5. GLI APPROFONDIMENTI SU TEMI PARTICOLARI

5.1. I problemi della sicurezza del lavoro negli appalti e nei subappalti
Come già nell'anno precedente, anche nel secondo anno di attività la Commissione ha avuto modo di constatare come uno degli aspetti più critici per il rispetto delle norme in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro rimanga quello degli appalti, al quale ha dedicato anche uno specifico gruppo di lavoro, coordinato dal senatore De Luca. Si tratta di un problema che riguarda tanto il settore pubblico quanto quello privato: l’evoluzione dei modelli produttivi occorsa negli ultimi anni spinge infatti sempre di più verso la frammentazione del processo di produzione e l’esternalizzazione di un numero crescente di lavorazioni o servizi. Di conseguenza, l’ente committente (amministrazione pubblica o azienda privata che sia) si trova ad affidare a soggetti terzi determinati compiti, più o meno complessi: dalla progettazione e costruzione di un edificio pubblico o di una fabbrica, ai servizi di manutenzione, riparazione e pulizia, per fare solo qualche esempio.
La questione è nota e se ne è parlato diffusamente anche nella precedente relazione intermedia: da un lato esiste un problema di ripartizione e condivisione della responsabilità sotto il profilo della sicurezza del lavoro tra soggetto committente e ditte appaltatrici; dall'altro, queste ultime - che sono spesso imprese di piccole e medie dimensioni - nell'intento di vincere o conservare appalti assegnati con il criterio del prezzo più basso (cioè del massimo ribasso d'asta), possono essere indotte ad abbattere il più possibile i costi, tagliando in taluni casi proprio le spese per la sicurezza e riducendo così il sistema delle tutele dei lavoratori.
Questi fenomeni sono aggravati dal fatto che, specialmente negli appalti di grandi dimensioni, dietro l’impresa appaltatrice si crea spesso una lunga catena di imprese subappaltatrici, non solo in senso verticale (ogni impresa è appaltatrice della precedente e committente della successiva), ma anche orizzontale (ad esempio nei raggruppamenti di imprese, che sono talvolta vere e proprie «scatole cinesi» con una pluralità di soggetti variamente collegati). È proprio nei subappalti che si riscontrano, statisticamente, i maggiori problemi e si verificano i più gravi infortuni lavorativi.
Per tali ragioni, da parte di vari soggetti (amministratori pubblici, enti di controllo, organizzazioni imprenditoriali e sindacali) si è chiesto un ripensamento della normativa in materia di appalti, eliminando o quanto meno attenuando il ricorso al criterio del massimo ribasso d'asta, sia nella fase di progettazione che in quella di realizzazione dell’opera o della prestazione, in favore di un'applicazione più estesa del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (sistema che comporta la valutazione di altri elementi oltre quello meramente economico).
La stessa Commissione d'inchiesta si è fatta più volte interprete di tale esigenza, con vari ordini del giorno e, da ultimo, con la già citata risoluzione approvata dall'Assemblea del Senato in data 21 ottobre 2009, che impegna espressamente il Governo a procedere in tal senso. Finora, però, non è stato dato seguito concreto a tale impegno, a causa soprattutto della complessità della materia degli appalti che, non va dimenticato, è soggetta a precisi vincoli comunitari.
D'altra parte, indipendentemente dal criterio adottato per la selezione delle offerte d'appalto, non si deve dimenticare che la legge prevede già una serie di precisi meccanismi per regolare tali fattispecie e prevenire i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, sia nel settore pubblico che privato. Infatti, le disposizioni vigenti (in particolare l’articolo 26 del decreto legislativo n. 81 del 2008, come modificato dal recente decreto legislativo n. 106 del 2009) impongono da un lato ai committenti di verificare l’idoneità tecnica ed organizzativa delle imprese appaltatrici, cooperando con le stesse per individuare i rischi delle varie lavorazioni (soprattutto di tipo interferenziale) e le misure di sicurezza più idonee, dall'altro agli appaltatori di indicare chiaramente nei contratti i costi delle misure adottate per garantire la sicurezza del lavoro, costi che non possono essere soggetti a ribasso.
Purtroppo, come segnalato più volte alla Commissione, nel corso di audizioni e sopralluoghi, tali norme nella pratica sono spesso disattese o violate, magari in maniera surrettizia, accrescendo notevolmente i rischi per i lavoratori. Il problema deve allora essere analizzato da un duplice punto di vista: quello dei controlli (e delle connesse responsabilità) del committente e degli appaltatori, e quello dei possibili inconvenienti legati al criterio del prezzo più basso (o massimo ribasso).


5.1.1. Il problema dei controlli
Per quanto riguarda l’aspetto dei controlli, molti committenti tendono a delegare interamente la gestione delle attività agli appaltatori o subappaltatori, senza verificare adeguatamente se tali imprese e, soprattutto, i lavoratori chiamati a svolgere le attività oggetto dell’appalto o subappalto siano adeguatamente qualificati sotto il profilo della competenza professionale e delle misure di sicurezza. Se infatti è il datore di lavoro di ciascuna impresa a rispondere direttamente (sotto il profilo giuridico e contrattuale) di tali requisiti, è però vero che il committente deve preventivamente accertarsi, per quanto è in suo potere, che i requisiti siano effettivamente sussistenti. Soprattutto, il committente deve organizzare l’ambiente di lavoro delle ditte terziste, cooperando con loro per evidenziare i possibili rischi per la sicurezza e le necessarie contromisure.
Il problema concerne essenzialmente i rischi di interferenza: normalmente, infatti, i dipendenti delle aziende appaltatrici o subappaltatrici lavorano nello stesso luogo dei dipendenti del committente (ad esempio uno stabilimento industriale). In molti casi, questa compresenza può raggiungere dimensioni ragguardevoli, fino a decine di aziende diverse con migliaia di addetti, ma anche quando è di proporzioni più limitate si ripropongono i medesimi problemi: quello logistico, ossia degli spostamenti all'interno di un unico spazio, talvolta ristretto rispetto al numero delle persone; quello del raccordo tra operazioni e lavorazioni affidate a soggetti diversi, ma spesso collegate tra loro.
Il ruolo del committente diviene essenziale appunto nella valutazione dei rischi di interferenza (per i quali infatti vige l’obbligo di redigere un apposito documento, ai sensi del citato articolo 26, comma 3, del Testo unico) e nel coordinamento organizzativo e logistico tra i vari soggetti che sono chiamati a operare all'interno dei luoghi di lavoro. Si tratta di aspetti fondamentali, che i committenti non possono evidentemente delegare completamente a soggetti terzi, spesso indipendenti tra loro o comunque addetti a compiti distinti. Questo coordinamento si sostanzia soprattutto nell'informazione di tutti gli attori coinvolti, interni ed esterni, sui possibili rischi e sulle necessarie precauzioni adottate o da adottare, nonché nei successivi controlli (articolo 26, comma 2, del Testo unico).
Molti degli infortuni, anche mortali, dei quali la Commissione ha avuto modo di occuparsi nella sua inchiesta, sono nati spesso dal mancato rispetto di queste procedure che, al di la degli obblighi di legge, dovrebbero in effetti essere «buone prassi» applicate ordinariamente in tutti i luoghi di lavoro. Nel settore degli appalti pubblici vigono regole e controlli più stringenti, mentre il settore privato, per sua natura, è soggetto a minori vincoli. Tuttavia, l’esperienza dimostra che il problema ha carattere generale e che non sempre le norme, per quanto sofisticate, risolvono tutti gli inconvenienti. Come è stato sottolineato più volte alla Commissione (ad esempio nel sopralluogo svolto a Milano il 15 e 16 novembre 2009), insomma, occorre un ruolo più incisivo da parte delle stazioni appaltanti, pubbliche o private che siano, che devono esercitare una migliore e più costante vigilanza sulle attività affidate e sui soggetti affidatari.
Esiste naturalmente anche un problema di controlli da parte degli organi di vigilanza (ASL e DPL), che devono essere intensificati e concentrati verso attività e situazioni di maggior criticità, potenziando le risorse degli organi ispettivi e le loro capacità di programmazione, coordinamento e condivisione di informazioni. Ma i controlli da parte degli organi ispettivi devono essere sempre accompagnati da un maggiore impegno dei committenti, pubblici e privati, sia nella selezione delle imprese appaltatrici che nel controllo costante del loro operato, per assumere conseguentemente provvedimenti nei riguardi delle imprese che non rispettano le norme in materia di sicurezza e di rapporti di lavoro.
In un'apposita nota di approfondimento inviata alla Commissione dopo il citato sopralluogo a Milano, i direttori dei Servizi PSAL delle ASL locali e della Direzione provinciale del lavoro hanno evidenziato come in questi ultimi anni, soprattutto in realtà più sensibili come quella milanese, si sia creato un maggior impegno di alcune stazioni appaltanti pubbliche, di associazioni imprenditoriali, di organizzazioni sindacali ed enti paritetici nel fissare alcuni criteri per la selezione delle imprese partecipanti agli appalti pubblici, comprensivi di elementi relativi alla sicurezza del lavoro e alla regolarità dei rapporti di lavoro.
Tale impegno ha condotto alla stipulazione di numerosi protocolli d'intesa tra le parti, che però spesso non hanno avuto un seguito operativo efficace, atteso che poi paradossalmente, in occasione di controlli sia di routine che legati a infortuni anche gravi, sono emerse gravi violazioni delle norme di sicurezza del lavoro oltre che di impiego di manodopera irregolare, a volte anche in nero e clandestina. Quello che è venuto a mancare è soprattutto il controllo da parte dei committenti e delle imprese affidatarie sull'applicazione effettiva dei protocolli d'intesa e l’applicazione da parte loro di penali nei confronti delle imprese inadempienti.
Per cercare di contribuire a migliorare tale situazione, nella nota sono state avanzate alcune interessanti proposte, sulla base delle esperienze di vigilanza e di varie iniziative innovative, promosse in particolare negli ultimi anni, mediante il confronto tra organi di vigilanza, stazioni appaltanti pubbliche e private, associazioni imprenditoriali e organizzazioni sindacali, dalle quali sono scaturiti positivi risultati per il controllo della sicurezza del lavoro e della regolarità dei rapporti di lavoro.
Anzitutto, occorre agire sulla qualificazione delle imprese partecipanti agli appalti, sia in termini generali che in relazione ai singoli contratti. Ad esempio, si propone che la Camera di Commercio subordini l’iscrizione dell’impresa alla verifica del possesso di determinati requisiti: solidità industriale e finanziaria, qualificazione del titolare, del direttore dei lavori e dei dipendenti, anche sotto il profilo specifico della formazione in materia di sicurezza del lavoro. Analogamente, si può pensare di fissare alcuni requisiti minimi di capacità organizzativa e finanziaria e di rispetto delle norme relative alla sicurezza per il lavoro, per la partecipazione ad appalti pubblici o a lavori privati di un determinato tipo o valore, affidando al committente pubblico o privato e al Comune (che rilascia il titolo abilitativo) i relativi controlli.
L’altro aspetto richiamato dai responsabili degli organi di vigilanza di Milano nella loro nota, riguarda i bandi di gara e i criteri di selezione delle imprese negli appalti pubblici. I bandi potrebbero contenere alcuni requisiti preferenziali che costituiranno criteri per la selezione delle imprese aggiuntivi rispetto al criterio base dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Si potrà così attribuire una quota del punteggio complessivo (20-30 per cento) a tali criteri aggiuntivi, privilegiando gli aspetti organizzativi e le capacità dell’impresa che migliorino la sicurezza del lavoro.
Un'altra proposta avanzata è quella di inserire nei contratti di appalto per lavori pubblici o privati in regime di permesso a costruire o DIA onerose l’elenco di tutte le ditte in subappalto, con l’impegno ad acquisire tutta la documentazione e ad adottare tutte le misure necessarie per verificare la regolarità delle imprese e consentire in ogni momento l’identificazione e il riscontro delle presenze dei singoli lavoratori. Il controllo spetterebbe anche in questo caso al committente, pubblico o privato.
Tali misure dovrebbero essere accompagnate anche da un adeguato sistema di sanzioni. Tra le proposte formulate dai dirigenti degli organismi di controllo milanesi, vi è quella di prevedere specifiche penali, eventualmente aggiuntive a quelle previste dalle disposizioni vigenti, da inserire nel contratto per la violazione delle norme di sicurezza sul lavoro, che potrebbero nelle ipotesi più gravi (infiltrazioni mafiose, utilizzo di lavoratori in nero, ecc.) includere anche la rescissione del contratto, la sospensione dell’abilitazione, l’inibizione a partecipare a successivi appalti pubblici e la cancellazione dalla Camera di Commercio.
In questo caso, l’applicazione delle penali e i relativi controlli dovrebbero essere affidati, a seconda della competenza, al committente, pubblico o privato; al Comune che rilascia il titolo abilitativo e/o all'organo di vigilanza accertatore delle irregolarità. Ma l’effettiva attuazione di questo sistema implica anche la creazione di strutture di controllo adeguate da parte delle stazioni appaltanti pubbliche, degli uffici comunali e delle Camere di Commercio, nonché l’inserimento di talune prescrizioni nei regolamenti edilizi comunali. Infine, occorre prevedere sanzioni in caso di inadempienza rispetto a questi nuovi compiti da parte dei soggetti competenti.


5.1.2. Il problema del massimo ribasso
L’altro aspetto problematico nel settore degli appalti è quello del ricorso al criterio del prezzo più basso, specialmente nelle gare ad evidenza pubblica. L’applicazione di questo criterio, che di solito prende la forma del massimo ribasso d'asta, può infatti condurre le imprese che partecipano alla gara a offrire prezzi eccessivamente bassi, al punto da risultare palesemente incongrui rispetto all’opera o alla prestazione da eseguire e alle condizioni del mercato. Purtroppo, tale evenienza si verifica più frequentemente di quanto si creda, come è stato più volte denunciato alla stessa Commissione nel corso delle varie missioni sul territorio (in alcuni casi si è parlato di ribassi d'asta addirittura superiori al cinquanta per cento). Si assiste così ad appalti assegnati ad imprese non sempre adeguate, che per garantire il prezzo offerto sono indotte (in maniera spesso surrettizia) a tagliare proprio i costi della sicurezza e a ridurre pericolosamente le tutele dei lavoratori. D altra parte, sia nel settore pubblico che in quello privato, molti committenti tendono essi stessi, per ragioni di bilancio, a risparmiare sui costi e a privilegiare le offerte più economiche, indipendentemente da qualsiasi altra considerazione. Questa situazione pone anche un problema di concorrenza sleale da parte di imprese più spregiudicate, che riescono ad escludere dal mercato quelle sane e più attente ai profili della sicurezza e della legalità.
Come anticipato nel paragrafo 2.7, nell’audizione del 13 ottobre 2010 su questi temi è intervenuto anche il ministro del lavoro Sacconi, richiamando innanzitutto la necessità di distinguere il problema a seconda che ci si riferisca alla normativa applicabile negli appalti privati o in quelli pubblici. Fermo restando che la materia degli appalti pubblici non è di competenza prevalente del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro ha sottolineato come il rischio che l’aggiudicazione di appalti pubblici con il criterio del prezzo più basso possa produrre effetti negativi per i costi relativi al lavoro ed alla sicurezza, non si ponga in termini normativi, essendovi al riguardo precise disposizioni.
Il primo riferimento è l’articolo 86, comma 3-bis, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, meglio noto come «Codice degli appalti»). Tale disposizione testualmente recita: «Nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro19 e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all'entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture.».
Il comma 3-ter del medesimo articolo 86, poi, stabilisce espressamente che «il costo relativo alla sicurezza non può essere comunque soggetto a ribasso d'asta». Tale concetto è ribadito dall'articolo 131, comma 3, del Codice degli appalti, secondo cui «gli oneri per il piano di sicurezza e di coordinamento vanno evidenziati nei bandi di gara e non sono soggetti a ribasso d'asta».
Il Ministro ha altresì ricordato che, in base al Codice degli appalti, le ipotesi di offerte anormalmente basse (che potrebbero eventualmente nascondere intenti elusivi degli obblighi in materia di sicurezza) sono in ogni caso soggette a specifiche valutazioni, in contraddittorio con le imprese interessate, al fine di verificare se l’entità del ribasso sia giustificata. Al riguardo, l’articolo 87 ribadisce peraltro, al comma 2, che nelle giustificazioni si debba far riferimento al costo del lavoro determinato ai sensi delle disposizioni vigenti, e dispone al comma 4, che in ogni caso «non sono ammesse giustificazioni in relazione agli oneri di sicurezza» e che «nella valutazione dell’anomalia la stazione appaltante tiene conto dei costi relativi alla sicurezza, che devono essere specificamente indicati nell'offerta e risultare congrui rispetto all'entità e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture».
Tenendo conto dell’esistenza delle disposizioni appena richiamate, il ministro Sacconi ha inteso evidenziare come il vero problema sia dunque quello del controllo del rispetto della normativa stessa, problema che si presenta tuttavia anche in caso di aggiudicazione con il sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa, che tiene conto di altri parametri oltre a quello puramente economico e che, peraltro, può essere sempre adottato. Ai sensi dell’articolo 81 del Codice degli appalti, infatti, nei contratti pubblici le stazioni appaltanti possono decidere di applicare, ai fini della selezione dell’offerta migliore, sia il criterio del prezzo più basso (articolo 82), sia quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa (articolo 83). La scelta tra i due criteri - fatto salvo il caso di particolari vincoli normativi o regolamentari - deve privilegiare «quello più adeguato in relazione alle caratteristiche dell’oggetto del contratto».
Analoghe considerazioni il Ministro ha svolto per il settore degli appalti privati, disciplinato da specifiche disposizioni del decreto legislativo n. 81 del 2008. In particolare, l’articolo 26, comma 5, impone l’indicazione - a pena di nullità del contratto - in tutti i contratti di appalto, subappalto e di somministrazione dei costi delle sicurezza, necessari a eliminare i rischi da interferenza delle lavorazioni, i quali non sono soggetti a ribasso. Inoltre, nell'ambito del Titolo IV («Cantieri temporanei e mobili») si prevede una disciplina dettagliata relativamente alla necessità che nei piani di sicurezza e coordinamento vengano indicati tassativamente i costi della sicurezza, in relazione a determinate attività, che la norma (allegati XV, punto 4, intitolato «Stima dei costi della sicurezza») indica in maniera esplicita.
Pur prendendo atto delle indicazioni del rappresentante del Governo, tuttavia, la Commissione ha ribadito come, nei fatti, le disposizioni vigenti si siano sovente rivelate insufficienti, essendo state in molti casi disattese o addirittura aggirate, specialmente nella fase di concreta realizzazione dell’opera o del servizio. Pertanto, appare indispensabile una riflessione generale sul tema degli appalti che, pur nel rispetto delle disposizioni comunitarie e delle specificità dei singoli settori produttivi, porti ad individuare misure - ed eventualmente modifiche normative - in grado da un lato di rafforzare i controlli e la responsabilità dei committenti pubblici e privati, dall'altro di limitare per quanto possibile il ricorso al criterio del massimo ribasso, impedendone gli effetti più deleteri per la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
Il Ministro del lavoro ha comunque preannunciato l’intenzione di emanare, per i profili di propria competenza e previa consultazione con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, una specifica circolare per rafforzare le attività di controllo in materia di appalti e accrescere il livello di responsabilizzazione dei soggetti preposti, a cominciare dalle stazioni appaltanti. Nello spirito di collaborazione da tempo instauratosi, si è inoltre dichiarato disponibile a informare la Commissione in merito, al fine di valutare gli interventi più opportuni.
La Commissione ha naturalmente accolto positivamente tale indicazione, intendendo contribuire, nell'ambito del proprio mandato, ad individuare le soluzioni più efficaci per garantire una sempre migliore tutela dei lavoratori. Al fine di approfondire ulteriormente i vari aspetti della questione, con particolare riguardo agli appalti del settore pubblico, ha quindi svolto, nella seduta del 3 novembre 2010, una specifica audizione con il ministro delle infrastrutture e dei trasporti Altero Matteoli.
Il Ministro, dopo aver ribadito l’attenzione e l’impegno a favore della sicurezza sul lavoro, si è soffermato sui problemi specifici del settore edilizio, che è il più esposto agli infortuni e registra da solo quasi il 40 per cento del totale delle morti sul lavoro. In merito alla questione degli appalti pubblici, ha richiamato la legislazione vigente, in particolare il decreto legislativo n. 81 del 2008 e il decreto legislativo n. 163 del 2006.
Tali norme prevedono che i costi della sicurezza del lavoro debbano essere evidenziati a parte nei bandi di gara e non possano essere soggetti a ribasso d'asta; inoltre non sono ammesse giustificazioni a corredo dell’offerta. Le eventuali violazioni di tali disposizioni nei contratti pubblici sono motivo di risoluzione del contratto. Inoltre, le stazioni appaltanti devono inviare all'Osservatorio dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici copia delle segnalazioni delle infrazioni in fatto di sicurezza, che rilevano anche ai fini della partecipazione delle imprese alle gare pubbliche.
Il ministro Matteoli si è soffermato soprattutto sul concetto di congruità dell’offerta: le stazioni appaltanti devono infatti valutare che il valore economico dell’appalto sia «adeguato e sufficiente», cioè appunto «congruo». Esse dunque devono richiedere all'offerente giustificazioni di eventuali anomalie, specialmente per i costi della sicurezza sul lavoro, che sono ugualmente soggetti a valutazione.
Quando si parla di costi della sicurezza, si fa in effetti riferimento a due tipi di costi: quelli relativi ai rischi da interferenze e quelli riguardanti i rischi specifici dell’appaltatore (cioè quelli connessi all'esercizio della sua attività imprenditoriale). I primi sono stimati previamente dalla stazione appaltante, in base a criteri oggettivi e prezzi standard, devono essere indicati nei bandi di gara e non possono essere oggetto di ribasso e di offerta da parte dell’appaltatore. In fase di verifica dell’eventuale anomalia (e quindi della congruità dell’offerta), essi non devono pertanto essere controllati, in quanto sono stati già quantificati e determinati a monte e sono congrui per definizione. L’appaltatore dovrà invece indicare nell'offerta i costi della sicurezza specifici relativi all'esercizio dell’attività svolta dalla propria impresa, e la stazione appaltante dovrà valutare la loro congruità rispetto all'entità e alle caratteristiche del lavoro.
Le disposizioni vigenti, molto precise e severe, sono dunque adeguate: al fine di ridurre gli infortuni sul lavoro, il Ministro ha evidenziato piuttosto l’opportunità di intensificare le azioni di prevenzione, contrasto e vigilanza contro il lavoro sommerso e irregolare e lo sfruttamento della manodopera, specie nell'attuale fase di crisi economica, rafforzando il coordinamento e la sinergia tra i vari soggetti istituzionali competenti, sia a livello centrale che periferico. Fondamentale è altresì la formazione e l’informazione dei lavoratori e dei datori di lavoro, per creare una vera cultura della sicurezza.
Il ministro Matteoli ha poi ricordato che Codice dei contratti pubblici recepisce le direttive comunitarie in materia di appalti pubblici e non può quindi subire modifiche che vengano meno ai principi comunitari (concorrenza, non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza). Del resto, come si è detto anche in precedenza, sia la normativa europea che quella italiana prevedono due possibili criteri di aggiudicazione per la selezione delle offerte, quello del prezzo più basso e quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, lasciando le stazioni appaltanti libere di scegliere tra i due criteri (al contrario di quanto prevedeva la vecchia legge Merloni, dichiarata non conforme al diritto comunitario).
Di conseguenza, il rappresentante del Governo ha espresso l’avviso che l’obiettivo di una maggiore sicurezza sul lavoro non possa trovare adeguata soluzione in una modifica del Codice dei contratti pubblici tesa a eliminare o a limitare il ricorso al criterio del massimo ribasso, ma piuttosto in una diffusione più ampia della cultura della sicurezza e in sanzioni più severe che colpiscano le aziende più sleali e spregiudicate che, violando la normativa, mettono a rischio la sicurezza dei lavoratori.
La Commissione, pur prendendo atto delle indicazioni del Ministro e condividendo il giudizio sull'adeguatezza delle attuali normative, ha però evidenziato che le stesse, per quanto evolute, non riescono a evitare che nel settore degli appalti vi siano ribassi eccessivi che incidono sulla sicurezza del lavoro: la Commissione ha infatti avuto notizia di ribassi d asta anche del 60-70 per cento, palesemente incongrui. Il problema si verifica soprattutto in relazione ai subappalti, dove si creano spesso catene assai lunghe che diventano poi difficilmente controllabili (come dimostrano numerosi incidenti) e nelle quali si infiltrano anche organizzazioni malavitose. Spesso, inoltre, le pubbliche amministrazioni, per carenza di risorse finanziarie, sono portate ad adottare in maniera troppo ampia il criterio del massimo ribasso. La Commissione ha quindi chiesto al ministro Matteoli di valutare, pur nel rispetto dei vincoli comunitari e della libertà d'impresa, l’opportunità di un ripensamento della normativa vigente in materia di massimo ribasso, almeno in relazione alle aree del Paese più esposte al rischio della criminalità organizzata. Un'altra esigenza che è stata segnalata è quella di una maggiore uniformità a livello nazionale dei prezziari delle gare d appalto, spesso troppo diversi da Regione a Regione.
È stato poi richiamato il problema della sicurezza degli edifici scolastici, anche in relazione alla notizia, riportata da alcuni organi di stampa, di un progetto del Governo per la costituzione di una società per azioni, che dovrebbe occuparsi di tali interventi. Infine, sulla sicurezza del lavoro nel settore edilizio, è stato rilevato che vi sono ancora troppe sovrapposizioni e duplicazioni di competenze, specie nella fase ispettiva ed è stato proposto, al fine di ottimizzare l’attività ispettiva, di adottare un unico modello di verbale da parte di tutti gli organismi di controllo.20
Il ministro Matteoli ha fatto presente la difficoltà di ottenere eventuali deroghe da parte della Commissione europea nell’applicazione della normativa del massimo ribasso. Peraltro, anche se ciò fosse possibile per le Regioni esposte alla criminalità organizzata, sarebbe assai complesso delimitarne il perimetro e si creerebbero disparità tra varie parti del Paese. Meglio quindi, a suo avviso, operare sul rafforzamento dei controlli e delle sanzioni.
In merito, si è detto favorevole all'introduzione di un modello unico di verbale ispettivo, ricordando peraltro che le procedure e le norme vigenti sono costantemente verificate con le associazioni di categoria, specialmente nel settore edile. In ogni caso, anch'egli si è dichiarato disponibile a valutare, per quanto di competenza, eventuali proposte di modifica e miglioramento provenienti dal Parlamento e dalla stessa Commissione d'inchiesta, anche sulla questione del massimo ribasso. Infine, ha precisato che il progetto di una società per azioni dedicata agli interventi per la sicurezza degli edifici scolastici è per ora di una mera proposta all'esame dei competenti Ministeri, volta a reperire ulteriori risorse finanziarie.
Come nel caso dell’analoga disponibilità manifestata dal Ministro del lavoro, la Commissione ha accolto favorevolmente l’invito del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e ha confermato la sua intenzione di contribuire ad approfondire ulteriormente la questione della sicurezza del lavoro nel settore degli appalti. Nell'ambito di questo percorso, la Commissione ha quindi audito, nella seduta del 10 novembre 2010, anche i rappresentanti dell’Associazione nazionale costruttori edili (ANCE), al fine di acquisire indicazioni sui problemi del settore degli appalti e su possibili interventi, anche normativi, che possano migliorare la situazione.
I rappresentanti dell’ANCE hanno anzitutto confermato l’importanza dei problemi in discorso, che incidono notevolmente sulla sicurezza del lavoro in tutto il comparto edile, segnalando tuttavia l’esigenza di distinguere tra le dinamiche del settore degli appalti pubblici e quelle del settore degli appalti privati. Gli appalti pubblici (come ricordato in precedenza) sono infatti soggetti alla disciplina del Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo n. 163 del 2006), che detta norme molto precise a tutela della sicurezza del lavoro, certamente perfettibili ma comunque adeguate. I problemi principali si riscontrano invece nel settore degli appalti privati, che assorbe il 75 per cento del mercato dell’edilizia ed è sostanzialmente privo di regole, poiché non esistono limiti al subappalto ne al massimo ribasso e non vi sono forme di controllo pubblico realmente cogenti.
Il committente privato, del resto, è portato di solito a guardare prevalentemente l’aspetto del risparmio economico e non distingue nell'affidamento tra un'impresa e l’altra. L’altro aspetto negativo degli appalti privati è infatti la mancanza di un sistema di qualificazione delle imprese edili, posto che oggi qualsiasi lavoratore autonomo può iscriversi alla Camera di commercio e svolgere attività edile partecipando a gare d'appalto di qualunque importo. Mancano inoltre riferimenti oggettivi codificati per valutare la congruità dell’offerta e i committenti non hanno spesso le competenze tecniche per verificare la bontà delle misure previste nei piani di sicurezza.
A giudizio dell’ANCE, comunque, anche il settore degli appalti pubblici presenta alcuni aspetti critici. In particolare, esiste il problema di migliorare il meccanismo di valutazione e contestazione delle anomalie da parte delle stazioni appaltanti pubbliche nei confronti delle imprese che partecipano alle gare e delle correlative giustificazioni addotte dalle imprese stesse, che spesso avviano lunghi e complicati contenziosi con le amministrazioni committenti. Ciò postula anche un rafforzamento dei controlli lungo tutta la filiera degli appalti e subappalti, puntando sul ruolo degli organismi bilaterali che nel settore edile sono sempre stati particolarmente sensibili. La loro azione negli ultimi anni ha portato ad una sensibile riduzione negli infortuni, nell'emersione del lavoro sommerso o irregolare e nell'aumento delle attività di formazione, anche se occorre fare di più.
I rappresentanti dell’ANCE hanno ribadito la richiesta al Governo e al Parlamento di completare quanto prima l’iter per l’introduzione del sistema di qualificazione delle imprese, ovvero la cosiddetta «patente a punti per l’edilizia», prevista dal Testo unico e da tempo attesa. Inoltre, è stata evidenziata l’opportunità di prevedere anche forme di premialità per le aziende più attente che investono nella sicurezza, ad esempio mediante un abbassamento delle aliquote contributive, che consenta da un lato di ridurre la forbice esistente tra il costo del lavoro dei lavoratori autonomi impegnati nel settore e quello relativo ai lavoratori subordinati, dall'altro di rendere omogenei i costi del lavoro e le previsioni in termini di obblighi nella formazione e nella sicurezza tra lavoratori autonomi e lavoratori subordinati. Accanto a questi aspetti, è stata poi ribadita l’esigenza di aumentare i controlli nel settore degli appalti privati, soprattutto per contrastare quegli operatori che si improvvisano imprenditori edili senza avere minimamente struttura, capacità e risorse.
Per quanto riguarda il problema della valutazione delle offerte anomale negli contratti pubblici, l’ANCE ha avanzato alcune proposte dettagliate per definire meglio il concetto di offerta anomala e, conseguentemente, di valore congruo dell’offerta. In sostanza, si tratta del sorteggio del criterio da adottare per l’individuazione della soglia di anomalia, oltre la quale si deve procedere all'esclusione automatica delle offerte, da effettuarsi fra i vari criteri possibili, dopo la presentazione delle offerte e prima dell’apertura delle buste. In tal modo, si raggiungerebbero due finalità sostanziali. La prima è quella di eliminare qualunque possibilità di accordi collusivi tra più imprenditori volti a pilotare la determinazione della soglia e, quindi, l’aggiudicazione della gara stessa. La seconda è quella di far ricadere il ribasso al quale aggiudicare la gara in un intervallo di variabilità accettabile, ossia ne troppo basso ne troppo alto. Sempre in tema di valutazione della congruità da segnalare che gli organismi bilaterali del comparto edile hanno recentemente promosso un avviso comune sulla congruità del valore della mano d'opera edile nei vari settori.
I rappresentanti dei costruttori hanno tenuto a sottolineare che la loro richiesta di una maggiore qualificazione delle imprese non intende porsi come un freno alla concorrenza o all'iniziativa nei confronti di altri operatori (e in particolare dei lavoratori autonomi). Si tratta però di definire i ruoli, le capacità e le responsabilità delle aziende che intendono operare nel settore edile, facendo in modo che negli appalti privati - che incidono per il 75 per cento sul totale delle attività edili ma che sono attualmente privi di vere regole - gli operatori offrano le stesse garanzie di serietà e affidabilità che sono tenuti a dare nel settore degli appalti pubblici.
Un altro tema toccato nell'audizione è stato quello della ristrutturazione e messa in sicurezza degli edifici scolastici, anche alla luce della luce del già citato progetto del Governo di costituire a tal fine una società per azioni. L’ANCE confermato la propria attenzione in merito, riservandosi di fornire successivamente alla Commissione elementi più precisi su tale aspetto, così come riguardo alle altre questioni emerse nell'audizione.
In termini generali, l’ANCE si è dichiarata pienamente disponibile a collaborare con la Commissione d'inchiesta nella ricerca di soluzioni condivise per il settore degli appalti, studiando anche possibili miglioramenti e adeguamenti della normativa e delle procedure vigenti, tesi a ridurre sempre più i rischi per la salute e l’incolumità dei lavoratori.


5.2. Le macchine e le attrezzature agricole e forestali e quelle per l’edilizia
Nella precedente relazione intermedia, la Commissione ha dato conto del lavoro di approfondimento svolto in relazione agli infortuni legati all'utilizzo di macchine ed attrezzature agricole e forestali e per l’edilizia, nonché delle conseguenti iniziative assunte per contribuire alla sua risoluzione.
Come è emerso nel corso dell’inchiesta, infatti, tanto nel settore agricolo quanto in quello edile esiste un grave problema di sostituzione ed ammodernamento delle macchine ed attrezzature obsolete ovvero non munite di tutti i requisiti necessari per garantire la sicurezza degli operatori, che sono causa talvolta di gravi incidenti, anche mortali, come nel caso del ribaltamento dei trattori o del cedimento dei ponteggi. Si tratta in genere di macchinari non conformi alle prescrizioni della Comunità europea contenute nella cosiddetta «direttiva macchine», ma vi sono anche casi di macchinari che, pur essendo formalmente in regola e in possesso del prescritto marchio CE, non offrono di fatto tutte le necessarie garanzie in tema di sicurezza.
Per tali ragioni, la Commissione ha promosso una serie di atti d'indirizzo, contenuti in vari ordini del giorno nonché nella già citata risoluzione approvata dall'Assemblea del Senato lo scorso 21 ottobre 2009, per impegnare il Governo a promuovere iniziative legislative, volte a istituire incentivi economico-fiscali per favorire la rottamazione e la messa in sicurezza delle macchine ed attrezzature agricole, forestali ed edili. Contemporaneamente, la Commissione ha avviato gli opportuni contatti sia con il Ministero dello sviluppo economico che con quello dell’economia e delle finanze per verificare gli aspetti tecnici della materia, con particolare riguardo a quelli della copertura finanziaria.
Tali iniziative, che hanno riscosso il sostegno di tutte le categorie degli operatori interessati, sono state infine condivise e accolte dal Governo, che ha introdotto nell'articolo 4 del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40 (convertito con modificazioni nella legge 22 maggio 2010, n. 73) anche misure per favorire la sostituzione di macchine o attrezzature agricole e per il movimento terra di fabbricazione anteriore al 31 dicembre 1999, nonché la rottamazione delle gru a torre per l’edilizia messe in esercizio prima del 1° gennaio 1980.
Il contenuto del decreto-legge è stato anticipato alla Commissione dal sottosegretario di Stato allo sviluppo economico Stefano Saglia nel corso di un audizione svoltasi il 10 marzo 2010. Il Sottosegretario ha confermato l’attenzione del Governo per la problematica segnalata dalla Commissione, rispetto alla quale gli incentivi introdotti con il decreto-legge hanno rappresentato una prima risposta. Sia pure con i limiti finanziari imposti dalle attuali ristrettezze di bilancio, si è trattato di un segnale comunque importante, che ha inteso contribuire ad introdurre macchine ed attrezzature più moderne, più sicure e meno inquinanti, nonché ad offrire un sostegno concreto ai relativi settori produttivi, duramente colpiti dalla crisi economica.
La Commissione, nel prendere favorevolmente atto dell’iniziativa del Governo, ha comunque raccomandato l’adozione anche di misure a favore della rottamazione delle attrezzature edili quali ponteggi e impalcature (le cosiddette «opere provvisionali»), per le quali esistono analoghi problemi. A tal fine, è stato in seguito presentato anche un apposito emendamento, sottoscritto dalla maggior parte dei componenti della Commissione, al disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 78 del 2010.21 La posizione della questione di fiducia sul disegno di legge da parte del Governo ha poi impedito l’accoglimento della proposta emendativa, ma il tema rimane comunque all’attenzione della Commissione.
Infine, appare opportuno ricordare, come già accennato nel paragrafo 2.3, che nell'ambito dei fondi 2010 per le azioni promozionali previste dall’articolo 11 del decreto legislativo n. 81 del 2008, sono stati stanziati ulteriori 15 milioni di euro per la messa a norma delle attrezzature di lavoro (in particolare agricole) non conformi all'ultima «direttiva macchine» recepita nel gennaio di quest'anno. È inoltre in fase avanzata l’iter di approvazione del decreto per l’individuazione delle modalità per l’effettuazione delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro e dei criteri per l’abilitazione dei soggetti pubblici o privati legittimati a realizzare tali verifiche (articolo 71, comma 13, del decreto legislativo n. 81 del 2008).


5.3. La cultura della sicurezza del lavoro nelle scuole
Nella precedente relazione intermedia, nell'illustrare l’attività svolta dalla Commissione per promuovere la cultura della salute e della sicurezza del lavoro all’interno delle scuole, si preannunciava un apposita audizione su questi temi con il ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca Mariastella Gelmini.
L’incontro ha avuto luogo il 18 novembre 2009 ed è servito a fare il punto sulle iniziative del Governo per introdurre insegnamenti sulla salute e la sicurezza del lavoro nei corsi scolastici, dando così concreta attuazione sia alla facoltà già prevista da alcune disposizioni,22 sia all'impegno assunto dal Governo in conseguenza di vari atti d'indirizzo presentati in Parlamento.23
Il ministro Gelmini ha confermato anzitutto l’attenzione del suo Dicastero per la tematica della promozione della cultura della sicurezza sul lavoro nella scuola, ricordando i positivi risultati ottenuti negli anni recenti su tale fronte con una serie di progetti sperimentali avviati, in ottemperanza al dettato della legge n. 123 del 2007, in ambito scolastico e nei percorsi di formazione professionale, rivolti sia ai docenti che agli studenti.
L’intento è ora quello di passare ad un approccio di tipo sistemico unificando i singoli interventi al fine di inserire il tema della sicurezza sul lavoro nei moduli didattici dei programmi scolastici, sia pure tenendo conto delle limitate risorse disponibili. Particolare attenzione sarà rivolta alla scuola media superiore e soprattutto agli istituti tecnici professionali, ma l’obiettivo è di creare una sensibilità diffusa sui temi in questione, in tutti i livelli scolastici, incluso quello delle elementari. Tale operazione deve ovviamente tenere conto della competenza legislativa concorrente delle Regioni, oltre che dell’autonomia dei singoli istituti scolastici. Un primo passo in questa direzione è stato il protocollo d'intesa siglato il 29 marzo 2009 tra il Ministero dell’istruzione, il Ministero del lavoro e l’ANMIL (Associazione nazionale mutilati del lavoro), mirante a diffondere la cultura della prevenzione e della sicurezza sui luoghi di lavoro nella scuola e ad ampliare lo spazio della formazione su tali aspetti all'interno dei corsi di laurea universitari.
Ciò avverrà naturalmente anche attraverso il confronto con le Regioni e gli enti locali. L’intento, secondo quanto precisato dal Ministro, è quello di inserire la nuova materia senza aumentare il numero delle ore scolastiche, ma in modo trasversale e coerente con gli insegnamenti curriculari già esistenti. Peraltro, i progetti sperimentali già avviati hanno coinvolto sia Regioni del Nord che del Sud, utilizzando i fondi dei programmi operativi nazionali (PON).
La Commissione ha accolto positivamente le dichiarazioni del Ministro, chiedendo un impegno forte per l’attuazione in tempi rapidi delle varie iniziative. Si è inoltre raccomandato l’inserimento di insegnamenti sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, ovviamente in forma adeguata, fin dalla scuola elementare, essendo l’età infantile quella in cui le forme basilari di educazione sono più facilmente assimilate.24
Occorre poi segnalare che le iniziative preannunciate dal ministro Gelmini hanno trovato sviluppo nei mesi successivi, mediante la sottoscrizione di una Carta d'intenti tra Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e INAIL perché, a partire dall'anno scolastico 2010-2011, si proceda all'inserimento della salute e sicurezza nei programmi scolastici e universitari. Come già ricordato nel paragrafo 2.3, tale atto individua, tra l’altro, il contesto di riferimento - in termini di obiettivi e contenuti - nell'ambito del quale avverrà il trasferimento dal Ministero del lavoro a quello dell’istruzione della somma di 5 milioni di euro, stanziate a valere sulle risorse per le azioni promozionali del 2009, ai sensi dell’articolo 11, comma 4, del Testo unico. Dalla Carta d'intenti, inoltre, è scaturita la costituzione di un'apposita «cabina di regia», già riunitasi a settembre e ottobre 2010, nell'ambito della quale sono in avanzata fase di definizione le linee guida nazionali per l’inserimento della salute e sicurezza nelle scuole, volte a indirizzare tali attività .
Un altro tema emerso nel corso dell’audizione del ministro Gelmini è stato quello, assai sentito, della sicurezza degli edifici scolastici. Molte scuole infatti, in varie parti del Paese, sono purtroppo ospitate in edifici fatiscenti (spesso palazzi storici) o comunque inadeguati, che costituiscono un grave rischio per l’incolumità degli studenti, oltre che degli insegnanti e del personale scolastico.
Anche su questo argomento il Ministro dell’istruzione ha assicurato la massima attenzione del Governo, segnalando che il proprio Dicastero, insieme a quello degli interni (responsabile degli edifici della pubblica amministrazione), stava completando l’anagrafe degli elementi non strutturali degli edifici scolastici di tutta Italia, al fine di realizzare per ciascuno di essi una sorta di «fascicolo del fabbricato» e di programmare, di conseguenza, i necessari interventi. Le risorse stanziate a tal fine ammontavano a 1,2 miliardi di euro, di cui 250 milioni già destinati alle scuole distrutte dal terremoto dell’Aquila e circa 700 disponibili per gli interventi più urgenti.
Le decisioni sull'allocazione dei fondi passano attraverso un confronto costante con gli enti territoriali in sede di Conferenza Stato-Regioni, ma il ministro Gelmini ha sottolineato come la frammentazione delle competenze abbia spesso rallentato gli interventi e perfino l’utilizzo delle risorse disponibili: è quindi indispensabile una sintesi tra i soggetti istituzionali interessati, oltre ad un coinvolgimento diretto dei singoli istituti scolastici e dei loro dirigenti. Una possibile soluzione potrebbe passare attraverso l’integrazione delle risorse statali (purtroppo limitate) con quelle degli enti territoriali (a cominciare dalle province, che hanno una competenza diretta sulla manutenzione degli edifici scolastici).25


5.4. Gli infortuni sul lavoro nel settore dei trasporti. Il caso del recapito postale
Come illustrato nella precedente relazione annuale, nel corso della sua inchiesta, la Commissione si è occupata anche di una serie di incidenti nel settore del recapito postale, che hanno coinvolto in particolare i portalettere circolanti su ciclomotori, causando, dal marzo 2008 al gennaio 2009, ben 12 decessi. La Commissione ha approfondito la questione audendo in merito sia i sindacati del settore postale che i vertici dell’azienda Poste Italiane s.p.a. Ha inoltre acquisito presso tutte le Procure competenti informazioni sulla dinamica e sulle risultanze delle inchieste svolte su ciascuno dei 12 infortuni mortali, al fine di verificare se negli stessi potessero ravvisarsi anche cause legate alla violazione o all’inosservanza delle disposizioni della sicurezza sul lavoro.
Sebbene le inchieste non abbiano fornito elementi conclusivi al riguardo, essendo stati gli eventi generalmente classificati come meri incidenti stradali, sono però emersi alcuni problemi obiettivi, che hanno indotto la Commissione a svolgere ulteriori approfondimenti. In particolare, è stato preso in considerazione l’incidente mortale del 20 maggio 2008 avvenuto ai danni del portalettere signor Gino Longato a Bagnoli di Sopra (Padova), mentre era alla guida del ciclomotore di servizio. Ciò in quanto si tratta dell’unico caso, fra tutti quelli esaminati dalla Commissione, nel quale siano stati fatti anche accertamenti inerenti al rispetto delle norme sulla sicurezza del lavoro e non soltanto delle norme legate alla circolazione stradale, acquistando così notevole interesse per le finalità dell’inchiesta.
Oltre ad acquisire gli atti del procedimento disposto dalla competente Procura di Padova, la Commissione ha audito, nella seduta del 17 marzo 2010, funzionari del Servizio di prevenzione, igiene e sicurezza negli ambienti di lavoro (SPISAL) dell’azienda ULSS 17 di Este (Padova) che si erano a suo tempo occupati delle indagini, nonché i responsabili dell’Ufficio postale di Bagnoli di Sopra presso il quale prestava servizio il signor Longato. Dalle indagini emerse chiaramente che l’infortunio era stato causato dal violento urto del ciclomotore da parte di un furgoncino che sopraggiungeva da dietro e che, pertanto, si trattava di un incidente stradale in senso stretto. Ciononostante, lo SPISAL eseguì controlli molto accurati, volti a verificare se il ciclomotore utilizzato fosse idoneo ed autorizzato per fare quel tipo di lavoro, se il signor Longato avesse la formazione adeguata per portarlo e se il carico di posta fosse entro i limiti previsti.
I controlli dimostrarono che le procedure vigenti in materia di sicurezza del lavoro erano state tutte rispettate, ma confermarono al tempo stesso alcune criticità di carattere organizzativo già riscontrate dalla Commissione e di cui si è dato conto nella precedente relazione. In primo luogo, i portalettere che recapitano la corrispondenza utilizzano spesso un unico tipo di ciclomotore «universale» (un Beverly Piaggio 125 appositamente attrezzato), con tre diversi contenitori della posta (anteriore, centrale e posteriore) e senza adattamenti che tengano conto delle differenze di corporatura o di genere degli operatori, il che potrebbe in certi casi creare problemi di stabilita per i conducenti. L’altro aspetto riguarda il tipo di formazione che ricevono i portalettere sull'utilizzo del mezzo, che dovrebbe forse avere un carattere più approfondito e meno generico.
Inoltre, un altro elemento emerso dalle audizioni è la difficoltà di valutare le prestazioni dei portalettere che guidano i ciclomotori, in quanto gli stessi non sono soggetti a sorveglianza sanitaria (mentre lo sono, invece, quelli che vanno a piedi). Si tratta di un aspetto non trascurabile: ad esempio, il signor Longato in passato aveva subito tre incidenti di moto, due molto gravi nel 1999 e nel 2001 ed uno più lieve nel 2003, che gli avevano causato lesioni agli arti inferiori (tra cui una frattura della gamba) e lo avevano tenuto lontano dal servizio, a varie riprese, per più di 200 giorni. Anche se questi incidenti pregressi non sono legati all'infortunio nel quale ha poi perso la vita, rimane però il fatto che, non essendo prevista la sorveglianza sanitaria, nessuno ha mai potuto accertare se egli fosse o meno ancora in grado di utilizzare la moto.
Le audizioni hanno infine confermato che, presso i centri di distribuzione secondari della corrispondenza da cui partono i postini, non è sempre presente il preposto incaricato di controllare e di far rispettare le regole della sicurezza sul lavoro, in quanto l’area a lui affidata è piuttosto vasta (ogni centro copre il territorio di oltre dieci Comuni). Il preposto si avvale anche di capisquadra, ma neanche questi riescono a essere presenti all'arrivo e alla partenza di tutti i portalettere e quindi a verificare il rispetto delle procedure, come quella di tenere il casco allacciato. L’esempio non è casuale: proprio nel caso del signor Longato il casco fu ritrovato a diversi metri dal punto dell’impatto e ciò potrebbe far supporre che non fosse correttamente allacciato, sebbene non vi siano prove conclusive al riguardo.
La Commissione non ha mancato di segnalare tali profili di criticità emersi dagli ulteriori accertamenti sia ai sindacati di settore sia all'azienda Poste Italiane s.p.a. Quest'ultima ha peraltro inviato una successiva nota alla Commissione, annunciando l’adozione di una serie di misure specifiche, oltre a quelle già normalmente attuate, atte a prevenire i rischi per i portalettere. Tra le altre, è da segnalare l’avvio di un programma sperimentale di monitoraggio, in collaborazione con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, della sicurezza sul lavoro per i dipendenti che operano a bordo di mezzi mobili (a due o quattro ruote). L’auspicio è quindi che questa e altre iniziative possano concretamente aiutare a eliminare tutti quei fattori critici teste indicati che mettono a rischio la salute e la sicurezza dei dipendenti.
L’inchiesta condotta dalla Commissione sugli incidenti ai portalettere è stata importante anche perché ha consentito di «accendere un faro» su un aspetto finora poco considerato dalle ricerche sul fenomeno degli infortuni sul lavoro, quello degli incidenti che coinvolgono lavoratori sulla strada nell'esercizio della loro attività, cioè avvenuti «in occasione di lavoro» e perciò distinti dai cosiddetti infortuni in itinere (quelli occorsi nel tragitto casa-lavoro e viceversa). Come la Commissione ha avuto modo di constatare, questi infortuni sono, nella maggior parte dei casi, classificati come meri incidenti stradali, senza tenere conto del fatto che sono accaduti durante l’attività lavorativa e quindi senza verificare, in sede d'indagine, anche il rispetto delle norme sulla sicurezza del lavoro. Gli organi preposti alle indagini sugli incidenti sono in genere ben preparati, ma manca spesso una sensibilità specifica (anche culturale) su questi aspetti, che pure hanno una notevole rilevanza, considerando la quantità di persone che lavorano in mobilità: autotrasportatori, portalettere, conducenti di mezzi pubblici, ecc.
A questo tema la Commissione ha dedicato anche un apposito gruppo di lavoro, coordinato dal senatore Morra, che ha svolto uno specifico approfondimento tecnico, riportato nel precedente paragrafo 4.6, al quale si rinvia. In questa sede, interessa soprattutto evidenziare un aspetto particolare emerso durante l’inchiesta, ovvero come non si sia avuta finora un'analisi specifica di questa tipologia di infortuni che li distinguesse dal fenomeno più generale degli incidenti stradali; anche a livello statistico, è molto difficile reperire dati disaggregati.
Al fine di contribuire a colmare questa lacuna, la Commissione ha adottato una serie di iniziative. In primo luogo, nel novembre 2009 ha segnalato, tanto alla magistratura quanto alle diverse forze dell’ordine statali e locali, nonché, attraverso i Dicasteri competenti, ai vari organismi tecnici, l’esigenza di tenere conto durante le indagini sugli incidenti stradali che coinvolgano lavoratori nello svolgimento della loro attività, non solo dei profili legati al rispetto del codice della strada, ma anche di quelli relativi alla salute e sicurezza sul lavoro. Quando si deve ricostruire la «scena dell’infortunio», è infatti essenziale che i soggetti preposti ai rilievi e agli accertamenti - in particolare coloro che giungono per primi sul luogo dell’incidente - siano sensibilizzati a cogliere anche tali aspetti, che non sono sempre immediatamente evidenti. Magistratura, forze dell’ordine e organismi tecnici hanno dato positivo riscontro alla segnalazione della Commissione, come testimoniato anche in vari sopralluoghi svolti sul territorio, confermando il loro impegno per una maggiore attenzione a questo particolare fenomeno.
Al fine di approfondire la questione la Commissione ha poi audito, il 2 dicembre 2009, l’ingegner Sergio Dondolini, direttore generale per la sicurezza stradale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. L’ingegner Dondolini ha in primo luogo confermato che non esiste una statistica precisa sugli incidenti stradali occorsi a lavoratori nell'esercizio dell’attività, trattandosi di un aspetto finora non enucleato in modo specifico all'interno del fenomeno generale degli incidenti stradali. Nei questionari ISTAT sulla sicurezza stradale, che sono la fonte ufficiale di rilevazione, uno dei quesiti si limita ad accertare se il conducente è professionale, ovvero se sia o meno in possesso di una patente di tipo professionale che gli consente di svolgere un lavoro su strada. Da questa rilevazione, quindi, sfuggono tutte le casistiche concernenti l’incidentalità stradale da lavoro, riguardante ad esempio i portalettere o altri addetti di aziende che fanno ricorso alla mobilità.
L’attenzione è comunque focalizzata soprattutto sugli incidenti mortali, anche sulla base delle indicazioni dell’Unione europea, nell’ambito del programma di azione volto a ridurre l’incidentalità stradale. Così, dai pochi dati disponibili relativi al 2008 ricavati da fonti INAIL e ISTAT, si evince che, all’interno del totale della incidentalità stradale, gli infortuni stradali sul lavoro hanno causato 335 morti in attività lavorativa e 276 morti in itinere. Essi corrispondono a circa il 12-13 per cento della mortalità su strada complessivamente intesa e quasi al 50 per cento della mortalità sul lavoro registrate nello stesso periodo: nel 2008 si sono avute infatti 4.731 vittime per infortuni stradali e 1.120 per infortuni sul lavoro.
Il problema resta quindi molto grave, ancorché i dati del 2008 indichino una lieve riduzione nel numero degli infortuni stradali mortali riguardanti lavoratori, sia in occasione di lavoro che in itinere, rispetto all’anno precedente, quando sono stati rispettivamente 334 e 307. Tale riduzione è peraltro più contenuta rispetto a quella del totale degli incidenti stradali mortali, che nel periodo 2001-2008 sono scesi del 33 per cento.
L’ingegner Dondolini ha poi dato conto di alcune iniziative assunte dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per studiare e prevenire il fenomeno, mediante politiche mirate volte ad incidere, attraverso le aziende, soprattutto sulla qualità del parco veicoli e sulla formazione del conducente, individuando all’interno dell’azienda compiti e responsabilità. Anche sulla base di tali esperienze, il 22 settembre 2009 il Ministero ha stipulato di un protocollo d intesa con Poste Italiane s.p.a. (con cui già vi erano rapporti di collaborazione) per l’avvio di un progetto pilota che riguarda gli incidenti sul lavoro, progetto che per la sua valenza potrebbe essere esportabile ad altre aziende. A conferma anche della rilevanza della questione posta in precedenza dalla Commissione in merito alla sicurezza del lavoro nel settore postale, l’ingegner Dondolini ha infatti ricordato che Poste Italiane s.p.a. ha una flotta di circa 44.000 veicoli, di cui 28.000 motocicli, 12.000 autovetture, 320 articolati e 4.500 corrieri, che percorrono ogni giorno 550.000 chilometri.
Ciò significa che l’esposizione al rischio stradale di questo settore è estremamente elevata e rappresenta quindi una opportunità molto interessante di verificare una serie di misure, soprattutto in riferimento alla mobilità sulle due ruote, per la quale rimangono gravi problemi. Infatti, mentre la mortalità sulle quattro ruote risulta in forte diminuzione negli ultimi anni, quella sulle due ruote è l’unica che è rimasta abbastanza impermeabile a tutte le misure prese, segnando addirittura un aumento.
Un altro comparto sensibile sotto il profilo della sicurezza del lavoro è quello dell’autotrasporto, seguito da un apposita direzione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che interviene nei controlli su strada in maniera diretta, oltre che con la Polizia stradale, i Carabinieri ed il Ministero del lavoro, grazie a 27 centri mobili di revisione, costituiti da mezzi pesanti appositamente attrezzati per effettuare la revisione del veicolo su strada. In tal modo il Ministero effettua un numero consistente di revisioni che permettono di individuare i mezzi non idonei e di ritirarli alla circolazione, il che contribuisce certamente ad elevare i livelli di sicurezza, vigilando affinché le aziende mettano a disposizione dei conducenti mezzi che siano idonei alla circolazione. A questi controlli su strada sono associate anche le verifiche sui tempi di guida e di riposo, aspetti che incidono anch'essi sulla sicurezza dei lavoratori e che sono sanzionabili sia sotto il profilo del codice della strada che della normativa in materia di lavoro. Non va inoltre dimenticato che nel settore dell’autotrasporto si annidano spesso forme di lavoro irregolare (e a volte anche di lavoro sommerso): anche questo aspetto forma oggetto di specifica attenzione tanto da parte del Ministero delle infrastrutture che di quello del lavoro.
Infine, la Commissione d'inchiesta ha approfondito con l’ISTAT anche il problema della rilevazione dei dati sugli incidenti stradali in occasione di lavoro. L’Istituto nazionale di statistica cura infatti la raccolta di tutti i dati sugli incidenti stradali, inviando ogni anno a tutti i soggetti in possesso dei dati medesimi (forze dell’ordine statali e locali, uffici statistici regionali, ecc.) un'apposita scheda di rilevazione che costituisce la base per le successive elaborazioni da cui scaturiscono le statistiche ufficiali sugli infortuni stradali. Come ricordato in precedenza, però, la scheda in questione (il cosiddetto modello CTT.INC) non riporta l’informazione se l’incidente rilevato sia avvenuto o meno durante un'attività lavorativa, ma solo quella se il conduce abbia o meno una patente di tipo professionale.
Per superare tale inconveniente, il presidente Tofani, a nome della Commissione, ha chiesto all'ISTAT di valutare la possibilità di integrare la suddetta scheda di rilevazione con una o più voci che consentano di precisare se l’incidente in esame è avvenuto nel corso di un'attività lavorativa, in itinere ovvero in altre circostanze. Ove realizzata, tale modifica, pur nella sua semplicità, sarebbe certamente un valido aiuto per accrescere la conoscenza del problema e, soprattutto, per individuare le possibili azioni preventive. Al di la della comprensione del fenomeno, infatti, obiettivo prioritario resta sempre quello di individuare i mezzi e le soluzioni più adeguate per prevenire e ridurre tali gravi forme d'incidente.


5.5. Il controllo sul territorio. Il ruolo delle prefetture e delle forze dell’ordine
Tra i vari elementi emersi nel corso dell’inchiesta, vi è certamente la conferma dell’importanza, ai fini di un'efficace attività di prevenzione e contrasto degli infortuni sul lavoro, dei controlli esercitati sul territorio, che implicano un adeguato coordinamento fra tutti i vari enti e corpi istituzionali preposti alla vigilanza. Si è già parlato diffusamente di questi aspetti nel capitolo 2, illustrando anche l’attività degli organismi ai quali il decreto legislativo n. 81 del 2008 demanda espressamente questo ruolo di coordinamento, ossia il Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale delle attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro previsto dall'articolo 5 e i comitati regionali di coordinamento previsti dall'articolo 7.
Come si è visto in precedenza, l’effettivo insediamento e avvio delle attività di questi organismi ha purtroppo subito una serie di ritardi, al pari di altri istituti del Testo unico: ora però le difficoltà sembrano superate e sia il comitato nazionale che quelli regionali sono finalmente operativi. In particolare, a livello territoriale i comitati regionali stanno dando complessivamente buona prova, seppure in modo non sempre omogeneo da una Regione all'altra.26 Accanto a questi organismi, in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro occorre ricordare però anche l’importante ruolo svolto in ciascuna provincia dai prefetti, nell'esercizio della loro funzione generale di coordinamento a livello locale dell’azione amministrativa affidata agli organi decentrati dello Stato e agli enti pubblici. I prefetti presiedono in genere comitati provinciali nei quali siedono rappresentanti di tutti gli enti istituzionali preposti al controllo della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (Direzione provinciale del lavoro, Vigili del fuoco, ASL, INAIL, INPS), degli enti locali e delle parti sociali, nonché delle forze dell’ordine.
La Commissione, nel corso dei numerosi sopralluoghi effettuati sul territorio, ha avuto modo di verificare e di apprezzare direttamente la preziosa azione di raccordo e di stimolo esercitata dai prefetti e dagli organismi provinciali, che integra a livello locale quella svolta dai comitati regionali soprattutto per quanto riguarda le attività di controllo e di vigilanza. Le prefetture, infatti, affiancano alla presenza degli enti istituzionali anche quella delle forze dell’ordine (Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri, Guardia di finanza), che risulta essenziale per una efficace attività ispettiva finalizzata non solo a reprimere, ma anche a prevenire le violazioni alle disposizioni in tema di salute e sicurezza del lavoro.
Un'importante testimonianza a questo proposito è stata fornita alla Commissione dal dottor Domenico Cuttaia, prefetto di Brindisi, audito nella seduta del 2 febbraio 2010. Il dottor Cuttaia ha illustrato il sistema di coordinamento attuato nella provincia di Brindisi in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, imperniato sia sui controlli nei luoghi di lavoro che sulla prevenzione ed informazione ad imprese e lavoratori.
Per quanto riguarda i controlli, la prefettura di Brindisi si è posta innanzitutto il problema di trovare una formula organizzativa che consentisse di superare gli inconvenienti che spesso si registrano in questa attività: i controlli che si svolgono nei luoghi di lavoro, infatti, pur essendo molteplici sono spesso frammentari. Ciò è dovuto al fatto che i soggetti istituzionali investiti della potestà di controllo sono numerosi e ciascuno, in base al sistema normativo vigente, risponde della sua attività in relazione a determinati obiettivi. Esistono i controlli dei Vigili del fuoco, della Direzione provinciale del lavoro, dello SPESAL, dell’ASL, dell’INAIL, dell’INPS: un'azione variegata e purtroppo molto frammentaria. Ciò pone due ordini di problemi: da una parte, non è possibile monitorare o gestire in forma unitaria questa massa di controlli, con tutto ciò che ne consegue; dall'altra, le imprese si trovano spesso ad essere destinatarie di controlli che possono essere ripetitivi e nuocere all’attività delle stesse.
A Brindisi si è quindi cercato di costruire un sistema che garantisse l’esecuzione dei controlli in forma unitaria e contestuale da parte di tutti i soggetti, in relazione ad una stessa tipologia di interventi. A tal fine, si è individuato il tipo di controlli da operare con tale modalità, concentrandosi sugli appalti di opere e forniture pubbliche di valore superiore al milione di euro e costituendo in prefettura un apposito comitato ristretto, composto dai responsabili di tutti gli enti istituzionali preposti ai controlli e dalle forze dell’ordine. Sulla base della documentazione che perviene dai Comuni, dalle pubbliche amministrazioni, dalle stazioni appaltanti pubbliche, il comitato si riunisce e decide in quali cantieri e luoghi di lavoro verranno effettuati i controlli. Questi ultimi vengono quindi svolti in un unico contesto da tutti i suddetti operatori, a seguito della riunione in prefettura. Ciò ha un duplice effetto: in primo luogo, si ottiene un controllo estremamente completo e approfondito; in secondo luogo, si crea in tutti gli operatori la consapevolezza della presenza attiva dello Stato, particolarmente importante in certe realtà. In questo modo, non solo vengono garantiti tutti gli aspetti connessi alla sicurezza del lavoro, compresa la prevenzione, ma si soddisfa parallelamente anche l’esigenza di tenere lontane dalla pubblica amministrazione quelle imprese che operano ai margini o persino oltre l’ambito della legge.
Tale azione è stata preparata dalla prefettura di Brindisi anche mediante una forte sensibilizzazione nei confronti delle stazioni appaltanti pubbliche, in particolare delle amministrazioni comunali, che sono state invitate ad inserire nei bandi di gara e nelle procedure di affidamento delle gare per gli importi superiori al milione di euro una speciale clausola, del seguente tenore: «Nel corso dell’esecuzione dell’appalto, sulla base di intese collaborative con la prefettura e gli enti preposti, saranno effettuati controlli integrati e contestuali su tutti gli aspetti inerenti le norme in materia di sicurezza e ogni altro obbligo derivante dal contratto di appalto». Ciò è stato fatto proprio per rendere evidente questa azione che viene svolta da parte di tutte le amministrazioni.
Le risultanze dei controlli sono poi riepilogate in una scheda informativa, contenente tutte le voci relative all’osservanza delle norme in materia di sicurezza e igiene del lavoro, di prevenzione incendi, di subappalto, di obblighi previdenziali, assicurativi e fiscali, e così via: in definitiva, una «fotografia» completa della situazione delle imprese e dei lavoratori presenti nel cantiere, che andrà poi ad alimentare un apposita banca dati. La forza di questo metodo sta appunto nel fatto che ogni ispezione vede il coinvolgimento di tutti i soggetti preposti ai controlli, comprese le forze dell’ordine, sotto una direzione unitaria: tutti gli aspetti sono verificati contemporaneamente in maniera più approfondita ed efficace, inoltre ciascun operatore, lavorando congiuntamente con gli altri, osserva il lavoro dei colleghi e può condividere con loro informazioni ed esperienze.
Accanto all'attività di controllo, la prefettura di Brindisi ha messo in campo anche varie iniziative di formazione e informazione a favore della sicurezza del lavoro, rivolte alle imprese e ai lavoratori, sulla base di un protocollo d'intesa sottoscritto il 5 ottobre 2009. Ad esempio nella centrale ENEL a carbone di Cerano (un centro a pochi chilometri da Brindisi), la più grande del genere nel Sud d'Italia, si è avviato un progetto di formazione per la prevenzione antincendio che coinvolge sia i dipendenti dell’ENEL che quelli della cinquantina di ditte impegnate nelle varie attività di appalto, allo scopo di fornire a tutti lo stesso addestramento. In precedenza infatti, mentre l’ENEL formava e informava i propri dipendenti secondo la normativa e con puntualità, le altre imprese - più o meno piccole - operanti al suo interno, non avevano un eguale standard di formazione e informazione dei propri lavoratori, il che aveva causato anche gravi incidenti.
L’attività complessiva di prevenzione avviata dalla prefettura di Brindisi ha ottenuto buoni risultati, come testimonia anche il drastico calo nel numero degli infortuni mortali sul lavoro registrato fra il 2008 e il 2009 in provincia di Brindisi, pari al 46 per cento. L’aspetto più innovativo è costituito, naturalmente, dal sistema coordinato dei controlli: il dottor Cuttaia ha evidenziato come l’opera svolta della prefettura all'interno di questo sistema discenda dai compiti di coordinamento tra gli enti statali e locali ad essa già affidati per legge nell'ambito della conferenza permanente provinciale (presieduta appunto del prefetto). L’iniziativa è inoltre frutto di apposite intese istituzionali, in particolare con la Regione Puglia, che ha la competenza per i controlli in materia di salute e sicurezza sul lavoro e, pur potendo coordinare tra loro i vari enti preposti, non può però fare ricorso - perché il sistema non lo consente - alle forze dell’ordine. In tal modo, invece, la prefettura è in grado di garantire anche il coinvolgimento di queste ultime.
Si tratta di un aspetto importante, soprattutto in quei territori (come purtroppo è la provincia di Brindisi) che devono fronteggiare anche problemi di illegalità legati alla presenza della criminalità organizzata. Proprio la necessità di prevenire le infiltrazioni criminali negli appalti pubblici e la diffusa sensibilità che tutte le istituzioni locali hanno al riguardo, ha facilitato la creazione di questo sistema, superando le difficoltà operative che inevitabilmente sussistono ogni volta che enti diversi, con diverse competenze, obiettivi e strutture organizzative sono chiamati ad operare congiuntamente. Il dottor Cuttaia ha anche fatto presente che l’iniziativa è stata condivisa anche con le parti sociali, che hanno attivamente contribuito ad individuare i settori e le situazioni alle quali indirizzare in via prioritaria i controlli.
Sulla base dei positivi risultati ottenuti, si intende ora verificare la possibilità di applicare questo modello anche ad appalti di valore inferiore al milione di euro e ad altri settori produttivi. Non è naturalmente un compito facile, perché implica un considerevole impegno di uomini, mezzi e risorse che le varie amministrazioni coinvolte non sempre sono disponibili o in grado di concedere, sia per una obiettiva scarsità delle stesse, sia anche per vari vincoli di carattere organizzativo o addirittura normativo. Ciononostante, è auspicabile che si trovi il modo di superare tali ostacoli e che si vada verso un'applicazione sempre più estesa di questo modello di cooperazione tra enti istituzionali e forze dell’ordine nei controlli in materia di salute e sicurezza del lavoro, che si è comunque rivelato vincente.
L’iniziativa della prefettura di Brindisi è stata condivisa sia con il Ministero dell’interno che con quello del lavoro e delle politiche sociali, che hanno manifestato attenzione e apprezzamento. Finora però progetti di questo tipo sono scaturiti più dall'iniziativa delle singole prefetture che da un indirizzo di carattere unitario a livello nazionale, laddove sarebbe invece necessario un approccio più organico e generalizzato. Naturalmente, la funzione delle forze dell’ordine può essere solo integrativa e non sostitutiva di quella dei competenti organismi tecnici di vigilanza, ma è un'integrazione quanto mai utile, specialmente per ciò che riguarda lo scambio di informazioni e l’assistenza nelle operazioni di ispezione.
In proposito, un'iniziativa importante è stata assunta recentemente dal Ministero del lavoro e confermata alla Commissione dallo stesso ministro Sacconi durante l’ultima audizione del 13 ottobre 2010.27 Si tratta del rafforzamento delle attività ispettive centrali mediante nuove ipotesi di collaborazione con altri organismi, tra i quali in particolare l’Arma dei Carabinieri e la Guardia di finanza. Sulla base delle proprie peculiari specializzazioni, ciascuno dei due Corpi potrà segnalare alle Direzioni provinciali del lavoro situazioni di irregolarità dei rapporti di lavoro ovvero di rischio per la sicurezza del lavoro, rilevate anche nell'ordinaria attività di servizio, in modo da consentire tempestivi interventi del personale tecnico competente in materia. Tali forme di collaborazione sono già in corso di sperimentazione nell'attività ispettiva straordinaria delle quattro Regioni del Mezzogiorno, dedicata soprattutto al sommerso totale in edilizia e in agricoltura.
La collaborazione con l’Arma dei Carabinieri, che già si realizza attraverso il Nucleo specializzato presso il Ministero del lavoro, prevede un maggior impiego della componente territoriale dell’Arma, che presidia in maniera diffusa il territorio e che può contribuire ad individuare le situazioni di lavoro maggiormente prive di tutela e foriere di rischi per la salute delle persone. Con la Guardia di finanza si sta invece ipotizzando e già sperimentando nei territori del Mezzogiorno una collaborazione dedicata in particolare alla intelligence che deve precedere la selezione delle attività ispettive, dando priorità ancora una volta a quegli ambiti merceologici e territoriali nei quali il lavoro sommerso costituisce pericolo per la sicurezza e la salute delle persone.
Un interessante approfondimento su tali profili è stato offerto alla Commissione dall'audizione, durante la seduta del 17 marzo 2010, del generale Emilio Borghini, comandante delle Unità mobili e specializzate «Palidoro» dell’Arma dei Carabinieri, alle quali fa capo il Comando o Nucleo per la tutela del lavoro. Tale struttura, al pari delle altre Unità mobili e specializzate dell’Arma, ha una competenza di livello nazionale, integrandosi e affiancandosi ai Comandi territoriali, attraverso gli uomini distaccati presso le varie Direzioni provinciali del lavoro (in tutto 102 unità).
Il Comando per la tutela del lavoro ha recentemente subito una importante riorganizzazione, proprio al fine di garantire una più efficace azione sul territorio: esso è stato organizzato in quattro Gruppi territoriali che, a Milano, Roma, Napoli e Palermo, coordinano rispettivamente per il Nord, il Centro, il Sud Italia e la Sicilia i nuclei attivati presso le singole Direzioni provinciali del lavoro. Ciascun Gruppo territoriale è comandato da un tenente colonnello e sovrintende a più Regioni: ciò consente da un lato di migliorare ulteriormente il raccordo tra le Direzioni provinciali del lavoro e i Comandi territoriali dell’Arma, dall’altro di seguire con maggiore efficacia indagini che possono interessare più province o Regioni, ad esempio quei casi in cui le violazioni sulla sicurezza del lavoro sono connesse anche a reati della criminalità organizzata (si pensi allo sfruttamento della manodopera straniera irregolare).
Al fine di potenziare tale funzione di coordinamento, all’interno di ogni Gruppo territoriale è stato costituito un nucleo specializzato, composto da una decina di persone che operano sull’intero territorio di competenza del Gruppo, senza limitazioni. I Gruppi territoriali fanno capo al Comando generale per la tutela del lavoro con sede a Roma, che si avvale a sua volta di una sezione speciale, con il compito di analizzare i fenomeni in tutto il territorio nazionale, sia per riferire sull’attività svolta, sia per indirizzare gli sforzi dei vari nuclei operativi nell’una o nell’altra direzione. Infine, tale attività di analisi sarà agevolata dalla costituzione di una specifica banca dati.
Naturalmente, il Comando per la tutela del lavoro si muove secondo le indicazioni fornite dal Ministero del lavoro e in piena sintonia con le Direzioni provinciali: ad esempio, come ha ricordato il generale Borghini, dopo i tragici fatti di Rosarno nel corso del 2010 si è deciso di dare una particolare attenzione in Campania, Puglia, Calabria e Sicilia (ossia le Regioni dove è più presente l’attività della criminalità organizzata) ai controlli nei settori dell’edilizia e dell’agricoltura, che sono quelli dove si concentra lo sfruttamento illegale dei lavoratori immigrati.