dei lavoratori, attraverso interventi migliorativi di carattere normativo ed amministrativo e un rafforzamento dei controlli e dell’apparato sanzionatorio in materia.