SENATO DELLA REPUBBLICA
XVI LEGISLATURA


COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA SUL FENOMENO DEGLI INFORTUNI SUL LAVORO CON PARTICOLARE RIGUARDO ALLE COSIDDETTE «MORTI BIANCHE»


SECONDA RELAZIONE INTERMEDIA SULL'ATTIVITÀ SVOLTA

Approvata dalla Commissione nella seduta del 23 novembre 2010



INDICE

1. L’ORGANIZZAZIONE DEI LAVORI DELLA COMMISSIONE
1.1. Le finalità dell’inchiesta
1.2. Gli strumenti dell’inchiesta
1.2.1. Le audizioni e i sopralluoghi
1.2.2. L’istituzione di gruppi di lavoro
1.2.3. Le acquisizioni di documenti
1.2.4. Le relazioni
2. L’INCHIESTA DELLA COMMISSIONE: IL SISTEMA DELLA TUTELA DELLA SALUTE E DELLA SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO IN ITALIA
2.1. Premessa
2.2. Il monitoraggio sull'attuazione della nuova disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro: il completamento del «Testo unico»
2.3. Il ruolo delle amministrazioni centrali
2.4. Il ruolo delle Regioni e delle Province autonome
2.5. Il ruolo delle parti sociali
2.6. Le politiche del governo: il Ministero della salute
2.7. Le politiche del governo: il Ministero del lavoro e delle politiche sociali
2.8. Il quadro statistico degli infortuni e delle malattie professionali
3. I SOPRALLUOGHI DELLA COMMISSIONE: GLI INFORTUNI ED IL SISTEMA DI PREVENZIONE SUL TERRITORIO
3.1. Sopralluogo a Venezia (18-19 ottobre 2009)
3.2. Sopralluogo a Milano (15-16 novembre 2009)
3.3. Sopralluogo a Terni (13-14 dicembre 2009)
3.4. Sopralluogo a Genova (17-18 gennaio 2010). I problemi della sicurezza del lavoro nelle attività portuali
3.5. Sopralluogo a Torino (28 febbraio-1° marzo 2010) .
3.6. Sopralluogo a Reggio Calabria (14-15 marzo 2010).
3.7. Sopralluogo a Civitavecchia (12 aprile 2010)
3.8. Sopralluogo a Villa Santa Lucia (24 maggio 2010) .
3.9. Sopralluogo a Capua (22 settembre 2010). I problemi della sicurezza del lavoro negli ambienti confinati. .
3.10. Sopralluogo a Paderno Dugnano (14-15 novembre 2010)
4. L’ATTIVITÀ DEI GRUPPI DI LAVORO
4.1. Gruppo di lavoro sulla prevenzione e formazione (a cura della senatrice Patrizia Bugnano)
4.2. Gruppo di lavoro sulle malattie professionali. Le malattie da lavoro in Italia (a cura del senatore Giorgio Roilo)
4.2.1. Premessa
4.2.2. Audizioni
4.2.3. I sistemi di registrazione
4.2.4. Il quadro nazionale: i dati statistici
4.2.5. Il problema del mancato riconoscimento e del mancato indennizzo da parte di INAIL
4.2.6. Le proposte avanzate da CGIL e CISL alla Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza del lavoro
4.2.7. Alcune iniziative delle Regioni
4.3. Gruppo di lavoro sugli infortuni domestici (a cura della senatrice Ombretta Colli)
4.4. Gruppo di lavoro sul lavoro minorile e sul lavoro sommerso (a cura della senatrice Angela Maraventano)
4.5. Gruppo di lavoro sul personale della pubblica amministrazione e sui controlli pubblici antinfortunistici (a cura del senatore Candido De Angelis)
4.5.1. Premessa. Personale della pubblica amministrazione (PA)
4.5.2. Modalità operative del gruppo di lavoro
4.5.3. Istituti e scuole di ogni genere e grado
4.5.4. Audizioni proposte
4.5.5. Principali argomenti in discussione
4.5.6. Controlli pubblici antinfortunistici
4.6. Gruppo di lavoro sui trasporti e gli infortuni in itinere (a cura del senatore Carmelo Morra)
4.6.1. Premessa
4.6.2. Decreti attuativi in fase di emanazione
4.6.3. Incorporazione e soppressione dell’ISPESL
4.6.4. Analisi degli incidenti accaduti nel settore trasporti
4.6.5. Articolazione operativa per macro-aree
4.7. Gruppo di lavoro sull'edilizia, le costruzioni e gli appalti (a cura del senatore Enzo De Luca)
5. GLI APPROFONDIMENTI SU TEMI PARTICOLARI
5.1. I problemi della sicurezza del lavoro negli appalti e nei subappalti
5.1.1. Il problema dei controlli
5.1.2. Il problema del massimo ribasso
5.2. Le macchine e le attrezzature agricole e forestali e quelle per l’edilizia
5.3. La cultura della sicurezza del lavoro nelle scuole
5.4. Gli infortuni sul lavoro nel settore dei trasporti. Il caso del recapito postale
5.5. Il controllo sul territorio. Il ruolo delle prefetture e delle forze dell’ordine
6. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

 


 

1. L’ORGANIZZAZIONE DEI LAVORI DELLA COMMISSIONE

1.1. Le finalità dell’inchiesta
Sebbene il fenomeno degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali in Italia abbia mostrato negli ultimi anni un trend decrescente, il che rappresenta un segnale certamente positivo, i numeri restano tuttavia ancora troppo elevati ed inaccettabili per un paese civile. Appare quindi indispensabile uno sforzo ulteriore per cercare di prevenire e di contrastare il fenomeno, intervenendo su tre aspetti fondamentali: la formazione/informazione dei lavoratori e delle imprese; i controlli sull'applicazione delle norme; il coordinamento fra tutti i soggetti sociali ed istituzionali competenti.
Anche in ragione di questi motivi il Senato della Repubblica ha ritenuto opportuna l’istituzione di una Commissione parlamentare monocamerale d'inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle cosiddette «morti bianche».1 Ciò è avvenuto, la prima volta, nel corso della XIV Legislatura con deliberazione del 23 marzo 2005. Nel corso della XV e XVI Legislatura il Senato ha ritenuto necessario non interrompere il lavoro prodotto dalla Commissione e con successive deliberazioni, rispettivamente in data 18 ottobre 2006 e 24 giugno 2008, ne ha disposto la ricostituzione.
La Commissione istituita nella XVI legislatura si è posta in una logica di stretta continuità con quelle delle legislature precedenti, com'è testimoniato anche dalla sostanziale conferma degli obiettivi dell’inchiesta, individuati dall'articolo 3 della deliberazione istitutiva, secondo il quale la Commissione, nel corso della propria attività, accerta in particolare:
a) la dimensione del fenomeno degli infortuni sul lavoro, con particolare riguardo al numero delle cosiddette «morti bianche», alle malattie, alle invalidità e all'assistenza alle famiglie delle vittime, individuando altresì le aree in cui il fenomeno è maggiormente diffuso;
b) l’entità della presenza dei minori con particolare riguardo ai minori provenienti dall'estero e alla loro protezione ed esposizione a rischio;
c) le cause degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alla loro entità nell'ambito del lavoro nero o sommerso e al doppio lavoro;
d) il livello di applicazione delle leggi antinfortunistiche e l’efficacia della legislazione vigente per la prevenzione degli infortuni, anche con riferimento alla incidenza sui medesimi del lavoro flessibile o precario;
e) l’idoneità dei controlli da parte degli uffici addetti alla applicazione delle norme antinfortunistiche;
f) l’incidenza complessiva del costo degli infortuni sulla finanza pubblica, nonché sul Servizio sanitario nazionale;
g) quali nuovi strumenti legislativi e amministrativi siano da proporre al fine della prevenzione e della repressione degli infortuni sul lavoro;
h) l’incidenza sul fenomeno della presenza di imprese controllate direttamente o indirettamente dalla criminalità organizzata;
i) la congruità delle provvidenze previste dalla normativa vigente a favore dei lavoratori o dei loro familiari in caso di infortunio sul lavoro.
La Commissione, costituita ai sensi dell’articolo 2 della deliberazione istitutiva da venti senatori - nominati dal Presidente del Senato in proporzione al numero dei componenti i Gruppi parlamentari - è presieduta dal senatore Oreste Tofani, si è insediata il 23 luglio 2008.


1.2. Gli strumenti dell’inchiesta

1.2.1. Le audizioni e i sopralluoghi

Le audizioni, svoltesi nel corso delle sedute plenarie nonché dei sopralluoghi, sono state intese ad abbracciare l’intero arco dei temi posti ad oggetto dell’inchiesta.
Le audizioni tenutesi in sede plenaria possono distinguersi in quelle (relative a soggetti istituzionali pubblici o alle parti sociali) di carattere generale e in quelle concernenti settori o problematiche specifici, benché, naturalmente, in questa seconda tipologia siano stati affrontati anche profili di interesse trasversale.
I sopralluoghi della Commissione hanno avuto luogo in varie parti del territorio nazionale e, in un'occasione, anche all'estero. Essi hanno lo scopo di raccogliere informazioni sulle circostanze di eventi specifici (in particolare gravi incidenti sul lavoro) o di situazioni di carattere generale concernenti i problemi e l’organizzazione del sistema di tutela della sicurezza sul lavoro in determinati ambiti produttivi o territoriali.
Oltre a testimoniare, quindi, la doverosa attenzione e vicinanza delle istituzioni parlamentari nel caso di infortuni o di situazioni di difficoltà legate alla sicurezza dei lavoratori, tali missioni hanno consentito e consentono di acquisire contezza, direttamente dai soggetti (istituzioni e parti sociali) che con tali fenomeni quotidianamente si confrontano, di dati, difficoltà e soluzioni concrete legate alla sicurezza del lavoro, la cui conoscenza al di fuori dei contesti territoriali o settoriali di riferimento sarebbe oltremodo difficile.
La Commissione ha svolto finora 60 audizioni in sede plenaria e 16 sopralluoghi conoscitivi, di cui 1 all'estero e 15 in Italia.


1.2.2. L’istituzione di gruppi di lavoro
Come già in altre legislature, inoltre, al fine di approfondire più compiutamente alcuni specifici profili dell’inchiesta, sono stati istituiti dieci gruppi di lavoro, i quali hanno affiancato la loro attività a quella del plenum della Commissione. I gruppi in questione sono dedicati ai seguenti settori: edilizia, costruzioni e appalti pubblici (coordinato dal senatore De Luca); personale della pubblica amministrazione e controlli pubblici antinfortunistici (coordinato dal senatore De Angelis); malattie professionali (coordinato dal senatore Roilo); infortuni domestici (coordinato dalla senatrice Colli); agricoltura (coordinato dal senatore Conti); lavoro minorile e lavoro sommerso (coordinato dalla senatrice Maraventano); trasporti ed infortuni in itinere (coordinato dal senatore Morra); prevenzione e formazione (coordinato dalla senatrice Bugnano); verifica dello stato di attuazione delle nuova normativa di cui alla legge n. 123 del 2007 e al decreto legislativo n. 81 del 2008 (coordinato dalla senatrice Donaggio); attività produttive (coordinato dalla senatrice Spadoni Urbani).
All'attività di ciascun gruppo hanno inoltre partecipato - secondo la possibilità prevista dal regolamento interno - alcuni collaboratori della Commissione.
Alcuni gruppi di lavoro hanno presentato alla Commissione una relazione, concernente gli esiti delle proprie indagini. Tali contributi sono riportati nel capitolo 4 della presente relazione.


1.2.3. Le acquisizioni di documenti
Le tematiche trattate dai documenti acquisiti riflettono, in genere, quelle delle audizioni svolte dalla Commissione plenaria, dalle delegazioni di missione e dai gruppi di lavoro. Molti di questi contributi sono stati il-lustrati, in sede di audizione, dai soggetti estensori e del loro contenuto, pertanto, si darà conto nel prosieguo della presente relazione.


1.2.4. Le relazioni
La Commissione, in stretta aderenza al proprio mandato istituzionale, ha svolto un ampio lavoro di indagine, attraverso gli strumenti prima richiamati (audizioni, sopralluoghi ed acquisizioni di dati e documenti), da un lato approfondendo alcuni aspetti specifici di un fenomeno certamente complesso e variegato, per offrire al Parlamento e al Governo un migliore quadro conoscitivo e, di conseguenza, eventuali proposte di miglioramento delle norme e delle procedure esistenti; dall'altro ponendosi come elemento di stimolo e di raccordo per l’azione dei diversi soggetti pubblici e privati chiamati ad operare per la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.
Ai sensi dell’articolo 6 della deliberazione istitutiva, la Commissione ha riferito su questo vasto lavoro d'inchiesta, tuttora in corso, e sulle indicazioni e proposte operative che ne sono scaturite, mediante la relazione intermedia sul suo primo anno di attività (Doc. XXII-bis n. 1), presentata e discussa il 21 ottobre 2009 davanti all'Assemblea del Senato, che ha poi approvato al riguardo uno specifico atto di indirizzo al Governo, teso a favorire una sempre più efficace attività di prevenzione e di contrasto al fenomeno degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali.
In modo analogo, la presente relazione intermedia intende dare conto del lavoro svolto dalla Commissione d'inchiesta durante il suo secondo anno di attività.

 


 

2. L’INCHIESTA DELLA COMMISSIONE: IL SISTEMA DELLA TUTELA DELLA SALUTE E DELLA SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO IN ITALIA

2.1. Premessa
Nel suo secondo anno di attività la Commissione d'inchiesta ha proseguito il lavoro iniziato durante il primo anno su alcuni importanti temi e, nel contempo, si è occupata di nuovi argomenti via via venuti alla sua attenzione, sempre nell'ambito dei compiti ad essa affidati dalla delibera istitutiva. Punto di partenza di questa nuova fase dell’inchiesta sono state necessariamente le conclusioni e le proposte contenute nella già citata relazione intermedia sul primo anno di attività nonché gli indirizzi al Governo impartiti dall'Assemblea del Senato nella risoluzione approvata il 21 ottobre 2009 a esito del relativo dibattito. In questo atto di indirizzo, nel dare atto dei significativi progressi conseguiti nel contrasto agli incidenti mortali ed agli infortuni sui luoghi di lavoro, anche grazie all'adozione di un corpus organico di norme, si è posto l’accento sulla necessità di pervenire, in tempi rapidi, ad una serie di ulteriori interventi che assicurino una rapida e completa attuazione della nuova normativa di riferimento introdotta dalla legge delega 3 agosto 2007, n. 123 e dal relativo decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (detto spesso, sia pure impropriamente, «Testo unico» delle disposizioni in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro), come modificato dal decreto legislativo 3 agosto 2009, n. 106.
Sul piano operativo l’atto d'indirizzo in parola sottolinea la necessità di intensificare le azioni di prevenzione e vigilanza, di contrasto ai fenomeni del lavoro sommerso ed irregolare, di semplificazione delle procedure e degli adempimenti di carattere amministrativo, di attivare percorsi che facilitino il coordinamento e la collaborazione fra i diversi enti istituzionali che si occupano della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, di pervenire ad iniziative legislative che tendano all'eliminazione del criterio del massimo ribasso d'asta quale parametro di selezione delle offerte nelle gare d'appalto, di completare l’introduzione, nelle scuole di ogni ordine e grado, di moduli didattici dedicati alla tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro.
Accanto al lavoro svolto su queste tematiche specifiche, quindi, anche nel suo secondo anno di attività la Commissione ha dovuto confrontarsi innanzitutto con le novità e i problemi legati all'attuazione della riforma introdotta in materia di salute e sicurezza sul lavoro dal Testo unico, come modificato dal successivo decreto legislativo n. 106 del 2009. Come si dirà meglio nel prosieguo, si tratta di un processo ancora in fase di completamento, anche se molti e importanti progressi sono stati compiuti. La Commissione ha seguito e continua a seguire con grande attenzione questo tema (al quale ha dedicato anche uno specifico gruppo di lavoro, coordinato dalla senatrice Donaggio), trattandosi di un passaggio decisivo per qualsiasi politica di prevenzione e di contrasto al fenomeno degli infortuni e delle malattie professionali.


2.2. Il monitoraggio sull’attuazione della nuova disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro: il completamento del «Testo unico»
Qualunque analisi dei problemi della tutela della salute e della sicurezza del lavoro in Italia deve oggi necessariamente confrontarsi con la nuova disciplina in materia recata dalla legge delega n. 123 del 2007 e, soprattutto, dal relativo decreto legislativo n. 81 del 2008 (il già citato «Testo unico») alla cui stesura, sul finire della precedente legislatura, ha peraltro significativamente contribuito la stessa Commissione d'inchiesta. Come già ricordato nella precedente relazione intermedia, con l’adozione della nuova disciplina, l’ordinamento italiano ha riunito per la prima volta in un corpus finalmente organico ed esaustivo le varie norme di una materia complessa e multiforme e definito in maniera puntuale istituti e figure prima non chiaramente riconoscibili. Ciò ha comportato notevoli esigenze di adeguamento per tutti i soggetti pubblici e privati coinvolti nel sistema della prevenzione degli infortuni e delle malattie sul lavoro, ponendo una serie di problemi interpretativi e applicativi nonché, soprattutto da parte del mondo imprenditoriale, richieste di semplificazione di alcuni adempimenti ritenuti eccessivamente formali o burocratici e di rimodulazione dell’apparato sanzionatorio.
Il successivo decreto legislativo n. 106 del 2009 ha apportato corre-zioni ed integrazioni al Testo unico. La Commissione d'inchiesta ha seguito con attenzione l’iter di elaborazione e di approvazione del nuovo testo, fornendo anche le proprie osservazioni e valutazioni al Governo e alle Commissioni di merito.
La disciplina risultante è sicuramente esaustiva e in linea con gli standard giuridici comunitari ed internazionali, come la Commissione ha avuto modo di verificare nel corso di una missione conoscitiva compiuta nell'ottobre 2008 in Francia, Germania e Regno Unito (si veda la precedente relazione intermedia) e anche in una serie di confronti con i rappresentanti dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) delle Nazioni Unite e dell’Unita salute, sicurezza e igiene sul lavoro della Commissione europea, auditi rispettivamente il 26 gennaio e il 3 marzo 2010. Naturalmente molte questioni rimangono ancora aperte ed occorrerà verificare concretamente l’efficacia della nuova disciplina, la cui attuazione non è purtroppo ancora completa.
Proprio per la sua importanza, dunque, il monitoraggio della riforma, del suo iter di attuazione e dei relativi problemi, resta uno dei temi centrali dell’inchiesta della Commissione che, anche attraverso il già citato gruppo di lavoro coordinato dalla senatrice Donaggio, ha avviato un costante confronto con tutti i vari soggetti pubblici e privati chiamati ad elaborare ed applicare le nuove disposizioni. Nel suo secondo anno di attività, quindi, la Commissione ha verificato con attenzione questi processi di recepimento, confrontandosi con vari interlocutori, soprattutto nel corso delle numerose missioni effettuate sul territorio, sia relativamente agli aspetti della riforma già completati, sia per quanto concerne i profili ancora in corso di definizione normativa.
Il quadro che emerge è, come sempre, molto variegato: da un lato infatti si nota un concreto sforzo di adeguamento da parte delle amministrazioni pubbliche coinvolte (enti locali e istituti di controllo) e delle parti sociali (imprese e rappresentanti dei lavoratori), segno di una tangibile maturazione di quella «cultura della sicurezza» da più parti invocata ed auspicata come il più efficace strumento per la prevenzione e la riduzione di incidenti e di malattie sui luoghi di lavoro. Dall'altro lato, però, si confermano alcuni ritardi ed incertezze, legati in parte all'obiettiva complessità delle norme e dei connessi adempimenti tecnici, in parte alle differenti capacità organizzative e strutturali che si riscontrano, inevitabilmente, nelle varie parti d'Italia.
Una parte dei problemi derivano ovviamente anche dal fatto che, come già rilevato, esistono parti della riforma ad oggi non ancora attuate, soprattutto per la mancata emanazione di una serie di provvedimenti secondari ai quali il decreto legislativo n. 81 del 2008 demanda espressamente la regolazione di molti aspetti di dettaglio della materia. Al fine di approfondire ulteriormente la questione e di concorrere, nell'ambito delle sue competenze, ad individuare possibili soluzioni, la Commissione ha recepito costantemente le segnalazioni, le osservazioni e i suggerimenti sui risvolti pratici dell’applicazione della riforma provenienti dal territorio e dai principali attori istituzionali e sociali, avviando infine un'interlocuzione diretta con tutti i soggetti direttamente responsabili dell’elaborazione e dell’attuazione della normativa, in particolare il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministero della salute e la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.


2.3. Il ruolo delle amministrazioni centrali
La responsabilità maggiore nel processo di attuazione del Testo unico ricade, ovviamente, sugli Uffici del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in rappresentanza del quale la Commissione, nella seduta del 9 giugno 2010, ha audito il dottor Lorenzo Fantini, responsabile per la pro-mozione della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro - Divisione III, della Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro. Egli ha ricordato anzitutto che i vari decreti ministeriali e regolamenti ai quali il decreto legislativo n. 81 demanda il completamento della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro sono in corso di istruttoria presso la competente Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro prevista dall'articolo 6 dello stesso Testo unico. La Commissione consultiva ha costituito allo scopo una serie di gruppi di lavoro (attualmente nove), che si stanno occupando dei vari temi.2 I gruppi svolgono quindi un'attività prodromica all'elaborazione di provvedimenti essenziali per l’attuazione del Testo unico, mediante un costante e articolato confronto con le Regioni e le parti sociali: il risultato dell’attività è poi presentato al plenum della Commissione consultiva per la stesura definitiva dei testi normativi.
Il dottor Fantini ha illustrato il quadro complessivo delle attività già completate ovvero ancora in corso di realizzazione. Tali indicazioni devono essere integrate con i successivi aggiornamenti forniti alla Commissione sia dagli Uffici del Ministero del lavoro, al fine di tenerla periodicamente informata sull'andamento del processo di attuazione del Testo unico, sia dallo stesso ministro Sacconi, nel corso delle due audizioni svolte il 21 luglio e il 13 ottobre 2010.
Tra i temi più importanti affrontati dai gruppi di lavoro della Commissione consultiva permanente sono stati richiamati la creazione di un sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi (che include la cosiddetta «patente a punti» per l’edilizia) di cui agli articoli 6 e 27 del Testo unico, la predisposizione delle linee guida relative allo stress lavoro-correlato e quello della formazione.
Il dottor Fantini si è poi soffermato su un aspetto particolarmente delicato ed importante dell’attuazione della nuova disciplina normativa, ossia lo stanziamento dei fondi per le azioni promozionali di cui all'articolo 11 del decreto legislativo n. 81 del 2008. Si tratta delle risorse destinate a finanziare quelle attività di formazione-informazione, considerate da sempre come uno degli strumenti essenziali per un'efficace azione di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali. Sebbene i vincoli di finanza pubblica degli ultimi anni abbiano, inevitabilmente, limitato l’ammontare delle risorse disponibili, ciononostante nell'ultimo triennio sono stati mobilitati fondi importanti:3 nel 2008, 50 milioni di euro, di cui 20 milioni di euro per attività di comunicazione istituzionale sulla materia della salute e sicurezza, e 30 milioni di euro per una campagna straordinaria di formazione su base regionale. Tali somme sono state regolarmente impegnate e sono a disposizione per le relative attività; a ciascuna Regione è stato chiesto da parte del Ministero del lavoro - per ottenere l’erogazione - di presentare un programma di attività formative coerenti con i contenuti dell’Accordo e si è già provveduto, sempre da parte del Ministero del lavoro, a erogare le somme alle Regioni adempienti.
In particolare, a valere su tali fondi il Ministero del lavoro ha avviato lo scorso 23 agosto una campagna di comunicazione integrata dedicata alla salute e alla sicurezza sul lavoro. La campagna durerà diversi mesi e si svolgerà in televisione (i relativi spot sono già in visione), sui giornali e su altri mezzi di comunicazione, anche telematici e interattivi.
Per il 2009 sono stati stanziati oltre 37 milioni di euro, così ripartiti: a) 5 milioni di euro destinati a progetti di investimento in materia di salute e sicurezza per le piccole e medie imprese; b) 27 milioni di euro per il finanziamento di progetti formativi sugli stessi temi, dei quali oltre 14 da impegnare in una campagna nazionale di formazione (le cui finalità e caratteristiche vengano definite con accordo tra le parti sociali, da recepire in un bando INAIL), e 13 da impegnare su base regionale; c) 5 milioni di euro riservati al finanziamento di attività di istituti scolastici, universitari e di formazione dirette a inserire nei rispettivi programmi il tema della salute e sicurezza sul lavoro. Al riguardo, è già stato predisposto il relativo decreto interministeriale.
Per provvedere alle erogazioni, sono in preparazione i bandi INAIL per il finanziamento delle attività di cui ai precedenti punti a) e b) (nel limite di 14 milioni di euro). Per quanto riguarda il trasferimento delle somme di cui al punto c), destinate a finanziare l’inserimento della salute e sicurezza nei programmi scolastici e universitari a partire dall'anno scolastico 2010-2011, è stata predisposta una Carta d'intenti tra Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e INAIL e avviata un'apposita «cabina di regia» che dovrà stabilire le linee guida di tale attività.
Mentre le risorse relative al 2008 e al 2009 sono state già stanziate ed impegnate (e quelle del 2008 anche in gran parte distribuite), per il 2010 il relativo decreto di riparto è stato inviato alla Conferenza Stato-Regioni, che ha già espresso parere favorevole. In particolare, sono previsti 36 milioni di euro, di cui: a) 20 milioni di euro per il finanziamento di attività promozionali per le piccole e medie imprese, dei quali 15 relativi all'acquisto di attrezzature di lavoro (in particolare agricole) rispettose delle previsioni comunitarie di riferimento e 5 per favorire l’adozione di modelli di organizzazione e gestione della sicurezza da parte di tali imprese; b) circa 11 milioni di euro per attività formative su base regionale, in continuità con le scelte operate per il 2008 e il 2009; c) 5 milioni di euro per il finanziamento di attività di istituti scolastici, universitari e di formazione dirette a inserire nei rispettivi programmi il tema della salute e sicurezza sul lavoro.
Per quanto riguarda la messa a norma delle attrezzature di lavoro, si tratta di un tema assai rilevante, del quale anche la Commissione si è a lungo occupata. Come infatti essa ha più volte segnalato (si veda ad esempio la precedente relazione intermedia sull'attività svolta), uno dei problemi da affrontare dal punto di vista della sicurezza è quello relativo al fatto che talune attrezzature da lavoro, pur essendo marcate CE e quindi presumibilmente conformi alle normative comunitarie, in realtà hanno spesso una intrinseca pericolosa nel loro utilizzo. Per tale ragione la Commissione d'inchiesta ha proposto più volte lo stanziamento di fondi per favorire la sostituzione o la messa in sicurezza delle attrezzature non idonee, proposta formalizzata da ultimo anche nell'impegno al Governo contenuto nella già citata risoluzione del 21 ottobre 2009, approvata dall'Assemblea del Senato.
Come si dirà meglio più avanti nel paragrafo 5.2, il Governo ha dato una prima risposta concreta a questo impegno con il decreto-legge n. 40 del 2010 (convertito nella legge n. 73 del 2010), contenente alcune misure per favorire la sostituzione e la rottamazione di taluni macchinari ed attrezzature per l’agricoltura e l’edilizia. Si intende ora integrare questo intervento dedicando 15 milioni di euro dei fondi 2010 di cui all'articolo 11 del Testo unico al finanziamento della messa a norma delle attrezzature di lavoro, attraverso l’acquisto di attrezzature coerenti con l’ultima «direttiva macchine», recepita a gennaio di quest'anno; o, meglio ancora, la messa in sicurezza delle attrezzature, in particolare agricole, acquistate prima del 1996 e quindi dell’entrata in vigore della cosiddetta «direttiva macchine», moltissime delle quali sono ancora in circolazione ed intrinsecamente pericolose (in quanto la direttiva ha continuato ad ammettere l’utilizzo di attrezzature non coerenti con la marcatura CE, a patto che garantissero condizioni di sicurezza, cosa che non sempre si verifica).
Legato a tale questione è il decreto per l’individuazione delle modalità per l’effettuazione delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro e dei criteri per l’abilitazione dei soggetti pubblici o privati legittimati a realizzare tali verifiche (articolo 71, comma 13, del decreto legislativo n. 81 del 2008). Secondo gli ultimi aggiornamenti forniti alla Commissione, alla fine del mese di luglio è stata predisposta la versione consolidata del testo che sarà, a breve, trasmessa alla Conferenza Stato-Regioni.
Altro aspetto della normativa in corso di definizione è quello riguardante gli accordi di formazione, di cui agli articoli 34 e 37 del Testo unico, che individuano rispettivamente le caratteristiche della formazione del datore di lavoro che intenda svolgere in proprio il servizio di prevenzione e protezione, e la formazione del lavoratore. In proposito, il dottor Fantini ha evidenziato il positivo esito dei confronti svolti con le Regioni e le parti sociali, che hanno suggerito l’opportunità di ampliare la portata originaria del provvedimento allo studio, individuando i contenuti, le modalità e gli orari (in termini di numero di ore) della formazione non più solo dei lavoratori, ma anche dei dirigenti e dei preposti, poiché costoro hanno un ruolo fondamentale in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Il provvedimento dovrebbe quindi essere presto sottoposto al vaglio della Conferenza consultiva permanente, per completare l’iter di approvazione, così come un altro provvedimento in avanzata fase di elaborazione, riguardante l’attuazione dell’articolo 71 sulla verifica delle attrezzature di lavoro.
Infine, nella sua relazione il dottor Fantini ha richiamato il provvedimento per la creazione e il funzionamento del Sistema informativo nazionale per la prevenzione (SINP), di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 81 del 2008. Si tratta di una fondamentale banca dati, gestita dall'INAIL e destinata a riunire tutti i dati inerenti agli infortuni sul lavoro, alle malattie professionali e alle attività di prevenzione e vigilanza svolte dai vari enti competenti. Di conseguenza, oltre a consentire una più efficace rilevazione statistica del fenomeno degli infortuni e delle malattie professionali, il SINP potrebbe rappresentare uno strumento decisivo ai fini del coordinamento degli interventi di prevenzione e di controllo, in quanto consentirebbe di evitare sovrapposizioni tra le attività svolte dagli Ispettorati del lavoro e dalle ASL e quindi di finalizzare meglio l’utilizzo delle risorse per la vigilanza su base territoriale, eliminando appunto quelle duplicazioni che sono state segnalate più volte anche dalla Commissione d'inchiesta.
A tal fine, sarebbe opportuno che l’avvio del nuovo sistema fosse affiancato dall'introduzione di procedure e documenti uniformi di rilevazione da parte dei vari corpi ispettivi (ad es., un modello unificato di verbale). Oltre ad evitare le duplicazioni già richiamate, Ciò consentirebbe un più facile confronto, inserimento ed elaborazione delle informazioni raccolte nella costituenda banca dati, agevolando notevolmente il lavoro. Si tratta di una proposta avanzata alla Commissione anche dai rappresentanti di taluni corpi ispettivi nel corso dei numerosi sopralluoghi effettuati sul territorio.
Purtroppo, la creazione del SINP ha richiesto più tempo del previsto, per la necessità di stabilire i necessari protocolli d'intesa fra l’INAIL (in qualità di gestore della banca dati) e le altre amministrazioni che si occupano di salute e sicurezza sul lavoro, specialmente per verificare il delicato aspetto della tutela dei dati sensibili personali. In base all'ultimo aggiornamento fornito dal ministro Sacconi nell'audizione del 13 ottobre, gli Uffici del Ministero hanno, nella seconda meta del mese di luglio, licenziato il testo del provvedimento di attuazione, che sarà quindi a breve sottoposto al parere informale del Garante per la privacy e successivamente portato all'attenzione della Conferenza Stato-Regioni ai fini dell’adozione definitiva.
L’ampio quadro fornito testimonia la complessità del processo di attuazione della normativa del Testo unico, proprio a causa della scelta operata dal legislatore di rinviare la regolazione degli aspetti di dettaglio della materia all'emanazione di ulteriori provvedimenti. Si tratta da un lato di atti di legislazione secondaria (come i decreti ministeriali ed interministeriali), dall'altro di accordi sindacali (come già nel decreto legislativo n. 626 del 1994), nell'ambito di una competenza di regolamentazione «tripartita» che implica la necessità di confronti ampi ed articolati fra tre diverse serie di soggetti, ossia le Amministrazioni centrali competenti, le Regioni e le parti sociali. Tali confronti ovviamente, per la complessità e la rilevanza dei temi trattati, non possono esaurirsi in tempi brevi, anche se molto lavoro è già stato fatto e molti dei dossier ancora pendenti sono ormai in avanzato stato di definizione. Come già detto, gli Uffici del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, su disposizione dello stesso ministro Sacconi, hanno iniziato a fornire alla Commissione d'inchiesta un aggiornamento periodico sull'andamento del lavoro della Commissione consultiva permanente, così da facilitare l’attività di monitoraggio di questo fondamentale processo.
Dopo la sua ricostituzione nel dicembre 2009, una parte delle competenze relative all'attuazione della nuova disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro è passata al Ministero della salute, e precisamente alla Direzione generale della prevenzione sanitaria, i cui rappresentanti sono stati auditi dalla Commissione d'inchiesta nella seduta del 15 giugno 2010. Il direttore generale, dottor Fabrizio Oleari, ed il dottor Giancarlo Marano, dirigente dell’Ufficio II, hanno riferito anzitutto sul tema delle malattie professionali, che forma oggetto precipuo dell’attività del Ministero e per la cui trattazione si rinvia all'apposito paragrafo 4.2 di questa relazione. In merito all'attuazione del Testo unico, gli auditi hanno confermato ed integrato le informazioni già fornite dal dottor Fantini, sottolineando come il lavoro, per la parte di loro competenza, si stia concentrando sull'esigenza di rendere coerente con l’impianto normativo del decreto legislativo n. 81 del 2008 la disciplina di alcuni specifici settori, che non sono stati inseriti nel cosiddetto Testo unico in quanto regolati da leggi ad hoc.
Mentre in alcuni casi, ad esempio nel settore dei lavoratori marittimi e portuali (decreti legislativi nn. 271 e 272 del 1999) e in quello ferroviario (legge n. 191 del 1974), il lavoro di adeguamento normativo si è rivelato più complesso del previsto e ha richiesto un allungamento dei tempi, sono ormai in dirittura di arrivo i decreti di attuazione riguardanti altri settori, come il Ministero della giustizia ed il Ministero dell’istruzione, non-che il decreto sulle ferrovie in materia di primo soccorso. Ugualmente a buon punto risulta la stesura del decreto per la modifica dell’allegato 3B dell’articolo 40 del decreto legislativo n. 81 del 2008. Questo è di estrema importanza per le segnalazioni sanitarie da parte dei medici competenti e anche per la revisione di cartelle sanitarie e di rischio.
Un aspetto molto importante riguarda poi l’avvio delle attività del Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento delle attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro, previsto dall'articolo 5 del decreto legislativo n. 81.4 Al Comitato spetta infatti dare gli indirizzi per quanto riguarda le politiche nazionali del settore e il coordinamento a livello nazionale della vigilanza. Strumento indispensabile per l’espletamento di questa funzione è però il già citato Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP), che riveste quindi un ruolo veramente strategico e alla cui implementazione (che dovrebbe avvenire in tempi ravvicinati) anche il Ministero della salute sta dando il suo contributo. I rappresentanti del Ministero hanno sottolineato in particolare l’importanza del SINP per la rilevazione e l’emersione delle malattie professionali, fenomeno complesso e ancora in parte sottostimato.


2.4. Il ruolo delle Regioni e delle Province autonome
Un ruolo decisivo nel processo di attuazione del Testo unico spetta alle Regioni, e sembra opportuno al riguardo richiamare alcuni aspetti di carattere ordinamentale. In primo luogo, l’articolo 117, terzo comma, della Costituzione definisce la tutela e la sicurezza del lavoro, così come quella della salute, materie di «legislazione concorrente» tra Stato e Regioni. Inoltre, l’articolo 1, comma 3, del decreto legislativo n. 81 del 2008 prevede espressamente che le disposizioni del decreto stesso concernenti ambiti di competenza delle Regioni e delle Province autonome siano applicate «nell'esercizio del potere sostitutivo dello Stato e con carattere di cedevolezza», ovvero fino all'eventuale approvazione di una normativa propria da parte delle Regioni e delle Province autonome.
D'altra parte, l’eventuale emanazione di norme regionali o provinciali trova un limite preciso nel comma 1 del medesimo articolo 1 del Testo unico, secondo il quale le disposizioni in materia di salute sicurezza nei luoghi di lavoro devono in ogni caso garantire «l’uniformità della tutela delle lavoratrici e dei lavoratori sul territorio nazionale attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche con riguardo alle differenze di genere, di età e alla condizione delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati».
La Commissione d'inchiesta, nel corso della sua attività, si è sempre posta con grande attenzione il problema di garantire un'applicazione uni-forme della normativa su tutto il territorio nazionale, proprio per evitare che, a fronte della suddetta competenza legislativa concorrente, potessero un giorno determinarsi pericolose asimmetrie normative tra una Regione e l’altra in una materia cosi delicata come la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. Dal punto di vista strettamente giuridico-formale, la possibilità esiste perché, in base alla clausola di cedevolezza prima richiamata, se una Regione volesse emanare una normativa in deroga alle previsioni del Testo unico potrebbe farlo, a meno che non vada ad incidere sui livelli essenziali delle prestazioni. In proposito, tuttavia, i dirigenti dei Ministeri e gli stessi Ministri della salute e del lavoro e delle politiche sociali, nel corso delle audizioni svolte dalla Commissione, hanno confermato che tutte le Regioni e le Province autonome hanno finora avuto un atteggiamento molto collaborativo e responsabile, poiché esse stesse si rendono conto che una normativa differenziata sul territorio nazionale rappresenterebbe un problema per tutti.
Anche per verificare tali aspetti, la Commissione ha audito, nella seduta dell’8 luglio 2010, i rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome. (Essi si sono soffermati anche sulla questione delle malattie professionali, della quale si dirà meglio nel successivo paragrafo 4.2.) Per quanto riguarda l’attuazione della disciplina del Testo unico, gli auditi hanno evidenziato come le Regioni siano attivamente impegnate in tale processo, attraverso tre livelli di interventi: quello della partecipazione all'elaborazione della normativa statale, quello dell’integrazione delle leggi statali mediante la normativa regionale e, infine, quello della programmazione e del coordinamento, attraverso gli appositi comitati, degli interventi nei singoli territori. Il primo livello è quello della partecipazione all'elaborazione normativa, nell'ambito del principio di «leale collaborazione» con lo Stato che trova nella Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome la sua sede di svolgimento istituzionale. Attraverso il supporto di uno specifico Coordinamento tecnico, articolato in gruppi di lavoro tematici interregionali, le Regioni e le Province autonome contribuiscono alla stesura degli atti normativi statali, compresi quelli di attuazione del Testo unico predisposti nell'ambito della Commissione consultiva permanente. Tra i provvedimenti già completati sono senz'altro da citare, perché investono direttamente la competenza regionale, quelli riguardanti l’articolo 7 (comitati regionali di coordinamento), dell’articolo 11 (piani formativi regionali) e dell’articolo 13 (utilizzo delle sanzioni amministrative). Per quanto riguarda i dossier ancora in corso di elaborazione, sono state sostanzialmente confermate le indicazioni già acquisite dalla Commissione nelle audizioni con i funzionari dei competenti Uffici ministeriali, anche riguardo ai tempi di emanazione degli atti definitivi.
La collaborazione tra Stato e Regioni per l’attuazione della nuova disciplina della sicurezza sul lavoro sembra dunque aver dato, finora, risultati abbastanza incoraggianti. Dopo alcune innegabili difficoltà iniziali, i meccanismi di coordinamento tra amministrazioni centrali e territoriali cominciano infatti a funzionare in maniera positiva, sia sul fronte dell’elaborazione dei testi normativi che su quello delle azioni concrete per la prevenzione ed il contrasto agli incidenti e alle malattie del lavoro. Pur rivendicando il rispetto dell’autonomia legislativa e operativa garantita loro dalla Costituzione e pur tenendo conto della diversa valutazione talora intervenuta su singole tematiche, Regioni e Province autonome hanno lavorato in modo concertato con le competenti amministrazioni statali per la produzione dei vari provvedimenti attuativi del Testo unico che stanno finalmente giungendo al termine del loro iter. Anche se si sono accumulati ritardi a volte pesanti, il metodo di lavoro pare ormai consolidato e lascia ben sperare per il futuro.
Lo stesso metodo si è affermato nel secondo livello d'intervento delle Regioni, ossia nell'adattamento delle leggi dello Stato al contesto economico e produttivo territoriale mediante la legislazione regionale, con particolare riguardo agli aspetti della cultura della prevenzione attraverso gli interventi di formazione ed informazione dei lavoratori e di sensibilizzazione delle imprese con la previsione di un sistema premiale delle cosiddette imprese virtuose. Tali interventi sono finanziati con i fondi delle azioni promozionali di cui all'articolo 11 del Testo unico, già richiamati in precedenza e, che come si è detto, sono stati in parte distribuiti solo per il 2008, in quanto è l’unico anno per il quale le Regioni abbiano già presentato i relativi progetti da finanziare (per il 2009 le risorse sono comunque impegnate e disponibili, mentre per il 2010 si è in attesa di formalizzare l’apposito decreto interministeriale di riparto). Sulla base di quanto comunicato dagli auditi, a luglio 2010 l’erogazione dei finanziamenti si era avuta in circa la meta delle Regioni e delle Province autonome, mentre per altre la procedura era stata avviata solo recentemente. Le Regioni che hanno ricevuto i finanziamenti hanno in gran parte già attuato (o comunque approvato e messo a regime) i bandi per la realizzazione dei progetti di formazione.
Per quanto riguarda il terzo livello di intervento, ossia quello relativo alla programmazione e al coordinamento sul territorio delle varie attività in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, questo si esplica attraverso i citati comitati regionali di coordinamento, già introdotti dall'articolo 27 del decreto legislativo n. 626 del 1994 e ribaditi dall'articolo 7 del decreto legislativo n. 81 del 2008. Secondo tale disposizione, essi hanno il fine specifico di realizzare una programmazione coordinata di interventi, nonché l’uniformità degli stessi ed il necessario raccordo con il Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale delle attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro e con la Commissione consultiva permanente. Come spesso segnalato anche dalla Commissione d'inchiesta, infatti, l’eccessiva frammentazione e mancanza di coordinamento tra i diversi livelli territoriali e tra le varie amministrazioni competenti è da sempre uno degli aspetti maggiormente critici del sistema di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro in Italia.
I comitati regionali di coordinamento, secondo quanto riferito in audizione dai rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, sono ormai attivi in tutte le Regioni e si stanno dimostrando un'esperienza molto positiva, posto che nell'ambito di tali comitati e risultato possibile pianificare l’attività di prevenzione e di vigilanza, anche in maniera integrata tra le ASL, l’INAIL, l’INPS e le Direzioni provinciali del lavoro, creando tra le organizzazioni delle interrelazioni positive ed evitando sovrapposizioni e duplicazioni. Ad esempio, è stato sottolineato - a livello regionale - il rafforzamento della cooperazione tra Direzioni regionali del lavoro e Direzioni regionali dell’INAIL, e soprattutto - a livello di territorio - tra ASL e Direzioni provinciali del lavoro. Sono molte ad esempio le esperienze di condivisione di sistemi informativi tra i due tipi di amministrazione, così come gli interventi congiunti nell'ambito del controllo della regolarità e della sicurezza del lavoro in edilizia (posto che i due aspetti non sono scindibili).
I comitati regionali di coordinamento dovrebbero quindi essere anche lo strumento privilegiato per la concreta attuazione degli impegni assunti da Regioni, Province autonome e Ministeri con il «Patto per tutela della salute e la prevenzione nei luoghi di lavoro»5 siglato il 1° agosto 2007 in sede di Conferenza Stato-Regioni e che, integrando il «Patto per la salute» approvato dal Ministero della salute con le Regioni e le Province autonome, costituisce ancora oggi un fondamentale documento di riferimento per lo svolgimento delle azioni a tutela della salute e della sicurezza del «cittadino che lavora», nel rispetto di criteri e vincoli omogenei su tutto il territorio nazionale.
Infine, anche i rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome hanno ribadito alla Commissione d'inchiesta l’importanza fondamentale dell’avvio del Sistema informativo nazionale per la prevenzione (SINP), anche per consentire la messa in comune delle numerose risorse informative già presenti sul territorio presso le varie amministrazioni, confermando nel contempo il loro impegno alla realizzazione del progetto nell'ambito dei lavori coordinati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
In definitiva, alla luce delle informazioni acquisite dalla Commissione d'inchiesta, si può senz'altro affermare che le Regioni e le Province autonome, nell'ambito delle loro competenze, stiano portando avanti l’attuazione della nuova disciplina in materia di salute e sicurezza sul lavoro in maniera sempre più convinta, in stretto raccordo con lo Stato centrale. Ciononostante, esistono tuttora una serie di difficoltà: a parte la inevitabile dialettica che, anche in questo campo, informa talvolta i rapporti tra istituzioni centrali e periferiche, richiedendo una non facile opera di mediazione, l’aspetto più problematico è il recepimento ancora troppo disomogeneo e squilibrato del nuovo quadro normativo e istituzionale da una Regione all'altra. Si tratta di un fenomeno segnalato esplicitamente dai rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome nell'audizione dell’8 luglio e che la stessa Commissione d'inchiesta ha potuto più volte riscontrare direttamente nel corso delle varie missioni conoscitive sul territorio. L’esempio più significativo è quello del coordinamento: se infatti l’esperienza dei comitati regionali è certamente positiva, è però vero che questi non funzionano ancora con la stessa efficacia in tutte le parti d'Italia e che in taluni contesti il dialogo tra i vari soggetti istituzionali è ancora faticoso, ostacolato da logiche burocratiche e da reciproche diffidenze. Naturalmente, su questi aspetti incide molto anche il grado di sviluppo del tessuto economico-produttivo e delle relazioni sindacali dei singoli territori, che è inevitabilmente diverso nelle varie zone del Paese.
Un contributo decisivo può venire allora dal rafforzamento progressivo dell’attività negli organismi di programmazione e di coordinamento nazionali (Commissione consultiva permanente e Comitato per l’indirizzo e la valutazione) e locali (comitati regionali), che sono infatti le sedi istituzionali di confronto e di valutazione alle quali la nuova disciplina ha affidato l’elaborazione, il coordinamento e il controllo delle politiche in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Purtroppo, come si è visto in precedenza, anche l’avvio di questi organismi (a livello centrale e, soprattutto, locale) ha subito una serie di ritardi e questo fatto, proprio in conseguenza del ruolo strategico che gli enti in questione rivestono, ha inevitabilmente condizionato anche molti degli altri passaggi necessari al completamento dell’attuazione del Testo unico. Per raggiungere finalmente questo obiettivo e realizzare così un efficace sistema di prevenzione e di contrasto al fenomeno degli infortuni e delle malattie professionali, dunque, appare essenziale assicurare il pieno funzionamento degli organismi di programmazione e di coordinamento, centrali e periferici, per stimolare, indirizzare e controllare l’attività dei soggetti pubblici e privati coinvolti, a vario titolo, in questo complesso settore.
Legato a questo discorso è poi un altro tema, sottoposto spesso all'attenzione della Commissione proprio dai rappresentanti delle Regioni incontrati nel corso dei vari sopralluoghi sul territorio. Si tratta di un problema tecnico che incide fortemente sull'attività di vigilanza e, quindi, di prevenzione, vale a dire il fatto che i metodi di rilevazione e di controllo applicati nei luoghi di lavoro siano spesso molto (troppo) differenti a seconda delle strutture di vigilanza che li attuano e degli indirizzi regionali, il che spiegherebbe anche le notevoli disparita dell’attività di ispezione dichiarata da Regione a Regione e da ufficio ad ufficio.
Al riguardo, sarebbe dunque necessario uniformare il più possibile tali prassi, anche mediante l’adozione di schede o modelli di rilevazione comuni nei quali trasferire i dati raccolti. Come già accennato nel paragrafo 2.3, tale aspetto assume particolare interesse anche alla luce dell’istituendo Sistema informativo nazionale per la prevenzione (SINP), che dovrebbe tra l’altro raccogliere tutte le informazioni sulle attività di vigilanza effettuate per consentire analisi e programmare i futuri interventi in modo più integrato. Oltre a favorire la raccolta, l’elaborazione e il confronto dei dati, l’adozione di procedure e modelli di rilevazione comuni, aiuterebbe ad evitare disomogenea nella rappresentazione dei risultati dell’attività ispettiva e quindi degli stessi fenomeni osservati.


2.5. Il ruolo delle parti sociali
Un ruolo decisivo nell'attuazione della nuova disciplina spetta, per espresso dettato normativo, anche alle parti sociali (imprese e lavoratori), i cui rappresentanti siedono negli organismi di programmazione e di coordinamento nazionali (Commissione consultiva permanente e Comitato per l’indirizzo e la valutazione) e locali (comitati regionali) e sono impegnati, al pari dei rappresentanti delle amministrazioni centrali e regionali, per il conseguimento di tale obiettivo. Occorre, però , anche in tal caso, uno sforzo maggiore, per superare le innegabili difficoltà e lacune che ancora rimangono e che la Commissione ha potuto verificare durante la sua inchiesta.
Nel corso delle numerose missioni sul territorio, infatti, la Commissione ha incontrato e ascoltato i rappresentanti delle imprese e dei lavoratori di tutti i settori produttivi e di varie parti d'Italia, che hanno fornito un quadro conoscitivo ampio e variegato dei progressi, ma anche delle difficoltà che, dal loro punto di vista, registrano ogni giorno nell'applicazione concreta della nuova disciplina. Ovviamente, come già detto esistono talora forti differenze tra settori e territori, dovuti al differente livello di sviluppo economico e delle relazioni industriali, ma è comunque possibile individuare alcune tendenze generali.
Anzitutto, si deve segnalare una crescente presa di coscienza generale dei problemi della sicurezza e la realizzazione concreta di azioni per rafforzare la tutela dei lavoratori, in uno sforzo finalmente sinergico con le istituzioni locali, in particolare con le Regioni e i Comuni. Fino a qualche tempo fa, si tendeva inevitabilmente a concentrarsi sugli aspetti più formali e burocratici del rispetto delle normative, lasciando l’adozione di misure più concrete e strutturali all'iniziativa di singole associazioni imprenditoriali o sindacali più attive ed organizzate (si pensi al settore dell’artigianato, che ha una lunga e meritoria tradizione in tal senso) che si concentravano, d'altra parte, spesso nelle zone del Paese dotate di maggiore dinamismo economico e sociale. Negli ultimi anni, fortunatamente, si è cominciato a rivolgere una maggiore attenzione all'aspetto sostanziale della sicurezza sul lavoro, insistendo molto sul concetto di prevenzione e di formazione/informazione di lavoratori e imprese.
Si tratta di un innegabile processo di crescita culturale che ha favorito la stessa emanazione della legge n. 123 del 2007 e del connesso decreto legislativo n. 81 del 2008. Tuttavia, il processo è ancora lontano dal dirsi completato: sia nel mondo imprenditoriale che, per aspetti diversi, in quello sindacale, permangono tuttora una serie di resistenze o difficoltà rispetto all'adozione di taluni aspetti della nuova disciplina, che impone necessariamente alcuni cambiamenti di mentalità e di organizzazione, nella direzione della sinergia e del coordinamento tra soggetti che perseguono finalità diverse e hanno spesso anche un diverso modo di operare. Si tratta di fenomeni noti e che vengono segnalati in questa sede solo per ribadire l’importanza di continuare a lavorare per favorire sempre di più un cambiamento culturale che non è facile, ma che risulta essenziale. D'altra parte, sia le organizzazioni datoriali che sindacali, pur con le differenze tra settori e territori delle quali si è fatto cenno, hanno dimostrato una concreta volontà di procedere in tal senso, consapevoli dell’importanza di prevenire e contrastare realmente gli infortuni e le malattie professionali nell'interesse dei loro rappresentati e della società in generale.
Nella logica del nuovo sistema delineato dal Testo unico, le istituzioni si pongono in una funzione di accompagnamento a tale processo, contribuendo ad una chiara definizione e applicazione delle norme e fornendo un supporto informativo e consultivo a imprese e sindacati. Uno strumento importante a tal fine, richiamato anche dai rappresentanti del Governo auditi dalla Commissione d'inchiesta, è quello delle intese di settore che coinvolgono sia le istituzioni che le parti sociali è che stanno dando buona prova in varie parti del Paese (ad esempio nel settore edilizio, uno dei più funestati dalla piaga degli infortuni sul lavoro). Tali intese si possono utilmente avvalere anche del contributo degli organismi paritetici previsti dall'articolo 51 del Testo unico, già esistenti o in via di formazione in vari comparti produttivi. Tali organismi, ai sensi della norma citata, possono svolgere importanti attività di formazione e consulenza alle imprese e ai lavoratori, fermo restando che la fissazione delle regole e delle procedure sulla sicurezza, così come la necessaria vigilanza sulla loro applicazione, non può che essere affidata a soggetti terzi di natura istituzionale.
Appare però essenziale potenziare al massimo il ruolo dei già citati organismi di programmazione e di coordinamento nazionali e locali, che sono appunto - per una ben precisa ed opportuna scelta del legislatore - destinati a diventare le sedi istituzionali di confronto e di raccordo tra soggetti portatori di istanze e di competenze diverse, in vista del raggiungimento del comune obiettivo di innalzare sempre più il livello di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.


2.6. Le politiche del governo: il Ministero della salute
Al fine di completare il quadro conoscitivo acquisito nelle audizioni tenute presso il Senato e nel corso dei vari sopralluoghi svolti sul territorio, la Commissione ha infine audito i Ministri dei due dicasteri competenti, ossia quello del lavoro e delle politiche sociali e quello della salute. L’obiettivo di tali incontri era non solo di fare il punto sulle attività legislative e amministrative in corso ai fini del completamento dell’attuazione del Testo unico integrando le informazioni già fornite dai funzionari dei rispettivi Ministeri, ma anche quello di conoscere, più in generale, le linee guida della politica del Governo in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
Il ministro della salute Ferruccio Fazio è stato audito dalla Commissione d'inchiesta nella seduta del 13 luglio 2010. Il Ministro ha sottolineato che la questione della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro riveste una significativa rilevanza per il Ministero della salute, sia perché rientra tra le sue funzioni istituzionali, sia perché le conseguenze invalidanti degli infortuni e delle malattie professionali comportano ogni anno ingenti costi per il servizio sanitario nazionale.
In particolare, il Ministero della salute è attivamente impegnato nella prevenzione e nel contrasto al fenomeno delle malattie professionali, i cui dati sono però (come si avrà modo di segnalare anche nell'apposito paragrafo 4.2) ancora molto sottostimati rispetto alla reale incidenza delle patologie da lavoro o lavoro-correlate. La causa fondamentale è il numero ancora troppo basso di denunce di malattia presentate all'INAIL, sebbene negli ultimi tempi vi sia stato un certo aumento: tale denuncia, infatti, oltre a garantire il lavoratore dal punto di vista assicurativo, costituisce un importante dato epidemiologico per individuare condizioni di rischio e quindi per programmare le opportune misure di prevenzione.
In relazione al completamento dell’attuazione della nuova disciplina, il ministro Fazio ha quindi ricordato i vari provvedimenti attuativi di competenza del suo Dicastero. I provvedimenti già attuati, con avvenuta pubblicazione in Gazzetta ufficiale, sono: il decreto ministeriale di istituzione dell’elenco nazionale dei medici competenti; il decreto ministeriale di istituzione del Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale delle attività di vigilanza ex articolo 5 del Testo unico. I provvedimenti in fase di avanzato perfezionamento, completati sui tavoli tecnici, in via di approvazione in sede di Conferenza Stato-Regioni e in altre sedi, sono: il decreto di istituzione del Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro; il decreto ministeriale per l’individuazione di appositi percorsi formativi universitari per lo svolgimento dell’attività di medico competente da parte di specialisti in igiene e medicina del lavoro; la bozza del decreto ministeriale per la definizione dei contenuti degli allegati 3A e 3B, riferiti rispettivamente alla cartella sanitaria e di rischio e alle modalità di trasmissione delle informazioni relative ai dati aggregati sanitari. A questi provvedimenti si deve aggiungere il decreto interministeriale per la regolamentazione del primo soccorso in ambito ferroviario (ai sensi del decreto ministeriale n. 388 del 2003 e dell’articolo 45, comma 3, del Testo unico), che ha acquisito il parere favorevole della Conferenza Stato-Regioni in data 8 luglio. Questi provvedimenti sono quindi in fase di avanzata elaborazione e, secondo le indicazioni fornite dal Ministro, potrebbero essere completati già entro la fine dell’anno.
Gli altri provvedimenti da emanare nell'ambito della competenza del Ministero della salute, come previsti dal decreto legislativo n. 81 del 2008, che si trovano in una fase meno avanzata, sono: l’aggiornamento dei modelli e delle modalità di tenuta del registro di esposizione ad agenti cancerogeni e delle cartelle sanitarie; la determinazione dei contenuti e delle modalità di tenuta, raccolta e trasmissione delle informazioni di realizzazione complessiva dei sistemi di monitoraggio del registro nazionale dei casi di neoplasia; la definizione dei modelli e delle modalità di tenuta del registro degli esposti ad agenti biologici e delle cartelle; la determinazione del modello e delle modalità di tenuta del registro dei casi di malattia e di decesso; l’emanazione di decreti ministeriali in merito alle caratteristiche minime delle attrezzature di primo soccorso e ai requisiti del personale addetto; la definizione entro due anni di linee guida per l’applicazione del capo IV del Testo unico nello specifico settore dell’utilizzo in ambito sanitario delle attrezzature di risonanza magnetica.
Il Ministro della salute si è poi a lungo soffermato sul già citato Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP), di cui all'articolo 8 del Testo unico, definito essenziale per il completamento dell’attuazione di tale disciplina. In particolare, si ritiene che il nuovo sistema potrà dare un contributo decisivo alla risoluzione del fenomeno delle sottodenunce delle malattie professionali, una volta adottato il relativo decreto di attuazione, che lo stesso ministro Fazio ha definito il «punctum dolens», posto che proprio sull'emanazione di tale provvedimento si è registrato il ritardo maggiore. Come già indicato nel paragrafo 2.3, il testo del decreto, già licenziato dagli uffici legislativi dei Ministeri coinvolti, dovrà superare la fase successiva e finale, rappresentata dal parere del Garante per i dati personali e da quello della Conferenza Stato-Regioni e potrebbe quindi essere emanato entro la fine dell’anno.
Come si è visto in precedenza, il nuovo sistema informativo identifica l’INAIL quale gestore tecnico ed informatico del SINP e fissa le regole tecniche per il funzionamento, nonché le regole per il trattamento dei dati personali. Il ministro Fazio ha evidenziato come questo sistema possa tra l’altro rappresentare un forte stimolo per la valorizzazione del ruolo del medico competente, un'altra importante novità introdotta dal decreto legislativo n. 81 del 2008. Secondo la nuova disciplina, infatti, il medico competente diventa il punto di riferimento per le informazioni sui risultati della sorveglianza sanitaria, concepita secondo le nuove funzioni, i nuovi compiti e responsabilità che gli sono state attribuiti. In questo modo, l’intento è quello di superare il modello di prevenzione legato solo al miglioramento delle condizioni di sicurezza e salute, per sostituirlo con un concetto di promozione della salute sul posto di lavoro, proprio nell'ottica della strategia europea, basata su un approccio globale del benessere sul luogo di lavoro.
Come già i funzionari del Ministero della salute auditi il 15 giugno 2010, il ministro Fazio ha sottolineato il ruolo centrale che in questa strategia rivestono non solo i servizi specialistici, ma tutti i medici operanti nel Servizio sanitario nazionale, a cominciare da quelli di medicina generale. Ciò si iscrive in una tendenza di fondo dell’assistenza medico-sanitaria: il Ministro ha infatti ricordato come i costi crescenti connessi al vigente sistema sanitario universalistico e le azioni condotte per controllarli (ad esempio le riqualificazioni delle reti ospedaliere legate all'invecchiamento progressivo della popolazione e all'aumento dell’aspettativa di vita) inducano a fare in modo che il baricentro delle cure si sposti progressivamente dall'ospedale al territorio.
Tale aspetto assume particolare rilevanza ai fini della prevenzione delle malattie professionali, che implica necessariamente un'attenta opera di formazione per tutti i medici del Servizio sanitario nazionale. Come ribadito dal ministro Fazio, l’obiettivo è quello di far sì che cultura e conoscenze specifiche non siano esclusivo appannaggio dei servizi specialistici, ma siano il più possibile diffuse nel sistema, anche presso i cosiddetti medici generici o di base, ai quali il lavoratore, come qualsiasi persona, si rivolge più frequentemente. Anche questi medici, infatti, devono essere integrati in quella rete di servizi che hanno un significato preventivo e che dovrebbero occuparsi proprio della valutazione del rischio, consentendo di fare uno screening delle persone e di individuare quelle potenzialmente più esposte, per poter in qualche modo anticipare i tempi di risposta dinanzi all'insorgere delle patologie professionali.
Nel nuovo sistema, un ruolo determinante sarà svolto dal Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale di questa materia, previsto dall'articolo 5 del decreto legislativo n. 81, recentemente insediatosi. Come già ricordato, tale Comitato, attuando la collaborazione tra Stato e Regioni, riceve i dati e le informazioni dal SINP, che si pone di nuovo come elemento centrale, e stabilisce le linee comuni delle politiche nazionali in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
Nel prendere positivamente atto del notevole impegno profuso dal Ministero della salute e dalle altre amministrazioni coinvolte nel processo di completamento e di applicazione della nuova disciplina, la Commissione d'inchiesta ha tuttavia chiesto al Ministro se, proprio per il coinvolgimento di numerose amministrazioni, centrali e periferiche, non si fossero determinate o potessero determinarsi sovrapposizioni o conflitti di competenze tra i vari soggetti, sia fra i diversi Ministeri che fra questi e le Regioni. Il ministro Fazio ha escluso tale eventualità, richiamando i vari profili della nuova normativa per la cui attuazione il Ministero della salute sta procedendo di concerto con altri Dicasteri e precisando che vi è stata finora la pili ampia collaborazione da parte di tutti, in particolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, attivamente impegnato su tale fronte. Analogamente, su altre tematiche il Ministero sta collaborando con le Regioni, attraverso la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, e anche in tal caso non si sono avuti problemi legati a conflitti o rivendicazioni di competenza, essendo tutte le amministrazioni tese a raggiungere il comune obiettivo della rapida applicazione della nuova disciplina.


2.7. Le politiche del governo: il Ministero del lavoro e delle politiche sociali
A completamento del ciclo di audizioni conoscitive volte a fare il punto sul processo di attuazione della disciplina recata dalla legge n. 123 del 2007 e dal connesso decreto legislativo n. 81 del 2008, la Commissione d'inchiesta ha infine ascoltato, nelle sedute del 21 luglio e del 13 ottobre 2010, il ministro del lavoro e delle politiche sociali Maurizio Sacconi, il quale, nell'ambito di un proficuo rapporto di collaborazione ormai instauratosi con la Commissione, ha riferito in entrambe le occasioni sullo stato del processo di attuazione e sui prevedibili tempi di completamento, soffermandosi poi sulle politiche generali che il Governo intende attuare sul tema della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
Per quanto riguarda il primo aspetto, il Ministro ha ricordato come una parte significativa delle attività per l’attuazione delle disposizioni del Testo unico si svolge nell'ambito della Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro di cui all'articolo 6 del decreto legislativo n. 81 del 2008, composta in maniera paritaria e tripartita dai rappresentanti delle amministrazioni centrali competenti, delle Regioni e delle parti sociali e articolata in nove gruppi di lavoro. Nell'aggiornare le informazioni già fornite alla Commissione d'inchiesta nell'audizione del dottor Fantini sullo stato di elaborazione dei vari provvedimenti attuativi, nell'incontro del 21 luglio il Ministro si è soffermato in particolare sull'elaborazione delle indicazioni metodologiche per la valutazione del rischio da stress lavoro-correlato di cui all'articolo 28, commi 1 e 1-bis, del decreto legislativo n. 81 del 2010, segnalando che l’oggettiva complessità della materia ha imposto l’esigenza di ulteriori approfondimenti e lo spostamento del termine di emanazione del relativo decreto dal 1° agosto al 31 dicembre 2010, sia per le pubbliche amministrazioni che per le imprese private, ai sensi dell’articolo 8, comma 12, del decreto-legge n. 78 del 2010 (convertito con modificazioni dalla legge n. 122 del 2010).
La valutazione del rischio da stress lavoro-correlato, prevista dagli articoli 28 e 29 del Testo unico, è uno degli aspetti più innovativi della nuova disciplina e anche uno dei più complessi da realizzare, per il quale non a caso si sono registrati alcuni dei maggiori problemi e ritardi. Al riguardo, secondo gli ultimi aggiornamenti forniti dal Ministro nell'audizione del 13 ottobre, il competente comitato della Commissione consultiva permanente sta lavorando per poter licenziare una bozza di documento condivisa tra Ministero del lavoro e Regioni entro il mese di ottobre, ai fini della possibile approvazione da parte della Commissione consultiva nel mese successivo. L’auspicio è quindi che il tempo aggiuntivo concesso dal legislatore possa consentire l’emanazione delle relative indicazioni metodologiche entro la fine dell’anno, anche per dare la possibilità alle amministrazioni pubbliche e ai datori di lavoro privati di effettuare i necessari adeguamenti organizzativi.
Altri documenti in fase avanzata di stesura sono le bozze di accordo in Conferenza Stato-Regioni sui contenuti e le modalità della formazione del datore di lavoro che intenda svolgere «in proprio» i compiti del Servizio di prevenzione e protezione e dei contenuti e delle modalità della formazione dei dirigenti, preposti e lavoratori (articolo 37 del Testo unico). Si prevede di addivenire rapidamente al testo definitivo, una volta verificata la coerenza con le linee guida sulla formazione professionale definite a livello nazionale tra Governo, Regioni e parti sociali il 17 febbraio 2010. Come già indicato in precedenza, il Ministro ha poi confermato i tempi brevi previsti per l’adozione del decreto interministeriale per la costituzione del già citato Sistema informativo nazionale per la prevenzione (SINP), che unificherà le informazioni sugli infortuni e sulle malattie professionali, anche ai fini delle attività di prevenzione e controllo.
Altri aggiornamenti, oltre a quelli già indicati nelle pagine precedenti, hanno riguardato la prosecuzione dei confronti, formali e informali, su alcuni dei decreti (ex articolo 3 del Testo unico) diretti a identificare le «peculiari esigenze» di determinati settori e attività, ai quali il Ministero del lavoro partecipa ai fini del necessario concerto. Tra questi sono in corso di predisposizione il decreto per la regolamentazione della disciplina di salute e sicurezza per alcune categorie di volontari (ad es., quelli della protezione civile o della Croce rossa), per il quale si prevede una rapida approvazione, e il decreto interministeriale dedicato alla segnaletica stradale per i cantieri in presenza di traffico veicolare, per il quale si è deciso di costituire un apposito gruppo tecnico per predisporre un primo testo.
Sono state poi completate le attività preparatorie del decreto per l’individuazione delle modalità per la effettuazione delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro e dei criteri per l’abilitazione dei soggetti pubblici o privati legittimati a realizzare tali verifiche (articolo 71, comma 13, del decreto legislativo n. 81 del 2008). Il testo verrà sottoposto a breve alla Conferenza Stato-Regioni. È stata altresì predisposta la bozza di decreto relativo alle autorizzazioni per i lavori sotto tensione, ex articolo 82, comma 2, del Testo unico. Infine, il Ministro ha riferito dei progressi delle riunioni preparatorie per una importante campagna nazionale per la prevenzione in edilizia, da realizzarsi con coinvolgimento delle parti sociali, del Ministero della salute, delle Regioni e dei vari organi di controllo.
Nella riunione del 21 luglio, il ministro Sacconi ha richiamato anche il trasferimento all'interno dell’INAIL delle funzioni svolte finora dall'IPSEMA (Istituto di previdenza per il settore marittimo) e dall'ISPESL (Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro) e la contestuale soppressione di tali enti, come disposto dall'articolo 7, comma 1, del decreto-legge n. 78 del 2010. Tale riforma è stata oggetto di grande attenzione, anche sui mezzi di comunicazione, in quanto va ad incidere su aspetti fondamentali dell’organizzazione del sistema della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro delineato dal Testo unico. Da più parti, si è espresso il timore che questa riorganizzazione potesse rendere più difficile o addirittura compromettere il corretto espletamento delle funzioni da trasferire, soprattutto nel caso dell’ISPESL, mentre minori problemi dovrebbero venire dalla soppressione dell’IPSEMA.
Questo è infatti un ente previdenziale e assicurativo e, per quest'ultima parte, svolge un'attività del tutto analoga a quella dell’INAIL, sia pure con riferimento allo specifico settore marittimo; del resto, i rapporti di collaborazione tra i due istituti sono sempre stati elevati, malgrado alcune difficoltà e sovrapposizioni. La Commissione aveva avuto modo di verificare direttamente tali profili già prima dell’emanazione del decreto-legge n. 78 del 2010, mediante apposite audizioni con i vertici dell’IPSEMA e dell’INAIL (rispettivamente il 19 gennaio e il 12 febbraio 2010), nell'ambito degli approfondimenti dell’inchiesta sui problemi della sicurezza nel settore marittimo e portuale (si veda il relativo paragrafo 3.4). Proprio in quella sede, la Commissione aveva suggerito un più stretto coordinamento tra i due enti, soprattutto per quanto concerne lo svolgimento delle attività di prevenzione e di formazione/informazione ai lavoratori, suggerimento che i rispettivi vertici avevano pienamente condiviso. Indipendentemente da altre valutazioni, l’accorpamento dell’IPSEMA all'interno dell’INAIL può dunque costituire l’occasione per superare finalmente tali problemi, tenendo anche conto della sostanziale omogeneità di funzioni assicurative tra i due istituti e dei vantaggi che potranno derivare da tale sinergia.
Più complesso è certamente il trasferimento di funzioni dall'ISPESL all'INAIL, sul qual non a caso si è a lungo soffermato il Ministro del lavoro nel corso dell’audizione del 21 luglio. L’ISPESL è infatti un ente di ricerca, che si pone, a norma dell’articolo 9, comma 1, del decreto legislativo n. 419 del 1999, quale «centro di riferimento nazionale di informazione, documentazione, ricerca, sperimentazione, controllo e formazione in materia di tutela della salute e della sicurezza e benessere nei luoghi di lavoro». In quanto tale, esso collabora in vari progetti di prevenzione e vigilanza con numerosi enti istituzionali, centrali e periferici, nonché con varie organizzazioni sindacali e datoriali, ed è altresì referente nazionale delle istituzioni comunitarie, in particolare dell’Agenzia europea per la salute e la sicurezza sul lavoro, per tutti i progetti in tale settore, per i quali riceve importanti finanziamenti.
Viceversa, l’INAIL è un ente con finalità precipuamente assicurative, il che potrebbe comportare la necessità di adeguamenti anche importanti sul piano organizzativo e normativo. Tali considerazioni avevano suggerito la presentazione di un ordine del giorno, sottoscritto da gran parte dei componenti della Commissione d'inchiesta, nel quale, senza entrare nel merito delle concrete scelte organizzative, si chiedeva comunque al Governo di garantire, nel nuovo assetto, la prosecuzione delle attività di ricerca finora affidate all'ISPESL, con la salvaguardia delle importanti professionalità esistenti e dei relativi finanziamenti nazionali ed esteri.6
Il ministro Sacconi ha condiviso lo spirito di tale iniziativa, assicurando la volontà del Governo di procedere in tale direzione, in un'ottica di rafforzamento e di integrazione delle funzioni, soprattutto di carattere prevenzionale, esperite dai vari enti che si occupano di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori. Nella successiva audizione del 13 ottobre 2010, egli ha confermato il positivo avanzamento del processo di unificazione, che dovrebbe essere completato in tempi brevi, consentendo anche all’Italia, al pari di altri Paesi, di disporre finalmente di un unico ente «esperto» in materia di salute e sicurezza del lavoro.
Nelle intenzioni del Governo, però, la messa in opera di un'efficace strategia di contrasto al fenomeno infortunistico non passa solo attraverso il completamento - mediante la normazione di rango secondario - del quadro giuridico di riferimento, quanto anche mediante varie azioni volte a migliorare la prevenzione e la tutela del lavoro, attraverso una serie di accordi e sinergie con soggetti pubblici e privati. In particolare sono stati richiamati i fondi, distribuiti nel triennio 2008-2010, di cui all'articolo 11 del Testo unico, destinati alle attività promozionali e dei quali si è già parlato diffusamente nel paragrafo 2.3: campagne di comunicazione, progetti di formazione su base regionale, insegnamento della salute e sicurezza sul lavoro nei programmi scolastici ed universitari, rinnovo delle attrezzature da lavoro e adozione di modelli organizzativi e gestionali della sicurezza nelle piccole e medie imprese.
Per il futuro il Governo intende impartire linee guida uniformi sul territorio nazionale per le attività di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, attraverso l’azione della Commissione consultiva permanente e del Comitato di valutazione, di cui rispettivamente all'articolo 6 e all'articolo 5 del decreto legislativo n. 81. Un altro capitolo fondamentale d'intervento sarà la razionalizzazione degli interventi ispettivi sul territorio, indirizzandoli in modo mirato e intensificando la cooperazione ed il raccordo tra i vari soggetti, soprattutto potenziando e monitorando l’opera dei comitati regionali di coordinamento previsti dall'articolo 7 del Testo unico.
Un contributo importante in questo delicato settore potrà certamente venire da nuove forme di collaborazione in via di attivazione con l’Arma dei Carabinieri e con la Guardia di Finanza, soprattutto per la lotta al lavoro sommerso e irregolare, a cominciare dalle Regioni del Mezzogiorno a rischio della criminalità organizzata e dai settori produttivi più esposti (edilizia e agricoltura).7 Al riguardo, la Commissione ha suggerito di coinvolgere per quanto possibile in questo tipo di controlli anche la polizia municipale, che ha una presenza molto diffusa sul territorio ed è composta in gran parte di agenti di pubblica sicurezza dotati dei necessari mezzi di supporto.
Come già accennato, si vuole poi costruire un sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi, ai sensi dell’articolo 27 del decreto legislativo n. 81 del 2008, che tenga conto dell’esperienza o delle competenze e conoscenze in materia di salute e sicurezza sul lavoro, acquisite attraverso percorsi formativi mirati, anche come requisito per accedere a finanziamenti pubblici, istituendo una sorta di «patente a punti» per imprese e professionisti, a partire dal settore edile e dagli appalti.
Il Ministro del lavoro si è poi soffermato a lungo sulle linee guida e sui risultati dell’attività ispettiva svolta dai servizi del Ministero. La scelta operata dal Governo è stata quella di individuare priorità precise, concentrando i controlli su determinati settori e attività e distinguendo tra violazioni sostanziali e formali. L’obiettivo è quello di ottimizzare l’utilizzo delle forze ispettive, di per se limitate, senza ridurre l’efficacia dell’azione di vigilanza, ma anzi elevandone la qualità. Un mezzo importante sarà il potenziamento dell’attività di intelligence, attraverso l’incrocio delle banche dati esistenti (ad esempio è già in corso una specifica collaborazione tra INPS ed Agenzia delle entrate) e l’opera di corpi specializzati quali la Guardia di Finanza.
In merito ai dati dell’attività ispettiva, nel 2009 le ipotesi di reato in materia di sicurezza sul lavoro rilevate sono state 23.218, a fronte delle 14.815 del 2008 (+56 per cento); ottimi risultati sono stati raggiunti anche in relazione al lavoro nero (40.108 maxi-sanzioni nel 2009 a fronte di 24.781 violazioni riscontrate nel 2008; +61 per cento); e alle violazioni in materia di appalti e somministrazione: 6.649 ipotesi di reato rilevate nel 2009 contro le 1.782 del 2008 (+273 per cento). Inoltre, nel corso dello stesso anno, sono stati adottati, nel solo settore dell’edilizia, 1.771 provvedimenti di sospensione dell’attività imprenditoriale.
Delle violazioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, oltre la meta di quelle riscontrate dagli ispettori del lavoro sono legate al rischio di «caduta dall'alto» e il 15 per cento al rischio di «seppellimento e investimento». Il personale ispettivo in forza al Ministero è costituito complessivamente da 3.859 unita, di cui 370 ispettori tecnici, 3.479 ispettori amministrativi e 380 Carabinieri. Peraltro, tra questi, un centinaio di nuovi ispettori sono stati assunti recentemente con l’ultimo concorso.
Secondo il Ministro, tali dati smentiscono le critiche rivolte al Governo di aver voluto ridurre i controlli alle imprese in considerazione delle difficoltà legate alla crisi economica, dimostrando invece un rafforzamento dell’attività ispettiva. In ogni caso, si è intesa confermare la volontà del Governo di dare piena attuazione al decreto legislativo n. 81 del 2008, completando il quadro normativo e accompagnandolo con politiche e azioni ad hoc, che intervengano sui singoli settori e attività, ciascuno dei quali ha una dinamica particolare, della quale occorre tenere conto.
Nella seduta del 13 ottobre 2010, il Ministro si è soffermato sul problema della sicurezza del lavoro nelle attività lavorative che avvengono in ambienti confinati, spesso teatro di tragici incidenti, come quello avvenuto recentemente presso la DSM di Capua, costato la vita a tre operai. Proprio al fine di prevenire il ripetersi di tali drammi, il ministro Sacconi ha preannunciato una serie di misure volte a rafforzare la formazione delle imprese affidatarie dei lavori e dei loro dipendenti e la corresponsabilizzazione dell’impresa committente. Di tale argomento si parlerà diffusamente nel paragrafo 3.9.
Nella stessa seduta il rappresentante del Governo ha analizzato il problema della sicurezza del lavoro nel settore degli appalti, con riferimento ai possibili effetti negativi del ricorso al criterio del massimo ribasso, più volte segnalati dalla Commissione d'inchiesta anche nella precedente relazione intermedia. In molti appalti pubblici e privati, infatti, alcune ditte appaltatrici e subappaltatrici (spesso imprese di piccole o piccolissime dimensioni) finiscono per praticare, nell'intento di vincere le gare, ribassi d'asta assolutamente eccessivi e fuori mercato. Il rischio è che in tali casi i risparmi si traducano nel taglio delle spese per la sicurezza (dotazioni, procedure, controlli) e in una drastica riduzione delle garanzie per i lavoratori. Si tratta di situazioni purtroppo non infrequenti, com'e stato spesso segnalato alla Commissione nel corso dei numerosi sopralluoghi sul territorio. Per tale ragione, nella risoluzione approvata il 21 ottobre 2009 dall'Assemblea del Senato ad esito del dibattito sulla prima relazione intermedia sull'attività della Commissione, vi era un esplicito impegno al Governo per disporre l’abolizione o quanto meno l’attenuazione del ricorso al massimo ribasso quale criterio per l’aggiudicazione di appalti e subappalti.
Sul punto, ferma restando la specifica competenza del Ministero delle infrastrutture, il ministro Sacconi ha sottolineato che non si tratta tanto di un problema normativo, in quanto esistono già norme specifiche, sia nel settore pubblico che in quello privato, che garantiscono l’incomprimibilità dei costi per la sicurezza nelle offerte di gara, che non possono essere soggetti a ribasso. È quindi piuttosto un problema di controlli e di responsabilizzazione dei committenti, che dovrebbero verificare l’effettivo rispetto delle norme. Al riguardo, il Ministero intende emanare una circolare ad hoc tesa a rafforzare i controlli e l’osservanza delle disposizioni. Si tratta comunque di una questione assai complessa e tuttora aperta, che sarà ripresa in dettaglio nel successivo paragrafo 5.1, al quale pertanto si rinvia.
Come rilevato in premessa, l’ampio quadro conoscitivo acquisito dalla Commissione nella sua inchiesta e che si è appena delineato, dimostra il concreto impegno dei vari enti istituzionali, centrali e periferici, nonché delle parti sociali, per completare l’attuazione della nuova disciplina in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Resta però il fatto che, ad oltre due anni dall'adozione del Testo unico, questa materia non ha ancora trovato un assetto definitivo in tutti i suoi aspetti, il che rappresenta un elemento di criticità del sistema, soprattutto per le incertezze che la fase di transizione può determinare fra gli stessi soggetti sociali ed istituzionali, chiamati a misurarsi con norme e procedure non ancora compiutamente definite.
La Commissione ha ormai avviato su questi temi un importante rapporto di interlocuzione e di collaborazione con il Governo e con gli altri soggetti istituzionali. Nell'ambito delle competenze ad essa affidate dal suo mandato istitutivo, essa intende quindi continuare a monitorare l’andamento del processo, contribuendo, per quanto possibile, ad individuare percorsi semplificati per una rapida adozione dei rimanenti atti di regolamentazione e strumenti capaci di garantire un'interpretazione delle norme chiara ed uniforme su tutto il territorio nazionale. Accanto a questo aspetto, appare inoltre importante cercare di semplificare i vari adempimenti amministrativi per le imprese, anche realizzando strumenti informativi ad hoc di facile consultazione e reperibile (vademecum, siti Internet ed altro).


2.8. Il quadro statistico degli infortuni e delle malattie professionali
Secondo gli ultimi dati ufficiali dell’INAIL presentati nel luglio 2010, nel 2009 si sono registrati 790.000 infortuni sul lavoro, di cui 1.050 mortali, in calo rispettivamente del 9,7 per cento e del 6,3 per cento rispetto al 2008. Si conferma quindi il trend positivo degli ultimi anni, con una progressiva riduzione del numero degli incidenti: quello del 2009 è un dato ancora più importante, ove si consideri che era dal 1993 che non si registrava un calo infortunistico di tale livello. Altrettanto importante è il fatto che la flessione abbia riguardato soprattutto gli infortuni avvenuti nell'effettivo esercizio dell’attività lavorativa, che sono scesi da 775.927 a 696.863 (-10,2 per cento), mentre quelli in itinere sono passati da 99.217 a 93.137 (-6,1 per cento). Per quanto riguarda i casi mortali, la riduzione è stata, in proporzione, più contenuta: quelli in occasione di lavoro sono passati dagli 829 del 2008 ai 767 del 2009 (-7,5 per cento), mentre i decessi in itinere sono scesi da 291 a 283 (-2,7 per cento). Sempre nell'ambito degli infortuni mortali in occasione di lavoro, di particolare importanza è il numero di quelli occorsi sulla strada a lavoratori che operano in questo specifico ambito (autotrasportatori di merci o di persone, rappresentanti di commercio, addetti alla manutenzione stradale, ecc.), scesi comunque dai 338 casi del 2008 ai 303 del 2009 (-10,4 per cento).
Naturalmente, anche se la tendenza alla riduzione degli infortuni sembra ormai consolidata, i numeri assoluti restano allarmanti, sia per quanto riguarda gli incidenti in generale che per quelli mortali in particolare. D'altra parte, lo stesso INAIL avverte che il consistente calo registrato nel 2009 è da correlare in parte anche agli effetti della grave crisi economica che ha colpito il Paese in tale anno, con pesanti ricadute sul piano produttivo e occupazionale. Complessivamente, a fronte di un calo del numero di occupati pari all'1,6 per cento (dati ISTAT), si stima intorno al 3 per cento la quantità di lavoro (e quindi di esposizione al rischio di infortunio) perduta, a vario titolo, a causa della crisi, con una forte variabilità al livello territoriale, settoriale e di dimensione aziendale. Su queste basi, la riduzione reale, misurata in termini di incidenza al netto della componente «perdita di lavoro», si attesterebbe al 7 per cento per gli infortuni in generale e al 3,4 per cento per quelli mortali.
Si tratta di valori in linea con il trend storico degli ultimi anni: nel periodo 2002-2009, infatti, gli infortuni sono scesi del 20,4 per cento a livello complessivo e del 29 per cento per quanto riguarda i decessi. Sembra quindi potersi affermare che l’effetto della crisi sulla riduzione degli infortuni, pur essendovi certamente stato, ha però influito solo in parte. La maggior parte del calo degli incidenti è dovuta all'effettivo miglioramento delle condizioni di sicurezza dei lavoratori, dimostrando così la possibilità di incidere concretamente sul fenomeno infortunistico, attraverso politiche adeguate e l’impegno costante di istituzioni e parti sociali. Al tempo stesso, occorre non sottovalutare il fatto che l’andamento degli incidenti assume caratteri differenti per le varie tipologie di lavoratori, di settori produttivi e di territori, postulando quindi la necessità di interventi mirati sulle specifiche situazioni.
Ad esempio, l’analisi dell’andamento infortunistico del 2009 condotta in ottica di genere evidenzia come la flessione degli incidenti non sia stata uniforme, ma molto più accentuata per gli uomini (-12,6 per cento) rispetto alle donne (-2,5 per cento). Viceversa, per i casi mortali, si è registrata una riduzione del 14 per cento per la componente femminile (74 lavoratrici decedute rispetto alle 86 del 2008), a fronte del 5,6 per cento relativo agli uomini (dai 1.034 morti del 2008 ai 976 del 2009). Occorre segnalare, tuttavia, che per le donne il 60 per cento delle morti si è verificato in itinere.
Com'è logico aspettarsi, dal punto di vista settoriale e territoriale la significativa riduzione degli infortuni verificatasi nel 2009 dall'INAIL risente direttamente degli effetti della crisi economica, in quanto sono risultati maggiormente penalizzati i settori industriali e, di conseguenza, le aree geografiche del Nord Italia a più alta densità occupazionale e produttiva in tale ambito. A livello settoriale, infatti, l’industria ha registrato una flessione molto maggiore (-18,8 per cento) rispetto a quella dei servizi (3,4 per cento) o dell’agricoltura (-1,4 per cento). Il calo più significativo è avvenuto nel comparto manifatturiero (-24,1 per cento) più di altri colpito dalla crisi economica - con una riduzione degli occupati rilevata dall'ISTAT pari al 4,3 per cento, nettamente superiore a quello medio generale (-1,6 per cento) - e delle costruzioni (-16,2 per cento). Per quanto riguarda i servizi, apprezzabili riduzioni si registrano nei trasporti (-12,5 per cento) e nel commercio (-9,1 per cento). Per i casi mortali nel 2009 si è avuta una riduzione sensibile nell'industria (-7,9 per cento) e nei servizi (-6 per cento), mentre in agricoltura si registra una sostanziale stabilita. Nelle costruzioni, settore che da sempre è al centro dell’attenzione dal punto di vista infortunistico, la riduzione delle morti sul lavoro e stata molto contenuta (-1,4 per cento). Infine, occorre segnalare anche la diminuzione del 16,7 per cento dei decessi nei trasporti.
L’analisi territoriale rivela che la riduzione degli infortuni (-9,7 per cento a livello nazionale) ha riguardato tutte le grandi aree geografiche del Paese, ma in particolar modo il Nord, che ha fatto registrare una riduzione dell’11,2 per cento (precisamente -9,3 per cento nel Nord-Ovest e -12,3 per cento nel Nord-Est), a fronte del -8,2 per cento del Centro e del -6,8 per cento del Mezzogiorno. Anche per le morti sul lavoro il calo più accentuato si è registrato nel Nord-Est (62 decessi in meno, pari al -21,9 per cento) e nel Nord-Ovest (-6,2 per cento). In controtendenza, invece, il Centro che registra un aumento del 7,9 per cento degli eventi mortali dovuto principalmente ad un incremento dei decessi nel Lazio.
Un altro dato molto importante riguarda i lavoratori stranieri, che, per la prima volta, hanno visto scendere i loro infortuni, dagli oltre 143.000 casi del 2008 ai 119.000 del 2009 (-17 per cento). Anche qui la flessione ha riguardato prevalentemente la componente maschile (-20,3 per cento), rispetto a quella femminile (-4,9 per cento). I casi mortali sono diminuiti di 39 unita passando da 189 a 150 (-20,6 per cento).
Il calo si è verificato maggiormente nell'industria, in particolare nei settori del manifatturiero notoriamente ad alta presenza di lavoratori stranieri, nei quali - come già detto - la crisi produttiva e occupazionale è stata più acuta.
Rumeni, marocchini e albanesi sono, nell'ordine, le comunità che ogni anno denunciano il maggior numero di incidenti, totalizzandone ben il 40 per cento. Se si considerano poi i casi mortali, la percentuale supera il 50 per cento: in altri termini un deceduto di origine straniera su due, in Italia, proviene da una delle tre comunità.
Un discorso a parte occorre fare per quanto riguarda le malattie professionali, per le quali il 2009 è stato un anno record. Le denunce complessive sono state 34.646: il valore più alto degli ultimi 15 anni, per un aumento del 15,7 per cento rispetto ai 30.000 casi del 2008 e di circa il 30 per cento in 5 anni (8.000 denunce in più rispetto alle quasi 27.000 del 2005).
A livello settoriale, l’agricoltura è il comparto più interessato: le segnalazioni pervenute all'INAIL sono più che raddoppiate in un solo anno (da 1.834 del 2008 a 3.914 del 2009, +113,4 per cento) e triplicate nell'ultimo quinquennio. In confronto, nel 2009 nel comparto industria e servizi si è avuta una crescita delle denunce del 9,4 per cento rispetto al 2008 e del 20,7 per cento rispetto al 2005, mentre nel settore pubblico (dipendenti conto Stato) l’aumento è stato, rispettivamente, del 6 per cento e del 14,9 per cento.
Le malattie dell’apparato muscolo-scheletrico (tendiniti, affezioni dei dischi intervertebrali, sindrome del tunnel carpale, ecc.) dovute a sovraccarico biomeccanico sono cresciute in modo esponenziale: con quasi 18.000 casi denunciati - +36 per cento rispetto al 2008 e il doppio rispetto al 2005, quando erano poco meno di 9.000 - si sono rivelate la forma più frequente di tecnopatia.
Secondo l’INAIL, piuttosto che a un peggioramento delle condizioni di salubrità negli ambienti di lavoro, questa impennata è dovuta a serie di fattori che, da alcuni anni ormai, stanno contribuendo all'emersione di quelle che gli esperti definiscono «malattie nascoste» o «perdute» (cioè non denunciate). Come già accennato e come si dirà meglio più avanti, infatti, il fenomeno delle malattie professionali è da tempo sottostimato, in parte per la insufficiente cultura di molti lavoratori, non sempre al corrente dei propri diritti, in parte per le carenze del sistema di rilevazione, che non riesce a produrre un congruo numero di referti o segnalazioni, per la mancanza di personale o anche per la preparazione inadeguata dello stesso.
L’aumento delle denunce deriva quindi sicuramente da una maggiore consapevolezza dei lavoratori e degli operatori preposti rispetto al problema delle malattie professionali, maturata negli anni grazie all'impegno delle istituzioni e delle parti sociali. A tutto Ciò si aggiunge l’entrata a regime delle nuove tabelle, in base al decreto ministeriale del 9 aprile 2008, che ha incluso come «tabellate» - cioè riconosciute direttamente - alcune malattie che prima non lo erano (a esempio quelle da sovraccarico biomeccanico e da vibrazioni meccaniche), le cui denunce sono infatti considerevolmente aumentate. Inoltre, per effetto del ridisegno delle tabelle, elencate ora per specifica patologia anziché per agente patogeno, sono salite anche le denunce «plurime» (più tipi di malattia denunciati contemporaneamente dalla stessa persona) che, nel 2009, sono state pari al 20 per cento del 2009.
Infine, nel raffronto con l’Europa, sulla base dei tassi d'incidenza standardizzati Eurostat l’Italia registra per il 2007 (ultimo anno reso disponibile da EUROSTAT) un indice infortunistico pari a 2.674 infortuni per 100.000 occupati: più favorevole, dunque, rispetto a quello medio riscontrato nelle due aree dell’Unione europea (3.279 per l’area euro e 2.859 per l’Unione europea a 15). Nelle statistiche armonizzate l’Italia risulta in posizione migliore rispetto a Paesi come Spagna (4.691), Francia (3.975) e Germania (3.125).
Per quanto riguarda gli infortuni mortali, nel 2007 si è registrata per l’intera UE, rispetto all'anno precedente, una diminuzione dei tassi d'incidenza da 2,4 a 2,1 decessi (sempre per 100.000 occupati), anche se tale valore è ancora provvisorio, poiché alcuni Paesi non hanno comunicato a EUROSTAT i dati riguardanti l’anno 2007. Anche l’indice dell’Italia ha registrato nel 2007 un calo da 2,9 a 2,5 decessi per 100.000 occupati, mantenendosi ancora al di sopra del valore medio UE.
Le statistiche dell’INAIL sono divenute negli anni sempre più accurate e precise: tuttavia, come già segnalato nella precedente relazione sull'attività svolta, esistono alcuni limiti oggettivi, legati al fatto di registrare solo i casi di infortunio e malattia riguardanti i lavoratori iscritti all'assicurazione obbligatoria e da questi denunciati. Restano fuori, quindi, i casi non denunciati perché coinvolgono lavoratori non iscritti (essenzialmente quelli autonomi) o addirittura irregolari, ovvero i casi che, per altri motivi, non rientrano nella definizione di incidente o malattia ai fini assicurativi.
Un contributo a migliorare la situazione dovrebbe venire, nelle attese di molti operatori e dello stesso INAIL, dalla messa a regime del più volte richiamato Sistema informativo nazionale per la prevenzione (SINP), previsto dall'articolo 8 del Testo unico. L’integrazione delle varie banche dati in materia di infortuni e malattie sul lavoro, sia a fini statistici che di coordinamento delle azioni di prevenzione e di vigilanza, infatti, si presenta come un passo essenziale anche per una corretta valutazione delle dimensioni e delle caratteristiche del fenomeno, che è alla base della scelta delle politiche più appropriate.
Anche quando il SINP fosse a regime, però, resterebbe il problema di come censire i casi di infortuni e malattia che colpiscono i lavoratori non iscritti all'INAIL o, nel settore marittimo, all'ex IPSEMA (ora peraltro assorbito dallo stesso INAIL): si tratta dei lavoratori autonomi (il cosiddetto «popolo delle partite IVA») o dei lavoratori che, per vari motivi, hanno un rapporto di consulenza con un'azienda. Il problema è stato segnalato più volte alla Commissione, recentemente nel anche dai rappresentanti della Consulta interassociativa italiana per la prevenzione (CIIP), auditi il 28 aprile 2010.
In quell'occasione, i rappresentanti della Consulta hanno quantificato in cinque milioni di lavoratori quelli interessati da tale problema, proponendo, come possibile soluzione, di prevedere l’estensione dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni anche per loro, sul modello di quanto previsto ad esempio per le casalinghe, mediante tariffe specifiche, uniformi su tutto il territorio nazionale. Questo tra l’altro avrebbe il vantaggio di avvenire a condizioni calmierate, perché l’assicurazione sarebbe obbligatoria a livello collettivo e nazionale, non semplicemente individuale.
La CIIP ha poi richiamato il problema di circa 3 milioni di lavoratori sommersi, non solo in nero o irregolari, che sfuggono anch'essi. I dati INAIL sono inoltre incompleti anche a causa dei cosiddetti infortuni in franchigia, cioè quelli al di sotto di un certo numero di giorni (tre oltre quello dell’infortunio), che in parte non sono censiti perché c’è chi li comunica e chi non lo fa.
Si tratta, evidentemente, di temi complessi, che richiedono adeguati approfondimenti e modifiche normative. Tuttavia è innegabile che tali problemi esistano e che debbano essere prima o poi affrontati in modo organico, sia per garantire anche a questi lavoratori una adeguata forma di tutela, al pari di tutti gli altri, sia per migliorare le condizioni generali di efficienza del sistema.

 


 

3. I SOPRALLUOGHI DELLA COMMISSIONE! GLI INFORTUNI ED IL SISTEMA DI PREVENZIONE SUL TERRITORIO

Come già accennato, anche durante il suo secondo anno di attività, la Commissione ha svolto numerosi sopralluoghi in Italia, dei quali si darà ora conto.


3.1. Sopralluogo a Venezia (18-19 ottobre 2009)
Il 18 e 19 ottobre 2009, la Commissione ha effettuato una missione a Venezia, mediante l’invio di una delegazione formata dal presidente Tofani e dai senatori Donaggio e Maraventano, allo scopo di acquisire informazioni generali sulla problematica infortunistica in quella provincia.
Dai dati INAIL disponibili al momento del sopralluogo risulta che gli infortuni sul lavoro in provincia di Venezia hanno avuto negli ultimi anni un andamento decrescente pressoché costante, calando del 17 per cento fra il 2004 e il 2008. Inoltre, tra il 1° gennaio e il 31 agosto 2008, gli infortuni occorsi in tutte le gestioni (agricoltura, industria e dipendenti dello Stato) sono stati 11.623. Invece, nello stesso periodo del 2009 gli infortuni sono stati 9.892, con un calo del 14,9 per cento. Sebbene non vi fossero ancora dati definitivi, anche i casi mortali apparivano sostanzialmente in diminuzione.
La tendenza alla riduzione degli infortuni è abbastanza consolidata, anche se, come segnalato sia dagli enti istituzionali che dalle organizzazioni sindacali, il problema continua a sussistere, specie in settori come quello edile, che assorbe da solo circa il 10 per cento degli incidenti. Altro aspetto preoccupante è quello dei lavoratori immigrati, che presentano livelli di incidentalità in media più elevati dei lavoratori italiani e che sono piuttosto numerosi nella provincia. I controlli delle forze dell’ordine e degli organi ispettivi hanno inoltre rilevato una diffusa presenza del lavoro irregolare e sommerso, di cui una quota importante si concentra appunto nel settore edile e tra i lavoratori stranieri (in particolare tra quelli di etnia cinese).
Le realtà più complesse e sensibili dal punto di vista della sicurezza sul lavoro sono però certamente il porto di Venezia e l’area industriale di Porto Marghera. Per quanto riguarda quest'ultima, il sindaco di Venezia ha evidenziato come si tratti di un caso esemplare di un'area industriale integrata dove non ci sono impianti separati o ben definiti nella loro localizzazione, ma tutto fa sistema: quasi un'unica fabbrica, attualmente in grave crisi. Il venir meno dell’attività può comportare altresì il venir meno delle normali operazioni di manutenzione, con un aumento notevole dei rischi sia per i lavoratori che per la popolazione che risiede nelle vicinanze.
La pluralità di imprese e di soggetti che operano all'interno di Marghera, però, rende assai arduo coordinare le attività di vigilanza e di prevenzione da parte del Comune, anche per i limitati poteri di intervento che la legge gli riconosce in tale ambito e per la difficoltà di ricevere informazioni tempestive, anche a causa della reticenza di talune imprese a comunicare eventuali problemi. Il sindaco ha quindi posto l’esigenza di prevedere norme ad hoc per la gestione dei sistemi industriali integrati nelle fasi di crisi o di transizione e per obbligare le imprese a fornire al Comune tutte le informazioni necessarie. Tale quadro è stato confermato dai sindacati, anch'essi molto preoccupati: d'altra parte, anche i rappresentanti delle aziende si sono mostrati sensibili al problema, manifestando la loro disponibilità ad incontrare le istituzioni locali e le altre parti sociali per trovare una soluzione.
Un'altra realtà complessa e integrata è certamente quella del porto di Venezia, teatro in passato di numerosi incidenti sul lavoro, anche gravi (nel 2008 ve sono stati 7 in itinere e 33 nell'area portuale, di cui due mortali). I rischi sono purtroppo elevati, a causa dei molti e vari soggetti che operano nel porto, spesso chiamati ad interagire tra loro in situazioni disagevoli, come nelle operazioni di carico e scarico a bordo o sotto bordo delle navi. Nel porto di Venezia operano infatti dai 15.000 ai 19.000 lavoratori, divisi tra 26 imprese portuali, 24 società di servizi e oltre 100 ditte che svolgono altre attività del «ciclo nave».
Le competenze e gli strumenti tradizionali si sono rivelati talvolta inefficaci nel gestire questa situazione: per tale motivo, nel 2008 è stato costituito il comitato di sicurezza e di igiene sul lavoro e il servizio operativo integrato (SOI), di cui fanno parte la Capitaneria, l’Autorità portuale, lo SPISAL, l’Ispettorato del lavoro e i Vigili del fuoco. Il servizio raccoglie segnalazioni e denunce, discute tutte le questioni relative alla sicurezza del lavoro e stabilisce i necessari interventi in un'ottica di forte sinergia e coordinamento.
Per i controlli a bordo delle navi, la Capitaneria è molto attiva (circa 200 ispezioni all'anno) e, fortunatamente, pochi incidenti sono avvenuti negli ultimi anni, anche se resta il problema delle navi straniere, che non hanno sempre gli stessi standard di sicurezza di quelle italiane. Purtroppo, se esse hanno già effettuato le prescritte verifiche (il cosiddetto Port State Control) in un altro porto in Italia o all'estero (anche se magari in modo meno accurato), non possono essere di nuovo ispezionate se non per gravi e comprovati motivi.
Relativamente alle attività portuali, punto qualificante del SOI è il controllo dell’accesso al porto sia del singolo lavoratore, per il quale sono stabiliti dei tempi per l’accesso all'area e per lo svolgimento delle mansioni, sia delle imprese, che devono avere una certificazione su tre livelli (qualità, ambiente, sicurezza). Ciò accresce la vigilanza e la capacità d'intervento nei confronti degli operatori, che in caso di inadempienza non potrebbero lavorare nel porto. Per rafforzare questa capacità, inoltre, è stata segnalata l’opportunità di conferire anche all'Autorità portuale il potere di irrogare sanzioni amministrative pecuniarie a fronte di una determinata infrazione, in aggiunta al potere della sospensione dell’attività ritenuta pericolosa e come ulteriore disincentivo nei confronti delle imprese inadempienti.
Il coordinamento del SOI è stato ben recepito dagli operatori e ha permesso di avviare una serie di importanti iniziative di prevenzione, specialmente sul fronte della formazione/informazione ai lavoratori, per i quali è stato istituito un apposito libretto delle professionalità, ai sensi del decreto legislativo n. 81 del 2008, che certifica sia le competenze tecniche del lavoratore che la sua formazione in tema di sicurezza.
Occorre poi segnalare l’impegno di molte organizzazioni sindacali e datoriali a favore della sicurezza, ad esempio nel settore edile e dell’artigianato, dove sono state avviate importanti iniziative per la formazione e accordi bilaterali, come quello concluso per il cantiere del MOSE. Proprio il settore edile ha posto però l’esigenza di una più severa selezione delle imprese (attraverso un sistema di «patente a punti»), per escludere dal mercato operatori non qualificati che attuano una concorrenza sleale nei confronti delle imprese sane e aumentano i rischi per la sicurezza.
Durante l’audizione dei rappresentanti della magistratura e delle forze dell’ordine (in particolare della locale polizia scientifica), è emersa l’importanza di un'adeguata attenzione, nelle indagini sugli infortuni, al momento immediatamente successivo all'evento, quando vengono svolti i primi rilievi, al fine di ricostruire quella che è stata chiamata efficacemente la «scena dell’infortunio» in analogia alla «scena del delitto» delle indagini penali. Ciò implica anche la necessità di un diverso approccio culturale da parte di chi effettua gli accertamenti.


3.2. Sopralluogo a Milano (15-16 novembre 2009)
Il 15 e 16 novembre 2009, una delegazione della Commissione composta dal presidente Tofani e dal senatore Roilo si è recata in missione a Milano. Come nel precedente caso di Venezia, la visita mirava ad acquisire informazioni di carattere generale sulla situazione e sui problemi della sicurezza sul lavoro nella provincia di Milano.
Sulla base dei dati disponibili al momento del missione, anche nella provincia di Milano come nel resto della Lombardia si registra un andamento positivo degli infortuni, quindi una diminuzione dei numeri assoluti e della frequenza degli incidenti, sia in generale che nell'edilizia, il settore più problematico. Precisamente, nel 2008 la riduzione del totale degli infortuni rispetto all'anno precedente è stata dello 0,2 per cento nella provincia e del 3,8 per cento a livello regionale. La tendenza sembrava confermata anche nel 2009: per la provincia di Milano, dai dati tendenziali risultava al 31 ottobre un calo nel numero degli infortuni del 3,62 per cento.
Anche gli incidenti mortali risultavano in diminuzione, tanto in Lombardia quanto in provincia di Milano: a livello regionale si è infatti passati dai 214 decessi del 2007 ai 172 del 2008 (-19,6 per cento), leggermente superiore alla flessione registrata in provincia di Milano. Un aspetto da segnalare è l’aumento degli infortuni mortali legati alla circolazione stradale, sia in itinere che in occasione di lavoro. Anche gli infortuni dei lavoratori stranieri sono aumentati tra il 2007 e il 2008, fino al 20 per cento circa del totale; quelli mortali al 23 per cento. I Paesi maggiormente colpiti sono Marocco, Romania e Albania. Circa le malattie professionali, la situazione è in linea con il resto d'Italia: si registra dunque un progressivo aumento delle segnalazioni, soprattutto per le malattie non tabellate.
In provincia di Milano, in tema di prevenzione e controlli legati alla sicurezza sul lavoro, una particolare attenzione si concentra sull'edilizia, che resta il settore più colpito dal fenomeno infortunistico, specie per le cadute dall'alto. Comune, Provincia e Regione hanno da tempo attuato, con il concorso degli organi ispettivi e delle forze dell’ordine, procedure rigorose per la gestione ed il controllo dei grandi appalti di opere pubbliche, che hanno dato buona prova, anche se restano alcuni problemi. Un importante strumento sono i «patti d'integrità» con i quali le aziende appaltatrici si impegnano a rispettare le regole e a sottostare ai successivi controlli, che possono così essere più penetranti ed efficaci. I rappresentanti del Comune hanno evidenziato l’opportunità di estendere tali patti a tutte le aziende, come deterrente. Inoltre, nelle ispezioni dei cantieri edili sono coinvolti anche agenti della polizia municipale appositamente formati, specie nel Comune di Milano. La competenza dei Comuni si limita alla verifica della conformità delle opere alle concessioni edilizie, ma sarebbe utile estenderla anche al controllo degli aspetti della sicurezza sul lavoro.
A livello regionale, fin dal 2008 è stato elaborato un piano specifico per la sicurezza nei luoghi di lavoro a cadenza triennale, la cui applicazione è vigilata da una cabina di regia che riunisce tutti gli enti competenti e che, in tempi recenti, è stata affiancata dal comitato regionale di coordinamento costituito ai sensi dell’articolo 7 del decreto legislativo n. 81 del 2008 e da un comitato provinciale anch'esso molto attivo. In Lombardia c’è da tempo una forte cooperazione tra enti istituzionali, ma i rappresentanti della Regione hanno sottolineato l’opportunità di un coordinamento unico (affidato alla Regione stessa) di tutti gli organismi, anche statali, operanti sul territorio in materia di salute e sicurezza sul lavoro, per rafforzare le sinergie e superare le difficoltà di dialogo che inevitabilmente ancora sussistono, specialmente riguardo alla messa in comune delle banche dati.
L’attività di controllo è comunque raddoppiata nel 2008 rispetto al 2007, in particolare nei cantieri edili, grazie ad un piano straordinario di assunzioni che ha permesso di integrare gli organici degli ispettori del lavoro e delle ASL e ad iniziative come il cosiddetto «sabato dell’edilizia», con i tecnici che fanno gli straordinari visitando i cantieri il sabato mattina. Anche magistratura e forze dell’ordine hanno confermato un livello di attenzione e di controllo molto elevati, con una forte collaborazione fra tutte le istituzioni. Tali aspetti sono stati sottolineati positivamente anche dai rappresentanti delle parti sociali, molto attive nella promozione della sicurezza sul lavoro, soprattutto grazie allo strumento degli enti bilaterali, che in alcuni settori (artigianato, edilizia) hanno una lunga e consolidata tradizione.
In questo quadro, pur positivo, restano però alcune criticità: nel campo degli appalti, esistono alcuni preoccupanti «coni d'ombra» nelle filiere dei subappalti (dove talvolta si riscontrano ribassi d'asta decisamente eccessivi e anomali), per gli appalti pubblici ma ancora di più per quelli privati, non sottoposti alle stesse regole stringenti. Sono molte però le attività che vengono esternalizzate, in varie forme non sempre facili da rilevare (ad es. le cooperative di facchinaggio e trasporto). L’evoluzione dei processi produttivi - particolarmente evidente in territori dinamici come la Lombardia e la provincia di Milano - crea infatti una forte frammentazione delle attività e l’esternalizzazione di un numero crescente di lavorazioni e servizi. In uno stesso luogo operano così, sempre più spesso, lavoratori di imprese diverse, con notevoli rischi di interferenza e accresciute esigenze di coordinamento. Le risorse limitate, soprattutto in termini di organico, degli enti di controllo (insufficienti anche in Lombardia, malgrado le recenti assunzioni) rendono però difficile verificare tutti i cantieri e tutte le aziende.
Ciò impone allora una maggiore responsabilizzazione della stazione appaltante che dovrebbe esercitare un controllo più ferreo sulle aziende affidatarie, una sorta di autovigilanza. Si tratta di un'esigenza ormai imprescindibile, che si intreccia con quella della qualità delle imprese: da un lato, come sottolineato dalle parti sociali, occorre introdurre forme di certificazione delle imprese, ad esempio nel settore edile, per escludere dal mercato operatori palesemente inadeguati e talvolta scorretti (anche sotto il profilo della tutela della sicurezza dei lavoratori). Dall'altro, gli enti appaltanti dovrebbero selezionare meglio a monte le aziende affidatarie delle commesse. Su questi temi, i direttori dei Servizi PSAL delle ASL e della DPL di Milano hanno elaborato una serie di specifiche proposte, trasmesse successivamente alla Commissione in un'apposita nota, di cui si parlerà diffusamente nel paragrafo 5.1.1.
Altri problemi segnalati alla Commissione durante il sopralluogo riguardano il numero crescente di lavoratori stranieri, per i quali occorrerebbero attività formative ad hoc, nonché una verifica della buona conoscenza della lingua italiana, essenziale per poter ricevere la formazione stessa.


3.3. Sopralluogo a Terni (13-14 dicembre 2009)
Il sopralluogo del 13 e 14 dicembre 2009 a Terni era legato al grave incidente avvenuto il 1° dicembre presso lo stabilimento della ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni (TK-AST), nel corso del quale un operaio ha perso la vita. La delegazione della Commissione era formata dal presidente Tofani e dai senatori Maraventano, Nerozzi e Spadoni Urbani.
La mattina del 1° dicembre un operaio, il signor Diego Bianchina, insieme ad altri due colleghi ha ricevuto l’incarico di effettuare il travaso di acido cloridrico (utilizzato per operazioni di ripulitura del percolato, una sostanza che si forma dai materiali di scarto delle lavorazioni siderurgiche) da un serbatoio fisso della capacità) di circa 14-15 metri cubi, in una serie di taniche più) piccole della capacità) di 1 metro cubo ciascuna. Il travaso avveniva, come di consueto, mediante una pompa elettrica che prelevava l’acido del serbatoio principale e, mediante un sistema di tubi, lo riversava nelle taniche. Il riempimento della prima tanica è avvenuto senza problemi ma, appena si è passati a riempire la seconda tanica, si è sprigionata una nube di gas tossico che ha investito il Bianchina e, in misura più) lieve, uno dei suoi colleghi che gli stava vicino e che, accortosi dell’accaduto, ha cercato inutilmente di soccorrerlo. Fortunatamente il secondo operaio è rimasto solo leggermente intossicato e non ha riportato conseguenze, mentre il povero Bianchina è deceduto quasi subito durante il trasporto in ospedale.
Pur essendo al momento del sopralluogo ancora in corso gli accertamenti, le evidenze raccolte dagli organismi tecnici e in particolare dal Servizio di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro (SPRESAL) della ASL hanno indicato come probabile causa della morte l’intossicazione da idrogeno solforato, una sostanza che inalata blocca il trasporto dell’ossigeno e causa la morte quasi immediata. Tale sostanza si è formata verosimilmente per il contatto tra l’acido cloridrico travasato nella tanica e un residuo di sodio solfidrato rimasto nella tanica stessa e non rilevato in precedenza. Peraltro, era un residuo abbastanza consistente, atteso che la reazione è stata volumetricamente importante: si è creata infatti una piccola nube di idrogeno solforato, tanto che anche il soccorritore ha riportato un danno, seppur lieve.
Dalle informazioni raccolte dalla Commissione, l’operazione di travaso dell’acido cloridrico veniva svolta normalmente in altri reparti dello stabilimento della TK-AST, mentre era la prima volta che si faceva in quel particolare reparto. Inoltre, l’operazione era di solito svolta da una ditta appaltatrice esterna, che utilizzava taniche o contenitori dedicati, ossia riservati solo al trasporto dell’acido cloridrico. Stavolta invece il travaso è stato affidato a personale interno, mentre la ditta esterna si è limitata a prelevare le taniche da un altro reparto, perché in quel momento non ve n'erano disponibili nel reparto dove si trovava il serbatoio dell’acido.
Durante l’operazione di travaso, sembrerebbe che il signor Bianchina fosse regolarmente munito di tutti i dispositivi di protezione individuale previsti per il maneggio di acido cloridrico (che è appunto un acido tossico per contatto), ossia tuta antiacido, guanti, mascherina protettiva. Tuttavia, nel corso delle audizioni è emerso che l’operaio, in servizio da vari anni alla ThyssenKrupp, era però normalmente addetto ad altre mansioni, precisamente al trattamento degli oli esausti derivanti dalle lavorazioni dello stabilimento, mentre non si era mai occupato di acidi. Aveva quindi ricevuto quel tipo d'incarico per la prima volta quella mattina.
Fermo restando l’accertamento definitivo dei fatti e delle eventuali responsabilità da parte della magistratura, dagli elementi acquisiti dalla Commissione, dei quali si è dato brevemente conto, risulta chiaro come l’incidente sia derivato dall'esecuzione di un'operazione non corretta e, normalmente, non prevista dalle procedure interne. Si è trattato, verosimilmente, di una decisione estemporanea, forse dettata dall'urgenza di una particolare lavorazione, che però ha condotto ad una serie di gravi errori: l’utilizzo di taniche recuperate da altri settori o lavorazioni, senza un preventivo controllo dell’assenza di residui pericolosi; l’affidamento del lavoro a personale non specializzato, solitamente dedito ad altre mansioni e probabilmente non al corrente dei rischi legati a quelle operazioni.
Peraltro, occorre dire che nello stabilimento della ThyssenKrupp di Terni, specialmente dopo i tragici fatti di Torino del dicembre 2007, è stato implementato un sistema di verifica molto rigido, grazie ad un protocollo sulla sicurezza firmato il 1° febbraio 2008 alla presenza dei rappresentanti dell’azienda, delle organizzazioni sindacali (compreso quello di sito) e delle principali istituzioni nazionali (compreso il Governo) e locali. Il protocollo ha previsto un sistema di monitoraggio e controlli trimestrali congiunti tra azienda e sindacati, istituendo un nucleo operativo integrato (NOI) coordinato dalla ASL, che riunisce l’azienda, i sindacati e tutti gli enti preposti al controllo, nonché le numerose aziende appaltatrici dello stabilimento (nei periodi di punta, vi operano contemporaneamente oltre 200 ditte).
Le parti sociali hanno confermato, al di la dell’incidente, un'accresciuta attenzione nei riguardi dei temi della sicurezza del lavoro nella provincia di Terni, in un contesto produttivo sensibile dove operano numerose industrie, tra le quali circa 20 multinazionali. Gli infortuni nel periodo 2007-2008 sono diminuiti del 6 per cento a livello regionale (da 18.196 a 17.106) e del 4,4 per cento a livello provinciale (da 3.314 a 3.168), mentre quelli mortali sono scesi del 15,8 per cento (da 19 a 12) nella regione e del 55,6 per cento in provincia (da 9 a 4).
Come indicato dagli enti di controllo e dalle forze dell’ordine, comunque restano ancora problemi legati alla sicurezza del lavoro, specialmente nei settori più rischiosi come quello edile e dell’autotrasporto, nonché una diffusione del lavoro irregolare e sommerso. I sindacati hanno inoltre registrato una certa difficoltà di dialogo con alcuni imprese multinazionali, che hanno dinamiche particolari e per le quali hanno auspicato una legislazione ad hoc e la definizione di protocolli di sicurezza analoghi a quello stipulato per la ThyssenKrupp.
Tuttavia, proprio l’esempio di quest'ultima e la tragica morte di Diego Bianchina dimostrano che i migliori sistemi possono non bastare se non vi è un'effettiva consapevolezza dei rischi da parte di tutti gli operatori ed una costante applicazione delle regole e delle procedure di controllo, poiché disattenzioni od omissioni anche apparentemente banali possono avere conseguenze tragiche.


3.4. Sopralluogo a Genova (17-18 gennaio 2010). I problemi della sicurezza del lavoro nelle attività portuali
Il 17 e il 18 gennaio 2010 una delegazione della Commissione (composta dal presidente Tofani e dai senatori Donaggio, Maraventano e Nerozzi) si è recata in missione a Genova per acquisire elementi conoscitivi in relazione a un grave infortunio sul lavoro verificatosi nel porto il 23 dicembre 2009 (nel quale aveva perso la vita un lavoratore, Gianmarco Desana) e, più in generale, per comprendere meglio i problemi della sicurezza sul lavoro legati alle molteplici attività che si svolgono nei porti, che vedono spesso la compresenza simultanea di numerosi e differenti soggetti.
Per quanto riguarda l’incidente, esso è avvenuto a bordo del traghetto «La Suprema» di proprietà) della compagnia Grandi Navi Veloci (GNV), durante l’ultimazione delle operazioni di carico prima della partenza. Occorre precisare che la nave aveva caricato i passeggeri di un altro traghetto (circa 1.500 persone) che il giorno prima aveva subito un incidente e non era potuto partire, costringendo i passeggeri a trascorrere la notte in città. C'era quindi, verosimilmente, una certa fretta per ultimare le operazioni e far partire la nave. Questa era quasi carica e mancava soltanto un semirimorchio.
Nell'operazione erano coinvolti tre diversi gruppi di addetti: il personale di bordo, che faceva capo alla GNV, nella sua qualità di armatore; il personale del terminal, incaricato tra l’altro di caricare a bordo i rimorchi e i semirimorchi con l’apposito veicolo (ralla) e che dipendeva sempre dalla GNV, che è anche impresa portuale o terminalista; gli operatori portuali chiamati a coadiuvare i terminalisti, dipendenti della Compagnia Unica di Lavorazione Merci Varie (CULMV) «Paride Batini», che è fornitrice di manodopera temporanea.
Quando la ralla ha agganciato l’ultimo semirimorchio, è entrata a retromarcia nella stiva del traghetto, fermandosi in prossimità di un trattore già posteggiato, rizzato e fermato. A questo punto il semirimorchio doveva essere bloccato con i tacchi per le ruote e con un cavalletto. Il rallista si era dunque fermato e stava staccando la ralla dal semirimorchio, evidentemente pensando che tutte queste operazioni fossero state completate. Ma ciò non è avvenuto, non si sa per quale disarmonia nei gesti, nelle parole e nelle dichiarazioni dei protagonisti. Così, mentre stava staccando la ralla, il semirimorchio si è spostato all'indietro e il povero Desana, che era davanti al trattore già posteggiato, è rimasto schiacciato.
Al di là delle specifiche responsabilità, che saranno oggetto di accertamento da parte della magistratura, appare comunque evidente che questa ennesima tragedia è frutto di un insufficiente coordinamento e di un'erronea comunicazione tra i vari addetti impegnati nella specifica operazione. Si tratta, come è stato sottolineato da tutti i soggetti auditi dalla Commissione, di problemi purtroppo ricorrenti nelle attività portuali, a Genova quanto altrove. Nei porti sono infatti presenti ogni giorno migliaia di addetti appartenenti a imprese diverse, marittime e portuali, i quali si trovano a lavorare insieme o comunque negli stessi spazi, con elevati rischi di interferenza ed accresciute esigenze di coordinamento, che però, come appena detto, non si riesce sempre a realizzare nella maniera dovuta.
Per quanto riguarda il porto di Genova, è il più grande d'Italia, per estensione e movimento merci: secondo gli ultimi dati ufficiali disponibili (2005), gli addetti che lavorano nel porto nelle varie attività sono circa 10.500, di cui oltre 2.500 impegnati nelle operazioni portuali in senso stretto. Queste ultime sono, per le ragioni anzidette, le attività a maggior rischio infortunistico, anche se negli ultimi anni la situazione è migliorata: secondo i dati forniti dalla ASL Genovese 3, competente per l’area portuale, dal 1999 al 2009 l’indice di incidenza (numero di infortuni ogni 100 lavoratori addetti) è passato da 40 a 18. Peraltro, tra i 25 soggetti impegnati nelle operazioni portuali occorre distinguere le 23 imprese portuali dalle 2 compagnie portuali, che forniscono loro la manodopera e che svolgono le mansioni più a rischio: ovviamente, esse hanno anche l’indice più alto, pari al 50 per cento nel 1999, anche se ora per entrambi i tipi di aziende è sceso intorno a 20. Infine, nel periodo 1996-2009, su 30 infortuni mortali avvenuti nel porto, 9 hanno riguardato le operazioni portuali.
Per gestire questa complessa realtà, nel 2007 è stato stipulato un protocollo d'intesa fra tutti gli enti di vigilanza che ha portato alla nascita del sistema operativo integrato (SOI), che ha appunto il compito di pianificare e attuare tutti gli interventi di prevenzione e di tutela in materia di salute e sicurezza sul lavoro nel porto e al quale aderiscono la ASL, la Capitaneria di porto, l’Autorità portuale, l’INAIL, la Direzione provinciale del lavoro e l’INPS. L’adozione del SOI ha avuto un effetto certamente positivo, anche se rimangono molti problemi soprattutto sul fronte della prevenzione nelle operazioni portuali. Competente per tali profili è l’Autorità) portuale, che rilascia anche i permessi ad imprese e lavoratori per accedere al porto e che, in tale fase, può) appunto verificare se gli operatori siano effettivamente qualificati e in regola con le prescrizioni della sicurezza del lavoro. Questo filtro preventivo è molto utile, ma non consente ancora di verificare nel tempo se il singolo lavoratore abbia via via aggiornato la sua qualificazione: la formazione, infatti, per essere veramente efficace (anche sugli aspetti della sicurezza) deve essere continua e non limitata alla fase d'ingresso in un determinato lavoro o impresa.
Per ovviare a tale limite, nel 2009 l’Autorità portuale ha definito un progetto per la realizzazione di una scuola portuale: mettendo a sistema iniziative e realtà già esistenti, si intende soddisfare due esigenze concomitanti: da un lato, quella della formazione tout court, relativamente all'attività portuale nel suo complesso e ai connessi aspetti della sicurezza; dall'altro, quella della certificazione. La scuola dovrebbe infatti provvedere, sulla base della formazione posseduta, alla certificazione delle posizioni o specializzazioni lavorative, corrispondenti a loro volta alle diverse esigenze sotto il profilo dell’organizzazione e della sicurezza.
Una delle questioni più complesse nell'attività di prevenzione degli infortuni nei porti riguarda l’esistenza di prassi e consuetudini diverse tra i vari operatori, non solo fra personale di bordo e personale di terra, ma anche, all'interno di quest'ultimo gruppo, fra terminalisti e portuali. Per quanto concerne il primo aspetto, se ne è già accennato nel paragrafo 2.7 a proposito della soppressione dell’IPSEMA e del contestuale affidamento delle sue funzioni all'INAIL, ai sensi dell’articolo 7, comma 1, del decreto-legge n. 78 del 2010. Finora, la contemporanea presenza di due distinti enti assicurativi per i lavoratori marittimi e per quelli portuali ha creato talvolta sovrapposizioni e incertezze, in quanto esistono situazioni promiscue in cui i due gruppi (che hanno normalmente ruoli diversi) si ritrovano a lavorare insieme nello stesso ambiente (a bordo o a fianco della nave) e a svolgere, di fatto, mansioni affini, soprattutto nella movimentazione delle merci. A parte il diverso inquadramento assicurativo, l’inconveniente principale è quello di una formazione impartita in maniera dissimile anche per quanto concerne gli aspetti della sicurezza.
Tali problemi sono stati ribaditi alla Commissione proprio durante la missione a Genova, evidenziando come vi siano spesso tra operatori di terra e di bordo perfino difficoltà di comprensione, legate non solo alla lingua (si pensi al caso di navi straniere), ma anche al significato delle segnalazioni e dei gesti che, da sempre, nei porti costituiscono elemento essenziale nelle comunicazioni tra gli addetti per il coordinamento delle varie operazioni, ad esempio nelle operazioni di carico e scarico delle merci. La morte del povero signor Desana potrebbe essere dipesa anche da una incomprensione di questo tipo con gli altri operatori presenti in quel momento. Queste disarmonie sono quindi tutt'altro che banali e diventano più preoccupanti se si pensa che, spesso, ogni porto ha le sue consuetudini e i suoi «codici» che non collimano necessariamente con quelli di altri porti in Italia e all'estero.
Occorre allora pensare ad una formazione/informazione il più possibile omogenea dei vari operatori a livello non solo locale ma nazionale. Si tratta di un'esigenza da tempo avvertita: come già accennato, proprio a seguito delle segnalazioni raccolte nella missione di Genova (e in parte in quella di Venezia), la Commissione ha audito su questi temi il presidente dell’IPSEMA Antonio Parlato e quello dell’INAIL Marco Fabio Sartori, rispettivamente il 19 gennaio e il 12 febbraio 2010. Entrambi si sono dichiarati pienamente disponibili a rafforzare la collaborazione già esistente tra i due Istituti, in particolare per quanto riguarda lo svolgimento delle attività di prevenzione e di formazione/informazione ai lavoratori. L’auspicio è che ora, con la riunificazione delle competenze assicurative e prevenzionali in capo all'INAIL sia per i lavoratori marittimi che per quelli portuali, si possa addivenire più facilmente a tale importante risultato.
Tale processo potrebbe inoltre contribuire ad accelerare il previsto adeguamento dell’attuale normativa sulla salute e sicurezza dei lavoratori marittimi e portuali alle novità introdotte nel Testo unico, adeguamento che è stato più volte rinviato proprio a causa della complessità della materia. La vigente normativa di settore è infatti contenuta in tre distinti provvedimenti, il decreto legislativo 27 luglio 1999, n. 271, per le attività lavorative a bordo delle navi, il decreto legislativo 27 luglio 1999, n. 272, per quelle in ambito portuale, e il decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 298, per il settore delle navi da pesca. In base all'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo n. 81 del 2008, le disposizioni recate da tali provvedimenti devono essere coordinate con quelle del Testo unico, mediante appositi decreti ministeriali da emanarsi entro un termine stabilito, che le ultime modifiche legislative8 hanno fissato ad aprile 2011. Appare dunque essenziale che, nell'ambito del completamento dell’attuazione del decreto legislativo n. 81, si provveda quanto prima ad emanare anche i decreti ministeriali relativi al settore marittimo e portuale, indispensabili per una efficace attività di prevenzione e di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori e attesi ormai con impazienza da tutti gli operatori del comparto.
Un altro problema riguarda i rapporti tra gli addetti appartenenti alle imprese portuali (terminalisti) e quelli appartenenti alle imprese che forniscono la manodopera. La legge 28 gennaio 1994, n. 84, ha introdotto due tipologie di soggetti: le imprese portuali o terminaliste di cui all'articolo 16, autorizzate a svolgere le operazioni portuali («il carico, lo scarico, il trasbordo, il deposito, il movimento in genere delle merci e di ogni altro materiale, svolti nell'ambito portuale») e i servizi ad esse complementari e accessori; le imprese di cui all'articolo 17, che forniscono alle precedenti il lavoro portuale temporaneo per lo svolgimento delle operazioni portuali e dei servizi complementari ed accessori. Ai sensi dell’articolo 18, inoltre, le imprese portuali possono essere o meno concessionarie di aree demaniali o banchine nell'area portuale dove vengono svolte le varie attività.
Questa suddivisione del lavoro portuale prevista dalla legge n. 84 del 1994 ha comportato un enorme sforzo di riorganizzazione e trasformazione dei soggetti operanti nei porti, che ha incontrato numerose difficoltà e resistenze, soprattutto per quanto riguarda il ruolo delle compagnie portuali. Queste ultime prima della riforma del 1994 fornivano la manodopera portuale sostanzialmente in regime di monopolio, sotto forma di appalti di servizio, mentre ora si sono trasformate in fornitori di manodopera temporanea. Se dal punto di vista pratico delle mansioni svolte ben poco è cambiato, dal punto di vista giuridico ora gli addetti portuali, nelle varie operazioni alle quali partecipano, dipendono temporaneamente dalle imprese che li chiamano e che fungono da datore di lavoro: essi dunque non lavorano più in maniera autonoma, autogestita, ma devono sottostare alle istruzioni del personale dell’impresa portuale, che è anche responsabile per i profili della sicurezza del lavoro.
Questo mutamento si è scontrato inevitabilmente con assetti e modi di lavorare da tempo consolidati, nei quali le compagnie portuali godevano di una larghissima autonomia organizzativa, specialmente nel porto di Genova, dove i lavoratori portuali (i cosiddetti «camalli») hanno alle spalle una lunga tradizione, addirittura secolare, tanto che questo porto è stato l’ultimo ad adeguarsi alla riforma, dopo una complessa vicenda durata ben quindici anni. Attualmente, nel porto operano dunque due compagnie portuali che, avendo vinto un apposito bando di gara, prestano la manodopera temporanea alle imprese terminaliste: la già citata Compagnia Unica Lavorazione Merci Varie «Paride Batini» (CULMV), che è la più grande, con oltre 1.000 addetti, e agisce in tutto il porto, e la Compagnia Portuale «Pietro Chiesa», che ha una trentina di addetti e lavora prevalentemente nel settore delle rinfuse.
Pur essendo la normativa già chiaramente definita, si è ritenuto opportuno accompagnare il passaggio da un sistema all'altro mediante la stipula di un accordo quadro per così dire introduttivo tra le imprese terminaliste e le compagnie portuali. Nel caso della CULMV, che è quella che movimenta quasi tutte le merci del porto, l’accordo andava dal novembre 2009 al gennaio 2010: secondo quanto riferito alla Commissione sia dai rappresentanti delle imprese portuali che da quelli della CULMV, l’accordo ha dato buona prova, ma l’avvio del nuovo regime ha messo in evidenza pure una serie di problemi che hanno ripercussioni anche sul fronte della sicurezza del lavoro e che richiederebbero alcuni correttivi.
Si tratta, ancora una volta, di problemi che attengono al coordinamento fra i diversi lavoratori chiamati a svolgere le operazioni di movimentazione delle merci. I rappresentanti delle imprese terminaliste hanno infatti messo in evidenza la difficoltà che talora i loro preposti possono incontrare nell'esercitare il ruolo di coordinatori e di responsabili che il nuovo regime assegna loro nei confronti degli addetti delle compagnie, in quanto questi ultimi continuano a svolgere gli stessi compiti di sempre, ma sono abituati ad operare in grande autonomia, e inoltre - sempre secondo i rappresentanti dei terminalisti - il fatto di non avere più una responsabilità giuridica diretta riguardo all'organizzazione e alla stessa sicurezza del lavoro, potrebbe indurli a sentirsi eccessivamente sollevati rispetto a certe problematiche.
I rappresentanti delle compagnie portuali, dal canto loro, hanno dichiarato la massima attenzione per gli aspetti della sicurezza e l’intenzione di dare piena attuazione al nuovo regime. Al tempo stesso, hanno però confermato l’esistenza di un problema di coordinamento tra i diversi soggetti che intervengono nelle varie operazioni, anche se i ruoli di ciascuno sono formalmente definiti e tutti agiscono nel rispetto della legge, incluse le prescrizioni in materia di salute e sicurezza del lavoro.
Per ovviare a tale problema, si sta sperimentando la possibilità di affidare di volta in volta il coordinamento delle squadre portuali a un preposto che è sempre un dipendente dell’impresa terminalista, ma che viene individuato in accordo con la compagnia. Un altro rimedio passa attraverso l’introduzione di sistemi di formazione congiunta dei vari operatori, indipendentemente dal ruolo svolto. Soprattutto, però, gran parte dei soggetti auditi hanno sottolineato con forza l’esigenza di individuare un organismo terzo che possa esercitare le funzioni di arbitro e dirimere in via preventiva le controversie che possono insorgere tra gli operatori in relazione alle operazioni da espletare e che comportano rischi per la sicurezza dei lavoratori.
Un caso ricorrente è quello di operazioni di carico e scarico delle merci che debbano avvenire in condizioni meteorologiche avverse e potenzialmente pericolose: ognuno dei soggetti coinvolti (armatore, terminalista, compagnia portuale) è portatore di interessi e priorità diverse e può inoltre avere una diversa valutazione del livello di rischio connesso all'espletamento delle attività. Per evitare che la decisione di procedere o meno ai lavori sia dettata solo dalla convenienza o dal potere contrattuale dei singoli, molti operatori ritengono indispensabile che vi sia appunto un arbitro terzo in grado di valutare obiettivamente la situazione e prendere la determinazione migliore per la tutela dei lavoratori. Per ricoprire tale ruolo è stata indicata alla Commissione d'inchiesta l’Autorità portuale, in quanto ente pubblico indipendente e dotato delle necessarie competenze tecniche.
Tale posizione è stata espressa anche dal Presidente dell’Autorità portuale e dai rappresentanti degli altri enti di controllo ed è, inoltre, un suggerimento che la Commissione aveva già raccolto durante la precedente missione a Venezia. Un'altra proposta è quella di dotare l’Autorità portuale di poteri di sanzione amministrativa diretta, come ulteriore deterrente nei confronti dei soggetti inadempienti: attualmente infatti tale potere spetta solo alle ASL, che hanno tuttavia altri compiti e che non riescono in ogni caso a essere presenti in tutte le zone del porto.
Lo stesso Presidente dell’Autorità portuale ha però tenuto a precisare che la proposta di affidare nuovi poteri all'Autorità non è condivisa da tutti ed è oggetto di un ampio dibattito, anche in sede nazionale. Quel che è stato comunque ribadito alla Commissione è la necessità di una messa a punto del sistema complessivo di gestione dei controlli nelle attività portuali, anche mediante una verifica delle norme vigenti. Esistono in proposito numerosi progetti di riforma all'attenzione del Governo e del Parlamento, sia delle norme di carattere generale di cui alla legge n. 84 del 1994, sia di quelle in materia di salute e sicurezza del lavoro di cui al decreto legislativo n. 272 del 1999. Sarà dunque anche questa la sede per cercare di dare risposte ai problemi che si sono descritti, alcune delle quali appaiono ormai indifferibili.


3.5. Sopralluogo a Torino (28 febbraio-1° marzo 2010)
Il 28 febbraio e il 1° marzo 2010, la Commissione ha effettuato una missione a Torino, mediante l’invio di una delegazione formata dal presidente Tofani e dai senatori Bugnano, Fosson, Maraventano e Roilo, allo scopo di acquisire elementi conoscitivi in ordine alle condizioni ed alle problematiche della sicurezza sul lavoro nel contesto locale, con particolare riguardo al tema delle malattie professionali. Com'è noto, infatti, Torino e l’intera Regione del Piemonte hanno maturato negli anni una dolorosa esperienza nella gestione delle malattie professionali, sia sotto il profilo sanitario che giudiziario, con i tragici casi legati alle vittime dell’amianto.
Per quanto riguarda l’aspetto giudiziario, nel corso degli anni a Torino e provincia sono stati istruiti, celebrati e definiti numerosi processi per infortuni e malattie professionali, che hanno comportato un notevole lavoro e l’adozione di soluzioni organizzative talvolta innovative. In base ai dati forniti dal Presidente del tribunale di Torino, i procedimenti per infortuni e malattie pervenuti a dibattimento sono stati 55 nel 2005, 64 nel 2006, 139 nel 2007, 142 nel 2008, 97 nel 2009; a gennaio 2010 si parlava inoltre di 8 procedimenti più altri 42 non ancora registrati presso il tribunale in quanto ancora pendenti presso la procura della Repubblica che aveva già fissato la data dell’udienza.
Ai procedimenti in fase di dibattimento si devono aggiungere quelli pendenti davanti al GIP e al GUP, molti dei quali si concludono con l’archiviazione (il numero maggiore), con sentenze di proscioglimento ovvero con il ricorso ai riti alternativi (patteggiamento o rito abbreviato). Nel periodo 2007-2010, i giudizi per lesioni colpose definiti con sentenza di condanna o di patteggiamento - cioè un'altra forma di condanna - sono stati il 64,5 per cento (235 su 364), le pronunce di assoluzione o di non luogo a procedere sono state il 35,5 per cento. Per gli omicidi colposi, su 48 procedimenti metà si sono conclusi con condanne e metà con assoluzioni. Pochissime le prescrizioni, intorno al 5 per cento. Per quanto riguarda la durata, la stragrande maggioranza dei processi viene definita con il deposito del provvedimento.
Questi dati testimoniano dunque il grande lavoro svolto dai tribunali della provincia di Torino in materia di infortuni e malattie professionali: si tratta di numeri molto alti rispetto alla media del Paese, ma ancora bassi rispetto al numero di potenziali violazioni della normativa. Uno dei problemi riguarda lo scarso numero di segnalazioni che arrivano all'Autorità giudiziaria, specie per le malattie professionali, anche a causa di un'insufficiente preparazione o sensibilità dei medici competenti o delle stesse vittime. Per ovviare a questa situazione, in Piemonte è stato costituito nel 1997 presso la Procura, per l’esposizione all'amianto, un Osservatorio sui casi di tumori professionali, che raccoglie e mette a sistema tutte le segnalazioni in materia, ricostruendo la storia lavorativa e sanitaria di ciascuna vittima.
Alla data del 23 febbraio 2010 risultavano esaminati 23.697 casi, per 14.088 dei quali è stata accertata l’esposizione ad un fattore cancerogeno nel corso dello svolgimento dell’attività lavorativa. L’Osservatorio si è rivelato uno strumento indispensabile per istruire i procedimenti penali, ma anche per agevolare i risarcimenti a favore delle vittime e dei loro familiari e la prevenzione sanitaria. Ove attivato in tutto il Paese, esso potrebbe agevolare le inchieste giudiziarie e riuscire ad eliminare quel forte divario nel trattamento dei casi di malattie professionali che, a detta degli stessi magistrati auditi, si manifesta purtroppo nelle varie zone d'Italia.
Un altro problema evidenziato dai rappresentanti della magistratura riguarda la complessità dei processi per infortuni e malattie professionali, che influisce sull'organizzazione e sulla durata dei lavori. L’esempio più eclatante è quello dei processi ThyssenKrupp ed Eternit,9 dove la grande mole degli atti, la gravità dei reati contestati (alcuni dei quali «inediti» per vicende di questo tipo) e il forte interesse sociale e mediatico hanno richiesto un grande dispiegamento di mezzi e una poderosa organizzazione logistica, resa possibile dal contributo decisivo degli enti locali: informatizzazione degli atti processuali in tempo reale, ampliamento degli spazi per la celebrazione dei processi, collegamenti con le aule per seguire le udienze, ecc. La vicenda Eternit si è poi caratterizzata per l’enorme numero di parti civili costituite, ben 6.392, che ne rende la gestione quanto mai problematica.
Il Presidente del tribunale di Torino ha sottolineato in particolare il contrasto di fondo tra la richiesta di risarcimento dei danni - il processo civile che si trasferisce in sede penale - e l’esigenza primaria di pronunciare sul reato. Il processo penale infatti non può sopportare che il numero delle parti superi determinate dimensioni, perché diventa difficilmente gestibile dal punto di vista materiale. In processi penali così grandi, a suo avviso, l’azione di danni dovrebbe in qualche modo essere messa tra parentesi oppure si dovrebbero trovare meccanismi per obbligare i danneggiati a nominare una sorta di rappresentante comune, che agisca in modo unitario.
Si tratta, evidentemente, di questioni che richiedono anche una revisione delle norme esistenti, testimoniando la complessità dei processi per malattie professionali. Nel caso dell’amianto, sono stati purtroppo molti i luoghi dove si sono registrate vittime, così che i procedimenti in corso si svolgono in diverse parti del Piemonte. Come è stato ricordato alla Commissione, ad ammalarsi non sono stati solo i lavoratori delle aziende dove l’amianto era estratto, prodotto o utilizzato, ma anche i loro familiari o i residenti nei pressi delle fabbriche (che venivano comunque a contatto con fibre o polveri, ad esempio perché usavano le lastre di scarto per pavimentare il giardino), e tante altre persone che vivevano o lavoravano in ambienti dove l’amianto era presente in varie forme (di solito come isolante).
Le patologie da amianto sono frequenti soprattutto nell'Italia del Nord, in particolare nel Nord-Ovest. Il Piemonte infatti estraeva il 98 per cento dell’amianto impiegato in Italia e ne lavorava circa il 50 per cento nelle proprie industrie: molti siti produttivi erano localizzati proprio in provincia di Torino. Secondo i dati forniti dalle ASL, le malattie professionali da amianto sono passate da 1.215 casi denunciati nel 2004 a 1.149 nel 2009. Tuttavia, il rischio resta molto alto, per l’esposizione diffusa che molte persone hanno avuto (direttamente o indirettamente) nei confronti del materiale e per i lunghi periodi di latenza che queste patologie presentano.10
Già dall'inizio degli anni '90, le ASL piemontesi si sono mosse lungo due filoni: da una parte, hanno collaborato a ricostruire l’esposizione lavorativa di soggetti poi ammalatisi e a individuare l’effettiva correlazione tra la patologia e il lavoro (compito non facile soprattutto nel caso di aziende ormai chiuse), sia ai fini dei procedimenti penali avviati dalla magistratura verso gli eventuali responsabili, sia ai fini del riconoscimento degli indennizzi alle vittime e ai loro familiari da parte dell’INAIL. Dall'altra parte, le ASL hanno svolto un'intensa opera di prevenzione, censendo tutti i siti dove era presente l’amianto e promuovendo la relativa bonifica mediante rimozione, confinamento o incapsulamento. La situazione può dirsi ora abbastanza sotto controllo, anche se restano ancora molti luoghi da bonificare.
Attualmente, queste attività sono gestite in Piemonte tramite il piano regionale amianto, di cui alla nuova legge regionale n. 30 del 2008, che è tra le più avanzate in Italia ed è servita da modello anche per altre Regioni. Il piano coordina le operazioni di bonifica e di smaltimento, fissa le direttive per l’attività delle aziende specializzate, con particolare riguardo alla tutela dei lavoratori addetti (attualmente i soggetti più a rischio per il contatto con l’amianto), e definisce il monitoraggio e la sorveglianza sanitaria dei lavoratori esposti e della popolazione in generale.
Tutti gli enti istituzionali e le stesse parti sociali hanno confermato la validità di questo modello organizzativo, che vede una forte sinergia fra i vari soggetti del territorio. Naturalmente, molto lavoro rimane ancora da fare, sia per la bonifica dei siti che per monitorare l’andamento delle patologie da amianto, purtroppo destinate a perdurare anche nei prossimi anni a causa dei lunghi periodi di latenza.
Sul piano pili generale delle iniziative per il contrasto agli infortuni e alle malattie professionali, i rappresentanti della Regione si sono soffermati sulla rilevanza del comitato regionale di coordinamento recentemente istituito, quale luogo di relazione e di accordo interistituzionale sia rispetto alle attività delle amministrazioni pubbliche che alla funzione di coordinamento per l’attività di ispezione e di controllo di tutti gli enti deputati alla funzione di vigilanza. Tale coordinamento si lega poi a quello effettuato, in altra sede, dalle singole prefetture. In particolare, il comitato ha lavorato per mettere a punto metodi di rilevazione il più possibile omogenei e condivisi da parte dei soggetti deputati alla vigilanza, al fine di tracciare «mappe di rischio» in grado di rappresentare le condizioni delle attività produttive secondo la loro tipologia prevalente e relativamente ai tipi di esposizione, al rischio di infortunio e di malattia professionale.
Tale aspetto si è legato strettamente anche all'obiettivo assegnato dalla legislazione regionale sull'attività di ispezione e di controllo, pari al 5 per cento delle attività produttive presenti sul territorio, per il cui raggiungimento si è attuato un processo di forte sensibilizzazione e coordinamento fra tutti gli uffici e le strutture tecniche competenti. Al riguardo, i rappresentanti della Regione Piemonte hanno richiamato un problema tecnico che incide fortemente sull'attività ispettiva e che, peraltro, la Commissione ha avuto modo di riscontrare anche in altre occasioni, vale a dire il fatto che i metodi di rilevazione e di controllo applicati nei luoghi di lavoro siano spesso molto differenti a seconda delle strutture di vigilanza che li attuano e degli indirizzi regionali, il che spiegherebbe anche le notevoli disparita dell’attività di ispezione dichiarata da Regione a Regione e da ufficio ad ufficio. È stata quindi richiamata l’esigenza di rendere tali prassi il più possibili omogenee, anche mediante l’adozione di schede o modelli di rilevazione comuni nei quali trasferire i dati raccolti dai vari enti ispettivi, anche per una corretta rappresentazione dell’attività effettuata.
Analogamente, sempre all'interno del comitato di coordinamento regionale, sono stati approvati protocolli di collaborazione tra enti differenti, ad esempio con l’INAIL per i controlli nei cantieri edili, per una vigilanza che investa non solo chi ha in capo la responsabilità dell’effettuazione dei lavori, ma tutta la filiera dei soggetti che ricevono affidamenti in subappalto.
Per quanto riguarda il ruolo delle parti sociali, esse hanno richiamato le varie attività svolte sul fronte della formazione/informazione alle imprese e ai lavoratori, chiedendo nel contempo un supporto costante da parte delle istituzioni. Tra gli aspetti positivi, è stato rimarcato il fondamentale ruolo d'impulso degli organismi bilaterali, molto attivi specialmente nei settori artigiano ed edile; viceversa, tra gli aspetti più problematici è stato segnalato il numero insufficiente di controlli sulla sicurezza per la carenza degli organici dei corpi ispettivi, nonché di figure professionali che possano rivestire il ruolo di RSPP (responsabile del servizio di prevenzione e protezione) e di RLS (rappresentante dei lavoratori per la sicurezza). Su tale aspetto incide del resto negativamente la forte polverizzazione delle imprese regionali e italiane in generale, per la quale occorrerebbero risposte ad hoc.
Infine, sul tema specifico delle malattie professionali, i rappresentanti delle ASL e delle parti sociali hanno posto l’accento sulla necessità di un più ampio riconoscimento da parte dell’INAIL, considerato che molte patologie sono ancora oggi «non tabellate». Ciò implica anche una più efficace opera di sorveglianza e di prevenzione sanitaria verso i lavoratori, onde evitare per il futuro l’insorgere di nuove malattie o addirittura di nuove epidemie come quella dell’amianto.

 




3.6. Sopralluogo a Reggio Calabria (14-15 marzo 2010)
Il 14 e 15 marzo 2010, la Commissione ha inviato una sua delegazione, composta dal presidente Tofani e dalle senatrici Bianchi e Maraventano, a Reggio Calabria, per acquisire informazioni su due incidenti mortali sul lavoro verificatisi rispettivamente il 13 e il 27 febbraio nei pressi di Gioia Tauro, all'interno dei cantieri dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria.
L’organizzazione dei lavori della Salerno-Reggio Calabria, come tutte le opere pubbliche di grandi dimensioni, è alquanto articolata: la stazione appaltante è ANAS s.p.a., che ha assegnato i lavori a un contraente generale, SA-RC s.p.c.a., sotto il quale operano i vari affidatari e subappaltatori, tra i quali in particolare il Consorzio E.R.E.A., affidatario di primo livello.
Dei due infortuni sui quali ha indagato la Commissione, il primo, quello del 13 febbraio 2010, è costato la vita al signor Rocco Palumbo, operaio della ditta Edilniti s.r.l. di Gela, subappaltatrice del Consorzio E.R.E.A. Il signor Palumbo è precipitato da un'altezza di 7 metri, cadendo da un pilone in costruzione (uno di quelli in cemento armato utilizzati come sostegno per i ponti dell’autostrada). Secondo la versione fornita dai responsabili della ditta Edilniti e del Consorzio E.R.E.A., la caduta sarebbe stata accidentale, posto che il signor Palumbo non avrebbe dovuto trovarsi, per le mansioni a lui affidate, nel punto da cui è caduto, ossia ai bordi del pilone. In realtà, questo particolare è stato oggetto di specifico accertamento da parte della magistratura, che ha verificato se il programma di prevenzione e di esecuzione dei lavori in sicurezza escludesse espressamente la presenza del lavoratore in quella posizione e chi eventualmente avrebbe dovuto controllare questo aspetto.
Quando è precipitato, il signor Palumbo non aveva un'imbracatura di sicurezza né il casco protettivo: la ditta Edilniti e il Consorzio E.R.E.A. hanno sostenuto che tali attrezzature erano disponibili nel cantiere, ma l’operaio non era tenuto a indossarle perché la sua postazione di lavoro era altrove, in una zona recintata. I magistrati auditi dalla Commissione hanno però rilevato che il parapetto di sicurezza aveva caratteristiche di costruzione assolutamente insufficienti a prevenire rischi di caduta, sia perché; troppo basso rispetto al piano di lavoro, sia perché non montato in modo corretto: infatti, quando il signor Palumbo è caduto il parapetto non si è spezzato, ma si è subito divelto.
Dalle notizie acquisite dalla Commissione successivamente al sopralluogo, in data 8 settembre 2010 la Procura di Palmi ha concluso le indagini, chiedendo il rinvio a giudizio del titolare del responsabile del servizio di prevenzione e protezione della ditta Edilniti, del direttore di cantiere per conto del Consorzio E.R.E.A. e del preposto alla sicurezza dello stesso cantiere per conto del contraente generale SA-RC s.p.c.a., con l’accusa di omicidio colposo, cooperazione nel delitto colposo e violazione delle norme antinfortunistiche. Secondo i magistrati, essi avrebbero omesso di adottare le necessarie precauzioni non dotando la zona del pilone di idonee opere provvisionali o adeguati parapetti, anche sul piano di lavoro realizzato per predisporre la cassaforma destinata alla successiva gettata del cemento e sul quale il signor Palumbo stava operando, né munendo quest'ultimo di idonee imbracature e dispositivi individuali di protezione.
Il secondo incidente del 27 febbraio 2010 si è verificato sullo stesso pilone (o spalla) del precedente, causando la morte del signor Salvatore Pagliaro, operaio dell’impresa Eurofin, che fa parte insieme ad altre due del Consorzio E.R.E.A. Al momento dell’infortunio il signor Pagliaro stava lavorando alla colata di cemento che doveva riempire una delle parti interne del pilone in cemento armato: queste strutture sono infatti realizzate su più livelli, con un'armatura di ferro in una gabbia di legno (casseratura), che viene poi riempita di calcestruzzo. In particolare, l’operaio doveva guidare la pompa della betoniera che versava il calcestruzzo mediante un comando a distanza. Nello stesso cantiere si trovavano anche alcuni dipendenti della Edilniti, l’impresa che ha l’incarico di realizzare il pilone (o spalla) in cemento armato.
A un certo punto vi è stato un cedimento della gabbia di legno e del piano di lavoro sul quale si trovava il signor Pagliaro, che si è aperto sotto i suoi piedi facendolo precipitare da circa 8 metri di altezza. Essendosi aperta l’ingabbiatura, tutto il cemento fino ad allora versato si è riversato sopra l’operaio, che ne è rimasto sopraffatto. Sui motivi del cedimento la magistratura sta indagando ed è prematuro trarre qualsiasi conclusione: le ipotesi possibili sono un errore di montaggio della gabbia di legno o un cedimento degli elementi strutturali della stessa. Le ditte coinvolte (in particolare la Edilniti che aveva eseguito i lavori) hanno assicurato che il montaggio era stato fatto correttamente, trattandosi di strutture di tipo standardizzato, già realizzate numerose volte nei lavori dell’autostrada. Inoltre, su quello stesso piano di lavoro, nelle settimane precedenti, gli operai avevano lavorato senza problemi. Dagli elementi raccolti dalla Commissione, è emerso tuttavia che la carpenteria, una volta realizzata, non era stata verificata in ordine alla stabilita strutturale, forse per la fretta di riprendere i lavori dopo la sospensione e il sequestro legati al precedente infortunio. La struttura infatti era stata montata prima dell’incidente del 13 febbraio e il dissequestro era stato concesso una volta apprestate le misure di sicurezza aggiuntive richieste dalla magistratura.
Per quanto riguarda quest'ultimo infortunio, le indagini non sono al momento ancora concluse e occorrerà attendere per ricostruire tutti i passaggi e stabilire le eventuali responsabilità. Aldilà dei fatti specifici, tuttavia, sia il primo che il secondo incidente testimoniano ancora una volta l’elevato rischio infortunistico negli appalti in cui intervenga una pluralità di soggetti, in particolare quelli delle grandi opere, e la conseguente necessità di adottare specifiche forme di coordinamento e di controllo. In questo l’esperienza dei lavori di ammodernamento dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria è emblematica, per l’articolato sistema di gestione previsto.
Come illustrato dai rappresentanti dell’ANAS, in base alle norme vigenti l’opera è suddivisa in lotti ordinari e in macrolotti: nei primi, l’ANAS gestisce direttamente gli appalti, curando tutti gli aspetti, compresi quelli della sicurezza, con personale interno. Nei macrolotti, l’ANAS affida la gestione di tutte le attività al contraente generale, che agisce da committente unico per affidatari e subaffidatari ed è responsabile della sicurezza e dei relativi controlli, attraverso un'apposita struttura, nella quale spicca il coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione (CSE), un soggetto esterno. L’ANAS nomina il responsabile del procedimento (un suo dipendente, che coincide con il responsabile dei lavori) e svolge l’alta sorveglianza sul contraente generale e sul rispetto degli obblighi contrattuali.
I rappresentanti dell’ANAS hanno ribadito l’attenzione della società per gli aspetti della sicurezza nei cantieri dell’autostrada, mettendo in risalto la validità del sistema e dei controlli costantemente effettuati sia dalla stessa ANAS nell'alta sorveglianza, sia dal contraente generale nei riguardi delle imprese affidatarie e subaffidatarie (dei cui risultati l’ANAS è informata). L’ANAS ha in seguito inviato alla Commissione una dettagliata relazione sull'attività effettuata negli ultimi anni in materia di gestione della sicurezza nei cantieri attualmente aperti, incluse le contestazioni e i provvedimenti adottati verso le imprese non regola. Nel 2009, su circa 400 aziende, per una media di quasi 3.300 lavoratori e oltre 5 milioni di ore lavorate, si sono avuti meno di 200 infortuni, di cui 2 mortali, in calo rispetto al 2008, quando vi sono stati oltre 200 infortuni, di cui 1 mortale. A febbraio del 2010, a fronte di un pari numero di imprese, risultavano impiegati quasi 3.400 lavoratori.
La gestione dell’opera è dunque obiettivamente complessa: come hanno ammesso i rappresentanti del contraente generale, se gli affidatari di primo livello sono in genere imprese che garantiscono elevati livelli di qualità e sicurezza, con apprestamenti e con la formazione, il problema nasce negli affidamenti dei subappalti successivi, dove non sempre le imprese sono qualificate e si viene a perdere quel filo conduttore che dovrebbe garantire che tutti gli operai siano formati e informati sulle nuove tecniche costruttive e sui rischi che si corrono nell'ambiente lavorativo.
A Ciò si aggiunge la vastità dell’opera e l’alto numero dei cantieri, sparsi lungo 30 chilometri di autostrada, nei territori di cinque Comuni: gli enti di controllo hanno sottolineato la difficoltà, anche per la scarsità dei loro organici, di essere presenti ovunque e di fare tutte le ispezioni che sarebbero necessarie. Le conseguenze sono che, pur all'interno di un sistema ben definito e organizzato, si creano in tal modo «zone grigie» di irregolarità del lavoro, come hanno esposto alla Commissione sia i sindacati che le forze dell’ordine.
I sindacati hanno denunciato casi di turni di lavoro oltre le normali 8 ore (ad es. nella realizzazione di alcune gallerie) e di scarsa formazione di taluni lavoratori, sulla quale spesso si soprassiede per la grave crisi occupazionale di queste zone. Ancora, i sindacati hanno lamentato la scarsità dei controlli, condizionata anche da una situazione difficile dell’intera sanità pubblica calabrese. Soprattutto, però, hanno posto in evidenza il diffuso clima di illegalità che condiziona molta parte della vita economica e sociale della Calabria, a causa delle pervasive infiltrazioni della criminalità organizzata, che ha proprio nel settore edile uno dei principali campi di azione. Molte imprese e cantieri subiscono estorsioni e ricatti, non solo mediante richieste di denaro, ma anche, ad esempio, con l’imposizione dell’assunzione di determinati lavoratori, tanto che molti sindacalisti hanno ormai remore a svolgere la loro attività presso i cantieri perché non sanno neanche se possono fidarsi di chi hanno a fianco.
Anche le forze dell’ordine hanno rimarcato tale aspetto, confermando che, per quanto frequenti e numerosi siano i controlli, sulla Salerno-Reggio Calabria non si riesce a coprire tutti i cantieri e si creano smagliature dove riesce a insinuarsi la criminalità organizzata o dove comunque si violano le norme relative alla sicurezza sui luoghi di lavoro, alle assunzioni dei lavoratori e agli obblighi contributivi (per esempio, l’assunzione di lavoratori minorenni). Il problema naturalmente riguarda, in vario modo, tutti i settori dell’economia locale, dove si registrano anche fenomeni di lavoro nero, di caporalato e sfruttamento illegale della manodopera (si pensi ai tragici fatti di Rosarno del gennaio 2010). Ad esempio, nel 2009, in provincia di Reggio Calabria la Guardia di finanza ha scovato 50 datori di lavoro agricoli che impiegavano 480 lavoratori in nero e, nel corso dell’ultimo triennio, ha denunciato 300 falsi braccianti agricoli, per un danno erariale procurato di circa 500.000 euro e redditi non dichiarati di quasi 7,5 milioni di euro. Se si considera che i controlli avvengono in modo mirato e su una platea selezionata di soggetti, si capisce come la dimensione del fenomeno possa essere sicuramente preoccupante.
Pur in questo quadro difficile e a tratti anche drammatico, istituzioni e parti sociali stanno lavorando insieme per affinare sempre di più sinergie e forme di cooperazione, attraverso varie intese e protocolli operativi, che vedono anche la presenza indispensabile delle forze dell’ordine. Un esempio importante segnalato alla Commissione riguarda la stipula di due protocolli tra istituzioni e parti sociali per favorire i controlli sui problemi di sicurezza nelle forniture di cemento e negli atti preparatori per la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina, prevedendo specifici compiti e responsabilità a carico di tutti i soggetti, pubblici e privati, coinvolti nelle varie operazioni.


3.7. Sopralluogo a Civitavecchia (12 aprile 2010)
Il 12 aprile 2010 la Commissione ha effettuato una missione a Civitavecchia, in provincia di Roma, alla quale ha preso parte una delegazione formata dal presidente Tofani e dai senatori De Angelis, Maraventano e Nerozzi. La missione mirava ad acquisire informazioni sul tragico incidente avvenuto la mattina di sabato 3 aprile, causando la causato la morte di un operaio e il ferimento di altri tre.
Gli operai stavano eseguendo un lavoro di manutenzione nel quarto gruppo della centrale, sopra un ponteggio alto circa 12 metri, per disostruire una condotta a pressione che trasporta acqua e ammoniaca, sostanza usata per diminuire l’emissione di monossido di azoto nell'impianto. A un certo punto dalla tubazione è fuoriuscito un violento getto di esalazioni che ha colpito al volto uno di loro, il signor Sergio Capitani, gettandolo contro un palo, dove ha sbattuto violentemente il capo. L’uomo, ricoverato in rianimazione nell'ospedale di Civitavecchia, è morto poco dopo l’incidente. Gli altri operai sono invece rimasti solo lievemente intossicati, senza conseguenze gravi.
La squadra era formata da un dipendente dell’ENEL e da tre operai di ditte esterne, la Mario Guerrucci s.a.s., alla quale apparteneva anche il signor Capitani e che aveva l’incarico di svolgere quell'intervento, e la Tecnostrutture s.r.l., che però non aveva un ruolo diretto nella manutenzione. Le indagini della magistratura sono ancora in corso e bisognerà attenderne la conclusione per ricostruire la dinamica e le circostanze dell’incidente. La ditta Mario Guerrucci dalla quale dipendeva il signor Capitani lavora da circa quarant'anni all'interno della centrale ed ha una grande esperienza nel settore, tuttavia, in base a quanto è stato riferito alla Commissione, l’intervento era impegnativo e non di routine, anche perché la condotta da disostruire si trovava su un ponteggio a 12 metri di altezza, in mezzo a un fitto intrico di tubazioni e in un punto molto scomodo da raggiungere. Bisognerà quindi verificare sia l’idoneità della procedura seguita e delle attrezzature utilizzate, sia l’effettiva preparazione del personale chiamato rispetto a quel tipo di manutenzione.
Ad esempio, nel corso delle audizioni, i rappresentanti della ditta Guerrucci hanno dichiarato che il signor Capitani non aveva completato la sua formazione, salvo inviare successivamente alla Commissione una lettera ufficiale nella quale hanno affermato che il signor Capitani era comunque addestrato per quel tipo di intervento, esibendo i relativi attestati. Analoga conferma è arrivata dall'ENEL, i cui rappresentanti sono stati ascoltati sia durante il sopralluogo a Civitavecchia, che nel corso di una successiva audizione svoltasi in Senato il 5 maggio 2010.
L’incidente ha creato molto allarme nel contesto locale, tanto che il sindaco di Citavecchia ha disposto il fermo temporaneo della centrale, per consentire ai tecnici degli organismi di controllo di verificare in modo puntuale le condizioni della sicurezza sul lavoro all'interno dell’impianto.
Al di la dello specifico infortunio, durante il sopralluogo sono emerse criticità di carattere più generale sulla sicurezza del lavoro presso la centrale di Torrevaldaliga Nord che hanno indotto la Commissione ad ulteriori approfondimenti, acquisendo dati e notizie dai competenti organismi di controllo e svolgendo due specifiche audizioni, con i rappresentanti del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco (in data 21 aprile) e con quelli dell’ENEL (in data 5 maggio).
Occorre anzitutto rilevare che l’infortunio sul lavoro del 3 aprile non è, purtroppo, il primo che colpisce l’impianto ENEL di Civitavecchia, dove - secondo i dati forniti dall'ENEL e dalla Direzione provinciale del lavoro (DPL) di Roma - fra il 2006 e il 2009 si sono avuti ben 278 infortuni di varia gravità, tra i quali due mortali (rispettivamente nel 2007 e nel 2008). A partire dal 2007 si registra comunque una significativa diminuzione degli infortuni e il raggiungimento di un minor indice di frequenza e di gravità. Torrevaldaliga Nord è un sito industriale di grande complessità. Dal 2006 a oggi la centrale è stata riconvertita dall'alimentazione ad olio combustibile a quella con il cosiddetto «carbone pulito»: i lavori hanno comportato un investimento superiore ai 2 miliardi di euro e dato vita ad un enorme cantiere, nel quale, sempre secondo i dati forniti dall'ENEL e dalla DPL, sono stati impegnati dall'inizio dei lavori 12.600 persone di 56 nazionalità diverse, con 18,7 milioni di ore lavorate ed una presenza media giornaliera, nelle fasi di picco, di circa 3.200 lavoratori. Sono stati stipulati più di 300 contratti tra appalti e forniture e gestiti più di 700 contratti di subappalto, con oltre 1.300 aziende che, a vario titolo e in momenti diversi, hanno operato all'interno del cantiere.
I lavori di conversione sono in via di completamento: una parte significativa dell’impianto (tra cui quella dove è avvenuto l’ultimo incidente) è passata dalla fase di cantiere a quella di produzione, ma resta una realtà produttiva complessa, con un altissimo grado di interferenza e tutti i problemi connessi, dalla gestione degli appalti e subappalti, al coordinamento organizzativo e ai controlli della sicurezza.
Per quanto riguarda appalti e subappalti, i rappresentanti sindacali hanno parlato di alcuni contratti assegnati all'interno della centrale con ribassi addirittura del 60-70 per cento, specie da parte delle imprese piccole o piccolissime. Questi ribassi si sarebbero tradotti in un inevitabile risparmio sui costi della sicurezza e in un aumento dei rischi per i lavoratori, già sottoposti a ritmi di lavoro molto pesanti e talora privi di un'adeguata formazione. Anche il sindaco di Civitavecchia ha denunciato i rischi di un'applicazione indiscriminata del criterio del massimo ribasso, specie nel subappalto, laddove le imprese selezionate non siano obiettivamente in grado di sostenere i ribassi offerti.
Dal canto suo, l’ENEL ha negato la possibilità di ribassi così ampi, in quanto l’azienda è soggetta all'applicazione delle norme del Codice degli appalti pubblici (decreto legislativo n. 163 del 2006) relative ai settori speciali e utilizza un sistema di selezione delle imprese e di gestione degli appalti molto sofisticato. Il sistema valuta le imprese verificandone la qualificazione tecnico-professionale (anche sotto il profilo della sicurezza), il rispetto delle disposizioni vigenti e la congruità economica dell’offerta. L’aggiudicazione degli appalti avviene in genere mediante prezzi liberi offerti dalle imprese senza pubblicazione del preventivo ENEL: in tal modo i ribassi eccessivi sarebbero scoraggiati e lo scostamento dei prezzi di aggiudicazione rispetto al preventivo risulterebbe inferiore al 10 per cento. Anche il regime dei subappalti è molto rigido: le aziende proposte dagli appaltatori sono attentamente valutate sotto il profilo legale, tecnico ed economico, verificando che l’importo del contratto di subappalto non superi il 30 per cento del valore della categoria prevalente o del contratto principale, che i prezzi del subappalto siano non inferiori all'80 per cento di quelli dell’appalto e che non vi siano ribassi sugli oneri per la sicurezza. Infine, sono previsti controlli successivi sul rispetto dei contratti da parte delle imprese terziste.
Malgrado queste cautele, i numerosi controlli degli organi ispettivi hanno però evidenziato una serie di problemi nella gestione delle imprese esterne operanti nel cantiere. In particolare, il 18 dicembre 2008 e il 15 dicembre 2009, sono state compiute due grandi operazioni, alle quali hanno preso parte ispettori della DPL e dell’ASL, coadiuvati da Polizia, Carabinieri e Guardia di finanza, nelle quali, oltre ad una serie di violazioni accertate, sono emersi aspetti significativi che riguardavano appunto l’eccessiva esternalizzazione dei lavori e la presenza di un numero elevatissimo di imprese. Nelle due ispezioni sono state complessivamente identificate oltre 1.300 aziende che a vario titolo e in momenti diversi hanno lavorato nel cantiere, con una presenza media giornaliera di circa 3.200 operai.
Secondo le indicazioni fornite dalla DPL di Roma, appositamente interpellata dalla Commissione, è emerso che tutta l’opera è stata appaltata con affidamento di lavori ad associazioni temporanee di imprese (ATI) e a consorzi, al cui interno però, come in un sistema di scatole cinesi, vi erano altre ATI e consorzi, per arrivare, in alcuni casi, fino a 90 imprese per ogni commessa. Ciò ha comportato la compresenza di aziende di piccole dimensioni, il 90 per cento circa con meno di 10 dipendenti. I rischi da interferenza erano dunque elevati, anche per la presenza di numerose aziende specializzate di varia nazionalità, che impiegavano manodopera straniera. A Ciò però non ha fatto riscontro un adeguato servizio di coordinamento.
Si sono poi registrate varie violazioni in materia di sicurezza del lavoro e di prevenzione infortuni, mentre altri accertamenti sono ancora in corso sugli appalti e sulle posizioni lavorative di una parte del personale, anche per verificare i sospetti circa eventuali episodi, sia pure marginali, di lavoro nero o di caporalato. Si è infine riscontrata una diffusa violazione dell’orario di lavoro, posto che in vari casi i turni superavano le 1112 ore e coinvolgevano a volte anche il sabato e la domenica.
All'attività ispettiva, gli organismi di controllo hanno affiancato, con il concorso dei sindacati e della stessa ENEL, importanti iniziative di prevenzione, introducendo migliori procedure di controllo e di sicurezza. Ad esempio sono stati previsti interpreti per i lavoratori stranieri e corsi di formazione ad hoc per particolari figure. Un'attenzione speciale è stata dedicata alle macchine e alle attrezzature (come quelle da sollevamento meccanico): alcune, prese a nolo o in leasing all'estero tramite società terze, non avevano le istruzioni in italiano o prevedevano per l’utilizzo una formazione non adeguata alle effettive necessità. Essenziale è stata poi l’istituzione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza nei cantieri (RLSC) e del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza del sito produttivo (RLSP), anticipando in parte il decreto legislativo n. 81 del 2008. Si è così operata una formazione continua del personale impiegato, che ha dato risultati positivi, pur nella complessità della situazione e anche se, purtroppo, gli infortuni non sono mancati e ve ne sono stati anche di mortali.
I sindacati auditi dalla Commissione hanno confermato i rischi d'interferenza e i problemi di coordinamento derivanti dalla frammentazione degli appalti e dalla compresenza di un così alto numero di soggetti, segnalando come i pericoli maggiori si siano creati soprattutto con la transizione dalla fase di cantiere a quella di produzione ed esercizio. Questa è infatti una delle fasi di maggiore incertezza e di particolare rischio, a causa della sovrapposizione delle lavorazioni delle differenti maestranze e dell’interferenza generata dalle diverse necessità. Anche la Direzione provinciale del lavoro di Roma ha richiamato con forza l’attenzione su questo aspetto, tenendo conto che entro l’anno il cantiere dovrebbe chiudere e partire definitivamente la produzione di energia.
I sindacati hanno chiesto che anche nella parte di produzione si applichino quelle stesse procedure di controllo che hanno dato buona prova nella parte del cantiere: in particolare, una formazione sulla sicurezza diffusa per i lavoratori ed una presenza ampia dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, estendendo la figura del rappresentante per la sicurezza del sito produttivo anche alla zona di esercizio. Merita poi di essere segnalata anche la proposta avanzata dall'INAIL regionale, circa la creazione di un osservatorio in loco con il concorso dei vari enti di controllo, sul modello di analoghe esperienze svolte in siti produttivi complessi (ad esempio l’ILVA di Taranto). In proposito, successivamente all'incontro con la Commissione, l’ENEL ha avviato un confronto con i sindacati per studiare le misure più opportune per elevare il livello di sicurezza all'interno dell’impianto di Torrevaldaliga Nord.
In questo contesto, non può essere sottaciuta anche la rilevanza sociale del problema. Come hanno ricordato i rappresentanti delle istituzioni locali, in particolare della Provincia e del Comune, impianti di questo genere hanno un enorme impatto sul territorio, sotto il profilo dell’occupazione, dell’ambiente e della salute, e sono inevitabilmente al centro dell’attenzione delle comunità locali. Nel richiamare i dibattiti (anche aspri) che nel corso degli anni hanno sempre accompagnato la presenza della centrale e la stessa scelta del passaggio dall'alimentazione a olio combustibile a quella a carbone, le istituzioni locali hanno chiesto un'attenzione sempre maggiore ai temi della salute e della sicurezza, sia per i lavoratori che per le popolazioni del territorio circostante.
Il quadro descritto testimonia dunque la difficoltà di gestione di siti produttivi complessi sotto il profilo operativo e sicurtario. Gli alti rischi di interferenza richiedono un'attenzione e un presidio costanti da parte di tutti i soggetti coinvolti, affiancati da adeguati sistemi di coordinamento e comunicazione, oltre che ovviamente da una formazione/informazione costante di tutti i lavoratori, sia dal punto di vista tecnico-professionale che della sicurezza.
Si tratta di considerazioni apparentemente semplici, ma che sono talvolta trascurate o applicate in misura parziale, con conseguenze tutt'altro che banali. Per fare un esempio, uno dei problemi pratici segnalati dai rappresentanti dei lavoratori alla Commissione è che, a causa dell’alto numero di imprese e lavoratori addetti, talvolta nell'avvicendarsi delle squadre non si riusciva a effettuare un adeguato passaggio di consegne. La squadra successiva poteva quindi ignorare alcuni problemi riscontrati da quella precedente, con ovvi rischi per la sicurezza.
L’ENEL è nota per la grande esperienza nella progettazione e realizzazione di centrali elettriche, oltre che per i sistemi di controllo assai rigorosi, alcuni dei quali sono stati in precedenza richiamati. Tuttavia il caso di Torrevaldaliga Nord dimostra che il governamento di siti così complessi richiede soluzioni organizzative sofisticate, capaci di coinvolgere in un circuito virtuoso tutti gli attori del processo, dalle aziende ai lavoratori, dagli enti istituzionali di controllo alle forze dell’ordine.
Un altro aspetto è, naturalmente, quello degli appalti e subappalti. Le grandi aziende come l’ENEL hanno un sistema di selezione e gestione certamente sofisticato, ma la proliferazione delle aziende affidatarie e subaffidatarie raggiunge in alcuni casi livelli eccessivi e andrebbe meglio controllata. Oltre alla filiera del subappalto verticale, proprio l’esperienza di Torrevaldaliga Nord evidenzia che esiste talvolta anche una filiera di tipo orizzontale, attraverso i raggruppamenti di imprese come i consorzi e le associazioni temporanee. Si tratta naturalmente di formule del tutto legittime, spesso indispensabili per reperire determinate capacità tecniche e per consentire anche a imprese di piccole o piccolissime dimensioni di poter partecipare ai grandi progetti. Ma l’uso troppo ampio di queste formule può condurre a un'eccessiva frammentazione dei processi produttivi e lavorativi, con inevitabili ripercussioni sulla capacità di coordinamento e sulla sicurezza del lavoro. Inoltre, proprio nell'allungamento della catena delle imprese si possono annidare fenomeni di ribassi eccessivi e quindi di compressione delle tutele a favore dei lavoratori.
Infine, occorre accennare a un'altra questione emersa durante il sopralluogo a Civitavecchia e sulla quale la Commissione ha compiuto ulteriori approfondimenti. Nel corso dell’incontro con i rappresentanti dei Vigili del fuoco è risultato che la centrale ENEL di Civitavecchia e le consistenze annesse erano originariamente in possesso di un certificato di prevenzione incendi, che è stato rinnovato fino al 2006 per le consistenze ancora in essere, ma che è ormai decaduto per le modifiche apportate con la trasformazione. Contestualmente, è stata avviata l’istanza di esame del progetto per tutte le attività principali e le sottoattività ricomprese nel nuovo assetto della centrale. Nelle more delle procedura d'esame (conclusasi a marzo 2010), su richiesta dell’ENEL, tre sottoattività hanno ottenuto l’autorizzazione provvisoria all'esercizio (la stazione di compressione metano, la rete metano e un impianto termico asservito alla stazione di compressione).
Si tratta di procedure del tutto normali e legittime, ma che pongono una serie di problemi, emersi anche in altri sopralluoghi della Commissione. Da un lato, il fatto che impianti industriali anche molto complessi possano operare dal punto di vista antincendio solo con autorizzazioni di tipo provvisorio, ossia in assenza del certificato di prevenzione antincendi, durante le fasi di trasformazione o transizione, a volte per periodi anche lunghi. Dall'altro, l’effettiva capacità di intervento e controllo da parte dei Vigili del fuoco presso le imprese, in relazione alle autorizzazioni provvisorie all'attività e dopo il rilascio del certificato definitivo di prevenzione incidenti. Al fine di chiarire tali aspetti, la Commissione ha quindi deciso di audire, nella seduta del 21 aprile 2010, i rappresentanti del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco.
Costoro hanno anzitutto chiarito i termini dell’attività di prevenzione contro il rischio di incendi e di esplosioni affidata al Corpo dalle disposizioni vigenti, che si esercita sia nel campo della prevenzione incendi in senso stretto, sia in quello della sicurezza negli ambienti di lavoro, sia infine rispetto alle attività a rischio di incidente rilevante, regolate dalla cosiddetta direttiva Seveso (decreto legislativo n. 334 del 1999). Indipendentemente dal contesto specifico, nell'ambito di questa competenza i Vigili del fuoco possono sempre compiere ispezioni e sopralluoghi per la prevenzione di incendi ed esplosioni, anche di loro iniziativa e a campione, segnalando eventuali rischi alle autorità preposte o adottando essi stessi provvedimenti d'urgenza.
Per quanto riguarda le autorizzazioni provvisorie all'esercizio di singole attività dal punto di vista antincendio, è stato precisato che si tratta di provvedimenti rilasciati, nell'ottica della semplificazione amministrativa, per consentire alle imprese e ai soggetti interessati di poter comunque operare in attesa del completamento dei controlli per il rilascio dell’autorizzazione definitiva (certificato di prevenzione incendi), che prevede l’esame del progetto di attività e può avere tempi lunghi. Anche le autorizzazioni provvisorie prevedono però l’adozione di adeguate precauzioni contro il rischio incendi. Nel caso di siti produttivi molto complessi, specialmente nelle fasi di trasformazione o riconversione (come nel caso della centrale ENEL di Civitavecchia), si tende a frazionare il progetto sottoposto ai Vigili del fuoco e il conseguente controllo in fasi successive, per facilitare il processo di verifica.
I rappresentanti dei Vigili del fuoco hanno comunque evidenziato che, anche se le norme vigenti attribuiscono loro adeguati poteri di ispezione e controllo, l’espletamento concreto di molte attività si scontra però con risorse, specie di organico, decisamente sottodimensionate rispetto alle effettive esigenze e alle vaste competenze affidate ai Vigili del fuoco. Ad esempio, essi svolgono anche importanti compiti di protezione civile (come nel terremoto dell’Aquila) e amministrativi (come coadiuvare le Regioni nelle istruttorie per le autorizzazioni delle attività a rischio di incidente rilevante). Il risultato è che la parte delle ispezioni non obbligatorie, a campione, può a volte essere più sporadica, ma il Corpo ha comunque tutti i necessari poteri d'intervento.
Un altro tema emerso nell'audizione è stato il ruolo delle squadre antincendio autonome che a volte sono presenti in alcuni stabilimenti, qualora tale circostanza possa determinare un'esclusione dell’intervento dei Vigili del fuoco contro eventuali incendi. Al riguardo è stato spiegato che, specialmente nel caso di aziende di grandi dimensioni, la presenza sul posto di squadre antincendio è uno specifico obbligo di legge. Piccoli incidenti senza particolari conseguenze possono anche essere gestiti direttamente dalle squadre dell’azienda, ma i Vigili del fuoco hanno sempre il potere di intervenire o fare controlli. Il problema è che se nessuno li avvisa, alcune notizie possono sfuggire. Peraltro, in situazioni del genere, ove ci dovesse essere dolo da parte di chi non denuncia, si tratterebbe di un'omissione sanzionabile sotto il profilo amministrativo e penale.
La normativa in materia è dunque completa ed esaustiva e prevede anche una procedura flessibile per l’introduzione di aggiustamenti alle disposizioni di dettaglio, che si possano rendere necessari nel tempo in relazione a sopravvenute esigenze.


3.8. Sopralluogo a Villa Santa Lucia (24 maggio 2010)
Il 24 maggio 2010 una delegazione della Commissione, formata dal presidente Tofani e dai senatori De Angelis, De Luca e Maraventano, ha effettuato un sopralluogo a Villa Santa Lucia, in provincia di Frosinone, per raccogliere notizie in merito ad un progetto per la realizzazione in loco di un impianto per il trattamento di rifiuti contenenti amianto, nonché per verificare le relative misure adottate o da adottare per la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori e delle popolazioni residenti.
Nell'ambito della competenza della Commissione d'inchiesta, infatti, rientra anche il tema della prevenzione e del contrasto alle malattie professionali, tra le quali le patologie da amianto detengono un triste primato. Nel corso del precedente sopralluogo a Torino (di cui si è parlato nel paragrafo 3.5), la Commissione ha avuto modo di conoscere in dettaglio i problemi legati alle attività di bonifica, trattamento e smaltimento dell’amianto e di essere sensibilizzata sul fatto che oggi i rischi maggiori legati al contatto con questo materiale riguardano proprio i lavoratori addetti a tali operazioni. Avendo quindi avuto notizia del progetto di realizzazione di un impianto per il trattamento dei rifiuti contenenti amianto, che sarebbe stato anche del tutto innovativo in Italia per le dimensioni e le caratteristiche di lavorazione, è sembrato opportuno approfondire la questione.
Il quadro che ne è risultato è piuttosto complesso. Il progetto in discorso era stato avanzato da una società di Correggio (in provincia di Reggio Emilia), la Progetto Immobiliare s.r.l. Esso prevedeva la realizzazione di un impianto per il trattamento di rifiuti speciali contenenti amianto, mediante smaltimento, inertizzazione e riciclaggio. L’inertizzazione avviene attraverso il trattamento termico del rifiuto, portato a temperature superiori a 900 °C in un forno speciale, derivato dall'industria ceramica. L’amianto assume così una struttura cristallina (processo di vetrificazione o ceramizzazione), senza più rilascio di fibre o polveri che costituiscono il principale veicolo del rischio cancerogeno. Il materiale inertizzato, ormai innocuo, può essere riciclato come materia prima per altri processi industriali (ad es. nell'edilizia).
I rifiuti destinati al trattamento sono «materiali da costruzione contenenti amianto» individuati dal codice CER 170605*, dei quali si prevedeva di smaltire 60.000 t/anno. Si tratta, evidentemente, di un quantitativo assai rilevante, specie considerando che, a quanto è dato di sapere, l’unico impianto funzionante che utilizza un processo di inertizzazione per vetrificazione dei rifiuti contenenti amianto, quello della INERTAM di Morcenx, in Francia, è in grado di processare da 4.000 a 6.000 t/anno. Peraltro, l’impianto proposto dalla Progetto Immobiliare S.r.l. si basava su una tecnologia diversa da quella della INERTAM e che - sempre in base alle notizie raccolte dalla Commissione - è stata finora realizzata solo in via sperimentale in collaborazione con l’Università di Parma da un'altra società di Correggio, la Nial Nizzoli s.r.l., legata alla Progetto Immobiliare e attiva nel settore delle bonifiche ambientali e del trattamento dei rifiuti. La sperimentazione è avvenuta per circa un mese nel 2007 in un impianto pilota con una capacità ridotta (3 t/anno di rifiuti); la Nial Nizzoli, attraverso un'altra società, la Econial s.r.l., sempre nel 2007 ha poi presentato un progetto per un impianto definitivo ubicato nell'area SIPRO del Comune di Ostellato (in provincia di Ferrara), in grado di trattare fino a 15.000 t/anno di rifiuti contenenti amianto. La stessa Econial, alla fine, ha però deciso di abbandonare il progetto, anche per l’opposizione dei cittadini e degli enti locali (Comune e Provincia).
Il progetto per l’impianto di Villa Santa Lucia, assai più grande e complesso di quello di Ostellato, ha cominciato a delinearsi già a fine del 2007, è stato formalizzato nel 2008 e doveva ubicarsi nell'area del COSILAM (Consorzio per lo sviluppo industriale del Lazio meridionale).
Dopo un lungo iter, nel 2009 ha ottenuto un parere favorevole dai competenti organismi della Regione Lazio per la valutazione di impatto ambientale (VIA) e, al momento del sopralluogo svolto dalla Commissione d'inchiesta, si trovava all'esame della Conferenza dei servizi, che lo stava valutando ai fini del rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA). Le comunità locali - che avevano di fatto appreso la notizia solo nel gennaio 2010 - hanno duramente contestato l’iniziativa, dando vita a varie manifestazioni e comitati civici. Gli enti locali coinvolti (Comune e Provincia), che non si erano pronunciati nella fase di esame per la VIA, avevano stavolta manifestato contrarietà sul progetto, che non avrebbe offerto a loro avviso sufficienti garanzie sotto il profilo della sicurezza e della salubrità per i lavoratori addetti e per il territorio circostante, già fortemente penalizzato sotto il profilo ambientale per la presenza di numerosi impianti industriali e discariche di rifiuti (anche abusive). Dubbi e richieste di chiarimenti ed integrazioni informative erano state poi formulati anche dagli organismi tecnici (ARPA e ASL).
Durante il sopralluogo sia i rappresentanti degli enti locali che i tecnici dell’ARPA e dell’ASL hanno ribadito alla Commissione le rispettive posizioni. Le perplessità dei tecnici si appuntavano soprattutto sulla mancanza di una sperimentazione adeguata per un impianto così innovativo e sull'idoneità delle procedure di controllo previste nel progetto riguardo alle fasi di conferimento e stoccaggio dei rifiuti contenenti amianto prima e durante il trattamento, ritenute le più critiche ai fini della sicurezza e della salute dei lavoratori addetti e del territorio circostante. Le parti sociali, e in particolare i rappresentanti dei sindacati, pur non dichiarandosi pregiudizialmente contrari a progetti di questo tipo, hanno manifestato analoghe perplessità. I rappresentanti della Regione, infine, si sono riservati di valutare la decisione finale nella successiva riunione della Conferenza dei servizi che avrebbe dovuto essere convocata di lì a poco.
I rappresentanti della società Progetto Immobiliare, dal canto loro, hanno ribadito la validità del progetto sotto il profilo sia tecnico che economico-imprenditoriale. Tuttavia, in ragione del mutamento delle condizioni complessive, hanno adombrato la possibilità di un eventuale ritiro o riconversione del progetto stesso, pur senza assumere una posizione definitiva.
Anche prescindendo dalle valutazioni di merito sul definitivo accoglimento o reiezione del progetto, che spettavano alla Conferenza dei servizi della Regione Lazio, l’iniziativa in questione, per le dimensioni, per il carattere innovativo e per l’impatto complessivo che avrebbe potuto avere, anche sotto il profilo dei rischi per la salute e per la sicurezza, acquistava oggettivamente un rilievo di livello nazionale. Per tali ragioni, la Commissione ha ritenuto di approfondire ulteriormente il tema, acquisendo anche le valutazioni del competente del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sia riguardo al progetto in discorso sia, più in generale, riguardo alle politiche attuali e future concernenti lo smaltimento ed il riciclaggio dei materiali contenenti amianto nel nostro Paese. Tale confronto ha avuto luogo nella seduta del 1° luglio 2010, con l’audizione del sottosegretario di Stato Roberto Menia.
Il rappresentante del Governo ha anzitutto confermato che il tema sollevato dalla Commissione è di grande attualità e di interesse non solo regionale, ma nazionale, per i suoi contenuti di pianificazione e di gestione dei rifiuti di amianto, che attualmente sono destinati principalmente all'estero. Per quanto riguarda specificamente la Regione Lazio, purtroppo oggi in essa non si può smaltire amianto in quanto mancano discariche autorizzate, ad eccezione di un sito di stoccaggio provvisorio a Viterbo.
Ciò spiega l’interesse per soluzioni alternative come la realizzazione di impianti del tipo di quello proposto a Villa Santa Lucia, tenendo nel giusto conto sia i vantaggi che le criticità. I vantaggi sono rappresentati dalla riduzione dei volumi dei rifiuti di amianto compatto e dalla trasformazione in prodotti ceramizzati che ne consentirebbe l’uso come materia seconda per la produzione di ceramiche o di cemento, riducendo nel contempo lo scavo di nuovo materiale dalle cave di serra e carbonati. Le criticità sono, invece, rappresentate dal problema delle procedure e delle metodiche per il controllo della qualità dell’impianto. Appare quindi evidente la necessità di contemperare le legittime esigenze di favorire un'attività di smaltimento/riconversione dell’amianto, in una Regione povera di altri siti, con l’altrettanto legittima preoccupazione di garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori addetti e della popolazione locale nei confronti di un eventuale impatto negativo di tale attività.
Il quadro normativo di riferimento per la bonifica dei rifiuti contenenti amianto è peraltro ormai ben definito11 e prevede precise procedure, anche per quanto riguarda i requisiti delle imprese che intendono effettuare tali attività , che devono iscriversi ad un'apposita sezione dell’Albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti. Secondo le ultime statistiche in materia fornite dall'ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, l’ex APAT), nel 2008 sono state gestite circa 166 mila tonnellate di rifiuti, di cui circa 94 mila avviate a discariche (purtroppo l’unica forma di smaltimento definitivo oggi presente in Italia e in genere non abilitate a rifiuti pericolosi) e circa 73 mila destinate all'estero (Austria e Germania).
In base alle disposizioni vigenti, i processi di trattamento dei rifiuti contenenti amianto possono essere distinti in due gruppi principali: quelli che riducono il rilascio di fibre senza modificare la struttura cristallochimica dell’amianto, o modificandola in modo parziale, e quelli che ne modificano completamente la struttura e che, pertanto, annullano la pericolosità connessa ai minerali di amianto. I rifiuti/materiali risultanti dal processo, a seconda della tipologia di trattamento effettuata e delle loro caratteristiche, potranno essere avviati, nel rispetto delle normative vigenti, allo smaltimento in discarica oppure al riutilizzo come materie prime. Quest'ultima opzione può ovviamente essere prevista solo nel caso in cui sia completamente annullata la pericolosità connessa alla presenza dell’amianto. Deve, pertanto, essere assicurata la completa modificazione della struttura cristallochimica dell’amianto e la rispondenza del materiale ai requisiti stabiliti dalla normativa vigente in materia.
Il sottosegretario Menia si è poi soffermato sulle caratteristiche tecniche del progetto di Villa Santa Lucia, rilevando come i competenti organi di valutazione, la Conferenza dei servizi della Regione Lazio, l’ISPRA e l’ARPA Lazio avessero riscontrato numerose criticità, formulando una serie di rilievi e di prescrizioni per la ditta proponente. Infine, ha confermato che, il 17 giugno 2010, nel corso di una riunione presso la Regione Lazio, alla presenza del sindaco del Comune di Villa Santa Lucia e di componenti dei comitati civici locali, i rappresentanti della società Progetto Immobiliare avevano preannunciato l’intendimento di rinunciare al progetto.
Al di là del caso specifico, resta comunque aperto il tema della ricerca di metodi di smaltimento dei rifiuti contenenti amianto più efficaci e meno invasivi, diversi dal semplice conferimento in discarica, che si rivela ormai sempre più difficile per i numerosi problemi di impatto ambientale che inevitabilmente comporta.


3.9. Sopralluogo a Capua (22 settembre 2010). I problemi della sicurezza del lavoro negli ambienti confinati
Il 22 settembre 2010 una delegazione della Commissione, composta dal presidente Tofani e dai senatori Bugnano, Carloni, De Luca e Maraventano, ha svolto un sopralluogo a Capua, in provincia di Caserta. Scopo della missione era quello di indagare sul gravissimo incidente verificatosi l’11 settembre presso lo stabilimento della DSM s.p.a., nel quale hanno trovato la morte tre operai.
La DSM s.p.a. di Capua ha attualmente circa 300 dipendenti, fa parte di un gruppo chimico-farmaceutico multinazionale con sede in Olanda e produce, tra l’altro, semilavorati per le industrie alimentari e i mangimi animali. Alcuni di questi prodotti sono ottenuti per fermentazione all'interno di speciali cisterne (chiamate appunto fermentatori), alte circa dodici metri, in ambiente pressurizzato e a tenuta stagna. Nei mesi precedenti si era constatato che il prodotto ottenuto in uno di questi fermentatori non rispondeva agli standard qualitativi richiesti: poiché il problema poteva dipendere da un difetto di tenuta del serbatoio che causava il danneggiamento del prodotto, a luglio di quest'anno si era deciso di intervenire, per verificare la presenza di eventuali microperdite. Si è così iniziato un complesso lavoro di controllo e di manutenzione, nel quale sono intervenute una serie di ditte esterne, alcune delle quali lavorano da tempo nello stabilimento. Tra queste vi erano la Errichiello Antonio e Luigi Costruzioni s.r.l., addetta alla manutenzione edile e che ha provveduto a montare all'interno del serbatoio un ponteggio su più livelli per consentire i lavori di manutenzione, e la DBF s.r.l., incaricata della manutenzione meccanica e che si è occupata di isolare il sistema di condutture e valvole del serbatoio per consentire le verifiche.
Ad un certo punto, poiché i normali controlli non hanno dato l’esito sperato, la DSM ha deciso di ricorrere ad una procedura speciale con una miscela di elio e azoto, al fine di rilevare le microperdite. La miscela in questione è stata fornita dalla Rivoira s.p.a., un'azienda specializzata nel trattamento di gas industriali, e immessa a pressione nella cisterna da personale della stessa Rivoira e di un'altra ditta fiduciaria, la SICI s.r.l. Tale operazione ha avuto luogo nella mattinata del 10 settembre; successivamente, il personale della DSM si è occupato di depressurizzare ed aerare il serbatoio, aprendo alcune valvole e il portello posto sulla cima. Il giorno successivo, ritenendo evidentemente che tali manovre fossero state sufficienti, si è data disposizione alla ditta Errichiello di far entrare una squadra di operai nel serbatoio per smontare il ponteggio precedentemente allestito.
Gli operai chiamati a svolgere questo lavoro erano Giuseppe Cecere, Antonio Di Matteo e Vincenzo Russo. Purtroppo, in realtà nel fermentatore erano ancora presenti i gas, in particolare l’azoto: i tre operai, entrati attraverso il portello superiore del fermentatore, sono quindi morti quasi subito, verosimilmente per anossia. Mentre i signori Di Matteo e Russo sono rimasti sul piano superiore del ponteggio, il signor Cecere è precipitato sul fondo della cisterna.
Questo drammatico incidente, per le circostanze in cui è verificato e per il numero dei soggetti coinvolti, presenta ancora molti aspetti da chiarire, sui quali la magistratura sta tuttora indagando, pertanto è assolutamente prematuro formulare qualunque tipo di ipotesi. Al momento del sopralluogo, del resto, erano trascorsi appena undici giorni dall'evento e la stessa dinamica dei fatti, pur chiara nelle sue linee generali, doveva essere ancora pienamente ricostruita negli aspetti di dettaglio, allo scopo di valutare l’idoneità delle procedure seguite dai vari soggetti coinvolti nell'incidente ed individuare le esatte responsabilità.
Al di là dei risultati a cui perverranno le indagini, tuttavia, appare evidente come in questo incidente vi siano state gravissime negligenze ed omissioni, tanto nella valutazione dei rischi quanto nel coordinamento tra le varie ditte coinvolte. La vicenda è ancora più dolorosa perché ripete lo schema di tanti, troppi incidenti simili verificatisi negli anni recenti e di cui ha avuto modo di occuparsi la stessa Commissione d'inchiesta in questa e nelle precedenti legislature.
Secondo fonti di stampa, infatti,12 negli ultimi quattro anni si sono avuti almeno 25 morti in incidenti che hanno coinvolto operai impegnati in operazioni di manutenzione o pulizia di cisterne o vasche (cosiddetti «ambienti confinati»), venuti a contatto con sostanze esplosive, tossiche o comunque nocive che, in assenza di protezioni adeguate, ne hanno causato la morte. Le cause sono altrettanto ripetitive: omissione dei controlli preventivi sull'agibilità all'interno dei contenitori, mancata informazione sulla possibile presenza di sostanze pericolose e inosservanza delle regole di sicurezza, a cominciare dall'utilizzo dei dispositivi di protezione individuale. Come nel caso della DSM, inoltre, spesso negli infortuni sono coinvolti dipendenti di ditte esterne, estranei al processo produttivo principale e quindi ignari o non sufficientemente informati dei possibili rischi. Secondo quanto riferito alla Commissione dai rappresentanti della ditta Errichiello, ad esempio, i tre operai erano stati regolarmente autorizzati ad entrare nel serbatoio, ma nessuno aveva informato la ditta circa la presenza dei gas.
D'altra parte, le norme generali di sicurezza per operare all'interno degli ambienti di lavoro confinati esistono da molto tempo e sono assai chiare, in particolare quelle contenute nel paragrafo 3 dell’allegato IV al Testo unico, che fissa i requisiti per i lavori in «vasche, canalizzazioni, tubazioni, serbatoi, recipienti, silos». Il concetto fondamentale è sempre quello della prevenzione: si prevedono specifiche cautele per controllare anticipatamente l’eventuale presenza di sostanze nocive o condizioni ambientali dannose, per garantire l’uso di protezioni adeguate e per agevolare le operazioni di intervento e soccorso in caso di emergenza. Purtroppo, tali misure sono spesso disattese o male applicate, soprattutto nei siti produttivi dove intervengono più soggetti e sia necessario, oltre alla preparazione dei singoli operatori, anche il coordinamento e l’informazione reciproci. Si tratta dei già citati rischi di interferenza, che sono tra i più pericolosi e determinano ogni anno un numero altissimo di infortuni sul lavoro, anche mortali.
Come accennato nel paragrafo 2.7, il Ministro del lavoro, nel corso della recente audizione del 13 ottobre, ha preannunciato una serie di misure ad hoc volte ad accrescere la sicurezza e i controlli dei lavori che avvengono in ambienti confinati. Tali proposte, già condivise dai rappresentanti delle Regioni e delle parti sociali, prevedono anzitutto l’inserimento delle lavorazioni che si svolgono in ambienti confinati tra le attività per le quali dovrà operare il futuro sistema di qualificazione delle imprese, al fine di garantire ex lege che le imprese chiamate a svolgere tali operazioni siano soltanto quelle che applicano adeguate misure in termini di sicurezza. Sono poi previste altre misure incentrate sulla formazione specifica delle imprese committenti ed appaltatrici, sul divieto di subappalto delle attività di lavoro in ambienti confinati e sulla presenza obbligatoria di un rappresentante dell’impresa committente ai lavori effettuati dall'impresa appaltatrice, in funzione di controllo e indirizzo e a fini di prevenzione.
Nel corso del sopralluogo a Capua, la Commissione d'inchiesta, come in altre occasioni, ha avuto un interessante e proficuo confronto con i rappresentanti della magistratura incaricati delle indagini. La locale procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere ha sviluppato negli anni una notevole competenza sul tema del contrasto agli infortuni sul lavoro, confrontandosi con un contesto economico e sociale assai difficile, condizionato anche dalla presenza della criminalità organizzata e, più in generale, da un diffuso clima di illegalità.
Uno dei fenomeni più ricorrenti, come riferito dalla Direzione provinciale del lavoro, è quello del lavoro sommerso, specialmente nel settore dell’edilizia, nel quale dal 1° gennaio al 31 agosto di quest'anno i controlli hanno individuato circa il 41 per cento di lavoratori in nero. Si deve poi ricordare che, pochi giorni prima del sopralluogo della Commissione, la procura di Santa Maria Capua Vetere ha disposto l’arresto di quattro ispettori del Servizio prevenzione infortuni e sicurezza negli ambienti di lavoro (SPISAL) della locale ASL e di cinque consulenti del lavoro, accusati di molteplici reati di concussione, falso e truffa ai danni dello Stato nonché di vari imprenditori operanti in provincia di Caserta, per aver falsificato risultati e documenti dei controlli sulla sicurezza del lavoro in cambio di denaro ovvero per aver estorto con minacce alle imprese il pagamento di somme.
Anche in questo caso occorrerà naturalmente attendere la conclusione del lavoro dei magistrati, ma l’episodio è indicativo di una condizione purtroppo frequente di illegalità, che in molti luoghi di lavoro si traduce anche nella violazione delle norme sulla sicurezza. La procura di Santa Maria Capua Vetere, proprio per concorrere a contrastare e prevenire questi fenomeni, ha da tempo avviato una serie di importanti iniziative: la stesura di un manuale operativo per tutti gli organismi coinvolti nei controlli sugli infortuni sul lavoro; un protocollo d'intesa con il servizio 118 della ASL, che consente di avere notizia in tempo reale di un evento ricollegabile ad un infortunio sul lavoro; l’avvio di un progetto per una banca dati aggiornata e permanente degli infortuni, per attingere notizie e programmare investigazioni e controlli, alla quale è auspicabile concorrano con dati e informazioni tutti gli enti istituzionali competenti nel settore (ASL, DPL, INAIL, ecc.).
Altri spunti di riflessione sono venuti dall'incontro con i rappresentanti sindacali. Essi hanno richiamato l’attenzione sui problemi della sicurezza nei lavori affidati in appalto e subappalto, mettendo in evidenza il fatto che spesso, anche se l’impresa committente è attenta agli aspetti della sicurezza e fornisce un'adeguata formazione ai suoi dipendenti, un'uguale preparazione non si riscontra sempre nelle imprese terziste, in relazione ai compiti concretamente affidati. Da questo punto di vista, i sindacati hanno denunciato l’impossibilità per i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS) dell’impresa committente di verificare la qualificazione e il rispetto delle norme sulla sicurezza da parte delle ditte appaltatrici, chiedendo un cambiamento anche normativo che consenta loro di poter esercitare i controlli di sicurezza lungo l’intera filiera di processo e non soltanto nelle fasi di stretta competenza dell’impresa madre. Nel confronto, è emerso anche il tema correlato della responsabilità preventiva dell’impresa committente nella selezione delle imprese terziste, che dovrebbero essere chiamate a svolgere soltanto i compiti per i quali sono effettivamente preparate e attrezzate.
Ancora, richiamando anche il difficile contesto ambientale e il diffuso clima di illegalità, i sindacati hanno chiesto un rafforzamento dei controlli da parte degli organi di vigilanza, sottolineando la difficoltà per gli RLS di esporsi in prima persona nel denunciare le violazioni riscontrate in materia di sicurezza, a causa della frequente minaccia di ritorsioni da parte delle aziende, a cominciare dal licenziamento (molte di queste imprese hanno meno di 15 dipendenti e possono licenziare anche senza giusta causa). Per ovviare a tale difficoltà, i rappresentanti dei lavoratori hanno avanzato la proposta che le denunce di questo tipo possano essere presentate anche attraverso le stesse organizzazioni sindacali, in modo da non esporre direttamente le singole persone.


3.10. Sopralluogo a Paderno Dugnano (14-15 novembre 2010)
L’ultima missione in ordine di tempo della Commissione ha avuto luogo a Paderno Dugnano, in provincia di Milano, il 14 e 15 novembre 2010, mediante l’invio di una delegazione formata dal presidente Tofani e dai senatori Colli, Maraventano, Nerozzi e Roilo. Il sopralluogo era volto ad acquisire elementi conoscitivi sul gravissimo incidente verificatosi il 4 novembre presso lo stabilimento della EURECO S.r.l. di Paderno Dugano, a seguito del quale un operaio ha perso la vita ed altri sei sono rimasti gravemente feriti.
Il 4 novembre, poco prima delle ore 15, Sergio Scapolan e Salvatore Catalano, due operai della ditta EURECO S.r.l., un'impresa specializzata nella raccolta e nello smaltimento di rifiuti speciali, si trovavano nel piazzale dello stabilimento per seguire i lavori di divisione e stoccaggio dei rifiuti, per i quali era stata incaricata la TNL S.r.l. Quest'ultima è un'azienda che si occupa di facchinaggio e movimentazione merci ed è formata da personale di origine albanese: al momento dell’incidente sul piazzale erano presenti cinque dipendenti della TNL, i signori Leonard Shehu, Harun Zekiri, Kasen Xhani, Erjon Zeva e Ferik Meshi. Mentre si stavano svolgendo queste attività, improvvisamente si è avuta una violentissima esplosione, seguita da altri scoppi e poi da fiammate che hanno investito in pieno gli operai.
Quattro di loro, Scapolan, Catalano, Shehu e Zekiri, sono rimasti gravemente ustionati su quasi tutto il corpo: in particolare, il signor Scapolan è morto a distanza di alcuni giorni, il 13 novembre, mentre permangono ancora critiche le condizioni degli altri tre. Fortunatamente invece, il resto degli operai hanno riportato conseguenze più lievi e sono ormai in via di guarigione.
Anche per il breve tempo trascorso tra il momento dell’incidente e quello del sopralluogo della Commissione, non si hanno ancora certezze in merito all'accaduto. La magistratura sta tuttora indagando e occorrerà quindi attendere l’esito delle verifiche, che dovranno in primo luogo identificare esattamente i materiali e i prodotti presenti sul piazzale al momento dell’esplosione, in particolare in alcuni container da cui potrebbe essere partita l’esplosione ovvero l’incendio che ha innescato la reazione. In secondo luogo, si dovrà poi capire il tipo di operazioni e trattamenti che era in corso in quel momento e se erano state adottate tutte le necessarie misure di sicurezza. Sul piazzale erano certamente presenti vari tipi di materiali e prodotti, anche di tipo infiammabile, per cui i fattori di innesco potrebbero essere stati diversi; d'altra parte, al momento non è ancora chiaro se si sia determinato prima un incendio ovvero un'esplosione.
A seguito della reazione, si è comunque sviluppato un grosso incendio e la zona è stata immediatamente isolata, anche per la vicinanza di un'importante arteria stradale (la SP 35 Milano-Meda). I controlli finora effettuati dai Vigili del fuoco e dall'Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (ARPA) della Lombardia hanno escluso pericoli in tal senso, ma lo stabilimento è stato sottoposto a sequestro, anche per consentire le indagini sull'infortunio.
La Commissione ha appreso che precedentemente, rispettivamente il 5 e il 18 agosto 2010, si erano verificati altri due incendi di minore entità presso lo stabilimento. In entrambi i casi gli accertamenti dei Vigili del fuoco e dei tecnici dell’ARPA non hanno rilevato elementi significativi e non sono stati avviati procedimenti giudiziari, anche se a seguito dell’incidente del 5 agosto l’ARPA ha disposto la sospensione di una serie di lavorazioni ritenute rischiose. Peraltro, in base alle informazioni raccolte, le cause dei due incendi non sono state determinate, il che lascia aperti una serie di interrogativi sull'esistenza di rischi non considerati all'interno dello stabilimento, anche in relazione al successivo e più grave incendio del 4 novembre. Saranno naturalmente le indagini della magistratura a dare risposta anche a queste domande, tuttavia appare chiaro che all'interno dello stabilimento della EURECO, per i materiali e i prodotti trattati e le operazioni svolte, vi era un livello di rischio elevato.
Come già detto, infatti, la EURECO S.r.l. si occupa di trasporto, raccolta, smaltimento, stoccaggio e conferimento negli impianti di smaltimento di rifiuti speciali, assimilati agli urbani, pericolosi e non. La società ha sede in un'area di circa 9.500 m2, nella quale sono presenti altre aziende, riconducibili alla stessa proprietà della EURECO: ditta individuale Merlino Giovanni, GE.TRA.ME. S.r.l., Project Engineering S.r.l. e C.R. S.r.l. (quest'ultima con sede operativa in provincia di Pavia). Tutte le aziende operano a vario titolo nel campo della bonifica ambientale e della gestione dei rifiuti speciali, pericolosi e non, e hanno per la maggior parte meno di 15 dipendenti.
L’altra azienda coinvolta nell'incidente, la TNL S.r.l., è una società appaltatrice della EURECO, alla quale fornisce manodopera per servizi di movimentazione, facchinaggio e manutenzione. L’azienda impiega oltre 80 dipendenti (tutti di nazionalità albanese) e presta servizi a varie aziende, tra le quali appunto la EURECO, dove svolge anche operazioni preliminari al trattamento dei rifiuti (cernita, suddivisione dei materiali, ecc.).
Sia i rappresentanti della EURECO che quelli della TNL, ascoltati dalla Commissione, hanno affermato di aver adottato tutte le necessarie misure di sicurezza, nonché di aver adeguatamente formato i loro dipendenti e averli dotati dei prescritti dispositivi di protezione individuale. Peraltro, essi non hanno fornito dettagli sul tipo specifico di formazione impartita, soprattutto per quanto riguarda i dipendenti della TNL, anche se è stato precisato che, tra questi ultimi, coloro che prestano servizio presso la EURECO, oltre alla formazione generica, ne ricevono pure una più specifica per le operazioni svolte in quel contesto, che hanno un carattere particolare.
Un contributo importante per cercare di ricostruire i vari elementi della vicenda, oltre che dalla magistratura e dalle forze dell’ordine, è venuto dal Sindaco di Paderno Dugnano. Il Comune si è attivato immediatamente dopo l’incidente per aiutare a circoscrivere l’incendio e per verificare che non vi fossero pericoli per la salute o l’incolumità degli abitanti della zona. Contemporaneamente, un'attenzione particolare è stata dedicata ad aiutare le vittime (alcune delle quali sono tuttora in gravissime condizioni) e le loro famiglie.
Nell'ambito delle informazioni raccolte, un elemento rilevante e anche preoccupante è poi il fatto che la ditta EURECO sia da tempo al centro dell’attenzione degli organismi di controllo ambientale e che, in passato, sia stata anche coinvolta in varie vicende giudiziarie. Alla proprietà sono state infatti contestate numerose infrazioni, sia di carattere amministrativo che penale in relazione alle attività di trattamento e smaltimento di rifiuti: tra le accuse più gravi, vi è ad esempio quella di traffico illecito di rifiuti, risalente al 2008. Tali vicende (alcune delle quali sono ancora in corso di definizione) non hanno comunque finora dato luogo a provvedimenti inibitori dell’attività dell’impresa, che risulta quindi regolarmente esercitata.
L’azienda, precedentemente denominata Merlino, opera nel territorio di Paderno Dugnano fin dalla meta degli anni '80 e fu autorizzata per la prima volta con decreto della Giunta regionale nel 1988. Secondo la relazione svolta dal Sindaco di Paderno Dugnano dinanzi alla Commissione, l’autorizzazione regionale, come tutte le altre che seguirono, aveva validità temporanea quinquennale e fu concessa in variante allo strumento urbanistico comunale. Nel corso degli anni, l’autorizzazione è sempre stata rinnovata, sia dalla Regione che dalla Provincia (che, per modifiche normative, per un breve periodo, assunse nel 2002 la competenza delle autorizzazioni per gli impianti di gestione rifiuti). L’ultimo permesso risale al 2007 e ha validità fino al 2013. L’azienda nel frattempo si è ingrandita ed è stata autorizzata ad estendere la sua attività anche allo smaltimento di rifiuti tossico-nocivi e a costruire gli ulteriori edifici e strutture necessarie.
La presenza di un insediamento ad alto impatto ambientale, per di più nelle vicinanze di una arteria stradale assai importante come la Milano-Meda, è stata spesso contestata dal Comune di Paderno Dugnano, in particolare nel 1998, quando decise di opporsi al rinnovo dell’autorizzazione concessa alla EURECO facendo ricorso al TAR Lombardia, che però nel 2005 dichiaro il ricorso improcedibile, a causa della «mancata impugnazione del decreto regionale del 1993», di cui l’atto di impugnazione del 1998 costituiva il rinnovo.
Il contesto nel quale è avvenuto l’incidente rimane dunque assai incerto e presenta ancora molti aspetti da chiarire. Gli organismi tecnici di controllo ambientale (Vigili del fuoco e ARPA) hanno confermato l’attenzione costante da tempo riservata all'EURECO, al pari di tutte le aziende che operano nel settore della gestione dei rifiuti. Come già detto, nei confronti dell’impresa sono state effettuate nel corso degli anni varie segnalazioni e, in alcuni casi, contestate anche infrazioni di tipo sia amministrativo che penale.
Per quanto riguarda le circostanze dell’incidente del 4 novembre, non è stato possibile da parte degli enti tecnici fornire elementi specifici, essendo le indagini appena iniziate. Tra gli aspetti più rilevanti emersi vi è comunque la circostanza che, sebbene le operazioni di trattamento dei rifiuti più rischiose (ad esempio quelle che possono determinare emissioni nocive) avvenissero all'interno dello stabilimento, in aree appositamente attrezzate, vi erano comunque alcune fasi preliminari della lavorazione che erano svolte all'aperto, sul piazzale.
La Commissione ha interpellato anche le organizzazioni sindacali, che hanno evidenziato di non avere informazioni dirette da offrire, posto che sia la EURECO che la TNL sono imprese non sindacalizzate. I rappresentanti dei lavoratori hanno comunque richiamato l’attenzione sulla necessità di garantire la piena attuazione delle disposizioni vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro, con particolare riguardo alle situazioni più sensibili e rischiose come quelle dei lavoratori delle ditte appaltatrici.
Si è poi evidenziato il fatto che in molti casi le aziende tendono, per evidenti ragioni economiche, ad utilizzare forme contrattuali di altri comparti, che però possono comportare anche minori obblighi dal punto di vista della sicurezza sul lavoro. Ad esempio, è stato rimarcato che, sulla base delle disposizioni vigenti, i dipendenti della ditta EURECO sono inquadrati con il contratto del settore commerciale, così come quelli della TNL sono inquadrati nel comparto metalmeccanico.
Conclusivamente, le cause e la stessa dinamica dell’incidente del 4 novembre sono ancora da chiarire e, pertanto, qualunque ipotesi è prematura. Tuttavia il quadro complessivo nel quale si è determinato l’incidente, così come è stato possibile ricostruirlo, appare molto nebuloso e pone numerosi interrogativi circa l’adeguatezza delle procedure e delle stesse disposizioni vigenti rispetto all'esigenza di garantire in modo efficace la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori addetti alle operazioni di trattamento e smaltimento dei rifiuti, in particolare di quelli speciali e pericolosi. Al riguardo, sembra quindi opportuna una riflessione sul tema, che possa condurre alla elaborazione di soluzioni più efficaci ai fini della prevenzione dei rischi e della formazione dei lavoratori, attraverso interventi migliorativi di carattere normativo ed amministrativo e un rafforzamento dei controlli e dell’apparato sanzionatorio in materia.

 

 


 

4. L’ATTIVITÀ DEI GRUPPI DI LAVORO

Come già accennato, la Commissione, al fine di approfondire in maniera più puntuale specifici temi della propria inchiesta, ha costituito una serie di gruppi di lavoro, ciascuno dedicato ad un particolare argomento. Dell’attività di tali gruppi e delle proposte per il prosieguo dei lavori si da conto nelle pagine che seguono.


4.1. Gruppo di lavoro sulla prevenzione e formazione (a cura della senatrice Patrizia Bugnano)
La formazione abbraccia vari ambiti e sviluppa diverse conoscenze, abilita e competenze che vanno dalla classica tassonomia di Bloom del sapere, saper fare, saper essere ad interpretazioni dottrinali più moderne come il saper diventare, il saper comprendere. La formazione è un'arte complessa che prevede l’interazione continua di due attori quali il formatore e i discenti che sono i lavoratori, i datori di lavoro, i preposti nel caso specifico di interesse del gruppo di lavoro «prevenzione e formazione» della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle cosiddette «morti bianche». I lavoratori, i datori di lavoro, i preposti non recepiscono passivamente le indicazioni, le segnalazioni, le direttive e gli insegnamenti, ma sono attori che interagiscono continuamente con il loro formatore e che, a loro volta, dovranno diventare o esempi per gli altri o formatori loro stessi.
La formazione è continua, life-long learning, perché rappresenta uno scambio continuo di conoscenze, di competenze, di abilita, di tecniche, di stili, di gesti, di simboli. La formazione volta alla prevenzione contro gli infortuni sul lavoro rappresenta un modo di lavorare, di vivere e di comunicare la sicurezza e in sicurezza. Significa introiettare una serie di atteggiamenti sicuri che costituiranno un comportamento sicuro, un modus vivendi appreso non in modo coercitivo, ma in modo emotivamente appagante. La formazione per la sicurezza dei lavoratori mette al centro la persona nel pieno rispetto della sua soggettività, della sua personalità, della sua professionalità in modo tale che alla fine la sicurezza «si impersoni» nei lavoratori, nei datori di lavoro, nei preposti.
La normativa in materia di formazione ha vissuto evoluzioni, perché si è passati dal decreto legislativo n. 277 del 1991 sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici al decreto legislativo n. 626 del 1994 sulla formazione degli addetti al primo soccorso e al servizio antincendio fino al decreto legislativo n. 81 del 2008 sulla formazione e l’informazione dei lavoratori e degli addetti alla sicurezza sul lavoro. Queste evoluzioni normative hanno permesso di trasformare la formazione da obbligo, dovere educativo per rendere edotti i lavoratori circa la concezione di sicurezza sul lavoro basata sulla fissazione degli obiettivi di apprendimento, l’individuazione delle modalità di acquisizione del bagaglio formativo e la misurazione del livello di apprendimento.
La formazione, a differenza di qualche anno fa, quando veniva considerata è percepita come una perdita di tempo, è oggi un investimento soggettivo e professionale che si ripercuote sulla sicurezza propria e su quella degli altri. Si parte da un'assunzione di responsabilità soggettive alla condivisione di buone pratiche da parte di tutti. Si stimola un meccanismo di dissonanza cognitiva alla Festinger tra vecchi comportamenti poco sicuri e nuovi comportamenti sicuri che mettono in discussione i precedenti fino a sostituirli. La conoscenza teorica informa, ma non forma in modo da generare un cambiamento. Deve emergere pertanto un processo di cambiamento degli atteggiamenti individuali che diventano virtuosi e che possono costituire un esempio per gli altri. Il cambiamento diventa a questo punto organizzativo, perché coinvolge un'intera comunità di lavoratori.
Il lavoro del gruppo «prevenzione e formazione» della Commissione ha come obiettivo quello di intercettare il cambiamento e di adeguare la normativa ad esso. La normativa non può e non deve essere lontana dalle esigenze formative, informative e sicurtarie dei lavoratori, dei preposti e dei datori di lavoro. La normativa deve essere «vivificata», interpretata e impersonata dai lavoratori, dai preposti e dai datori di lavoro.
Intendo qui citare tre casi di audizioni svoltesi rispettivamente a novembre 2009 e a luglio 2010, nelle quali sono emerse chiaramente le esigenze formative dei lavoratori, dei preposti e dei datori di lavoro.
L’audizione con l’ANMIL (Associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro) il 25 novembre 2009 ha messo in rilievo l’importanza della formazione come strumento per la tutela psico-fisica dei lavoratori, dei preposti e dei datori di lavoro. Una delle persone audite ha raccontato come sia importante la formazione per salvaguardare la propria identità: ha spiegato, infatti, che soprattutto una donna infortunata è costretta a percepirsi in un altro modo, a vivere senza una parte di se stessa, a convivere con una diversità forzata, a mutare la propria identità in funzione di un cambiamento non voluto ed inevitabile. A questo problema ha aggiunto la difficoltà di continuare a vivere come era solita fare prima dell’infortunio e di trovare un lavoro appagante.
La seconda audizione che intendo trattare in questa sede è quella svoltasi il 6 luglio 2010 con il professor Luigi Pati, ordinario di pedagogia sociale all'Università cattolica del Sacro Cuore di Brescia, nonché coordinatore del gruppo di studio e ricerca sulla formazione alla sicurezza sul lavoro e direttore del Centro studi pedagogici sulla vita matrimoniale e familiare (Ce.S.Pe.F.), e la dottoressa Paola Zini, ricercatrice del Centro studi pedagogici sulla vita matrimoniale e familiare. Si sono volute sviluppare due riflessioni: la prima sull'interesse della pedagogia per la sicurezza sul lavoro e la seconda sull'individuazione delle caratteristiche che favoriscono la formazione alla sicurezza sul lavoro.
La prima riflessione è molto interessante, perché mette in luce che è impossibile parlare di educazione al lavoro senza educare alla sicurezza nei luoghi di lavoro. Sono due concetti che vanno di pari passo. Un'analisi interessante è quella relativa al ruolo ormai «istituzionalizzato» del volontario. A quest'analisi desidero porre particolare attenzione innanzitutto perché il gruppo «prevenzione e formazione» e la Commissione tutta non hanno ancora affrontato il tema del volontario, poi perché il testo unico ha posto la questione della formazione non solo dei lavoratori, dei preposti e dei datori di lavoro, ma anche dei volontario. Il professor Pati dedica il suo ultimo libro Il rischio scelto ai volontari che scelgono deliberatamente di correre il rischio di aiutare gli altri. Diversamente da quanto si pensi, l’aiuto mette il volontario in un'ipotetica situazione di rischio. Il rischio è sicuramente diverso dal pericolo, come peraltro descritto nel testo unico, perché il primo è evitabile, mentre il secondo è una caratteristica intrinseca di un determinato fattore che può causare danni.
La formazione continua è fondamentale per arginare il rischio. L’aspetto da tenere ben presente è che la formazione deve essere «tarata» sul target in questione. Il problema dei costi è arginabile, attivando percorsi formativi in maniera consorziata, dal momento che spesso la realtà economica italiana è costituita da PMI che non hanno fondi necessari per finanziare un'adeguata formazione. Un altro elemento da non sottovalutare è l’esperienza del lavoratore sulla quale favorire processi di riflessività. L’esperienza deve divenire oggetto di riflessività, attivando un meccanismo di condivisione della cultura della sicurezza intesa come patrimonio collettivo. La formazione deve essere, come ricordato poc'anzi, calibrata in base all’età del lavoratore, alla sua esperienza, alla sua ricettività e in base al contesto di lavoro che non è mai neutro. La formazione è il momento conclusivo del processo formativo che parte dall'informazione all'addestramento fino alla formazione tout court. Quest'ultimo momento implica la condivisione di pratiche che diventano patrimonio collettivo. Si passa così dalla comunità di pratiche alla comunità di apprendimento. A queste pratiche sono legati indissolubilmente valori e simboli proprio in virtù del fatto che ogni ambiente di valore non è mai neutro. Ogni lavoratore con i suoi valori non è una monade, ma è un anello di una catena umana e valoriale. La formazione quindi non può essere calata dall'alto, ma deve essere rispondente alle persone, ai loro contesti e ai loro valori.
La formazione deve essere pensata e realizzata con le persone e per le persone, stimolando il loro empowerment, la loro autoconsapevolezza.
L’ultima audizione sulla quale desidero soffermarmi è quella del 20 luglio 2010 con il Comitato tecnico-scientifico dello STePS - Master universitario di I livello in «Scienza e tecniche della prevenzione e della sicurezza», Università Ca' Foscari di Venezia. Nell'audizione sono state presentate tre questioni: un progetto informativo e formativo realizzato per e con i bambini; l’attivazione del Master sulla formazione e sulla prevenzione contro gli infortuni sul lavoro e la formazione nelle PMI.
Quanto al progetto per e con i bambini, si parte dalla considerazione che elementi fondamentali nell'applicazione delle misure di prevenzione sono l’assunzione di atteggiamenti e comportamenti corretti e l’utilizzo di un approccio alle situazioni (lavorative, scolastiche, sportive, stradali, ludiche) sicuro che si richiama appunto alla ormai tanto agognata «cultura della sicurezza».
Partendo dal concetto che per «agire in sicurezza» è necessario «pensare in sicurezza», risulta evidente che questi elementi debbano essere instillati fin dall'infanzia al fine di ottenere i risultati migliori.
Il modo nuovo di «fare sicurezza» deve necessariamente partire dai bambini ove sono presenti una grande capacità di assimilazione senza preconcetti, la voglia di imparare ogni giorno qualcosa di nuovo, la possibilità di strutturare una mentalità corretta anche in questa materia. I bambini di oggi sono i futuri lavoratori, preposti, dirigenti, manager, imprenditori, politici del domani, cittadini tutti, che anche sugli aspetti della sicurezza e della salute, devono avere un atteggiamento condiviso ed un livello di attenzione al di sotto del quale non è consentito scendere. Si tratta quindi di creare una mentalità di base di natura diffusa sulla quale poi affinare studi, attività formative e professionali specifiche tarati sulle scelte di ognuno.
Con le basi ottenute tutte le attività di carattere specifico successivo (es. tutte le numerose attività di informazione, formazione ed addestramento previste dalle disposizioni legislative vigenti) potranno trovare un terreno fertile sul quale crescere e radicarsi senza particolari difficoltà, segnando un vero ed effettivo cambio di passo con la previsione di alzare sempre più l’asticella del livello delle necessarie misure di sicurezza da adottare in tutte le realtà lavorative. Per la realizzazione di un progetto di così grande rilievo ed impatto si dovrebbe prevedere il coinvolgimento delle istituzioni scolastiche con misure sempre più strutturate e sempre meno occasionali e lasciate in genere alle iniziative di carattere personale.
Gli studiosi di scienze della prevenzione dell’Università Ca' Foscari hanno parlato di un progetto difficile, ma non impossibile che, comunque, dovrebbe essere preso nella massima considerazione per gli enormi vantaggi che potrà portare a livello umano, sociale ed economico in un tempo relativamente breve pari a dieci anni.
Gli studiosi di scienze della prevenzione dell’Università Ca' Foscari hanno presentato un libretto a fumetti dedicato ai bambini delle elementari e riguardante un argomento specifico quale il comportamento a scuola in caso d'incendio (allo stato attuale si tratta di una sperimentazione di quella che dovrebbe essere una collana chiamata «L’abc della sicurezza»). Lo stesso libretto viene poi accompagnato in aula da un audiovisivo e viene garantito inoltre un compendio per gli insegnanti. Trattasi del risultato di un'attività sperimentale effettuata su una classe di bambini come progetto pilota per tarare metodi e contenuti. Da un punto di vista comunicativo la metodologia adottata punta ad un forte aspetto grafico di tipo elementare (i disegni sono «fatti in casa»), colori forti su sfondi pastello ricavati da carta riciclata, buoni contrasti, frasi semplici che sottendono concetti fondamentali, linguaggio adatto ai bambini, scrittura in corsivo con carattere abbastanza grande, introduzione di alcune parole nuove per i bambini che siano di stimolo ed avanzamento nella conduzione dell’iniziativa.
Il tutto punta a due aspetti: la curiosità e la piacevolezza nello sfogliare le pagine. Il formato è simile ad un fumetto piuttosto che ad un libro di scuola. Non vi sono fotografie o disegni di bambini: come nei fumetti vi sono i personaggi che sono nella fattispecie orsetti. Si punta ad un aspetto rassicurante: gli orsi, la grafica, i colori ed i contenuti. Le frasi sono state studiate evitando parole quali «feriti», «bruciato», «morte», «abbandono» e qualsiasi vocabolo che possa generare inquietudine nel bambino. Viene trasmesso un messaggio chiaro, senza necessità di interpretazioni, atto ad infondere la convinzione che, se ci si comporta in modo corretto, non c’è nulla di cui preoccuparsi e che, quindi, è inutile spaventarsi. Il gradimento dimostrato durante l’attività ed in tutte le occasioni in cui si è distribuito il materiale ed illustrata l’iniziativa è stato altissimo, ma ogni intervento risulta poco significativo se non è accompagnato da atteggiamenti ed interventi di natura strutturale sulla materia.
Riguardo all'attivazione del Master universitario di I livello STePS in Scienza e Tecniche della Prevenzione e della Sicurezza dell’Università Ca' Foscari Venezia, realizzato in partnership con la Direzione Regionale INAIL del Veneto e con la collaborazione della Direzione Prevenzione della Regione Veneto e del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, ho riscontrato che si tratta di una formazione di eccellenza necessaria per affrontare in modo adeguato la corretta applicazione del «Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro» (decreto legislativo n. 81 del 9 aprile 2008 e s.m.i.) in tutte le aziende pubbliche e private che gode del patrocinio della Regione Veneto e del Consiglio Nazionale dei Chimici.
Il Master si caratterizza per la sua originalità ed è unico nel suo genere nella Regione Veneto. Ciò che lo connota sono la specificità delle materie trattate, le modalità di intervento, la metodologia didattica, il percorso di integrazione fra discipline tecnico-scientifiche e conseguenti misure applicative nei settori della prevenzione e della sicurezza nei luoghi di lavoro. I contenuti, le modalità di accertamento della preparazione degli studenti ed i titoli accademici e professionali rilasciati (abilitazione per svolgere le funzioni di RSPP in tutti i luoghi di lavoro) rappresentano inoltre un'effettiva novità in questo particolare settore dove la formazione costituisce un elemento fondamentale di prevenzione.
Gli obiettivi e le finalità riguardano la diffusione della cultura della sicurezza tra gli studenti che intendono diventare professionisti del settore della sicurezza. Questi elementi si concretizzano nell'acquisizione delle necessarie competenze tecnico-scientifiche nel settore della sicurezza e della prevenzione e nella corretta gestione tecnica dell’impresa dal punto di vista ambientale. Le metodologie applicative necessarie alla progettazione, realizzazione ed implementazione di sistemi tecnici di gestione per la sicurezza sono un elemento fondamentale ed innovativo di caratterizzazione del Master. Rispetto ad altre iniziative risulta rafforzata la formazione di tipo più applicativo anche con il contributo di esperti del mondo professionale ed industriale. Le esercitazioni previste dal programma sono state effettuate anche con attività specifica presso i luoghi di lavoro, con interventi nel settore dell’agricoltura, della pesca (gli studenti hanno effettuato lezione a bordo di pescherecci), della metalmeccanica, delle costruzioni, dell’industria petrolchimica.
Queste attività pratiche e sperimentali sono state considerate, da parte degli studenti e del Collegio dei Docenti, fondamentali da un punto di vista dell’apprendimento, della conoscenza e dello studio dei «cicli di lavorazione». Le misure concrete che sono state affrontate, la conoscenza diretta ed applicata di macchine, impianti ed attrezzature, nonché l’analisi della conduzione delle attività rappresentano un elemento indispensabile e determinante nella formazione tecnico-scientifica di chi si occupa di questa materia. Le attività del Master sono sostenute economicamente e monitorate fattivamente dall'INAIL Direzione Regionale del Veneto. Quest'ultima condivide con il Master la necessità di elevare in modo sensibile la formazione specialistica in materia, al fine di permettere un'evoluzione ed una migliore permeazione verso tutti i settori produttivi e sociali della sempre più auspicata cultura della sicurezza.
Relativamente alle PMI, con particolare riguardo alle microimprese, durante l’audizione è emerso che la formazione dei datori di lavoro precede quella dei lavoratori, perché in questi contesti i datori di lavoro sono praticamente equiparati ai lavoratori, dal momento che vivono l’azienda insieme a loro quotidianamente.
Nelle piccole imprese e nelle microimprese l’elemento fondamentale per la realizzazione di un effettivo percorso di sicurezza prevede che il datore di lavoro comprenda appieno il valore sociale e d'impresa della prevenzione e che egli stesso diventi il volano di un meccanismo virtuoso che si concretizza anche con elementi di tipo comportamentale che dovranno essere trasferiti ai lavoratori, al fine di favorirne l’autotutela e la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali. La conoscenza diretta del datore di lavoro delle norme che disciplinano la materia, l’acquisizione di una maggiore consapevolezza rispetto al tema della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e l’effettiva comprensione del valore dell’impegno verso la sicurezza sono determinanti rispetto all'obiettivo prefissato.
Ancor prima della formazione diretta ai lavoratori, assume importanza in questi casi il coinvolgimento dei datori di lavoro che vivono quotidianamente le stesse problematiche dei propri collaboratori nelle fabbriche, nei cantieri, nei luoghi di lavoro. A tal proposito è necessario tenere conto dell’aspetto del coinvolgimento e del ruolo attivo che i datori di lavoro devono svolgere: l’essere più partecipi e responsabili nei confronti della propria e altrui salute e sicurezza da parte degli imprenditori può e deve costituire un fattore di trascinamento anche dei lavoratori. In questi casi la formazione deve essere modulare, ovvero in ogni modulo formativo si deve trattare un argomento specifico che deve essere esattamente collegato al modulo successivo.
Affinché la formazione sia davvero utile, è fondamentale che i lavoratori e i datori di lavoro acquisiscano empowerment, autoconsapevolezza, apprendano quali sono le regole di condotta, i ruoli, gli obblighi, apprendano a relazionarsi in modo sicuro, acquisiscano strumenti cognitivi per la salute propria e altrui, conoscano le procedure di sicurezza, comprendano le dinamiche dei near miss, ovvero degli incidenti che non hanno causato infortuni. La formazione a distanza non è molto efficace: si può definire in questo caso informazione, perché non ha un effetto formativo, ma conoscitivo e non riesce ad entrare nella fattispecie dei problemi che risultano l’elemento fondamentale di una corretta attività formativa.
Il Coordinamento tecnico-scientifico del Master propone aspetti premianti e di valorizzazione dell’impresa. Premesso che il deterrente sanzionatorio è già espresso per i mancati assolvimenti degli obblighi di legge, risulterebbe necessario studiare aspetti effettivamente premianti per imprese che godono di scarsa visibilità per le loro dimensioni. Ad esempio, potrebbero essere attuati riconoscimenti da parte di enti ed amministrazioni del settore pubblico della prevenzione, misure premianti nelle graduatorie per appalti pubblici anche a livello locale, la diffusione dei risultati positivi a mezzo stampa locale ed altro da identificare sulla base della specificità del contesto.
Il gruppo «prevenzione e formazione» si pone come obiettivo quello di proseguire le audizioni con le Università che hanno attivato corsi sulla formazione e la prevenzione e di prendere i contatti con associazioni, ONLUS, ONG che si occupano dello stesso tema, ma che hanno un approccio diverso da quello accademico per ampliare lo spettro conoscitivo sulla formazione. Un elemento è certo: non si può prescindere dalla SICUREZZA.


4.2. Gruppo di lavoro sulle malattie professionali. Le malattie da lavoro in Italia (a cura del senatore Giorgio Roilo)

4.2.1. Premessa
Questa seconda relazione intermedia aggiorna i lavori della Commissione parlamentare di inchiesta sugli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle cosiddette «morti bianche» - Senato della Repubblica - XV legislatura, relativamente al fenomeno delle malattie da lavoro.
Essa riferisce principalmente delle novità presentatesi nell'anno in corso e delle audizioni svoltesi sul tema nel corrente anno. Nel corso del prosieguo dei lavori ci si propone di approfondire il tema delle possibili proposte operative volte a migliorare sia i sistemi di segnalazione e registrazione che soprattutto le attività di prevenzione. Partendo dalle proposte formulate nella precedente relazione si analizzeranno le novità introdotte dalla nuova legislazione in materia, i dati di attività del sistema pubblico di prevenzione, i piani di sviluppo delle attività di prevenzione. Si formuleranno quindi eventuali ulteriori proposte.


4.2.2. Audizioni
Per approfondire i temi relativi a:
- il miglioramento del sistema informativo nazionale
- il sistema dei controlli e il piano di prevenzione nazionale
- il risarcimento dei danni e l’azione penale
sono state proposte audizioni integrative di quelle già condotte nel corso dei lavori della precedente Commissione di inchiesta, al fine di approfondire alcuni argomenti non esaustivamente trattati nella precedente relazione e di completare il quadro dei soggetti che possono offrire un contributo alla comprensione del fenomeno, delle sue dimensioni e caratteristiche, nonché indicazioni e proposte utili per un miglioramento delle condizioni di lavoro.
Queste le audizioni proposte:
- Ministero della Salute
- Procuratore Generale di Firenze, dottor Beniamino Deidda
- Coordinamento tecnici interregionale PISLL (prevenzione, igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro)
- Patronati INCA- INAS-ACLI.
Per la conduzione delle audizioni è stato predisposto uno schema di domande quale traccia per la realizzazione delle stesse. Lo schema è stato preventivamente trasmesso ai soggetti da audire unitamente alla lettera di convocazione. Ciò al fine di facilitare il lavoro sia dei soggetti da audire che della Commissione stessa e permettere ai soggetti da audire di preparare eventuale documentazione da lasciare agli atti della Commissione.
Nel corso del 2010 si sono svolte le audizioni relative al Ministero della salute, al Procuratore Generale di Firenze, al Coordinamento delle Regioni.
I rappresentanti del Ministero della salute, auditi nella seduta del 15 giugno 2010, hanno sottolineato l’impegno del Ministero sul tema delle malattie da lavoro citando, in particolare, l’intenzione di «riassicurare il consolidamento dell’esperienza di MALPROF», il finanziamento del progetto CCM «Prevenzione dei tumori nei luoghi di lavoro - Piattaforma Web tumori professionali» che prevede l’identificazione dell’origine lavorativa di tumori a bassa frazione eziologica ed elevata diffusione nella popolazione generale, quali i tumori del polmone o della vescica, attraverso un sistema di sorveglianza epidemiologica (OC.CA.M., Occupational Cancer Monitoring). Tale sistema realizza il linkage tra i Registri Tumori di popolazione e i dati contenuti negli archivi INPS così da permettere la ricostruzione delle storie lavorative dei soggetti esaminati.
Hanno, inoltre, affermato l’impegno del Ministero della salute a dare rilievo alle tematiche delle malattie da lavoro nel Piano Nazionale della Prevenzione.
Il Procuratore generale di Firenze, dottor Beniamino Deidda, nell'audizione del 24 febbraio 2010, con una articolata trattazione, ricca di proposte, ha sottolineato come «la grande maggioranza dei medici e delle strutture di diagnosi e cura... si sottrae all'obbligo di inviare il referto medico che certifica la malattia o l’infortunio», evidenziando come questa sia una delle cause dell’insufficiente azione delle Procure dei Tribunali rispetto alle esigenze poste dall'andamento delle malattie professionali nel nostro paese. Tra le altre cause la diffusa impreparazione della magistratura requirente e giudicante, recentemente documentata dalla VII Commissione del Consiglio Superiore della Magistratura (delibera 28 luglio 2009), la scarsa presenza di gruppi di magistrati specializzati per la trattazione dei reati in materia di salute e sicurezza del lavoro, la scarsa diffusione, salvo lodevoli eccezioni, di iniziative di coordinamento tra Procure e organi di vigilanza delle ASL. A proposito di formazione dei magistrati il dottor Deidda ha citato positivamente le recenti iniziative del CSM che ha varato programmi di formazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, invitando alle giornate di formazione anche rappresentanti degli organi di polizia giudiziaria delle ASL e delle Direzioni Provinciali del Lavoro al fine di favorire il confronto e il coordinamento con questi organismi.
Ha, inoltre, sostenuto che l’azione di prevenzione e di repressione dei reati da parte degli organi di vigilanza delle ASL ottiene risultati anche di rilievo in alcuni territori, laddove i Servizi sono maggiormente strutturati e dotati di adeguate risorse, mentre in altri si registra una grave assenza dei servizi pubblici a causa, soprattutto, della carenza di risorse assegnate e di una adeguata formazione. A questo proposito ha lamentato l’inadeguatezza dei programmi di formazione dei corsi di laurea breve per i tecnici della prevenzione.
Infine, ma come causa principale della diffusione delle malattie da lavoro, ha lamentato la scarsa formazione dei datori di lavoro in tema di sicurezza del lavoro e la diffusa evasione delle norme in materia.
Il dottor Deidda ha formulato alcune proposte operative che brevemente riassumiamo:
in tema di referto
- rivedere la norma in materia di omissione di referto inasprendo la pena e introducendo pene accessorie
- dedicare maggiore attenzione al tema delle malattie da lavoro e agli obblighi di referto nella formazione universitaria dei medici
- favorire lo scambio di esperienze e protocolli tra medici e servizi delle ASL anche al fine di semplificare i flussi informativi;
riguardo ai Servizi di prevenzione delle ASL
- riformare i programmi dei corsi di laurea breve per i tecnici della prevenzione
- realizzare corsi di formazione per gli ufficiali di polizia giudiziaria con contenuti omogenei in tutte le regioni italiane;
riguardo alla Magistratura
- istituire in ogni Procura e presso ogni Tribunale delle città capoluogo di provincia gruppi di magistrati specializzati nella trattazione dei reati in materia di salute e sicurezza sul lavoro, appositamente formati da corsi organizzati dal CSM
- rivedere il sistema di registrazione delle notizie di reato in modo da poter monitorare i procedimenti relativi a infortuni e malattie professionali trattati da Procure e Tribunali;
riguardo alle imprese
- inserire nella normativa l’obbligo per i datori di lavoro di una adeguata formazione in materia di salute e sicurezza del lavoro
- introdurre e sviluppare nella normativa consistenti norme premiali per le aziende che intraprendono percorsi virtuosi di prevenzione
- incentivare nel sistema sanzionatorio le sanzioni atipiche (sospensione o interdizione dall'ufficio) e precludere i riti abbreviati in mancanza di un integrale risarcimento dei danni.
Il Coordinamento delle Regioni, nell'audizione dell’8 luglio 2010, ha illustrato le politiche delle Regioni e delle Province Autonome per la prevenzione nei luoghi di lavoro e le attività svolte dai Servizi di prevenzione delle ASL fornendone i dati relativi al biennio 2007-2008. Una particolare attenzione è stata dedicata alle iniziative intraprese con progetti e iniziative di carattere nazionale che coinvolgono una molteplicità di Regioni e Servizi di prevenzione delle ASL, di cui riferiamo più avanti. Si è quindi soffermato sui flussi informativi ad oggi messi a punto, nelle more dell’attivazione del Sistema informativo nazionale per la prevenzione (SINP), con il contributo di Regioni, Servizi di prevenzione delle ASL, ISPESL e INAIL (gli ultimi due enti ormai riuniti in un unico organismo), sottolineando il grave fenomeno della sottonotifica dei casi di malattia da lavoro e la necessità di intrecciare i dati oggi esistenti e soprattutto di intraprendere una ricerca attiva delle malattie da lavoro. In particolare sono state riferite le esperienze di elaborazione dei dati sulla salute dei lavoratori provenienti dalle relazioni trasmesse dai medici competenti delle imprese, ai sensi dell’articolo 40 del decreto legislativo n. 81 del 2008, di cui riferiamo nel dettaglio più avanti.
Di seguito ci si sofferma su alcune novità realizzate in materia di sistemi di registrazione delle malattie da lavoro e di progetti per la prevenzione delle stesse rimandando alla relazione finale l’aggiornamento e l’analisi dei dati statistici nonché le proposte sia per il miglioramento della conoscenza del fenomeno delle malattie da lavoro che per la loro prevenzione e risarcimento.


4.2.3. I sistemi di registrazione
Occorre prima di tutto ricordare che con il decreto 11 dicembre 2009 del Ministero del lavoro, salute e politiche sociali è stato operato l’aggiornamento dell’elenco delle malattie per le quali è obbligatoria la denuncia ai sensi dell’articolo 139 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, che porterà anche ad alcune variazioni nella lettura dei dati forniti dall'INAIL relativamente ai casi di malattie da lavoro segnalate all'istituto assicuratore. Ma di questi dati si riferirà nella relazione finale in quanto gli stessi sono ancora in parte in fase di elaborazione.
Riportiamo qui di seguito di alcune novità relative ad altri sistemi di registrazione della cui impostazione si è riferito nelle relazioni precedenti.

- Il sistema «MALPROF»

Ricordiamo che tale sistema di registrazione è basato sulle denunce che pervengono alle ASL sulla base degli obblighi di legge (testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965; Codice penale e di procedura penale). Il medico che diagnostica una malattia da lavoro, anche se solo sospetta tale, deve farne denuncia all'ASL, oltre che alla Direzione provinciale del lavoro e a INAIL.
Qualora la malattia abbia prodotto una lesione grave o gravissima il medico è tenuto, inoltre, a redigere referto che dovrà essere inviato all'Autorità Giudiziaria o all'organo di Polizia Giudiziaria. Il sistema, accanto alla registrazione passiva delle denunce, raccoglie anche i casi la cui conoscenza è conseguenza di una ricerca attiva da parte dei Servizi di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro (SPSAL) delle ASL. Inoltre, raccoglie anche attivamente le notizie sull'intera storia lavorativa dei lavoratori oggetto di segnalazione, ricostruendone così l’esposizione ai rischi e valutando perciò, con miglior accuratezza, il nesso di causalità con il quadro patologico, riferendosi anche a singoli periodi di lavoro.
La diffusione del registro MALPROF si sta gradatamente estendendo grazie all'impegno di ISPESL (le cui funzioni sono ora assorbite dall'INAIL), Regioni, ASL e grazie all'inserimento dello stesso tra i progetti sostenuti dal Ministero della salute. Ad oggi coinvolge 9 Regioni, 4 in modo completo (Lombardia, Toscana, Puglia, Valle d'Aosta), 5 solo per alcune ASL (Lazio, Campania, Liguria, Marche, Sicilia).
Nel corso del 2010 è stato pubblicato il quinto Rapporto riferito agli anni 2007 e 2008, nel quale vengono riportati i dati delle malattie professionali basati sulle segnalazioni che giungono ai Servizi territoriali di prevenzione delle ASL, non solo di quelli che utilizzano il registro MALPROF, ma anche di altri, per un totale di 14 Regioni (Valle d'Aosta, Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria, Lazio, Campania, Puglia, Sicilia).

- I COR

Come già indicato nella precedente relazione sono i registri regionali dei casi di mesotelioma (neoplasia correlata all'esposizione ad amianto) istituiti a seguito del decreto legislativo n. 277 del 1991 e curati da strutture regionali del Servizio sanitario.
Sono presenti in 18 Regioni e 1 Provincia autonoma (restano scoperti solo il Molise e la Provincia autonoma di Bolzano) e coprono il 95 per cento della popolazione.
Grazie alla loro attività sono possibili valutazioni sull'andamento del fenomeno, previsioni per i prossimi anni, e sono stati identificati settori produttivi per i quali la presenza di amianto nel processo produttivo, e conseguentemente l’esposizione dei lavoratori, non era conosciuta.
I dati raccolti dai registri regionali confluiscono in un registro nazionale (Re.Na.M.).
Nel 2010 è stato pubblicato il terzo rapporto nazionale che riporta i dati raccolti dal 1993 al 2004. Di questo interessante rapporto riprendiamo la parte relativa ai risultati, interpretazioni, commento ai dati curata dai referenti dei diversi registri regionali.

IL REGISTRO NAZIONALE DEI MESOTELIOMI: RISULTATI, INTERPRETAZIONE, COMMENTO AI DATI
Alessandro Marinaccio, Alessandra Binazzi, Davide Di Marzio, Alberto Scarselli, Marina Verardo, Dario Mirabelli, Valerio Gennaro, Carolina Mensi, Enzo Merler, Renata De Zotti, Antonio Romanelli, Elisabetta Chellini, Cristiana Pascucci, Francesco Forastiere, Luana Trafficante, Massimo Menegozzo, Domenica Cavone, Gabriella Cauzillo, Attilio Leotta, Rosario Tumino, Massimo Melis, Sergio Iavicoli e Gruppo di Lavoro ReNaM



Dimensione dell’archivio ed indicatori epidemiologici descrittivi
L’archivio del Registro Nazionale contiene a gennaio 2009 informazioni relative a 9.166 casi di mesotelioma maligno (MM) rilevati in ragione di un sistema di ricerca attiva e di analisi standardizzata delle storie professionali, residenziali e familiari dei soggetti ammalati.
La percentuale di casi con una età alla diagnosi inferiore a 55 anni è pari a poco più del 10 per cento del totale (11,7 per cento). Il 34,2 per cento dei soggetti ammalati ha un’età compresa tra 65 e 74 anni e la meta dei casi tra 61 e 76 anni. Fino a 45 anni la malattia è rarissima (solo il 2,7 per cento del totale dei casi registrati). L’età media alla diagnosi è di 68,3 anni senza differenze apprezzabili per genere (69,1 anni nelle donne e 68,3 negli uomini).
Il rapporto di genere (M/F) è pari a 2,6. Il 72,4 per cento dei 9.166 casi archiviati e di sesso maschile. La percentuale di donne passa dal 26,6 per cento per i mesoteliomi pleurici al 36 per cento e al 41 per cento rispettivamente per i casi del pericardio e del peritoneo, con una differenza significativa malgrado la limitata consistenza della casistica per i mesoteliomi pericarditi. La distribuzione per genere della casistica è costante nei dodici anni disponibili, ma variabile per territorio. In particolare risulta particolarmente bassa (sotto il 20 per cento) nelle regioni del Friuli-Venezia Giulia (14,4 per cento) e della Liguria (18,5 per cento). Il 93 per cento dei casi di mesotelioma registrati risulta a carico della pleura; sono presenti inoltre 614 casi peritoneali (6,7 per cento), 36 e 31 casi rispettivamente a carico del pericardio e della tunica vaginale del testicolo. Tale distribuzione per sede anatomica di insorgenza della malattia risulta stabile nel tempo (nei dodici anni considerati) e nello spazio (le Regioni del circuito ReNaM).
Nell'intero archivio i casi con una diagnosi di MM certo sono il 77 per cento, con una marcata variabilità territoriale (dal 68,1 per cento in Liguria ad oltre il 90 per cento in Valle d'Aosta, Veneto e Sardegna). Assente invece ogni variabilità temporale: la quota non varia significativamente nella finestra di analisi.


Misure di esposizione
Le analisi dei dati relativi alle modalità di esposizione fanno riferimento all'intero set di dati con una diagnosi dal 1993 al 2004 (9.166 casi). Le modalità di esposizione sono state approfondite per 6.640 casi (72,4 per cento), mentre sono in corso di definizione (oppure le modalità di esposizione non possono più essere indagate per condizioni oggettive) per 2.526 casi (27,6 per cento). Le modalità di ricostruzione dell’esposizione sono avvenute quasi sempre tramite un'intervista diretta al soggetto o ai familiari (o conviventi) del soggetto (rispettivamente nel 48,8 per cento e 44 per cento dei casi).
Nell'insieme dei casi con esposizione definita (6.640 soggetti ammalati), il 69,8 per cento presenta un'esposizione professionale (certa, probabile, possibile), il 4,5 per cento familiare, il 4,7 per cento ambientale, l’1,4 per cento per un'attività extralavorativa di svago o hobby. Per il 19,5 per cento dei casi l’esposizione è improbabile o ignota. La percentuale di casi di mesotelioma, quindi, per i quali l’analisi anamnestica ha rilevato un'esposizione ad amianto lavorativa, ambientale, familiare, o a causa di hobbies è, sull'intero set di dati, pari all'80,5 per cento. Questo indicatore risulta dipendente dalle modalità di rilevazione dell’esposizione, dalla sede anatomica, dal periodo di incidenza e dal sesso in misura non trascurabile; se infatti viene stimato limitatamente ai soli casi per i quali è disponibile un'intervista diretta risulta pari all'86,3 per cento (se invece misurato sui casi per i quali l’intervista è stata condotta nei confronti di un familiare del paziente risulta pari al 73,4 per cento). Se ulteriormente limitato ai casi di mesotelioma pleurico negli uomini e con incidenza negli anni più recenti (2002-2004), raggiunge il 93 per cento.
Fra i casi con esposizione «familiare», il parente esposto che ha causato la malattia è generalmente il marito, ma sono presenti anche numerosi casi in cui si è ammalato il figlio (o la figlia) di un genitore esposto per motivi professionali. Piemonte, Veneto e Liguria coprono più di due terzi della casistica con questa modalità eziologica e i settori di attività sono quelli con un'esposizione massiva (cantieri navali e industria del cemento-amianto) ma anche quello «emergente» dell’edilizia.
L’industria del cemento-amianto è responsabile di gran parte dei casi con esposizione di tipo ambientale. Le situazioni di contaminazione ambientale tristemente note di Casale Monferrato, Bari e Broni sono confermate come le più rilevanti. Più del 75 per cento dei casi «ambientali» era residente al momento della diagnosi in Piemonte, Puglia o Lombardia. L’uso di attrezzi domestici o di manufatti contenenti amianto nella propria abitazione e l’abitudine a trattarli nel tempo libero è responsabile di circa la meta dei casi con esposizione attribuita ad attività di svago o hobby.
L’anno di inizio esposizione è compreso fra il 1947 e il 1963 per la metà dei casi per i quali è disponibile (5.010 soggetti ammalati). La mediana (anno 1955) è stabilmente intorno alla seconda meta degli anni '50. L’esposizione ad amianto è iniziata nel decennio fra il 1950 e il 1959 per il 31,4 per cento dei casi; nel decennio successivo per il 26,4 per cento mentre solo il 9,7 per cento dei casi ha subito l’esposizione a partire dagli anni '70.
La latenza è stata misurata per i 5.010 casi per i quali è disponibile l’anno di inizio esposizione come differenza fra questa data e l’anno di incidenza. La mediana della latenza è di 45 anni (range: 5-89 anni) con una deviazione standard di 12 anni e una distribuzione normale intorno al valore medio. Questo valore tende con regolarità ad aumentare nella finestra di osservazione passando da 41,5 anni nel 1993 a 47 nel 2003.


Settori economici di esposizione
Considerando l’intera finestra di osservazione (1993-2004) e i soli soggetti colpiti dalla malattia per motivo professionale, i casi con esposizione professionale sono 5.510 ed i settori di attività maggiormente coinvolti sono l’edilizia (822 occasioni di esposizione, pari al 15 per cento del totale della casistica), l’industria pesante, ed in particolare la metalmeccanica (7 per cento), la metallurgia (4,1 per cento) e le attività di fabbricazione di prodotti in metallo (5,5 per cento); i cantieri navali (11,3 per cento), l’industria del cemento-amianto (263 occasioni di esposizione, pari al 4,8 per cento), l’industria tessile (6,5 per cento), dei rotabili ferroviari (4 per cento) e il settore della difesa militare (4 per cento). L’insieme di questi settori è responsabile del 60 per cento circa dei casi registrati negli archivi del Registro Nazionale.
Il restante quadro è estremamente variegato e frazionato con la presenza di numerosi ambiti produttivi nei quali l’esposizione è avvenuta per la presenza del materiale nel luogo di lavoro e non per uso diretto. In questo senso sono significative le consistenti casistiche occorse per una esposizione nei settori dei trasporti sia terrestri (3,5 per cento) che marittimi (2,4 per cento) e della movimentazione merci nei porti (2,1 per cento). La presenza di materiale di coibentazione in amianto nei luoghi di lavoro è poi responsabile dei casi di mesotelioma insorti in conseguenza di un'esposizione negli zuccherifici (1,3 per cento) e nelle altre industrie alimentari (2 per cento), nell’industria chimica e delle materie plastiche (3,4 per cento), del vetro (1,3 per cento), della carta (0,7 per cento), della gomma (1,2 per cento), nell’estrazione e nelle raffinerie di petrolio (1,3 per cento) e nella produzione di energia elettrica e gas (1,6 per cento). Un numero molto rilevante di occasioni di esposizione (217, pari a quasi il 4 per cento del totale) sono attribuite al settore della produzione, riparazione e manutenzione degli autoveicoli (e motoveicoli), dovute soprattutto all'esposizione indotta dalla presenza di amianto nei freni delle automobili di produzione precedente al bando. Infine di particolare interesse per le ricadute in termini di prevenzione primaria, a fronte di possibili ancora residue occasioni di esposizione in attualità, sono i casi di soggetti ammalati per un'esposizione avvenuta inconsapevolmente per la presenza non nota del materiale in luoghi di lavoro spesso aperti al pubblico: pubblica amministrazione (1 per cento), sanità (1,4 per cento), banche, poste e assicurazioni (0,4 per cento), istruzione (0,4 per cento), alberghi, bar e ristoranti (0,3 per cento).
La distribuzione nel tempo del quadro delle esposizioni ad amianto responsabili dell’insorgenza della malattia non è costante, ma ha subito (e sta subendo) evoluzioni rilevanti. La finestra di osservazione del ReNaM (1993-2004) è sufficientemente lunga da consentire alcune riflessioni sulla dinamica della composizione di tale quadro. Il peso dei settori tradizionali (intendendo con questo termine quelli per i quali sono disponibili le maggiori informazioni nella letteratura specializzata) tende a diminuire in maniera assai significativa. I cantieri navali erano responsabili del 15 per cento circa dei casi registrati nel triennio 1993-1995, a fronte del 9,6 per cento nel triennio 2002-2004. Ancora più evidente è la riduzione dell’importanza relativa del settore della produzione di manufatti in cemento-amianto (eternit), che passa dal 10,3 per cento nel 1993-1995 al 3.4 per cento nel 2002-2004. Analogo andamento (dal 5,2 per cento al 3.5 per cento) si rileva per le attività di manutenzione e riparazione dei rotabili ferroviari. L’insieme di questi tre settori (che rappresentano quelli per i quali la ricerca ha prodotto le maggiori evidenze di esposizione) era responsabile di più del 30 per cento dei casi nel triennio 1993-1995, mentre il dato si ferma al 16,5 per cento nel triennio 2002-2004.
A compensazione di questa tendenza deve essere registrato il fenomeno della crescita della quota di soggetti con esposizione nell'edilizia - che produce oggi il maggior numero di casi e che desta preoccupazioni anche per la possibilità di esposizioni in attualità - e la grande frantumazione dei settori con possibilità di esposizione che deve essere considerata quando si discuta di casi di mesotelioma per i quali non esistono evidenze di attività «a rischio» svolte in precedenza. L’elemento conoscitivo di maggiore interesse in senso generale (al di la degli specifici interessi di settore) deve riguardare l’amplissimo spettro di professioni coinvolte, che risulta molto articolato e che investe anche professioni meno «attese».
Sono, inoltre, attivi il Registro Nazionale del Tumori Nasali e Sinusali (ReNaTuNS) e quello relativo a neoplasie a più bassa frazione eziologica, istituiti ai sensi dell’articolo 244 del decreto legislativo n. 81 del 2008. Alcune Regioni hanno pubblicato i primi rapporti relativi, mentre a livello nazionale la raccolta e l’elaborazione dei dati è in corso.


Le relazioni sanitarie dei medici competenti
L’audizione del Coordinamento delle Regioni ha ben illustrato le novità introdotte dal decreto legislativo n. 81 del 2008 in materia di raccolta di dati relativi allo stato di salute dei lavoratori, dati conseguenti alla sorveglianza sanitaria operata dai medici competenti nelle imprese; ha, inoltre, evidenziato le potenzialità contenute nelle relazioni sanitarie per una mappatura territoriale, regionale, nazionale delle esposizioni professionali, dei disturbi e delle patologie sofferti dai lavoratori.
Riportiamo qui di seguito il paragrafo dedicato all'argomento.
«Il decreto legislativo n. 81 del 2008 all'articolo 40 (Rapporti del medico competente con il Servizio sanitario nazionale) ha introdotto l’obbligo per il medico competente di trasmettere, per via telematica, ai Servizi territoriali di prevenzione delle ASL «le informazioni, elaborate evidenziando le differenze di genere, relative ai dati aggregati sanitari e di rischio dei lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria».
A loro volta le ASL trasmetteranno le stesse informazioni in forma aggregata alla propria Regione che a sua volta le trasmetterà all'ISPESL (ora confluito nell'INAIL).
Attualmente tale obbligo è sospeso in attesa dell’emanazione del decreto di riordino complessivo dell’articolo 40, previsto dalle recenti modifiche (decreto legislativo n. 106 del 2009) apportate al decreto legislativo n. 81 del 2008.
Il flusso generato dall'articolo 40 rappresenta indubbiamente una grande opportunità e costituisce uno strumento importante che introduce per la prima volta in Italia una rilevazione di dati di grande rilevanza sia per gli aspetti di ordine epidemiologico sia per quelli di sanità pubblica.
È uno strumento potenzialmente in grado di fornire la mappatura degli esposti a rischi professionali e la lettura del loro stato di salute, informazioni oggi di fondamentale importanza ai fini dell’orientamento - anche a livello locale - delle attività di prevenzione dei rischi e delle malattie da lavoro.
Infatti, i dati sanitari e di rischio raccolti dal medico competente nel corso dell’attività di sorveglianza sanitaria dei lavoratori esposti potranno offrire, se opportunamente elaborati attraverso la creazione di adeguati indicatori, informazioni particolarmente utili a tracciare un quadro completo e periodicamente aggiornato della distribuzione geografica e per comparto produttivo dei possibili determinanti di malattie professionali.
La cornice di riferimento entro cui collocare i flussi generati dall'articolo 40 è senz'altro quella del Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP) di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 81 del 2008, struttura appositamente individuata per costruire i presupposti informativi a servizio dell’orientamento, programmazione e pianificazione delle attività di prevenzione delle malattie professionali, anche attraverso l’utilizzo integrato delle diverse banche dati disponibili.
Nel 2009, il Coordinamento delle Regioni ha attivato insieme all'ex ISPESL un apposito progetto di studio che ha vagliato i dati provenienti da un campione di relazioni sanitarie inviate dai medici competenti ai Servizi territoriali di prevenzione delle ASL nel periodo di vigenza dell’obbligo dell’articolo 40, prima del rinvio sancito dal decreto legislativo n. 106 del 2009, allo scopo di valutarne da subito il potenziale informativo ed individuare le criticità legate alle modalità di rilevazione e trasmissione del dato.
La tabella della pagina seguente mostra un primo quadro dell’esposizione, disaggregato per fattore di rischio e per genere, riferito ad un campione di 577.323 lavoratori appartenenti a circa 23.000 aziende, costruito utilizzando i dati forniti dai medici competenti afferenti a 18 ASL di 10 regioni diverse.

 

Rischi lavorativi

Numero di lavoratori

%

Uomini

Donne

Tutti

Uomini

Donne

Tutti

Movimentazione carichi

124.119 44.906 169.025 33,7 21,5 29,3

Sovraccarico

43.925 20.108 64.033 11,9 9,6 11,1

Agenti chimici

77.940 23.874 101.814 21,2 11,4 17,6

Agenti cancerogeni

7.584 1.090 8.674 2,1 0,5 1,5

Agenti biologici

30.237 30.807 61.044 8,2 14,7 10,6

Videoterminali

57.123 53.084 110.207 15,5 25,4 19,1

Vibrazioni corpo

23.896 1.888 25.784 6,5 0,9 4,5

Vibrazioni mano

42.664 5.960 48.624 11,6 2,8 8,4

Rumore

108.061 16.314 124.375 29,4 7,8 21,5

Campi elettromagnetici

2.333 1.055 3.388 0,6 0,5 0,6

Radiazioni ottiche

5.397 277 5.674 1,5 0,1 1,0

Radiazioni ionizzanti

4.243 2.421 6.664 1,2 1,2 1,2

Microclima

11.693 1.530 13.223 3,2 0,7 2,3

Infrasuoni

329 97 426 0,1 0,0 0,1

Ultrasuoni

252 80 332 0,1 0,0 0,1

Iperbariche

162 26 188 0,0 0,0 0,0

Stress

4.355 4.011 8.366 1,2 1,9 1,4

Notturno

18.722 13.498 32.220 5,1 6,5 5,6

La conoscenza del peso dei singoli fattori di rischio in termini di numerosità degli esposti, ancor più se disaggregati per comparto produttivo, fornisce informazioni evidentemente importanti ai fini della definizione delle priorità di intervento nella ricerca attiva delle malattie professionali, anche in un'ottica di sviluppo di politiche di sanità pubblica sempre più basate sull'evidenza del rischio come elemento determinante ai fini della pianificazione delle attività di prevenzione.
Lo studio pilota ha rappresentato però anche l’occasione per cogliere le criticità legate alla mancanza da un lato di adeguate indicazioni sulle procedure di acquisizione e i modelli operativi di riferimento, e dall'altro di sistemi di controllo della qualità del dato fornito.
Partendo dall'analisi di tali problematiche, il gruppo tecnico sull'articolo 40 del Coordinamento delle Regioni ha attivato insieme ad ISPESL (le cui funzioni sono state poi assorbite dall'INAIL) un percorso di revisione tecnica del set di informazioni dell’allegato 3B che alimentano il flusso informativo previsto dall'articolo 40.
All'interno di tale percorso è stata prevista anche la consultazione delle associazioni dei medici competenti più rappresentative su territorio nazionale, nella convinzione dell’importanza del coinvolgimento dei professionisti interessati nella condivisione delle scelte da operare su tale tematica. Sul versante della standardizzazione delle modalità di raccolta e trasmissione telematica del dato, si è altresì avviata la costruzione di un sistema informatico su piattaforma web che fornisca le necessarie garanzie in tal senso.
Infine, tutto il lavoro svolto si è tradotto in una proposta unitaria portata in discussione all'interno del tavolo tecnico costituito presso il Ministero della salute per la stesura del decreto ministeriale che dovrà ridefinire, di intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e P.A., i contenuti e le modalità di trasmissione delle informazioni sui dati sanitari e di rischio previsti dall'articolo 40 del decreto legislativo n. 81 del 2008.
L’esperienza realizzata dal Coordinamento delle Regioni unitamente all'ex ISPESL ha confermato che il flusso informativo previsto dall'articolo 40 rappresenta un fondamentale strumento per acquisire informazioni sullo stato di salute della popolazione lavorativa in relazione ai rischi professionali, in forma precoce rispetto alla lettura tardiva dei danni (malattie da lavoro) dagli stessi provocati.
Affinché questo strumento non sia vissuto dai medici competenti come un mero obbligo aggiuntivo il Coordinamento delle Regioni suggerisce che «gli operatori dei Servizi PSAL delle ASL e i medici competenti (nel rispetto delle funzioni e delle prerogative di ciascuno) debbano ricercare tutte le occasioni per facilitare un proficuo confronto, anche individuando, ove possibile, margini di collaborazione nell'ambito di piani mirati di intervento finalizzati alla definizione di più efficaci azioni di prevenzione».


4.2.4. Il quadro nazionale: i dati statistici
A parte le indicazioni di carattere generale fornite nel paragrafo 2.8, l’aggiornamento dei dati statistici, sia di fonte INAIL che derivanti dal registro MALPROF delle Regioni e delle ASL, verrà riportato nella relazione finale in quanto i dati sono ancora in parte in fase di elaborazione.


4.2.5. Il problema del mancato riconoscimento e del mancato indennizzo da parte di INAIL
Il problema è stato affrontato sia nella relazione alla precedente Commissione d'inchiesta (XV legislatura) che nella relazione intermedia (settembre 2009) a questa Commissione.
Anche in questo caso l’aggiornamento dei dati statistici verrà riportato nella relazione finale in quanto i dati sono ancora in parte in fase di elaborazione.
Vale qui la pena di richiamare l’attenzione sulle difficolta per i lavoratori, non solo di riconoscimento ed equo risarcimento dei danni da lavoro, ma anche del reintegro al lavoro di coloro che hanno subito menomazioni, sia in conseguenza di malattie da lavoro che di infortuni.
L’emarginazione che il lavoratore malato può subire nell'impresa è un fatto reale, soprattutto in quelle di piccole dimensioni dove spesso sono ridotte le possibilità di una idonea ricollocazione ovvero di un adattamento delle condizioni di lavoro alle nuove esigenze del lavoratore che ha subito una menomazione. Fatto che a volte costituisce un freno da parte dello stesso lavoratore a far emergere i propri disturbi e ad avviare l’iter di denuncia sia all'ASL che all'istituto assicuratore.
Difficoltà ed emarginazione ben illustrate anche in due diverse recenti testimonianze, l’indagine condotta dalla Provincia di Milano su un campione di donne che hanno subito infortuni o malattie professionali (Donna, salute, lavoro - Indagine sui percorsi delle donne divenute invalide a seguito di infortuni o malattie professionali, Provincia di Milano, luglio 2009) e le storie che raccontano le vicende di lavoratori che hanno subito menomazioni, raccolte in Lombardia da Giampiero Rossi per conto del patronato INCA Lombardia (Giampiero Rossi, Il lavoro che ammala, EDIESSE, marzo 2010).
È bene ricordare che la Risoluzione del Parlamento europeo del 15 gennaio 2008 sulla strategia comunitaria 2007-2012 per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro (2007/2146(INI)), al punto 13, sottolinea l’importanza della riabilitazione e del reintegro dei lavoratori dopo una malattia o un infortunio sul lavoro.
Su questo tema occorre un maggiore impegno sia sul versante normativo, per colmare una insufficiente tutela soprattutto dei lavoratori con menomazioni che, pur non raggiungendo il grado di invalidità che da luogo ad un indennizzo, tuttavia comportano ugualmente disagi e difficoltà nella vita lavorativa, che degli enti preposti per favorire tutte quelle iniziative volte a favorire la ricollocazione dei lavoratori menomati nel posto di lavoro. Ma anche un forte impegno da parte di istituzioni e forze sociali per un cambiamento culturale che riporti al centro dell’attenzione il lavoratore come risorsa umana.


4.2.6. Le proposte avanzate da CGIL e CISL alla Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza del lavoro
Il 24 novembre 2009 si è svolta una seduta straordinaria della Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza del lavoro, di cui all'articolo 6 del decreto legislativo n. 81 del 2008, con il seguente ordine del giorno: «SINP (Sistema informativo nazionale per la prevenzione) e Campagna di comunicazione per la diffusione della cultura della salute e sicurezza sul lavoro con particolare riferimento al tema delle malattie professionali».
In tale occasione le organizzazioni sindacali CISL e CGIL hanno presentato alla discussione alcune proposte che brevemente riassumiamo e che comunque vengono allegate alla presente relazione.
Entrambe le proposte hanno un comune punto di partenza: la sottovalutazione del problema e la necessità di promuovere iniziative per l’emersione delle «malattie perdute» e per la prevenzione dei danni da lavoro.
La proposta CISL focalizza l’attenzione sulla realizzazione di un adeguato sistema informativo attraverso lo sviluppo del SINP, dei progetti MALPROF e OCCAM e sulla diffusione dei dati esistenti sul tema.
Inoltre, propone una ampia campagna informativa indirizzata ai lavoratori per favorire la «conoscenza in tema prevenzionale e comportamentale».
Le proposte della CGIL si articolano in diversi punti:
- Sistema informativo nazionale per la prevenzione con l’integrazione dei sistemi già attivi, in particolare MALPROF, OCCAM, Registro nazionale mesoteliomi, INAIL e diffusione dei dati attraverso sito Internet dedicato all'informazione medica per il pubblico nonché attraverso un rapporto annuale secondo un modello validato dalla Conferenza Stato-Regioni
- campagna nazionale di informazione «con flussi informativi mirati verso le principali figure (medici competenti, medici di famiglia, ASL, Enti ospedalieri, ecc.)», «adozione e diffusione della Carta dei diritti dei lavoratori e dei RLS», «informazioni ai lavoratori sulle sostanze e preparati», «informazioni relative a tickets e presidi»
- campagna «Malattie professionali perdute» per favorire l’emersione e il riconoscimento assicurativo delle stesse anche attraverso la realizzazione di documenti di consenso sul nesso di causa
- campagna «Fabbriche aperte» per «pubblicizzare i programmi per il miglioramento continuo delle condizioni e della qualità del lavoro ai fini della salute e della sicurezza»
- adozione di codici etici da diffondere presso i medici
- progetti mirati di informazione e formazione, finanziati e promossi dalle Regioni, d'intesa con le parti sociali, per specifici settori produttivi con particolari e significativi rischi.
Il documento della CGIL allega:
- proposta di Carta dei diritti dei lavoratori sulla sorveglianza sanitaria
- proposta di Carta dei diritti dei RLS sulla sorveglianza sanitaria
- proposta relativa alla campagna informativa (targets e contenuti)
- proposta di criteri e contenuti del rapporto annuale.
La Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza del lavoro, aderendo alle richieste delle OO.SS., ha istituito al suo interno un gruppo tecnico, costituito da Ministero del lavoro, Regioni, ISPESL e INAIL (gli ultimi due ormai riuniti in un unico ente), per la elaborazione di proposte volte a realizzare una «campagna di comunicazione in materia di malattie professionali». Il gruppo di lavoro, partendo dall’esame degli archivi delle malattie da lavoro esistenti (INAIL, MALPROF, ReNam), ha individuato le più frequenti tipologie di patologie sulle quali propone di concentrare l’impegno:
- ipoacusie da rumore
- disturbi muscoloscheletrici
- dermatiti
- broncopneumopatie, comprensive delle allergopatie respiratorie
- tumori ad alta frazione eziologica.
Le motivazioni della scelta si basano sui seguenti criteri:
- evidenza epidemiologica certa
- evidenza scientifica certa di correlazione con il lavoro
- maggior facilita di individuazione di azioni per l’emersione e per la riduzione del fenomeno
- maggior possibilità di azioni comunicative trasversali verso una pluralità di destinatari e maggior coinvolgimento dei cittadini
- maggior comprensione della comunicazione.
I destinatari della campagna informativa sono stai individuati nei seguenti soggetti:
- medici del Servizio sanitario nazionale (di base, dei servizi delle ASL, ospedalieri)
- medici competenti delle imprese
- medici dei patronati
- datori di lavoro e loro collaboratori aziendali, addetti e responsabili dei Servizi di prevenzione e protezione (ASPP e RSPP)
- lavoratrici e lavoratori e rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS), con una particolare attenzione verso i lavoratori giovani e gli over 50
- cittadini.
Gli obbiettivi generali sono stati così indicati:
- migliorare la conoscenza delle più comuni malattie da lavoro a fini preventivi
- migliorare le azioni di tutela della salute durante il lavoro
- migliorare la conoscenza dei dispositivi di protezione individuale (DPI).
Sono stati quindi indicati obbiettivi specifici per le diverse categorie di destinatari della campagna informativa.


Medici
- Miglioramento della conoscenza degli aspetti normativi e procedurali in materia di malattie professionali
- miglioramento della conoscenza della correlazione esposizione/effetti
- maggiore contributo alla prevenzione
- sensibilizzare e migliorare la conoscenza dell’effetto sinergico di più fattori.


Datori di lavoro (coadiuvati da ASPP e RSPP)
- Miglioramento della conoscenza degli strumenti e delle procedure per la prevenzione del rischio
- miglioramento della conoscenza degli strumenti amministrativi per incentivi e agevolazioni correlati alla riduzione del fenomeno delle MP
- miglioramento della conoscenza delle procedure per il riconoscimento delle MP
- sensibilizzare e migliorare la conoscenza dell’effetto sinergico di più fattori.


Lavoratrici/Lavoratori (coadiuvati da RLS)
- Miglioramento della conoscenza delle procedure e dei dispositivi di protezione individuale per l’autotutela della salute e l’aumento della percezione del rischio
- miglioramento della conoscenza delle procedure per il riconoscimento della MP
- sensibilizzare e migliorare la conoscenza dell’effetto sinergico di più fattori.


Cittadini/committenti
- Miglioramento della consapevolezza, nella scelta di prodotti e/o servizi, che la tutela della salute dei lavoratori è parte integrante del processo di produzione
- attenzione alla responsabilità sociale d'impresa.
I materiali, diversificati in relazione ai diversi destinatari, potranno essere diffusi dal Ministero del lavoro, dalle Regioni e Province autonome, da INAIL (che ha assorbito anche le funzioni prima svolte da ISPESL), da enti e associazioni che si occupano dell’argomento, parti sociali, comitati paritetici.
La discussione di queste proposte è all'ordine del giorno delle prossime sedute della Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza del lavoro che dovrà anche decidere sulle modalità di finanziamento della stessa.


4.2.7. Alcune iniziative delle Regioni
Nella documentazione che il Coordinamento delle Regioni ha illustrato e consegnato nel corso della audizione dell’8 luglio 2010 sono indicati alcuni impegni assunti dalle Regioni in materia di prevenzione. Ne riassumiamo qui i punti più salienti limitandoci alle iniziative più recenti relative ai fattori di rischio possibile causa di malattie da lavoro.
- Realizzazione e diffusione di una guida operativa per la valutazione e gestione del rischio da agenti chimici
- realizzazione, insieme all'ex ISPESL, e diffusione di una guida operativa per la «valutazione e gestione del rischio da stress lavoro-correlato»
- realizzazione, insieme all’ex ISPESL, e diffusione di una guida operativa per la «prevenzione e protezione dai rischi dovuti all'esposizione ad agenti fisici nei luoghi di lavoro», comprensiva dei rischi rumore, vibrazioni, microclima, aerazione, illuminazione, radiazioni ottiche artificiali
- indirizzi operativi per la verifica della sorveglianza sanitaria nel settore dell’edilizia nell'ambito del Piano nazionale edilizia
- indirizzi operativi per la verifica della sorveglianza sanitaria nel settore dell’agricoltura e selvicoltura, controlli relativi all'esposizione a fitofarmaci nell'ambito del Piano nazionale di prevenzione in agricoltura e selvicoltura
- proposte di indirizzi operativi per la sorveglianza sanitaria degli esposti ed ex esposti ad amianto
- studio e controlli per l’adeguamento ergonomico delle cabine di guida dei convogli ferroviari
- definizione delle modalità applicative del regolamento di cui al D.M. 388/2003 (pronto soccorso in ambito ferroviario)
- predisposizione di indicazioni operative per la gestione dei lavoratori con problemi alcol correlati o che fanno uso di sostanze stupefacenti o psicotrope (in preparazione)
- partecipazione al Network italiano silice (N.I.S.) di cui riferiamo più sotto.
È, inoltre, in fase di avvio lo studio di un piano per la prevenzione delle esposizioni professionali a cancerogeni.


Network italiano silice
Nel 2002 il Coordinamento tecnico delle Regioni e Province autonome, unitamente a INAIL, ISPESL e ISS nonché a diverse ASL e centri di ricerca scientifica ha dato vita al Network italiano silice con la finalità di combattere il rischio di esposizione a silice cristallina, recentemente classificata dallo IARC (International Agency for Research on Cancer) come cancerogeno per l’uomo (classe 1). Il N.I.S. si propone, inoltre, di contribuire alla eradicazione della silicosi in Italia secondo le indicazioni della Organizzazione mondiale della sanita.
Il N.I.S. ha lo scopo di confrontare metodi di lavoro, omogeneizzare criteri di intervento al fine di realizzare repertori di rischio nei principali comparti produttivi, censire gli esposti a silice, formulare linee guida condivise in tema di sorveglianza sanitaria, metodiche di campionamento ed analisi, misure di prevenzione e protezione ed intraprendere iniziative di studio e valutazione del rischio sulla base di indagini epidemiologiche.
Il N.I.S., articolatosi in 5 gruppi di lavoro (Gruppo normativa -Gruppo epidemiologia - Gruppo igiene industriale - Gruppo repertorio rischio silice nei comparti - Gruppo sorveglianza sanitaria) ha già prodotto documenti di buone prassi per i settori individuati come quelli a maggior rischio di esposizione a silice:
- ceramiche - piastrelle
- ceramiche - sanitari
- fonderie
- edilizia
- lavori in gallerie
- lapidei
e linee guida relative alle attività di igiene industriale per le valutazioni delle esposizioni e alla sorveglianza sanitaria per i lavoratori esposti. I lavori del N.I.S. sono attualmente impegnati nel monitoraggio:
- delle misure di prevenzione primaria a partire dai 6 comparti considerati a maggior rischio
- delle esposizioni, prima e dopo gli interventi di prevenzione
- degli effetti sulla salute degli esposti e conseguente ricerca attiva delle malattie silico correlate.
I risultati del N.I.S. sono portati a conoscenza delle forze sociali e discussi con le stesse.
Alla luce di quanto emerso nelle audizioni e dell’esame di altra documentazione raccolta, nella relazione finale verrà aggiornato il quadro relativo alla diffusione delle malattie da lavoro, alla capacità di riconoscerle dei diversi sistemi di registrazione, ai problemi della sottonotifica, del risarcimento e del reintegro lavorativo, agli interventi messi in campo per l’emersione dei casi non segnalati e soprattutto per la prevenzione dei danni da lavoro.
Verrà, inoltre, puntualizzato lo stato di attuazione delle proposte formulate nella precedente relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sugli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle cosiddette «morti bianche» - Senato della Repubblica - XV legislatura, integrando con eventuali ulteriori proposte sia per il miglioramento della conoscenza del fenomeno delle malattie da lavoro che per la loro prevenzione e risarcimento.


4.3. Gruppo di lavoro sugli infortuni domestici (a cura della senatrice Ombretta Colli)
La Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro si è occupata sin dall'inizio della XVI Legislatura di incidenti in ambito domestico istituendo un apposito gruppo di lavoro, acquisendo i dati necessari alla comprensione della reale situazione ed ascoltando i pareri e le analisi di tutti i soggetti coinvolti nella prevenzione e nella cura dell’infortunio in casa.
Il fenomeno è uno dei più diffusi nell'ambito della casistica per gli infortuni sul lavoro, ed è anche uno di quelli che passa maggiormente inosservato. Vuoi perché avviene nel focolare domestico, al riparo da occhi indiscreti o indagatori, vuoi perché, per un difetto di cultura, si è sempre ritenuto il lavoro domestico - in questo caso, quello delle casalinghe -come un lavoro minore, non all'altezza - come considerazione - degli altri.
Le cose però negli ultimi dieci anni sono cambiate. La legge n. 493 del 1999 ha equiparato, almeno in linea di principio, il lavoro domestico a qualsiasi altra attività lavorativa, riconoscendo dunque pari dignità al lavoro di oltre 5 milioni di casalinghe. La legge ha poi istituito un Sistema informativo nazionale sugli incidenti in ambiente di civile abitazione (SINIACA) presso l’Istituto superiore di sanità, che ha come scopo principale quello di monitorare gli incidenti domestici, ai fini della formulazione dei programmi di prevenzione. Il sistema è nato dall'esigenza di ottenere un'informazione completa sull'incidente, sulle lesioni da esso determinate e sulle correlate necessità assistenziali.
Il sistema è strutturato su 3 livelli di gravità dei traumi osservati:
1) eventi rilevati al pronto soccorso;
2) eventi relativi al ricovero ospedaliero;
3) decessi.
I dati raccolti permettono di caratterizzare l’incidente domestico in base a numerose variabili di tipo ambientale e sanitario, dal luogo dell’incidente alla sua dinamica, e con riferimento al fattore che ha causato l’incidente stesso (ad esempio apparecchi domestici, tipi di sostanze, ecc.), al tipo di trauma determinato e alla gravità dell’evento. Tali dati vengono trasmessi periodicamente al Sistema da diverse unita territoriali locali come le Aziende ospedaliere, gli Ospedali a gestione diretta, gli Osservatori epidemiologici regionali, e dagli organi centrali come l’ISTAT e il Ministero della salute. Compiti di questi soggetti e poi di rielaborarli e comunicare le opportune osservazioni.
La legge ha inoltre stabilito l’obbligo di assicurazione per la tutela del rischio infortunistico per invalidità permanente da lavoro svolto in ambito domestico dando all'INAIL, ai Ministeri competenti e alle associazioni di categoria la responsabilità di gestire un fondo autonomo speciale che ha il compito di raccogliere i premi e pagare le rendite.
A oltre dieci anni dall'entrata in vigore della legge è stato necessario tracciare un bilancio: la legge n. 433 del 1999 non ha ridotto gli infortuni in ambito domestico e l’assicurazione obbligatoria vive una situazione di stallo preoccupante. Risultati positivi sono riscontrabili solo nella raccolta dati e nell'analisi del fenomeno. In altre parole adesso abbiamo un quadro più chiaro sugli infortuni domestici. Inoltre i progressi tecnologici e le scoperte in campo scientifico hanno reso più sicure le cucine - dove avvengono il 58 per cento degli incidenti che coinvolgono donne e il 31 per cento di quelli che riguardano gli uomini -, gli impianti di riscaldamento e gli elettrodomestici, ma non hanno ridimensionato significativamente il numero di infortuni. Purtroppo, una scarsa conoscenza di questa legge da parte dei soggetti interessati ha spesso vanificato il lavoro di associazioni come il MOICA - Movimento italiano delle casalinghe, attivo dal 1982 - per sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo a questo fenomeno e quella che si può definire una vera e propria categoria sociale, quella delle casalinghe. Lo stesso si può di altre associazioni operanti in questo settore, come quello delle Donne Europee Federcasalinghe.
Il numero dei morti a seguito di incidente in ambito domestico è ancora molto elevato. Il dato non è uniforme né oggettivo in quanto ogni istituto di ricerca utilizza metodologie differenti di classificazione: secondo l’Istituto superiore di sanità i decessi sarebbero 5.500, secondo l’ISTAT appena 2.000, secondo l’ex ISPESL (ora confluito nell'INAIL) 7.500. L’80 per cento delle vittime sono donne ultrasettantenni, le donne tra i 18 e i 65 anni che muoiono ogni anno a seguito di incidenti in casa sono 450, mentre 900 circa restano invalide in modo permanente. Gli infortuni, di ogni entità, sono ben 3,2 milioni l’anno. Le principali cause di incidente sono: cadute (40 per cento), tagli e punture (15 per cento), urti e schiacciamenti (13 per cento) seguono le ustioni, i soffocamenti e gli avvelenamenti. L’80 per cento dei casi di soffocamento riguarda le donne, i casi di folgorazione riguardano donne per il 70 per cento, e i casi di ustione riguardano donne per il 60 per cento. Esiste dunque una condizione di rischio assimilabile al rischio professionale presente in un'industria o in una fabbrica. L’esposizione a sostanze tossiche, così come l’utilizzo di apparecchi domestici è un problema serio che espone la casalinga ad un rischio di breve termine legato soprattutto all'uso di sostanze caustiche, ma anche ad un rischio a lungo termine ancora poco studiato. Il numero di decessi e infortuni in casa è dunque estremamente preoccupante nonostante il livello di allarme sociale sia molto basso. La percezione di casa come luogo sicuro aumenta inoltre il rischio di infortunio se si considera che le principali cause di incidente sono la distrazione e l’inappropriatezza dei comportamenti più che il mal funzionamento degli elettrodomestici o degli impianti a gas.
Dai dati presentati emerge la necessità di concentrare gli sforzi del legislatore sulla prevenzione. Alcune Regioni, così come previsto dalla legge del 1999, hanno avviato programmi di prevenzione nelle scuole dell’obbligo, idonei a ridimensionare il 18 per cento di incidenti che colpiscono i minori di 15 anni. Ma si tratta di esperimenti pilota e limitati a determinate aree del Nord. Inoltre il 54 per cento degli infortunati ha tra i 18 e i 64 anni ed il 28 per cento ha più di 65 anni. Per le donne in età lavorativa è stata studiata la possibilità di inserire nei corsi preparto alcuni incontri di formazione sugli infortuni domestici, mentre per la fascia di età più elevata gli strumenti predisposti appaiono scarsamente efficaci. In particolare opuscoli informativi (spesso complicati) o pubblicazioni scientifiche online pur se facilmente reperibili vengono de facto consultate solo dagli addetti ai lavori. Per questa fascia di età bisogna passare attraverso i centri anziani presenti sul territorio e soprattutto attraverso i mezzi di comunicazione tradizionali come la televisione nazionale e locale, che è in grado di veicolare il messaggio anche presso le persone che vivono in condizione di emarginazione e solitudine. In questo senso risulta incoraggiante, anche se ancora insufficiente, la mini fiction sulla famiglia Sbadatelli, nata dalla collaborazione tra la RAI e l’ex ISPESL all’interno della trasmissione Unomattina, dove si spiega quali sono i comportamenti da evitare in casa. Questo è un fatto importante, perché mette in campo una forma di intrattenimento educativa e che può raggiungere un target di persone molto vasto.
Le risorse per incrementare l’attività di prevenzione non mancano. Il fondo speciale per gli infortuni in ambito domestico istituito presso l’INAIL dalla legge finanziaria 2007 aveva, nel 2008, un avanzo patrimoniale di 93.693.168 euro ed un avanzo economico di 9.209.863. Tale dato non può essere considerato meramente come positivo. L’erogazione di rendite si é infatti praticamente bloccata e le casalinghe continuano a pagare i premi assicurativi senza di fatto ricevere né il risarcimento in caso di infortunio né un'adeguata attività di prevenzione. Dal 1° marzo 2001 al 31 dicembre 2009 sono state presentate 12.736 domande di rendite, a fronte di 581 rendite effettivamente erogate. In termini percentuali appena il 4,5 per cento. L’assicurazione obbligatoria riguarda le persone in età compresa tra i 18 e i 65 anni che svolgono attività in ambito domestico per la cura del nucleo familiare e dell’abitazione e che non siano impegnate in altra attività lavorativa. Secondo l’INAIL sono 5.243.000 le persone che rientrano in questa categoria, ma al 31 dicembre 2009 risultavano iscritti solo 2.033.932 soggetti, dei quali 194.365 hanno un reddito complessivo lordo ai fini IRPEF inferiore a 4.648,11 euro (per i quali dunque l’iscrizione sarebbe gratuita). Naturalmente le differenze variano a seconda delle dimensioni e della ricchezza delle Regioni, per cui abbiamo la Lombardia con oltre 327 mila iscritti con versamento e 4.300 iscritti a carico dello Stato con un rapporto di 1 iscritto a titolo gratuito ogni 13 con versamento. Margini che si riducono notevolmente in Regioni come la Puglia, la Campania e la Sicilia dove il rapporto tra iscritti con versamento e iscritti a titolo gratuito è molto meno ampio. In Sicilia addirittura ogni 2 iscritti con versamento (126.827) c’è più di un iscritto a spese dello Stato (67.246)
Essendo inoltre il premio già particolarmente basso (12,91 euro), i motivi per i quali la meta delle casalinghe non si assicura possono essere solo la scarsa conoscenza della norma o la scarsa fiducia nei confronti dell’INAIL che rigetta l’87 per cento delle richieste di risarcimento o tiene da diversi anni ben 927 casi in istruttoria. A seguito delle audizioni dei rappresentanti di INAIL, ex ISPESL e ISS nella Commissione d'inchiesta è emerso il dato che il 65 per cento delle domande vengono rigettate in quanto l’invalidità cagionata da incidente domestico è al di sotto della soglia fissata per legge. L’abbassamento del grado minimo di indennizzabilità dal 33 al 27 per cento disposto dalla finanziaria del 2007 non è stato sufficiente ad aumentare considerevolmente il numero delle rendite pagate: solo 44 infortuni in più sono stati riconosciuti dall'INAIL nella soglia di danno compresa tra il 27 e il 33 per cento. Vale la pena rimarcare come nella casistica di infortuni con casistica di invalidità al 27 per cento sono compresi la perdita di un pollice, l’anchilosi dell’anca, l’ustione delle dita delle mani e persino la perdita di un occhio. Anche le rendite mensili in caso di infortunio sono minime. Con una invalidità al 27 per cento si ricevono solo 166 euro, con il 33 per cento 183 euro, con il 45 per cento 300 euro, con il 70 per cento 721, con l’85 per cento 875 euro e solo con un'invalidità totale del 100 per cento si supera la soglia psicologica di 1.000 euro arrivando a 1.158,23 euro. È chiaro che il sistema necessita di alcune modifiche legislative che tengano maggiormente conto dell’ottica di genere nella somministrazione delle somme.
Appare dunque evidente che l’assicurazione contro gli infortuni domestici è, ad oggi, un esperimento parzialmente fallito, e che l’unico modo per convincere le casalinghe a versare il premio ed obbligare l’INAIL a pagare le rendite e abbassare la soglia dell’indennizzo al 13 per cento equiparandola a quella degli altri lavoratori. Un eventuale aumento del pagamento delle rendite non porterebbe automaticamente alla diminuzione dell’avanzo di 9.209.863 euro in quanto ad oggi solo il 50 per cento delle casalinghe paga il premio assicurativo. Rendendo il sistema più trasparente ed efficiente l’aumento dei versamenti da parte delle casalinghe potrebbe compensare l’aumento del pagamento delle rendite, rendendo ancora disponibili sufficienti risorse per un programma di prevenzione nazionale concentrato sulle televisioni nazionali e locali.


4.4. Gruppo di lavoro sul lavoro minorile e sul lavoro sommerso (a cura della senatrice Angela Maraventano)
Come tutti sappiamo il fenomeno dello sfruttamento del lavoro minorile non è, purtroppo, prerogativa dei Paesi in via di sviluppo. Il gruppo di lavoro da me coordinato ha la finalità di valutare in ambito lavorativo «l’entità della presenza dei minori con particolare riguardo ai minori provenienti dall'estero e alla loro protezione ed esposizione a rischio», così come stabilito al punto b) dell’articolo 3, comma 1, della deliberazione del 24 giugno 2008 istitutiva della Commissione d'inchiesta.
Nell'impossibilità di poter contare su un dato certo a causa della disparità dei dati forniti dai vari soggetti che si occupano del fenomeno, nell'ottobre dello scorso anno si è dato avvio ad un'indagine mirata sul lavoro minorile e sul lavoro sommerso iniziando dalla Sicilia, attraverso uno schema predisposto dal mio ufficio e inviato alle Prefetture delle Province della Regione con una comunicazione del Presidente Tofani.
Lo scopo era quello di ottenere dei dati certi, pur se parziali, dalle autorità ispettive quali le DPL, la Guardia di finanza, le ASL e gli altri soggetti preposti. Ma «l’acquisizione degli elementi informativi» - così come segnalato da diverse Prefetture - «è risultata alquanto difficoltosa atteso che tra gli enti istituzionalmente preposti all'attività di vigilanza e prevenzione dei fenomeni, non sussiste uno strutturato sistema di interconnessione, finalizzato all'integrata elaborazione dei dati condivisi e certi».
Questo potrebbe spiegare le diverse incongruenze e incompatibilità nei dati ricevuti dal mio ufficio. E la necessità di rafforzare in maniera incisiva il coordinamento e la collaborazione fra tutti gli enti istituzionali, così come previsto dal decreto legislativo n. 81 del 2008 e successivamente dal decreto legislativo n. 106 del 2009, è stata ben rilevata dal presidente Tofani nella risoluzione da lui presentata lo scorso anno ed approvata dall'Assemblea del Senato.
Agli stessi atti legislativi ha fatto seguito il piano straordinario del ministro del lavoro Sacconi che prevede controlli mirati in 20 mila aziende del Sud per stanare il lavoro nero, a cui ha dato il via il Consiglio dei ministri del 28 gennaio scorso. Quattro le Regioni sotto osservazione: Campania, Calabria, Puglia e Sicilia, dove una task force di 550 ispettori controllerà le imprese agricole ed edili. È evidente l’intenzione del Ministro di intervenire in quegli ambiti dove sono più probabili i collegamenti delle realtà economiche con le organizzazioni criminose.
Analoga preoccupazione, relativamente al problema del lavoro minorile, è stata espressa dall'Ufficio scolastico regionale (U.S.R.) della Sicilia che, nel dossier fatto pervenire a questa Commissione, si dice preoccupato per «le fenomenologie dell’abbandono e di evasione, connesse a situazione di rischio socio-ambientale e legati a fattori extrascolastici», tra i quali il lavoro nero e la criminalità minorile.
Orbene, quanto fin qui affermato dimostra la difficoltà nella raccolta di dati omogenei, in quanto i dati forniti dall'U.S.R. della Sicilia confliggono con quelli pervenuti dalle Prefetture della Regione, da un'analisi dei quali sembrerebbe potersi rilevare una quasi totale assenza del fenomeno del lavoro minorile in Sicilia. Invece, ciò è sicuramente in contrasto non solo con quanto affermato dall'U.S.R. Sicilia, ma anche da istituzioni religiose e del volontariato, che ci indicano nel degrado sociale in cui versa tutta la Regione la causa del continuo aumento dei tassi di dispersione scolastica, di microcriminalità e di sfruttamento, appunto, del lavoro minorile.
A mero titolo di esempio, mi sembra utile riportare quanto ho avuto modo di relazionare lo scorso mese di aprile.
Secondo l’U.S.R. Sicilia, nella provincia di Palermo «nel corso dell’anno scolastico 2008/2009 risultano essere state presentate 215 denunce per inosservanza degli obblighi scolastici; per 65 di esse è stato accertato che la causa dell’abbandono sarebbe riconducibile all'esigenza che il minore collaborasse all'attività lavorativa condotta dai genitori».
È evidente che il dato è incongruente rispetto a quello segnalatoci dalla stessa Prefettura, riportato nello schema successivo, dove risultano soli 7 casi di minori occupati irregolarmente/in nero.

Provincia Irregolari In nero

Caltanissetta

0 3

Catania

18 12

Enna

0 3

Messina

0 5

Palermo

2 5

Ragusa

0 4

Siracusa

1 0

Trapani

16 17

Un altro elemento di considerazione ci perviene dalla provincia di Ragusa, territorio in cui - come si legge nella comunicazione della Prefettura - «i settori produttivi ove si concentra la maggior presenza di mano d'opera giovanile sono quelli che si caratterizzano nella elevata stagionalità (pubblici esercizi, strutture turistico-alberghiere, ristorazione), in ragione dei ridotti costi retributivi, nonché dalla maggiore disponibile di forza lavoro in funzione delle pause delle attività scolastiche». Ma anche questo dato sembra stridere con quello segnalatoci dalla Prefettura e riportato nella precedente tabella.
Detto questo, ritengo quindi utile sottolineare come il problema del lavoro minorile sia intrinsecamente legato a quello dell’economia familiare. E questo, come già nella mia precedente relazione, ci introduce al problema più generale del lavoro sommerso, per cui al frequente utilizzo di mano d'opera «in nero» da parte delle aziende, si aggiunge - come anche riportato ultimamente dalla stampa - la scelta individuale del lavoratore che, sfruttando la contingenza economica che sta interessando il tessuto imprenditoriale, continua a godere dei meccanismi di solidarietà, quali CIG, assegni di maternità e/o benefici derivanti dall'iscrizione nelle liste di disoccupazione.
In alcuni casi è emerso il ricorso a forme di occultamento dei rapporti di lavoro subordinato a tempo pieno mediante l’utilizzo degli istituti contrattuali atipici quali l’occupazione a tempo parziale, il lavoro a progetto, l’associazione in partecipazione. Il tutto a danno sia dell’Erario, sia delle imprese più virtuose, che subiscono la concorrenza sleale di quelle aziende che non mettono in regola i propri dipendenti.
Quanto lamentato dai vari enti competenti in tema di prevenzione e vigilanza - stante anche la correlazione tra lavoro sommerso e/o in nero e gli infortuni sul lavoro - rende indispensabile la creazione di una banca dati nazionale che permetta un monitoraggio continuo sia degli incidenti sul lavoro, sia dei fittizi rapporti di lavoro e di elusione contributiva che si nascondono dietro il dato dei lavoratori irregolari.
Poiché i dati ufficiali sono risultati incongruenti e non esaustivi, appare necessario svolgere ulteriori approfondimenti con i soggetti che operano direttamente sul territorio. Ritengo, quindi, utile audire i prefetti delle Province della Regione Sicilia, nonché l’U.S.R. e i rappresentanti delle maggiori associazioni del volontariato, con i quali è indispensabile individuare percorsi investigativi più idonei. È necessaria una collaborazione più stretta tra politica e tessuto sociale per mantenere alta l’attenzione sulle problematiche del lavoro minorile che, nonostante il generale sviluppo economico e politico dell’attuale sistema sociale, continua ancora a persistere nella realtà odierna.


4.5. Gruppo di lavoro sul personale della pubblica amministrazione e sui controlli pubblici antinfortunistici (a cura del senatore Candido De Angelis)

4.5.1. Premessa. Personale della pubblica amministrazione (PA)
Per quanto riguarda la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro nel settore pubblico, l’applicazione prima del decreto legislativo n. 626 del 1994 e successivamente del decreto legislativo n. 81 del 2008 ha posto diversi problemi alla Pubblica Amministrazione (PA),13 in considerazione anche della complessità del settore di lavoro tanto ampio e articolato, che comprende i Ministeri, gli istituti e scuole di ogni genere e grado, le Regioni , le Province, i Comuni, le ASL, gli ospedali, gli enti a monopolio di Stato, ecc.
Inoltre, come già richiamato anche nella prima relazione intermedia (paragrafi 2.5 e 2.8), va evidenziato che la maggioranza degli edifici dove opera il personale della PA risultano obsoleti e con gravi carenze per la sicurezza.
L’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo n. 81 del 2008 (campo di applicazione) recita: «Il presente decreto legislativo si applica a tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le tipologie di rischio», stabilendo il principio che non esistono «sconti», neanche per la PA, anche se poi il successivo comma 2 identifica le «peculiari esigenze» connesse al servizio espletato o alle peculiarità organizzative di determinati settori di attività, tra cui per esempio gli istituti scolastici, le Università i musei. ma anche il dipartimento dei Vigili del Fuoco, le forze armate di Polizia ecc. La norma per questi settori ha infatti previsto l’emanazione di specifici decreti di attuazione.
Per la PA il legislatore del Testo unico ha inoltre previsto uno «statuto differenziato sulla valutazione dei rischi» disciplinato dall'articolo 18, comma 3, per cui: «Gli obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare, ai sensi del presente decreto legislativo, la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso a pubbliche amministrazioni o a pubblici uffici, ivi comprese le istituzioni scolastiche ed educative, restano a carico dell’amministrazione tenuta, per effetto di norme o convenzioni, alla loro fornitura e manutenzione. In tale caso gli obblighi previsti dal presente decreto legislativo, relativamente ai predetti interventi, si intendono assolti, da parte dei dirigenti o funzionari preposti agli uffici interessati, con la richiesta del loro adempimento all'amministrazione competente o al soggetto che ne ha l’obbligo giuridico».
Lo statuto differenziato trova applicazione limitatamente agli interventi strutturali e di manutenzione per assicurare la sicurezza degli edifici, ma non esonera i datori di lavoro delle PA riguardo gli aspetti di organizzazione del lavoro e di elaborazione delle procedure di sicurezza.
I datori di lavoro comunque, nel caso in cui ravvisino gravi ed immediati pregiudizi per la sicurezza e la salute dei lavoratori e degli utenti, dovranno adottare ogni misura idonea a contenere o eliminare lo stato di pregiudizio, informandone contemporaneamente l’amministrazione competente. Resta fermo il principio in base al quale nel settore pubblico la delega di datore di lavoro assume valore solo qualora il soggetto delegato abbia la titolarità effettiva del potere gestionale, con attribuzione di autonomi poteri di spesa.
L’obbligo di redigere i documenti di valutazione di «tutti i rischi» e di predisporre il piano delle misure di miglioramento impone alle PA di definire, in sede di programmazione economica, il programma di intervento per l’adeguamento e messa a norma degli edifici - luoghi di lavoro.
Tutto questo, in un periodo di ben nota crisi economica e di tagli considerevoli agli Enti locali, determina pesanti e spesso insostenibili aggravi per le casse della stessa PA.


4.5.2. Modalità operative del gruppo di lavoro
Come metodo di lavoro per l’approfondimento delle tematiche prima richiamate, allo scopo di ottimizzare il ricorso alle audizioni e di recepire informazioni organiche agli obiettivi della Commissione, il gruppo di lavoro sul personale della pubblica amministrazione e sui controlli pubblici antinfortunistici individua i soggetti da audire e, dove questo è possibile, i medesimi vengono ascoltati preventivamente in sede informale.
Contestualmente alla successiva convocazione verranno fatte pervenire, ai soggetti da audire, anche domande scritte legate agli argomenti in discussione, per consentire ai medesimi di predisporre una documentazione mirata da lasciare agli atti della Commissione e alla stessa di ottimizzare il proprio rendimento.
In seguito alle audizioni potranno essere elaborati e monitorati, per ulteriori aggiornamenti e sviluppi, tutti i dati e le informazioni raccolte.


4.5.3. Istituti e scuole di ogni genere e grado
Per le ragioni espresse nella premessa, relative alla complessità del comparto della pubblica amministrazione e tenendo conto di quelle che vengono definite «peculiari esigenze connesse al servizio espletato o alle peculiarità organizzative», il gruppo di lavoro da me coordinato ha delimitato il campo di indagine in macrosettori, partendo dal comparto della pubblica istruzione.
I dati che competono a questo settore sono rilevanti. Nelle scuole statali (10.761 dislocate in 42.007 edifici) studiano e lavorano oltre 9 milioni di persone. Lo stato dell’edilizia scolastica presenta gravissime carenze strutturali tali da rendere gli edifici vulnerabili in caso di incidenti causati da calamità naturali o altro, quali crolli ecc. (circa il 40 per cento dell’edilizia scolastica è esposta ad elevato rischio sismico e il 7 per cento ad elevato rischio idrogeologico). Per gli interventi più urgenti sarebbero necessari subito, secondo stime della Protezione civile, 13 miliardi di euro.
Gli infortuni sono la cartina tornasole di questo stato precario degli edifici: nel 2007 sono stati registrati 90.478 infortuni censiti agli alunni e 12.912 agli insegnanti, di questi alcuni sono risultati gravi e hanno determinato invalidità permanenti e altri sono stati addirittura mortali.14
Partendo da questi dati ho focalizzato la mia attenzione e quella del gruppo di lavoro, utilizzando gli strumenti di cui dispongo, sulle tematiche attinenti alla scuola. Al riguardo si rilevano due aspetti fondamentali: da un lato il tema della cultura della sicurezza e della formazione, dall'altro quello dell’emergenza edilizia scolastica.
Il tema della cultura della sicurezza e della formazione risulta a mio avviso centrale ed è infatti all'attenzione di tutti i gruppi di lavoro e della stessa Commissione d'inchiesta: esso è stato ampiamente trattato anche dal Ministro del lavoro e da quello dell’istruzione (si veda il successivo paragrafo 5.3, La cultura della sicurezza del lavoro nelle scuole).
Come gruppo di lavoro, su queste tematiche abbiamo in programma l’audizione dei dirigenti del Ministero dell’istruzione, dell’Università e della ricerca responsabili dei progetti della diffusione della cultura della sicurezza nelle scuole.
Oltre al processo avviato dai Ministeri del lavoro e dell’istruzione in attuazione dell’articolo 11 del decreto legislativo n. 81 del 2008, per quanto concerne l’attivazione di specifici percorsi formativi interdisciplinari alle diverse materie scolastiche volti a favorire la conoscenza delle tematiche della salute e della sicurezza, ritengo anche che si debbano indirizzare delle risorse organizzative ed economiche per avviare un piano di informazione e formazione integrato, in grado di dare in maniera esaustiva assistenza e supporto ai dirigenti scolastici per quanto concerne l’assolvimento dei propri obblighi organizzativi in materia di salute e sicurezza.
Mi riferisco ai corsi di formazione per i responsabili dei lavoratori per la sicurezza (gli RLS), per i dirigenti, per i preposti, per gli addetti ai servizi di prevenzione e protezione (gli ASPP), per gli addetti ai servizi antincendio e di primo soccorso, ma anche alla informazione, formazione e addestramento del personale dipendente (docenti ed ATA) sui rischi lavorativi specifici (disturbi da stress correlato, uso di videoterminale ecc.).
Il personale ATA andrebbe anche addestrato, in collaborazione con gli uffici tecnici preposti degli enti locali, in merito alle procedure operative da adottare in caso di emergenza (interventi sui comandi di emergenza degli impianti elettrici, antincendio, centrali termiche ecc.).
Tutto il «pacchetto della formazione» potrà avvalersi del supporto organizzativo delle «reti scolastiche» previste sia dall'autonomia scolastica che dal regolamento di cui al decreto ministeriale 29 settembre 1998, n. 382. Tali iniziative potranno essere effettuate d'intesa con gli enti istituzionalmente preposti alla tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro.
Infine vorrei segnalare un altro aspetto, che potremmo dire che appartiene alla sfera dell’informazione e che riguarda l’applicazione della sorveglianza sanitaria nelle scuole.
Il Ministero dell’istruzione dovrebbe emanare un chiarimento esaustivo in merito agli obblighi di applicazione della medicina del lavoro (nomina del medico competente, sorveglianza sanitaria) nelle scuole di ogni ordine e grado. Ancora oggi i dirigenti scolastici brancolano nel buio su questo argomento, anche perché nel caso in cui si dovesse applicare la medicina del lavoro il costo derivato graverebbe sul bilancio di funzionamento della scuola.
Si potrebbero ipotizzare, nei casi in cui si dovessero verificare le condizioni per l’applicazione della sorveglianza sanitaria, convenzioni e/o azioni coordinate con il servizio sanitario pubblico.
Per quanto concerne l’emergenza edilizia scolastica, come ho avuto modo di esporre personalmente nei vari interventi nella Commissione ed in Assemblea,15 ritengo che questo debba essere considerato un argomento su cui concentrare l’attenzione di tutte le forze politiche e della società civile e su cui promuovere tutte le iniziative economiche, tecniche e organizzative necessarie per avviare un programma di azioni che consentano di stabilire le condizioni di sicurezza all'interno di tutti gli edifici scolastici.


Riteniamo che il programma di azioni da intraprendere debba prevedere i seguenti capisaldi:
1. programmazione immediata degli interventi per la messa in sicurezza degli edifici scolastici;
2. attivazione della normativa inerente il «fascicolo del fabbricato» per gli edifici scolastici e costituzione della banca dati delle certificazioni dei medesimi edifici;
3. definizione di un protocollo tecnico per realizzare piani organici per le manutenzioni degli edifici scolastici (criteri e metodologie per la programmazione e la gestione delle priorità degli interventi);
4. verifica della ricettività degli edifici scolastici e razionalizzazione dei processi funzionali - organizzativi e degli spazi disponibili;
5. coordinamento dei flussi di informazioni tra i diversi Osservatori (Ministeri, enti locali, ecc.);
6. rilanciare incisive iniziative di raccordo, coordinamento e cooperazione tra le Istituzioni scolastiche e gli Enti locali, finalizzate alla programmazione e gestione degli interventi di cui ai punti precedenti;
7. promuovere i protocolli di gestione e relative assunzioni di reciproche responsabilità tra gli enti locali proprietari degli edifici scolastici (Comuni e Provincie) e le istituzioni scolastiche.
Queste proposte, insieme alle altre sostenute da parte di tutti i soggetti interessati, dovranno essere confrontate con il testo, in corso di elaborazione da parte della Commissione consultiva permanente, del decreto di attuazione (regolamento recante norme per l’individuazione delle effettive particolari esigenze connesse al servizio espletato o alle peculiarità organizzative), la cui emanazione è stata prorogata al 15 maggio 2011.
Un altro tema che sarà utile approfondire, con audizioni mirate ai Ministeri competenti (economia, infrastrutture e istruzione), riguarda le informazioni circolate recentemente a mezzo stampa (si veda ad esempio Il Sole 24 Ore del 10 ottobre 2010) in merito ad una proposta legislativa allo studio del Governo, per la creazione di una società per azioni cui conferire la proprietà degli edifici scolastici e la competenza per la loro manutenzione e messa in sicurezza.
In proposito, una prima risposta è stata fornita dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti nel corso della recente audizione del 3 novembre 2010 dinanzi alla Commissione d'inchiesta. Il Ministro ha confermato che il progetto è effettivamente allo studio dei Ministeri competenti, anche se si tratta ancora di una semplice proposta, volta ad individuare formule alternative per reperire risorse finanziarie da destinare all'edilizia scolastica. È però un tema di grande rilevanza, sul quale il gruppo di lavoro intende condurre ulteriori approfondimenti con tutti i soggetti competenti.
Ad esempio, il quesito è stato posto il 10 novembre 2010, durante l’audizione dei rappresentanti dell’Associazione nazionale costruttori edili (ANCE), i quali, pur riservandosi di fornire in altra occasione elementi specifici, hanno però confermato la loro attenzione in merito, offrendo la propria disponibile a collaborare con la Commissione anche su questo tema.


4.5.4. Audizioni proposte
Per la prosecuzione dell’attività d'indagine, il gruppo di lavoro si propone di svolgere le seguenti audizioni.
• Ministero dell’istruzione, dell’Università e della ricerca:
- Edilizia scolastica e sicurezza nelle scuole
- Progetti della diffusione della cultura della sicurezza nelle scuole
• Parti sociali:
- ANP - Associazione nazionale presidi (dirigenti e alte professionalità delle scuole)
- Principali sindacati della scuola
• INAIL/ISPESL
• INPDAP
• Conferenza Stato-Regioni
• ANCI
• UPI
• Enti tecnici:
- Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei ministri
- Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia
- Vigili del Fuoco
- Consiglio Nazionale Ingegneri
• ANCE.

Al riguardo, segnalo che sono già stati effettuati, in via informale (secondo il metodo operativo prima indicato), incontri preliminari con il dottor Mario Di Costanzo, dirigente del MIUR per l’edilizia scolastica, in data 8 ottobre 2010 e con il dottor Giorgio Rembado, presidente dell’ANP, in data 28 ottobre 2010.


4.5.5. Principali argomenti in discussione
I principali argomenti da approfondire nel prosieguo dell’attività del gruppo di lavoro sono i seguenti:
- verifica dello stato di attuazione del decreto legislativo n. 81 del 2008 nel comparto della scuola;
- verifica delle proposte in discussione presso la Commissione consultiva permanente per il decreto di attuazione (articolo 3, comma 2, del decreto legislativo n. 81 del 2008);
- anagrafe nazionale edilizia scolastica è stato delle valutazioni strutturali e non strutturali degli edifici scolastici;
- piano economico per la programmazione degli interventi (legge 23/96, finanziamenti destinati dal CIPE all'edilizia scolastica, ecc.);
- interventi con la partecipazione dei privati (proposta avanzata dai rappresentanti dell’ANCE);
- attività della «cabina di regia» per l’inserimento della salute e sicurezza nei programmi scolastici e universitari. Finanziamenti per le attività formative nella scuola;
- progetto del Governo per una società per azioni cui conferire la proprietà degli edifici scolastici e la competenza per la manutenzione e messa in sicurezza.16


4.5.6. Controlli pubblici antinfortunistici
L’altro filone di indagine del gruppo di lavoro è quello dei controlli pubblici in materia antinfortunistica, le cui competenze sono affidate ad una pluralità di organismi.
In proposito, la Commissione ha avuto modo di verificare nel corso della sua inchiesta l’esigenza di rafforzare in maniera sempre più incisiva il coordinamento e la collaborazione fra tutti gli enti istituzionali che si occupano, a vario titolo, della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, sia a livello centrale che locale, secondo quanto espressamente previsto dal Testo unico. In taluni casi, infatti, in questo campo si rileva ancora una sovrapposizione e duplicazione di competenze (ad esempio nella fase ispettiva e di controllo), che certamente non aiuta l’efficacia e la speditezza dell’azione amministrativa.
Il tema è ampiamente trattato nei successivi paragrafi 5.1.1 (Il problema dei controlli) e 5.5 (Il controllo sul territorio. Il ruolo delle prefetture e delle forze dell’ordine) della presente relazione.
Considerando che l’attuale crisi economica non consente di ampliare l’organico del personale addetto alla vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro, riteniamo che un intervento di ottimizzazione delle procedure potrebbe essere auspicabile: è in questo senso allora che proponiamo l’elaborazione di procedure standardizzate finalizzate alla redazione del verbale unico ispettivo utilizzabile dagli organi preposti al fine di promuovere l’uniformità dell’applicazione della normativa vigente. Oggi, lo ricordo, gli organi ispettivi di vigilanza dispongono di modelli «in bianco» da compilare in maniera «discrezionale» nell'ambito delle ispezioni nei luoghi di lavoro.
Il ruolo (quello cioè di elaborare le procedure standardizzate di cui sopra) dovrebbe essere affidato alla Commissione Consultiva di cui all'articolo 6 del decreto legislativo n. 81 del 2008 e successive modificazioni, di concerto con il Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale delle attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro di cui all'articolo 5 del decreto legislativo n. 81 del 2008.
La pianificazione dei modelli standardizzati per la stesura dei verbali unici ispettivi, adottabili dagli organi competenti, garantirebbe anche una migliore efficacia nell'ambito del Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro previsto dall'articolo 8 del Testo unico.


4.6. Gruppo di lavoro sui trasporti e gli infortuni in itinere (a cura del senatore Carmelo Morra)17

4.6.1. Premessa
Il presente elaborato si raccorda e si rapporta in linea con gli obiettivi che l’attuale Governo sta perseguendo attraverso una continua e costante azione volta al progressivo miglioramento della tutela della salute e sicurezza sul lavoro.
La tematica qui affrontata interessa il fenomeno infortunistico nel settore dei trasporti, già individuato quale situazione di particolare importanza nell'ambito delle misure di prevenzione e protezione da attuare per elevare il livello di salute e sicurezza della comunità lavorativa/occupazionale presente nel paese.
Si è così data continuità al progetto, già in atto, che si è posto come obiettivi non solo la rilevazione della dimensione reale del problema, ma anche l’individuazione di azioni, indirizzi e strumenti di contenimento e abbattimento di tale fenomeno.


4.6.2. Decreti attuativi in fase di emanazione
Come già ricordato nel paragrafo 2.2, in seguito all'emanazione del decreto legislativo n. 81 del 2008 in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, è emersa dalle parti interessate (quali associazioni imprenditoriali di categoria, associazioni sindacali e componenti sociali la necessità di una rivisitazione del citato decreto, al fine di razionalizzare le linee guida applicative che interessino aspetti procedurali, tecnici e sanzionatori.
Le modifiche ed integrazioni introdotte dal decreto legislativo n. 106 del 2009 rappresentano una prima risposta in tal senso, in quanto è stata disposta l’elaborazione di successivi decreti di attuazione, aventi per scopo quello di delineare procedure standardizzate, necessarie a dare completa esecuzione ai dettami normativi di recente introduzione.
Dei vari provvedimenti si è parlato diffusamente nei paragrafi 2.32.7. In particolare, ai fini del tema che qui interessa, tra i provvedimenti già messi in atto si citano:
l’elaborazione di indicazioni necessarie alla valutazione del rischio da stress lavoro-correlato, la cui valutazione è stata prorogata al 31 dicembre 2010;
il decreto attuativo relativo alle ROA (radiazione ottiche artificiali) delineate all'interno della norma di cui al Capo V del Titolo VIII del Testo unico, con termine di scadenza in data 26 aprile 2010.
Altre disposizioni ancora in fase di attuazione:
- l’elaborazione, entro il 31 dicembre 2010, di procedure standardizzate di effettuazione della valutazione dei rischi, tenendo conto dei profili di rischio e degli indici infortunistici di settore;
- l’elaborazione di criteri finalizzati alla definizione del sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi;
- l’estensione e la regolamentazione del campo di applicazione del decreto in capo alle associazioni di volontariato e/o all'amministrazione del servizio civile;
- l’elaborazione di uno specifico strumento guida valutativo del rischio, che possa sostituire in modo efficace l’autocertificazione prevista in carico ai datori di lavoro di cui all'articolo 29, comma 5, del decreto legislativo n. 81 del 2008;
- la definizione di modelli di organizzazione e gestione della sicurezza nelle piccole e medie imprese;
- l’elaborazione di criteri di qualificazione della figura del formatore per la salute e sicurezza sul lavoro;
- la formalizzazione degli strumenti informativi e formativi utilizzati per prevenire e combattere la diffusione dei rischio derivante dall’uso di alcolici e sostanze stupefacenti;
- la regolamentazione dei monitoraggi relativi ai rischi fisici, con particolare riferimento alle vibrazioni trasmesse a corpo intero, mano e braccio;
- emanazione di particolari misure per la tutela delle lavoratrici gestanti che svolgono mansioni connesse all'utilizzo e alla guida di automezzi di tipo ordinario e di tipo speciale.
Di particolare importanza per il tema dei trasporti e degli infortuni in itinere, sono infine le disposizioni che prevedevano, entro dodici mesi dalla entrata in vigore del decreto legislativo n. 81 del 2008, con decreto dei ministeri e degli organismi di settore interessati, l’emanazione di un regolamento per l’individuazione delle procedure di revisione, integrazione e apposizione della segnaletica stradale destinata alle attività lavorative che si svolgano in presenza di traffico veicolare.
Appare evidente che i sopracitati decreti interessano il settore dei trasporti su gomma, che rispetto alle altre tipologie di trasporto su rotaia, per via acquea ed aerea presenta rilevanti rischi di eventi infortunistici e patologie lavorative. In particolare gli elementi relativi ad una maggior definizione delle condizioni di prevenzione applicabile al comparto trasporti su gomma risultano essere:
- approfondimento dei parametri applicabili agli autotrasportatori autonomi in fase di valutazione del rischio ed in funzione delle conseguenti azioni di miglioramento;
- implementazione del processo di informazione e formazione, per una continua azione volta alla prevenzione della diffusione dei rischio derivante dall'uso di alcolici e sostanze stupefacenti;
- utilizzo di svariate emittenti di comunicazione locale, zonali e territoriali atte a pubblicizzare in maniera capillare ma non ridondante la politica della tutela dell’integrità psicofisica personale, anche per le notevoli ricadute su quella della collettiva;
- implementazione delle misure procedurali che definiscano le istruzioni operative obbligatorie di gestione degli interventi manutentivi dei veicoli, della loro regolarizzazione, certificazione e tracciabilità e quindi anche della qualificazione degli operatori del settore;
- incentivazione delle policy aziendali relative alla programmazione e pubblicizzazione di eventi formativi tecnici strettamente correlati al trasporto ed allo spostamento su gomma (es. corsi di guida sicura, ecc.).


4.6.3. Incorporazione e soppressione dell’ISPESL
Al fine di garantire una più efficace azione amministrativa migliorando l’erogazione dei servizi agli utenti privati e alle categorie professionali e di assicurare, a regime, la riduzione dell’attuale spesa, è stata emanata la direttiva in merito alle prime linee attuative in materia di soppressione e incorporazione degli enti e istituti vigilati, come previsto dall'articolo 7 del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, sulla manovra finanziaria. Come richiamato nel paragrafo 2.7, infatti, il citato articolo 7 prevede, significativi interventi di razionalizzazione e integrazione di funzioni omogenee in campo previdenziale, assistenziale e assicurativo, attraverso la soppressione di enti pubblici e istituti di dimensioni minori e la loro incorporazione in enti con dimensione e struttura organizzativa più articolate, secondo criteri di concentrazione, uniformità di azione e maggiore efficienza nell'utilizzo delle risorse umane e strumentali. In particolare, le disposizioni richiamate prevedono la soppressione dell’IPSEMA dell’ISPESL e la loro contestuale incorporazione nell'INAIL.
Ribadendo le valutazioni già espresse dalla Commissione, diventa pertanto importante trasferire le professionalità esistenti nel sistema prevenzionistico all'interno del nuovo «contenitore», al fine di valorizzarle e di rilanciare un nuovo quadro operativo e interventistico che unisca e condivida gli interventi preventivi con quelli risarcitivi ed assicurativi. Si potrà in tal modo realizzare un concreto contributo alla armonizzazione degli interventi degli organi di vigilanza e controllo che produrrà sicuramente un miglioramento della qualità del sistema del servizio e un considerevole recupero di risorse.


4.6.4. Analisi degli incidenti accaduti nel settore trasporti
Secondo quanto segnalato nel Rapporto annuale INAIL 2009, lo scorso anno su 790.000 infortuni complessivi sul lavoro verificatisi in Italia sono stati 696.863 quelli in occasione di lavoro e 93.137 quelli in itinere (ovvero durante il tragitto casa/lavoro e lavoro/casa).
Nell'ambito dei 696.863 infortuni in occasione di lavoro sono state 50.168 le denunce che hanno riguardato la circolazione stradale (ovvero che hanno interessato categorie professionali che svolgono il loro lavoro sulla strada: autotrasportatori di merci e persone, commessi viaggiatori, addetti alla manutenzione stradale).
Nel 2008 - a fronte di un complesso di 875.144 incidenti totali - gli incidenti in occasione di lavoro erano stati 775.927, mentre quelli in itinere 99.217. Nell'ambito dei 775.927 infortuni in occasione di lavoro nel 2008 le denunce relative alla circolazione stradale erano state 51.357. Tra gli infortuni in occasione di lavoro, pertanto, quelli che hanno interessato la circolazione stradale tra il 2008 e il 2009 hanno registrato una flessione del 2,3 per cento.
Per quanto riguarda la voce specifica dei casi mortali nell'ambito degli incidenti da circolazione stradale (ovvero che hanno interessato categorie professionali che svolgono il loro lavoro sulla strada: autotrasportatori di merci e persone, commessi viaggiatori, addetti alla manutenzione stradale), nel 2009 questi sono stati 303 (su un totale di 1.050 denunce all'INAIL). Nel 2008, invece, erano stati 338 (su un totale di 1.120 casi), per una flessione del 10,4 per cento.
Per quanto riguarda gli infortuni mortali in itinere (tragitto casa/lavoro e lavoro/casa), invece, questi nel 2009 sono stati 283 a fronte di 291 casi del 2008 (per una flessione del 2,7 per cento).
In particolare, occorre sottolineare che nei primi quattro mesi del 2010, l’Osservatorio infortuni sul lavoro di una società di consulenza italiana ha registrato 141 casi di decessi avvenuti in ambito lavorativo. La regione con il maggior numero di casi di morte è la Lombardia, con il 17,7 per cento, seguono la Puglia e il Veneto. A titolo di confronto, si consideri che la caduta di persone dall'alto è la principale causa di morte sul lavoro, seguita dal ribaltamento del veicolo/mezzo in movimento, dalla caduta dall’alto di gravi, dall’investimento da mezzo semovente e dal contatto con oggetti/mezzi in movimento, mentre i settori economici più colpiti sono l’agricoltura e le costruzioni.
Risulta evidente dai dati sopra riportati che la posizione di preminenza che rivestono gli infortuni che vedono coinvolti mezzi di trasporto e macchine operatrici, in quelle zone, aree, territori ove il trasporto su gomma è maggiormente radicato.
Questi aspetti si legano notoriamente al tema più generale della sicurezza stradale, un settore centrale e delicato che presenta un particolare livello di rischio e necessita di un anamnesi approfondita dei vari elementi che concorrono a determinare le criticità del fenomeno, gli incidenti stradali hanno rappresentato in questi anni spesso più del 50 per cento del totale delle morti sul lavoro in Italia, e in questo ambito il trasporto di merci su strada ha rappresentato una componente vulnerabile, anche in relazione ad alcune caratteristiche spesso presenti: lavori in appalto, turn-over delle ditte, presenza di molti lavoratori autonomi, lavoro contemporaneo di più ditte.
Dato interessante, secondo i professionisti della sicurezza, è che sono i cantieri edili le aree più a rischio per chi lavora sulle strade: gli automobilisti, nonostante i cartelli «Lavori in corso - Men at work», continuano a sfrecciare a velocità folli sulle corsie, spesso ridotte in numero e ristrette in larghezza a causa dei lavori in corso. Non succede raramente, dal momento che solo sulle autostrade vengono attivati ogni anno 40.000 cantieri, che impiegano mediamente oltre 30 persone al giorno.
La viabilità modificata, la segnaletica provvisoria, unite alla velocità e alla scarsa visibilità dei cantieri nelle ore notturne, sono le cause principali degli infortuni stradali. Un argomento su cui INAIL ha avviato un progetto con Assosegnaletica, associazione che riunisce i produttori 20 di segnaletica stradale in Italia.18


4.6.5. Articolazione operativa per macro-aree

1. Audizioni programmate

Al fine di provvedere ad un monitoraggio reale delle possibili cause ed effetti connessi a tale fenomeno incidentale e infortunistico, si ritiene necessario programmare una serie di audizioni con i Presidenti e con i responsabili di enti pubblici, associazioni sindacali e/o di categoria, altri soggetti pubblici e/o privati di settore anche per recepire osservazioni e/ o proposte utili al raggiungimento degli obiettivi di riduzione e controllo del fenomeno infortunistico in itinere.
Si riportano i principali soggetti di riferimento per le audizioni:
- INAIL (Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro)
- associazioni di categoria, sindacati ed Enasarco
- enti e società autostradali, enti e società trasporto ferroviario
- enti e società trasporto marittimo
- enti e società trasporto aereo
- rappresentante Agenzia della Sicurezza di Bilbao
- Regioni e Province
- Comuni di grandi dimensioni ed aree metropolitane
- ASL/Direzione Provinciale del Lavoro
- assicurazioni per le responsabilità civile automobilistica (RCA).


2. Formazione su guida sicura
Erogazione corsi di guida sicura a tutti quei lavoratori addetti ai trasporti, con particolare riferimento a quelli su strada.


3. Proposta di incentivazione in sinergia con le assicurazioni
Con specifico riferimento al punto precedente, proporre accordi con le assicurazioni per il conducente in merito a sgravi dei premi assicurativi se il soggetto ha conseguito attestati di guida sicura.


4. Servizio emergenza trasporti (SET) e Centro nazionale di informazione tossicologica (CNIT)
Implementazione del Servizio emergenze trasporti (SET). Tale Servizio è un programma volontario a cui aderiscono imprese associate a Federchimica e a cui partecipano altre imprese e associazioni interessate a cooperare con le Autorità pubbliche, al fine di assisterle negli eventuali incidenti derivanti dal trasporto su strada e su ferrovia di sostanze e preparati chimici. Federchimica, che ha la missione di tutelare la competitività delle imprese associate, persegue la strategia di mettere a punto, diffondere e migliorare i sistemi di prevenzione degli incidenti e, attraverso il SET, di supportare il piano di azioni delle Autorità Pubbliche.
In particolare, il SET fornisce agli aderenti un servizio che prevede:
- l’utilizzo del Centro di Risposta di Porto Marghera, noto a tutte le Autorità interessate in base al Protocollo d'Intesa sottoscritto da Federchimica;
- il pronto intervento in base alle necessità:
livello 1: informazione sui prodotti chimici coinvolti
livello 2: mobilitazione di un tecnico qualificato sul luogo dell’incidente
livello 3: mobilitazione di una squadra di emergenza aziendale sul luogo dell’incidente.
La struttura operativa per gli eventuali incidenti stradali è costituita da un «Centro di risposta nazionale» e da 34 «Punti di contatto aziendali» delle imprese aderenti al SET. Per incidenti su ferrovia il SET agisce attraverso la sala operativa Trenitalia di Milano e altre 13 sale operative nel Paese.
Il SET viene attivato esclusivamente digitando un numero riservato alle Prefetture, ai comandi provinciali dei Vigili del fuoco e a Trenitalia, assicurando la sua assistenza 24 ore su 24 tutti i giorni.
Federchimica ha stipulato inoltre una Convenzione con la Fondazione Maugeri di Pavia per la messa a disposizione del CNIT (Centro nazionale per l’informazione tossicologica) quale punto di contatto per le imprese aderenti al SET, nei casi di intervento di livello 1 (dati e informazioni su sostanze preparati chimici).
Il CNIT ed il CAV (Centro antiveleni laboratorio di tossicologia), operativi presso la Fondazione Maugeri, che è stata individuata quale «centro di competenza», offrono un supporto tecnico scientifico alle istituzioni pubbliche e private e al dipartimento per i settori di tossicologia medica e della tossico-vigilanza anche nella gestione tossicologica di incidenti chimici. Tali attività sono volte all’individuazione di:
- procedure efficaci per l’attivazione e per l’intervento specialistico del centro antiveleni nella cogestione sanitaria dell’emergenza conseguente ad un incidente rilevante, a supporto degli operatori sanitari presenti sul luogo dell’evento, al fine di integrare, di volta in volta, l’impiego delle procedure generali di base con quello di procedure specifiche dipendenti dalle caratteristiche del singolo evento che coinvolge una o più sostanze pericolose definite dal decreto legislativo n. 334 del 1999;
- procedure operative standard di base applicabili al sistema di soccorso territoriale 118 per ridurre il rischio di contaminazione del personale stesso durante le fasi di soccorso (ivi compresa la fase di decontaminazione degli esposti), basate su:
a) miglioramento dell’informazione sui rischi da sostanze chimiche (effetti irritanti, caustici/corrosivi, tossici sistemici, reazione delle sostanze chimiche);
b) adozione di adeguati mezzi di protezione personale e programmazione dell’addestramento al loro impiego;
c) impiego di procedure di base per la decontaminazione dei soggetti esposti.

Dal canto loro le aziende s'impegnano a fornire al CNIT (su dischetto in formato Word) tutte le informazioni tecniche (su una scheda composta da 16 punti) relativamente ai prodotti trattati ed al loro regolare aggiornamento.
Quale strumento di supporto la Federchimica mette a disposizione sul suo sito, www.federchimica.it, la Banca dati incidenti nel trasporto, disponibile con assegnazione di una password, con i dati relativi ad interventi del SET ed altri incidenti registrati da fonti nazionali e internazionali.
È importante inoltre evidenziare l’integrazione del SET nel Programma ICE., basato su 15 Centri di risposta nazionali oltre che sul REMPEC, Regional Marine Pollution Emergency Response Centre for the Mediterranean Coastal States, a Malta.
L’integrazione nel Programma ICE assicura per incidenti transnazionali:
- il trasferimento di dati ed informazioni immediati, costituenti l’intervento di livello 1, attraverso la rete dei Centri di Risposta Nazionale;
- la transazione di altri dati e informazioni tramite la Banca dati incidenti nel trasporto di Federchimica;
- lo scambio di competenze ed esperienze europee, mediante riunioni di aggiornamento e simulazioni di eventi incidentali.

Oltre a garantire un servizio che soddisfi le esigenze di sicurezza nei trasporti, l’adesione a S.E.T. comporta ulteriori vantaggi:
- costi di partecipazione molto più convenienti rispetto a quelli richiesti da altre organizzazioni private per servizi, peraltro, di minor livello;
- costi d'intervento dimezzati rispetto alle tariffe normali;
- soddisfacimento ottimale delle aspettative delle Autorità e delle case madri estere;
- vantaggi sui premi assicurativi;
- copertura estesa anche all'estero;
- opportunità di utilizzo del CNIT anche per altri servizi a condizioni convenzionate;
- miglioramento dell’immagine dell’azienda, dell’associazione e della chimica in generale.


5. Campagna di comunicazione relativa al divieto di uso di alcool e droghe
Tale comunicazione dovrebbe essere indirizzata con particolare riferimento alle aziende con personale viaggiante (automezzi, autoveicoli, treni, ecc.).


6. Formazione antincendio e aspetti ambientali per Forze dell’ordine che operano su strada
Si ritiene necessario promuovere iniziative nel campo della formazione ed addestramento antincendio e di primo pronto soccorso per il personale addetto alla forza pubblica, che spesse volte presta il primo intervento e soccorso in caso di incidenti stradali anche gravi con il coinvolgimento di mezzi che trasportano merci pericolose a rischio di incendio, scoppio ed esplosione e/o lo sversamento di sostanze che possono comportare inquinamento ambientale aria, acqua e suolo.


7. Proposta di un'Agenzia unica della sicurezza nazionale
Proposta di predisposizione di un'Agenzia unica della sicurezza nazionale, con finalità di armonizzazione e centralizzazione del flusso informativo, relativo agli eventi infortunistici e/o incidentali che possono interessare il settore lavorativo e sociale.
In ultima analisi, l’obiettivo dei lavori della Commissione in questo settore potrà essere realizzato costituendo un unico modello informativo di organizzazione e gestione delle iniziative prevenzionistiche nel campo dell’ infortunistica stradale da lavoro, che non può e non deve essere trattata separatamente da quella comunemente stradale. Quindi integrazione e armonizzazione delle norme, ma soprattutto educazione alla sicurezza stradale a tutti i livelli a partire dalla scuola dell’obbligo, tematiche e punti di forza che non possono prescindere da una interazione continua e sostanziale con il medico competente ed il medico di base per realizzare una efficace prevenzione sul lavoro.


4.7. Gruppo di lavoro sull'edilizia, le costruzioni e gli appalti (a cura del senatore Enzo De Luca)
Per gli approfondimenti specifici sulle questioni connesse al gruppo di lavoro sull'edilizia, le costruzioni e gli appalti, si rinvia a quanto evidenziato nei paragrafi 5.1, 5.1.1 e 5.1.2 della presente relazione intermedia, nonché in quella dello scorso anno. In questo paragrafo si intende soprattutto illustrare una serie di proposte concrete rivolte al settore delle attività edili. Sulla base delle esperienze acquisite al termine delle audizioni, delle indagini effettuate e dei riscontri rilevati, la Commissione ha concentrato l’attenzione, in particolare, sulle misure di incentivazione alla sicurezza sui cantieri edili. Per favorire tale cultura si ritiene utile sostenere, mediante incentivi concreti, le imprese che agiscono in modo virtuoso su questo fronte.
A partire dal premio di sicurezza - calcolabile, ad esempio, in una percentuale pari allo 0,50 per cento dell’importo totale dei lavori - da corrispondere, previe specifiche verifiche del responsabile del procedimento, alle ditte aggiudicatarie degli appalti che abbiano applicato tutti gli obblighi previsti dalla vigente normativa in tema di sicurezza.
Ancora, nel caso in cui dagli accertamenti risulti che le imprese abbiano adottato nel proprio sistema organizzativo adeguate politiche di tutela della incolumità e della salute dei propri lavoratori - a partire dalla formazione specifica per il montaggio delle strutture del cantiere, dalla valutazione dello stress correlato ai lavori da effettuare, dall'elezione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza - si considera plausibile pensare ad una riduzione della cauzione definitiva.
Si ritiene altresì fondamentale, sempre ai fini di incentivare la cultura della sicurezza attraverso un miglioramento continuo delle condizioni dei luoghi di lavoro, istituire, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, un apposito fondo per la sicurezza e la salute dei lavoratori denominato «Fondo per la vita».
Ad esso potranno accedere le imprese edili per la copertura delle spese anticipate per incrementare sui propri cantieri l’attuazione delle iniziative a tutela dei propri lavoratori.
Considerato quanto emerso dalle indagini svolte dalla Commissione, si ritiene che il miglioramento delle condizioni di sicurezza nel cantiere in cui dovranno essere eseguiti i lavori oggetto degli appalti debba essere inserito tra i criteri di valutazione delle offerte presentate per aggiudicarsi l’appalto della gara.
Il punteggio da assegnare a tale criterio non potrà essere inferiore a quello, considerato tra i più importanti ai fini dell’aggiudicazione delle gare, assegnato ai tempi di esecuzione dei lavori.
Si tratta di proposte che mirano al conseguimento dello stesso obiettivo, ma sono animate anche dal medesimo principio ispiratore che è quello di una maggiore assunzione di responsabilità, da parte delle imprese, rispetto alla necessità di procedere con atti concreti al potenziamento della sicurezza sui luoghi di lavoro.
In tal modo, in un'ottica di sempre più stretta collaborazione tra istituzioni ed imprese, la Commissione intende agire con iniziative concrete per sbarrare il passo alla criminalità organizzata - purtroppo molto presente, attraverso ditte collegate o espressione diretta dei clan - che vince presentando offerte solo apparentemente vantaggiose, per poi lucrare sulla pelle dei lavoratori.
Pratiche inaccettabili in un Paese che voglia dirsi civile, che non può tollerare oltre le continue morti sui cantieri.

 


 

5. GLI APPROFONDIMENTI SU TEMI PARTICOLARI

5.1. I problemi della sicurezza del lavoro negli appalti e nei subappalti
Come già nell'anno precedente, anche nel secondo anno di attività la Commissione ha avuto modo di constatare come uno degli aspetti più critici per il rispetto delle norme in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro rimanga quello degli appalti, al quale ha dedicato anche uno specifico gruppo di lavoro, coordinato dal senatore De Luca. Si tratta di un problema che riguarda tanto il settore pubblico quanto quello privato: l’evoluzione dei modelli produttivi occorsa negli ultimi anni spinge infatti sempre di più verso la frammentazione del processo di produzione e l’esternalizzazione di un numero crescente di lavorazioni o servizi. Di conseguenza, l’ente committente (amministrazione pubblica o azienda privata che sia) si trova ad affidare a soggetti terzi determinati compiti, più o meno complessi: dalla progettazione e costruzione di un edificio pubblico o di una fabbrica, ai servizi di manutenzione, riparazione e pulizia, per fare solo qualche esempio.
La questione è nota e se ne è parlato diffusamente anche nella precedente relazione intermedia: da un lato esiste un problema di ripartizione e condivisione della responsabilità sotto il profilo della sicurezza del lavoro tra soggetto committente e ditte appaltatrici; dall'altro, queste ultime - che sono spesso imprese di piccole e medie dimensioni - nell'intento di vincere o conservare appalti assegnati con il criterio del prezzo più basso (cioè del massimo ribasso d'asta), possono essere indotte ad abbattere il più possibile i costi, tagliando in taluni casi proprio le spese per la sicurezza e riducendo così il sistema delle tutele dei lavoratori.
Questi fenomeni sono aggravati dal fatto che, specialmente negli appalti di grandi dimensioni, dietro l’impresa appaltatrice si crea spesso una lunga catena di imprese subappaltatrici, non solo in senso verticale (ogni impresa è appaltatrice della precedente e committente della successiva), ma anche orizzontale (ad esempio nei raggruppamenti di imprese, che sono talvolta vere e proprie «scatole cinesi» con una pluralità di soggetti variamente collegati). È proprio nei subappalti che si riscontrano, statisticamente, i maggiori problemi e si verificano i più gravi infortuni lavorativi.
Per tali ragioni, da parte di vari soggetti (amministratori pubblici, enti di controllo, organizzazioni imprenditoriali e sindacali) si è chiesto un ripensamento della normativa in materia di appalti, eliminando o quanto meno attenuando il ricorso al criterio del massimo ribasso d'asta, sia nella fase di progettazione che in quella di realizzazione dell’opera o della prestazione, in favore di un'applicazione più estesa del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (sistema che comporta la valutazione di altri elementi oltre quello meramente economico).
La stessa Commissione d'inchiesta si è fatta più volte interprete di tale esigenza, con vari ordini del giorno e, da ultimo, con la già citata risoluzione approvata dall'Assemblea del Senato in data 21 ottobre 2009, che impegna espressamente il Governo a procedere in tal senso. Finora, però, non è stato dato seguito concreto a tale impegno, a causa soprattutto della complessità della materia degli appalti che, non va dimenticato, è soggetta a precisi vincoli comunitari.
D'altra parte, indipendentemente dal criterio adottato per la selezione delle offerte d'appalto, non si deve dimenticare che la legge prevede già una serie di precisi meccanismi per regolare tali fattispecie e prevenire i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, sia nel settore pubblico che privato. Infatti, le disposizioni vigenti (in particolare l’articolo 26 del decreto legislativo n. 81 del 2008, come modificato dal recente decreto legislativo n. 106 del 2009) impongono da un lato ai committenti di verificare l’idoneità tecnica ed organizzativa delle imprese appaltatrici, cooperando con le stesse per individuare i rischi delle varie lavorazioni (soprattutto di tipo interferenziale) e le misure di sicurezza più idonee, dall'altro agli appaltatori di indicare chiaramente nei contratti i costi delle misure adottate per garantire la sicurezza del lavoro, costi che non possono essere soggetti a ribasso.
Purtroppo, come segnalato più volte alla Commissione, nel corso di audizioni e sopralluoghi, tali norme nella pratica sono spesso disattese o violate, magari in maniera surrettizia, accrescendo notevolmente i rischi per i lavoratori. Il problema deve allora essere analizzato da un duplice punto di vista: quello dei controlli (e delle connesse responsabilità) del committente e degli appaltatori, e quello dei possibili inconvenienti legati al criterio del prezzo più basso (o massimo ribasso).


5.1.1. Il problema dei controlli
Per quanto riguarda l’aspetto dei controlli, molti committenti tendono a delegare interamente la gestione delle attività agli appaltatori o subappaltatori, senza verificare adeguatamente se tali imprese e, soprattutto, i lavoratori chiamati a svolgere le attività oggetto dell’appalto o subappalto siano adeguatamente qualificati sotto il profilo della competenza professionale e delle misure di sicurezza. Se infatti è il datore di lavoro di ciascuna impresa a rispondere direttamente (sotto il profilo giuridico e contrattuale) di tali requisiti, è però vero che il committente deve preventivamente accertarsi, per quanto è in suo potere, che i requisiti siano effettivamente sussistenti. Soprattutto, il committente deve organizzare l’ambiente di lavoro delle ditte terziste, cooperando con loro per evidenziare i possibili rischi per la sicurezza e le necessarie contromisure.
Il problema concerne essenzialmente i rischi di interferenza: normalmente, infatti, i dipendenti delle aziende appaltatrici o subappaltatrici lavorano nello stesso luogo dei dipendenti del committente (ad esempio uno stabilimento industriale). In molti casi, questa compresenza può raggiungere dimensioni ragguardevoli, fino a decine di aziende diverse con migliaia di addetti, ma anche quando è di proporzioni più limitate si ripropongono i medesimi problemi: quello logistico, ossia degli spostamenti all'interno di un unico spazio, talvolta ristretto rispetto al numero delle persone; quello del raccordo tra operazioni e lavorazioni affidate a soggetti diversi, ma spesso collegate tra loro.
Il ruolo del committente diviene essenziale appunto nella valutazione dei rischi di interferenza (per i quali infatti vige l’obbligo di redigere un apposito documento, ai sensi del citato articolo 26, comma 3, del Testo unico) e nel coordinamento organizzativo e logistico tra i vari soggetti che sono chiamati a operare all'interno dei luoghi di lavoro. Si tratta di aspetti fondamentali, che i committenti non possono evidentemente delegare completamente a soggetti terzi, spesso indipendenti tra loro o comunque addetti a compiti distinti. Questo coordinamento si sostanzia soprattutto nell'informazione di tutti gli attori coinvolti, interni ed esterni, sui possibili rischi e sulle necessarie precauzioni adottate o da adottare, nonché nei successivi controlli (articolo 26, comma 2, del Testo unico).
Molti degli infortuni, anche mortali, dei quali la Commissione ha avuto modo di occuparsi nella sua inchiesta, sono nati spesso dal mancato rispetto di queste procedure che, al di la degli obblighi di legge, dovrebbero in effetti essere «buone prassi» applicate ordinariamente in tutti i luoghi di lavoro. Nel settore degli appalti pubblici vigono regole e controlli più stringenti, mentre il settore privato, per sua natura, è soggetto a minori vincoli. Tuttavia, l’esperienza dimostra che il problema ha carattere generale e che non sempre le norme, per quanto sofisticate, risolvono tutti gli inconvenienti. Come è stato sottolineato più volte alla Commissione (ad esempio nel sopralluogo svolto a Milano il 15 e 16 novembre 2009), insomma, occorre un ruolo più incisivo da parte delle stazioni appaltanti, pubbliche o private che siano, che devono esercitare una migliore e più costante vigilanza sulle attività affidate e sui soggetti affidatari.
Esiste naturalmente anche un problema di controlli da parte degli organi di vigilanza (ASL e DPL), che devono essere intensificati e concentrati verso attività e situazioni di maggior criticità, potenziando le risorse degli organi ispettivi e le loro capacità di programmazione, coordinamento e condivisione di informazioni. Ma i controlli da parte degli organi ispettivi devono essere sempre accompagnati da un maggiore impegno dei committenti, pubblici e privati, sia nella selezione delle imprese appaltatrici che nel controllo costante del loro operato, per assumere conseguentemente provvedimenti nei riguardi delle imprese che non rispettano le norme in materia di sicurezza e di rapporti di lavoro.
In un'apposita nota di approfondimento inviata alla Commissione dopo il citato sopralluogo a Milano, i direttori dei Servizi PSAL delle ASL locali e della Direzione provinciale del lavoro hanno evidenziato come in questi ultimi anni, soprattutto in realtà più sensibili come quella milanese, si sia creato un maggior impegno di alcune stazioni appaltanti pubbliche, di associazioni imprenditoriali, di organizzazioni sindacali ed enti paritetici nel fissare alcuni criteri per la selezione delle imprese partecipanti agli appalti pubblici, comprensivi di elementi relativi alla sicurezza del lavoro e alla regolarità dei rapporti di lavoro.
Tale impegno ha condotto alla stipulazione di numerosi protocolli d'intesa tra le parti, che però spesso non hanno avuto un seguito operativo efficace, atteso che poi paradossalmente, in occasione di controlli sia di routine che legati a infortuni anche gravi, sono emerse gravi violazioni delle norme di sicurezza del lavoro oltre che di impiego di manodopera irregolare, a volte anche in nero e clandestina. Quello che è venuto a mancare è soprattutto il controllo da parte dei committenti e delle imprese affidatarie sull'applicazione effettiva dei protocolli d'intesa e l’applicazione da parte loro di penali nei confronti delle imprese inadempienti.
Per cercare di contribuire a migliorare tale situazione, nella nota sono state avanzate alcune interessanti proposte, sulla base delle esperienze di vigilanza e di varie iniziative innovative, promosse in particolare negli ultimi anni, mediante il confronto tra organi di vigilanza, stazioni appaltanti pubbliche e private, associazioni imprenditoriali e organizzazioni sindacali, dalle quali sono scaturiti positivi risultati per il controllo della sicurezza del lavoro e della regolarità dei rapporti di lavoro.
Anzitutto, occorre agire sulla qualificazione delle imprese partecipanti agli appalti, sia in termini generali che in relazione ai singoli contratti. Ad esempio, si propone che la Camera di Commercio subordini l’iscrizione dell’impresa alla verifica del possesso di determinati requisiti: solidità industriale e finanziaria, qualificazione del titolare, del direttore dei lavori e dei dipendenti, anche sotto il profilo specifico della formazione in materia di sicurezza del lavoro. Analogamente, si può pensare di fissare alcuni requisiti minimi di capacità organizzativa e finanziaria e di rispetto delle norme relative alla sicurezza per il lavoro, per la partecipazione ad appalti pubblici o a lavori privati di un determinato tipo o valore, affidando al committente pubblico o privato e al Comune (che rilascia il titolo abilitativo) i relativi controlli.
L’altro aspetto richiamato dai responsabili degli organi di vigilanza di Milano nella loro nota, riguarda i bandi di gara e i criteri di selezione delle imprese negli appalti pubblici. I bandi potrebbero contenere alcuni requisiti preferenziali che costituiranno criteri per la selezione delle imprese aggiuntivi rispetto al criterio base dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Si potrà così attribuire una quota del punteggio complessivo (20-30 per cento) a tali criteri aggiuntivi, privilegiando gli aspetti organizzativi e le capacità dell’impresa che migliorino la sicurezza del lavoro.
Un'altra proposta avanzata è quella di inserire nei contratti di appalto per lavori pubblici o privati in regime di permesso a costruire o DIA onerose l’elenco di tutte le ditte in subappalto, con l’impegno ad acquisire tutta la documentazione e ad adottare tutte le misure necessarie per verificare la regolarità delle imprese e consentire in ogni momento l’identificazione e il riscontro delle presenze dei singoli lavoratori. Il controllo spetterebbe anche in questo caso al committente, pubblico o privato.
Tali misure dovrebbero essere accompagnate anche da un adeguato sistema di sanzioni. Tra le proposte formulate dai dirigenti degli organismi di controllo milanesi, vi è quella di prevedere specifiche penali, eventualmente aggiuntive a quelle previste dalle disposizioni vigenti, da inserire nel contratto per la violazione delle norme di sicurezza sul lavoro, che potrebbero nelle ipotesi più gravi (infiltrazioni mafiose, utilizzo di lavoratori in nero, ecc.) includere anche la rescissione del contratto, la sospensione dell’abilitazione, l’inibizione a partecipare a successivi appalti pubblici e la cancellazione dalla Camera di Commercio.
In questo caso, l’applicazione delle penali e i relativi controlli dovrebbero essere affidati, a seconda della competenza, al committente, pubblico o privato; al Comune che rilascia il titolo abilitativo e/o all'organo di vigilanza accertatore delle irregolarità. Ma l’effettiva attuazione di questo sistema implica anche la creazione di strutture di controllo adeguate da parte delle stazioni appaltanti pubbliche, degli uffici comunali e delle Camere di Commercio, nonché l’inserimento di talune prescrizioni nei regolamenti edilizi comunali. Infine, occorre prevedere sanzioni in caso di inadempienza rispetto a questi nuovi compiti da parte dei soggetti competenti.


5.1.2. Il problema del massimo ribasso
L’altro aspetto problematico nel settore degli appalti è quello del ricorso al criterio del prezzo più basso, specialmente nelle gare ad evidenza pubblica. L’applicazione di questo criterio, che di solito prende la forma del massimo ribasso d'asta, può infatti condurre le imprese che partecipano alla gara a offrire prezzi eccessivamente bassi, al punto da risultare palesemente incongrui rispetto all’opera o alla prestazione da eseguire e alle condizioni del mercato. Purtroppo, tale evenienza si verifica più frequentemente di quanto si creda, come è stato più volte denunciato alla stessa Commissione nel corso delle varie missioni sul territorio (in alcuni casi si è parlato di ribassi d'asta addirittura superiori al cinquanta per cento). Si assiste così ad appalti assegnati ad imprese non sempre adeguate, che per garantire il prezzo offerto sono indotte (in maniera spesso surrettizia) a tagliare proprio i costi della sicurezza e a ridurre pericolosamente le tutele dei lavoratori. D altra parte, sia nel settore pubblico che in quello privato, molti committenti tendono essi stessi, per ragioni di bilancio, a risparmiare sui costi e a privilegiare le offerte più economiche, indipendentemente da qualsiasi altra considerazione. Questa situazione pone anche un problema di concorrenza sleale da parte di imprese più spregiudicate, che riescono ad escludere dal mercato quelle sane e più attente ai profili della sicurezza e della legalità.
Come anticipato nel paragrafo 2.7, nell’audizione del 13 ottobre 2010 su questi temi è intervenuto anche il ministro del lavoro Sacconi, richiamando innanzitutto la necessità di distinguere il problema a seconda che ci si riferisca alla normativa applicabile negli appalti privati o in quelli pubblici. Fermo restando che la materia degli appalti pubblici non è di competenza prevalente del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro ha sottolineato come il rischio che l’aggiudicazione di appalti pubblici con il criterio del prezzo più basso possa produrre effetti negativi per i costi relativi al lavoro ed alla sicurezza, non si ponga in termini normativi, essendovi al riguardo precise disposizioni.
Il primo riferimento è l’articolo 86, comma 3-bis, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, meglio noto come «Codice degli appalti»). Tale disposizione testualmente recita: «Nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro19 e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all'entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture.».
Il comma 3-ter del medesimo articolo 86, poi, stabilisce espressamente che «il costo relativo alla sicurezza non può essere comunque soggetto a ribasso d'asta». Tale concetto è ribadito dall'articolo 131, comma 3, del Codice degli appalti, secondo cui «gli oneri per il piano di sicurezza e di coordinamento vanno evidenziati nei bandi di gara e non sono soggetti a ribasso d'asta».
Il Ministro ha altresì ricordato che, in base al Codice degli appalti, le ipotesi di offerte anormalmente basse (che potrebbero eventualmente nascondere intenti elusivi degli obblighi in materia di sicurezza) sono in ogni caso soggette a specifiche valutazioni, in contraddittorio con le imprese interessate, al fine di verificare se l’entità del ribasso sia giustificata. Al riguardo, l’articolo 87 ribadisce peraltro, al comma 2, che nelle giustificazioni si debba far riferimento al costo del lavoro determinato ai sensi delle disposizioni vigenti, e dispone al comma 4, che in ogni caso «non sono ammesse giustificazioni in relazione agli oneri di sicurezza» e che «nella valutazione dell’anomalia la stazione appaltante tiene conto dei costi relativi alla sicurezza, che devono essere specificamente indicati nell'offerta e risultare congrui rispetto all'entità e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture».
Tenendo conto dell’esistenza delle disposizioni appena richiamate, il ministro Sacconi ha inteso evidenziare come il vero problema sia dunque quello del controllo del rispetto della normativa stessa, problema che si presenta tuttavia anche in caso di aggiudicazione con il sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa, che tiene conto di altri parametri oltre a quello puramente economico e che, peraltro, può essere sempre adottato. Ai sensi dell’articolo 81 del Codice degli appalti, infatti, nei contratti pubblici le stazioni appaltanti possono decidere di applicare, ai fini della selezione dell’offerta migliore, sia il criterio del prezzo più basso (articolo 82), sia quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa (articolo 83). La scelta tra i due criteri - fatto salvo il caso di particolari vincoli normativi o regolamentari - deve privilegiare «quello più adeguato in relazione alle caratteristiche dell’oggetto del contratto».
Analoghe considerazioni il Ministro ha svolto per il settore degli appalti privati, disciplinato da specifiche disposizioni del decreto legislativo n. 81 del 2008. In particolare, l’articolo 26, comma 5, impone l’indicazione - a pena di nullità del contratto - in tutti i contratti di appalto, subappalto e di somministrazione dei costi delle sicurezza, necessari a eliminare i rischi da interferenza delle lavorazioni, i quali non sono soggetti a ribasso. Inoltre, nell'ambito del Titolo IV («Cantieri temporanei e mobili») si prevede una disciplina dettagliata relativamente alla necessità che nei piani di sicurezza e coordinamento vengano indicati tassativamente i costi della sicurezza, in relazione a determinate attività, che la norma (allegati XV, punto 4, intitolato «Stima dei costi della sicurezza») indica in maniera esplicita.
Pur prendendo atto delle indicazioni del rappresentante del Governo, tuttavia, la Commissione ha ribadito come, nei fatti, le disposizioni vigenti si siano sovente rivelate insufficienti, essendo state in molti casi disattese o addirittura aggirate, specialmente nella fase di concreta realizzazione dell’opera o del servizio. Pertanto, appare indispensabile una riflessione generale sul tema degli appalti che, pur nel rispetto delle disposizioni comunitarie e delle specificità dei singoli settori produttivi, porti ad individuare misure - ed eventualmente modifiche normative - in grado da un lato di rafforzare i controlli e la responsabilità dei committenti pubblici e privati, dall'altro di limitare per quanto possibile il ricorso al criterio del massimo ribasso, impedendone gli effetti più deleteri per la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
Il Ministro del lavoro ha comunque preannunciato l’intenzione di emanare, per i profili di propria competenza e previa consultazione con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, una specifica circolare per rafforzare le attività di controllo in materia di appalti e accrescere il livello di responsabilizzazione dei soggetti preposti, a cominciare dalle stazioni appaltanti. Nello spirito di collaborazione da tempo instauratosi, si è inoltre dichiarato disponibile a informare la Commissione in merito, al fine di valutare gli interventi più opportuni.
La Commissione ha naturalmente accolto positivamente tale indicazione, intendendo contribuire, nell'ambito del proprio mandato, ad individuare le soluzioni più efficaci per garantire una sempre migliore tutela dei lavoratori. Al fine di approfondire ulteriormente i vari aspetti della questione, con particolare riguardo agli appalti del settore pubblico, ha quindi svolto, nella seduta del 3 novembre 2010, una specifica audizione con il ministro delle infrastrutture e dei trasporti Altero Matteoli.
Il Ministro, dopo aver ribadito l’attenzione e l’impegno a favore della sicurezza sul lavoro, si è soffermato sui problemi specifici del settore edilizio, che è il più esposto agli infortuni e registra da solo quasi il 40 per cento del totale delle morti sul lavoro. In merito alla questione degli appalti pubblici, ha richiamato la legislazione vigente, in particolare il decreto legislativo n. 81 del 2008 e il decreto legislativo n. 163 del 2006.
Tali norme prevedono che i costi della sicurezza del lavoro debbano essere evidenziati a parte nei bandi di gara e non possano essere soggetti a ribasso d'asta; inoltre non sono ammesse giustificazioni a corredo dell’offerta. Le eventuali violazioni di tali disposizioni nei contratti pubblici sono motivo di risoluzione del contratto. Inoltre, le stazioni appaltanti devono inviare all'Osservatorio dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici copia delle segnalazioni delle infrazioni in fatto di sicurezza, che rilevano anche ai fini della partecipazione delle imprese alle gare pubbliche.
Il ministro Matteoli si è soffermato soprattutto sul concetto di congruità dell’offerta: le stazioni appaltanti devono infatti valutare che il valore economico dell’appalto sia «adeguato e sufficiente», cioè appunto «congruo». Esse dunque devono richiedere all'offerente giustificazioni di eventuali anomalie, specialmente per i costi della sicurezza sul lavoro, che sono ugualmente soggetti a valutazione.
Quando si parla di costi della sicurezza, si fa in effetti riferimento a due tipi di costi: quelli relativi ai rischi da interferenze e quelli riguardanti i rischi specifici dell’appaltatore (cioè quelli connessi all'esercizio della sua attività imprenditoriale). I primi sono stimati previamente dalla stazione appaltante, in base a criteri oggettivi e prezzi standard, devono essere indicati nei bandi di gara e non possono essere oggetto di ribasso e di offerta da parte dell’appaltatore. In fase di verifica dell’eventuale anomalia (e quindi della congruità dell’offerta), essi non devono pertanto essere controllati, in quanto sono stati già quantificati e determinati a monte e sono congrui per definizione. L’appaltatore dovrà invece indicare nell'offerta i costi della sicurezza specifici relativi all'esercizio dell’attività svolta dalla propria impresa, e la stazione appaltante dovrà valutare la loro congruità rispetto all'entità e alle caratteristiche del lavoro.
Le disposizioni vigenti, molto precise e severe, sono dunque adeguate: al fine di ridurre gli infortuni sul lavoro, il Ministro ha evidenziato piuttosto l’opportunità di intensificare le azioni di prevenzione, contrasto e vigilanza contro il lavoro sommerso e irregolare e lo sfruttamento della manodopera, specie nell'attuale fase di crisi economica, rafforzando il coordinamento e la sinergia tra i vari soggetti istituzionali competenti, sia a livello centrale che periferico. Fondamentale è altresì la formazione e l’informazione dei lavoratori e dei datori di lavoro, per creare una vera cultura della sicurezza.
Il ministro Matteoli ha poi ricordato che Codice dei contratti pubblici recepisce le direttive comunitarie in materia di appalti pubblici e non può quindi subire modifiche che vengano meno ai principi comunitari (concorrenza, non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza). Del resto, come si è detto anche in precedenza, sia la normativa europea che quella italiana prevedono due possibili criteri di aggiudicazione per la selezione delle offerte, quello del prezzo più basso e quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, lasciando le stazioni appaltanti libere di scegliere tra i due criteri (al contrario di quanto prevedeva la vecchia legge Merloni, dichiarata non conforme al diritto comunitario).
Di conseguenza, il rappresentante del Governo ha espresso l’avviso che l’obiettivo di una maggiore sicurezza sul lavoro non possa trovare adeguata soluzione in una modifica del Codice dei contratti pubblici tesa a eliminare o a limitare il ricorso al criterio del massimo ribasso, ma piuttosto in una diffusione più ampia della cultura della sicurezza e in sanzioni più severe che colpiscano le aziende più sleali e spregiudicate che, violando la normativa, mettono a rischio la sicurezza dei lavoratori.
La Commissione, pur prendendo atto delle indicazioni del Ministro e condividendo il giudizio sull'adeguatezza delle attuali normative, ha però evidenziato che le stesse, per quanto evolute, non riescono a evitare che nel settore degli appalti vi siano ribassi eccessivi che incidono sulla sicurezza del lavoro: la Commissione ha infatti avuto notizia di ribassi d asta anche del 60-70 per cento, palesemente incongrui. Il problema si verifica soprattutto in relazione ai subappalti, dove si creano spesso catene assai lunghe che diventano poi difficilmente controllabili (come dimostrano numerosi incidenti) e nelle quali si infiltrano anche organizzazioni malavitose. Spesso, inoltre, le pubbliche amministrazioni, per carenza di risorse finanziarie, sono portate ad adottare in maniera troppo ampia il criterio del massimo ribasso. La Commissione ha quindi chiesto al ministro Matteoli di valutare, pur nel rispetto dei vincoli comunitari e della libertà d'impresa, l’opportunità di un ripensamento della normativa vigente in materia di massimo ribasso, almeno in relazione alle aree del Paese più esposte al rischio della criminalità organizzata. Un'altra esigenza che è stata segnalata è quella di una maggiore uniformità a livello nazionale dei prezziari delle gare d appalto, spesso troppo diversi da Regione a Regione.
È stato poi richiamato il problema della sicurezza degli edifici scolastici, anche in relazione alla notizia, riportata da alcuni organi di stampa, di un progetto del Governo per la costituzione di una società per azioni, che dovrebbe occuparsi di tali interventi. Infine, sulla sicurezza del lavoro nel settore edilizio, è stato rilevato che vi sono ancora troppe sovrapposizioni e duplicazioni di competenze, specie nella fase ispettiva ed è stato proposto, al fine di ottimizzare l’attività ispettiva, di adottare un unico modello di verbale da parte di tutti gli organismi di controllo.20
Il ministro Matteoli ha fatto presente la difficoltà di ottenere eventuali deroghe da parte della Commissione europea nell’applicazione della normativa del massimo ribasso. Peraltro, anche se ciò fosse possibile per le Regioni esposte alla criminalità organizzata, sarebbe assai complesso delimitarne il perimetro e si creerebbero disparità tra varie parti del Paese. Meglio quindi, a suo avviso, operare sul rafforzamento dei controlli e delle sanzioni.
In merito, si è detto favorevole all'introduzione di un modello unico di verbale ispettivo, ricordando peraltro che le procedure e le norme vigenti sono costantemente verificate con le associazioni di categoria, specialmente nel settore edile. In ogni caso, anch'egli si è dichiarato disponibile a valutare, per quanto di competenza, eventuali proposte di modifica e miglioramento provenienti dal Parlamento e dalla stessa Commissione d'inchiesta, anche sulla questione del massimo ribasso. Infine, ha precisato che il progetto di una società per azioni dedicata agli interventi per la sicurezza degli edifici scolastici è per ora di una mera proposta all'esame dei competenti Ministeri, volta a reperire ulteriori risorse finanziarie.
Come nel caso dell’analoga disponibilità manifestata dal Ministro del lavoro, la Commissione ha accolto favorevolmente l’invito del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e ha confermato la sua intenzione di contribuire ad approfondire ulteriormente la questione della sicurezza del lavoro nel settore degli appalti. Nell'ambito di questo percorso, la Commissione ha quindi audito, nella seduta del 10 novembre 2010, anche i rappresentanti dell’Associazione nazionale costruttori edili (ANCE), al fine di acquisire indicazioni sui problemi del settore degli appalti e su possibili interventi, anche normativi, che possano migliorare la situazione.
I rappresentanti dell’ANCE hanno anzitutto confermato l’importanza dei problemi in discorso, che incidono notevolmente sulla sicurezza del lavoro in tutto il comparto edile, segnalando tuttavia l’esigenza di distinguere tra le dinamiche del settore degli appalti pubblici e quelle del settore degli appalti privati. Gli appalti pubblici (come ricordato in precedenza) sono infatti soggetti alla disciplina del Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo n. 163 del 2006), che detta norme molto precise a tutela della sicurezza del lavoro, certamente perfettibili ma comunque adeguate. I problemi principali si riscontrano invece nel settore degli appalti privati, che assorbe il 75 per cento del mercato dell’edilizia ed è sostanzialmente privo di regole, poiché non esistono limiti al subappalto ne al massimo ribasso e non vi sono forme di controllo pubblico realmente cogenti.
Il committente privato, del resto, è portato di solito a guardare prevalentemente l’aspetto del risparmio economico e non distingue nell'affidamento tra un'impresa e l’altra. L’altro aspetto negativo degli appalti privati è infatti la mancanza di un sistema di qualificazione delle imprese edili, posto che oggi qualsiasi lavoratore autonomo può iscriversi alla Camera di commercio e svolgere attività edile partecipando a gare d'appalto di qualunque importo. Mancano inoltre riferimenti oggettivi codificati per valutare la congruità dell’offerta e i committenti non hanno spesso le competenze tecniche per verificare la bontà delle misure previste nei piani di sicurezza.
A giudizio dell’ANCE, comunque, anche il settore degli appalti pubblici presenta alcuni aspetti critici. In particolare, esiste il problema di migliorare il meccanismo di valutazione e contestazione delle anomalie da parte delle stazioni appaltanti pubbliche nei confronti delle imprese che partecipano alle gare e delle correlative giustificazioni addotte dalle imprese stesse, che spesso avviano lunghi e complicati contenziosi con le amministrazioni committenti. Ciò postula anche un rafforzamento dei controlli lungo tutta la filiera degli appalti e subappalti, puntando sul ruolo degli organismi bilaterali che nel settore edile sono sempre stati particolarmente sensibili. La loro azione negli ultimi anni ha portato ad una sensibile riduzione negli infortuni, nell'emersione del lavoro sommerso o irregolare e nell'aumento delle attività di formazione, anche se occorre fare di più.
I rappresentanti dell’ANCE hanno ribadito la richiesta al Governo e al Parlamento di completare quanto prima l’iter per l’introduzione del sistema di qualificazione delle imprese, ovvero la cosiddetta «patente a punti per l’edilizia», prevista dal Testo unico e da tempo attesa. Inoltre, è stata evidenziata l’opportunità di prevedere anche forme di premialità per le aziende più attente che investono nella sicurezza, ad esempio mediante un abbassamento delle aliquote contributive, che consenta da un lato di ridurre la forbice esistente tra il costo del lavoro dei lavoratori autonomi impegnati nel settore e quello relativo ai lavoratori subordinati, dall'altro di rendere omogenei i costi del lavoro e le previsioni in termini di obblighi nella formazione e nella sicurezza tra lavoratori autonomi e lavoratori subordinati. Accanto a questi aspetti, è stata poi ribadita l’esigenza di aumentare i controlli nel settore degli appalti privati, soprattutto per contrastare quegli operatori che si improvvisano imprenditori edili senza avere minimamente struttura, capacità e risorse.
Per quanto riguarda il problema della valutazione delle offerte anomale negli contratti pubblici, l’ANCE ha avanzato alcune proposte dettagliate per definire meglio il concetto di offerta anomala e, conseguentemente, di valore congruo dell’offerta. In sostanza, si tratta del sorteggio del criterio da adottare per l’individuazione della soglia di anomalia, oltre la quale si deve procedere all'esclusione automatica delle offerte, da effettuarsi fra i vari criteri possibili, dopo la presentazione delle offerte e prima dell’apertura delle buste. In tal modo, si raggiungerebbero due finalità sostanziali. La prima è quella di eliminare qualunque possibilità di accordi collusivi tra più imprenditori volti a pilotare la determinazione della soglia e, quindi, l’aggiudicazione della gara stessa. La seconda è quella di far ricadere il ribasso al quale aggiudicare la gara in un intervallo di variabilità accettabile, ossia ne troppo basso ne troppo alto. Sempre in tema di valutazione della congruità da segnalare che gli organismi bilaterali del comparto edile hanno recentemente promosso un avviso comune sulla congruità del valore della mano d'opera edile nei vari settori.
I rappresentanti dei costruttori hanno tenuto a sottolineare che la loro richiesta di una maggiore qualificazione delle imprese non intende porsi come un freno alla concorrenza o all'iniziativa nei confronti di altri operatori (e in particolare dei lavoratori autonomi). Si tratta però di definire i ruoli, le capacità e le responsabilità delle aziende che intendono operare nel settore edile, facendo in modo che negli appalti privati - che incidono per il 75 per cento sul totale delle attività edili ma che sono attualmente privi di vere regole - gli operatori offrano le stesse garanzie di serietà e affidabilità che sono tenuti a dare nel settore degli appalti pubblici.
Un altro tema toccato nell'audizione è stato quello della ristrutturazione e messa in sicurezza degli edifici scolastici, anche alla luce della luce del già citato progetto del Governo di costituire a tal fine una società per azioni. L’ANCE confermato la propria attenzione in merito, riservandosi di fornire successivamente alla Commissione elementi più precisi su tale aspetto, così come riguardo alle altre questioni emerse nell'audizione.
In termini generali, l’ANCE si è dichiarata pienamente disponibile a collaborare con la Commissione d'inchiesta nella ricerca di soluzioni condivise per il settore degli appalti, studiando anche possibili miglioramenti e adeguamenti della normativa e delle procedure vigenti, tesi a ridurre sempre più i rischi per la salute e l’incolumità dei lavoratori.


5.2. Le macchine e le attrezzature agricole e forestali e quelle per l’edilizia
Nella precedente relazione intermedia, la Commissione ha dato conto del lavoro di approfondimento svolto in relazione agli infortuni legati all'utilizzo di macchine ed attrezzature agricole e forestali e per l’edilizia, nonché delle conseguenti iniziative assunte per contribuire alla sua risoluzione.
Come è emerso nel corso dell’inchiesta, infatti, tanto nel settore agricolo quanto in quello edile esiste un grave problema di sostituzione ed ammodernamento delle macchine ed attrezzature obsolete ovvero non munite di tutti i requisiti necessari per garantire la sicurezza degli operatori, che sono causa talvolta di gravi incidenti, anche mortali, come nel caso del ribaltamento dei trattori o del cedimento dei ponteggi. Si tratta in genere di macchinari non conformi alle prescrizioni della Comunità europea contenute nella cosiddetta «direttiva macchine», ma vi sono anche casi di macchinari che, pur essendo formalmente in regola e in possesso del prescritto marchio CE, non offrono di fatto tutte le necessarie garanzie in tema di sicurezza.
Per tali ragioni, la Commissione ha promosso una serie di atti d'indirizzo, contenuti in vari ordini del giorno nonché nella già citata risoluzione approvata dall'Assemblea del Senato lo scorso 21 ottobre 2009, per impegnare il Governo a promuovere iniziative legislative, volte a istituire incentivi economico-fiscali per favorire la rottamazione e la messa in sicurezza delle macchine ed attrezzature agricole, forestali ed edili. Contemporaneamente, la Commissione ha avviato gli opportuni contatti sia con il Ministero dello sviluppo economico che con quello dell’economia e delle finanze per verificare gli aspetti tecnici della materia, con particolare riguardo a quelli della copertura finanziaria.
Tali iniziative, che hanno riscosso il sostegno di tutte le categorie degli operatori interessati, sono state infine condivise e accolte dal Governo, che ha introdotto nell'articolo 4 del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40 (convertito con modificazioni nella legge 22 maggio 2010, n. 73) anche misure per favorire la sostituzione di macchine o attrezzature agricole e per il movimento terra di fabbricazione anteriore al 31 dicembre 1999, nonché la rottamazione delle gru a torre per l’edilizia messe in esercizio prima del 1° gennaio 1980.
Il contenuto del decreto-legge è stato anticipato alla Commissione dal sottosegretario di Stato allo sviluppo economico Stefano Saglia nel corso di un audizione svoltasi il 10 marzo 2010. Il Sottosegretario ha confermato l’attenzione del Governo per la problematica segnalata dalla Commissione, rispetto alla quale gli incentivi introdotti con il decreto-legge hanno rappresentato una prima risposta. Sia pure con i limiti finanziari imposti dalle attuali ristrettezze di bilancio, si è trattato di un segnale comunque importante, che ha inteso contribuire ad introdurre macchine ed attrezzature più moderne, più sicure e meno inquinanti, nonché ad offrire un sostegno concreto ai relativi settori produttivi, duramente colpiti dalla crisi economica.
La Commissione, nel prendere favorevolmente atto dell’iniziativa del Governo, ha comunque raccomandato l’adozione anche di misure a favore della rottamazione delle attrezzature edili quali ponteggi e impalcature (le cosiddette «opere provvisionali»), per le quali esistono analoghi problemi. A tal fine, è stato in seguito presentato anche un apposito emendamento, sottoscritto dalla maggior parte dei componenti della Commissione, al disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 78 del 2010.21 La posizione della questione di fiducia sul disegno di legge da parte del Governo ha poi impedito l’accoglimento della proposta emendativa, ma il tema rimane comunque all’attenzione della Commissione.
Infine, appare opportuno ricordare, come già accennato nel paragrafo 2.3, che nell'ambito dei fondi 2010 per le azioni promozionali previste dall’articolo 11 del decreto legislativo n. 81 del 2008, sono stati stanziati ulteriori 15 milioni di euro per la messa a norma delle attrezzature di lavoro (in particolare agricole) non conformi all'ultima «direttiva macchine» recepita nel gennaio di quest'anno. È inoltre in fase avanzata l’iter di approvazione del decreto per l’individuazione delle modalità per l’effettuazione delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro e dei criteri per l’abilitazione dei soggetti pubblici o privati legittimati a realizzare tali verifiche (articolo 71, comma 13, del decreto legislativo n. 81 del 2008).


5.3. La cultura della sicurezza del lavoro nelle scuole
Nella precedente relazione intermedia, nell'illustrare l’attività svolta dalla Commissione per promuovere la cultura della salute e della sicurezza del lavoro all’interno delle scuole, si preannunciava un apposita audizione su questi temi con il ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca Mariastella Gelmini.
L’incontro ha avuto luogo il 18 novembre 2009 ed è servito a fare il punto sulle iniziative del Governo per introdurre insegnamenti sulla salute e la sicurezza del lavoro nei corsi scolastici, dando così concreta attuazione sia alla facoltà già prevista da alcune disposizioni,22 sia all'impegno assunto dal Governo in conseguenza di vari atti d'indirizzo presentati in Parlamento.23
Il ministro Gelmini ha confermato anzitutto l’attenzione del suo Dicastero per la tematica della promozione della cultura della sicurezza sul lavoro nella scuola, ricordando i positivi risultati ottenuti negli anni recenti su tale fronte con una serie di progetti sperimentali avviati, in ottemperanza al dettato della legge n. 123 del 2007, in ambito scolastico e nei percorsi di formazione professionale, rivolti sia ai docenti che agli studenti.
L’intento è ora quello di passare ad un approccio di tipo sistemico unificando i singoli interventi al fine di inserire il tema della sicurezza sul lavoro nei moduli didattici dei programmi scolastici, sia pure tenendo conto delle limitate risorse disponibili. Particolare attenzione sarà rivolta alla scuola media superiore e soprattutto agli istituti tecnici professionali, ma l’obiettivo è di creare una sensibilità diffusa sui temi in questione, in tutti i livelli scolastici, incluso quello delle elementari. Tale operazione deve ovviamente tenere conto della competenza legislativa concorrente delle Regioni, oltre che dell’autonomia dei singoli istituti scolastici. Un primo passo in questa direzione è stato il protocollo d'intesa siglato il 29 marzo 2009 tra il Ministero dell’istruzione, il Ministero del lavoro e l’ANMIL (Associazione nazionale mutilati del lavoro), mirante a diffondere la cultura della prevenzione e della sicurezza sui luoghi di lavoro nella scuola e ad ampliare lo spazio della formazione su tali aspetti all'interno dei corsi di laurea universitari.
Ciò avverrà naturalmente anche attraverso il confronto con le Regioni e gli enti locali. L’intento, secondo quanto precisato dal Ministro, è quello di inserire la nuova materia senza aumentare il numero delle ore scolastiche, ma in modo trasversale e coerente con gli insegnamenti curriculari già esistenti. Peraltro, i progetti sperimentali già avviati hanno coinvolto sia Regioni del Nord che del Sud, utilizzando i fondi dei programmi operativi nazionali (PON).
La Commissione ha accolto positivamente le dichiarazioni del Ministro, chiedendo un impegno forte per l’attuazione in tempi rapidi delle varie iniziative. Si è inoltre raccomandato l’inserimento di insegnamenti sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, ovviamente in forma adeguata, fin dalla scuola elementare, essendo l’età infantile quella in cui le forme basilari di educazione sono più facilmente assimilate.24
Occorre poi segnalare che le iniziative preannunciate dal ministro Gelmini hanno trovato sviluppo nei mesi successivi, mediante la sottoscrizione di una Carta d'intenti tra Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e INAIL perché, a partire dall'anno scolastico 2010-2011, si proceda all'inserimento della salute e sicurezza nei programmi scolastici e universitari. Come già ricordato nel paragrafo 2.3, tale atto individua, tra l’altro, il contesto di riferimento - in termini di obiettivi e contenuti - nell'ambito del quale avverrà il trasferimento dal Ministero del lavoro a quello dell’istruzione della somma di 5 milioni di euro, stanziate a valere sulle risorse per le azioni promozionali del 2009, ai sensi dell’articolo 11, comma 4, del Testo unico. Dalla Carta d'intenti, inoltre, è scaturita la costituzione di un'apposita «cabina di regia», già riunitasi a settembre e ottobre 2010, nell'ambito della quale sono in avanzata fase di definizione le linee guida nazionali per l’inserimento della salute e sicurezza nelle scuole, volte a indirizzare tali attività .
Un altro tema emerso nel corso dell’audizione del ministro Gelmini è stato quello, assai sentito, della sicurezza degli edifici scolastici. Molte scuole infatti, in varie parti del Paese, sono purtroppo ospitate in edifici fatiscenti (spesso palazzi storici) o comunque inadeguati, che costituiscono un grave rischio per l’incolumità degli studenti, oltre che degli insegnanti e del personale scolastico.
Anche su questo argomento il Ministro dell’istruzione ha assicurato la massima attenzione del Governo, segnalando che il proprio Dicastero, insieme a quello degli interni (responsabile degli edifici della pubblica amministrazione), stava completando l’anagrafe degli elementi non strutturali degli edifici scolastici di tutta Italia, al fine di realizzare per ciascuno di essi una sorta di «fascicolo del fabbricato» e di programmare, di conseguenza, i necessari interventi. Le risorse stanziate a tal fine ammontavano a 1,2 miliardi di euro, di cui 250 milioni già destinati alle scuole distrutte dal terremoto dell’Aquila e circa 700 disponibili per gli interventi più urgenti.
Le decisioni sull'allocazione dei fondi passano attraverso un confronto costante con gli enti territoriali in sede di Conferenza Stato-Regioni, ma il ministro Gelmini ha sottolineato come la frammentazione delle competenze abbia spesso rallentato gli interventi e perfino l’utilizzo delle risorse disponibili: è quindi indispensabile una sintesi tra i soggetti istituzionali interessati, oltre ad un coinvolgimento diretto dei singoli istituti scolastici e dei loro dirigenti. Una possibile soluzione potrebbe passare attraverso l’integrazione delle risorse statali (purtroppo limitate) con quelle degli enti territoriali (a cominciare dalle province, che hanno una competenza diretta sulla manutenzione degli edifici scolastici).25


5.4. Gli infortuni sul lavoro nel settore dei trasporti. Il caso del recapito postale
Come illustrato nella precedente relazione annuale, nel corso della sua inchiesta, la Commissione si è occupata anche di una serie di incidenti nel settore del recapito postale, che hanno coinvolto in particolare i portalettere circolanti su ciclomotori, causando, dal marzo 2008 al gennaio 2009, ben 12 decessi. La Commissione ha approfondito la questione audendo in merito sia i sindacati del settore postale che i vertici dell’azienda Poste Italiane s.p.a. Ha inoltre acquisito presso tutte le Procure competenti informazioni sulla dinamica e sulle risultanze delle inchieste svolte su ciascuno dei 12 infortuni mortali, al fine di verificare se negli stessi potessero ravvisarsi anche cause legate alla violazione o all’inosservanza delle disposizioni della sicurezza sul lavoro.
Sebbene le inchieste non abbiano fornito elementi conclusivi al riguardo, essendo stati gli eventi generalmente classificati come meri incidenti stradali, sono però emersi alcuni problemi obiettivi, che hanno indotto la Commissione a svolgere ulteriori approfondimenti. In particolare, è stato preso in considerazione l’incidente mortale del 20 maggio 2008 avvenuto ai danni del portalettere signor Gino Longato a Bagnoli di Sopra (Padova), mentre era alla guida del ciclomotore di servizio. Ciò in quanto si tratta dell’unico caso, fra tutti quelli esaminati dalla Commissione, nel quale siano stati fatti anche accertamenti inerenti al rispetto delle norme sulla sicurezza del lavoro e non soltanto delle norme legate alla circolazione stradale, acquistando così notevole interesse per le finalità dell’inchiesta.
Oltre ad acquisire gli atti del procedimento disposto dalla competente Procura di Padova, la Commissione ha audito, nella seduta del 17 marzo 2010, funzionari del Servizio di prevenzione, igiene e sicurezza negli ambienti di lavoro (SPISAL) dell’azienda ULSS 17 di Este (Padova) che si erano a suo tempo occupati delle indagini, nonché i responsabili dell’Ufficio postale di Bagnoli di Sopra presso il quale prestava servizio il signor Longato. Dalle indagini emerse chiaramente che l’infortunio era stato causato dal violento urto del ciclomotore da parte di un furgoncino che sopraggiungeva da dietro e che, pertanto, si trattava di un incidente stradale in senso stretto. Ciononostante, lo SPISAL eseguì controlli molto accurati, volti a verificare se il ciclomotore utilizzato fosse idoneo ed autorizzato per fare quel tipo di lavoro, se il signor Longato avesse la formazione adeguata per portarlo e se il carico di posta fosse entro i limiti previsti.
I controlli dimostrarono che le procedure vigenti in materia di sicurezza del lavoro erano state tutte rispettate, ma confermarono al tempo stesso alcune criticità di carattere organizzativo già riscontrate dalla Commissione e di cui si è dato conto nella precedente relazione. In primo luogo, i portalettere che recapitano la corrispondenza utilizzano spesso un unico tipo di ciclomotore «universale» (un Beverly Piaggio 125 appositamente attrezzato), con tre diversi contenitori della posta (anteriore, centrale e posteriore) e senza adattamenti che tengano conto delle differenze di corporatura o di genere degli operatori, il che potrebbe in certi casi creare problemi di stabilita per i conducenti. L’altro aspetto riguarda il tipo di formazione che ricevono i portalettere sull'utilizzo del mezzo, che dovrebbe forse avere un carattere più approfondito e meno generico.
Inoltre, un altro elemento emerso dalle audizioni è la difficoltà di valutare le prestazioni dei portalettere che guidano i ciclomotori, in quanto gli stessi non sono soggetti a sorveglianza sanitaria (mentre lo sono, invece, quelli che vanno a piedi). Si tratta di un aspetto non trascurabile: ad esempio, il signor Longato in passato aveva subito tre incidenti di moto, due molto gravi nel 1999 e nel 2001 ed uno più lieve nel 2003, che gli avevano causato lesioni agli arti inferiori (tra cui una frattura della gamba) e lo avevano tenuto lontano dal servizio, a varie riprese, per più di 200 giorni. Anche se questi incidenti pregressi non sono legati all'infortunio nel quale ha poi perso la vita, rimane però il fatto che, non essendo prevista la sorveglianza sanitaria, nessuno ha mai potuto accertare se egli fosse o meno ancora in grado di utilizzare la moto.
Le audizioni hanno infine confermato che, presso i centri di distribuzione secondari della corrispondenza da cui partono i postini, non è sempre presente il preposto incaricato di controllare e di far rispettare le regole della sicurezza sul lavoro, in quanto l’area a lui affidata è piuttosto vasta (ogni centro copre il territorio di oltre dieci Comuni). Il preposto si avvale anche di capisquadra, ma neanche questi riescono a essere presenti all'arrivo e alla partenza di tutti i portalettere e quindi a verificare il rispetto delle procedure, come quella di tenere il casco allacciato. L’esempio non è casuale: proprio nel caso del signor Longato il casco fu ritrovato a diversi metri dal punto dell’impatto e ciò potrebbe far supporre che non fosse correttamente allacciato, sebbene non vi siano prove conclusive al riguardo.
La Commissione non ha mancato di segnalare tali profili di criticità emersi dagli ulteriori accertamenti sia ai sindacati di settore sia all'azienda Poste Italiane s.p.a. Quest'ultima ha peraltro inviato una successiva nota alla Commissione, annunciando l’adozione di una serie di misure specifiche, oltre a quelle già normalmente attuate, atte a prevenire i rischi per i portalettere. Tra le altre, è da segnalare l’avvio di un programma sperimentale di monitoraggio, in collaborazione con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, della sicurezza sul lavoro per i dipendenti che operano a bordo di mezzi mobili (a due o quattro ruote). L’auspicio è quindi che questa e altre iniziative possano concretamente aiutare a eliminare tutti quei fattori critici teste indicati che mettono a rischio la salute e la sicurezza dei dipendenti.
L’inchiesta condotta dalla Commissione sugli incidenti ai portalettere è stata importante anche perché ha consentito di «accendere un faro» su un aspetto finora poco considerato dalle ricerche sul fenomeno degli infortuni sul lavoro, quello degli incidenti che coinvolgono lavoratori sulla strada nell'esercizio della loro attività, cioè avvenuti «in occasione di lavoro» e perciò distinti dai cosiddetti infortuni in itinere (quelli occorsi nel tragitto casa-lavoro e viceversa). Come la Commissione ha avuto modo di constatare, questi infortuni sono, nella maggior parte dei casi, classificati come meri incidenti stradali, senza tenere conto del fatto che sono accaduti durante l’attività lavorativa e quindi senza verificare, in sede d'indagine, anche il rispetto delle norme sulla sicurezza del lavoro. Gli organi preposti alle indagini sugli incidenti sono in genere ben preparati, ma manca spesso una sensibilità specifica (anche culturale) su questi aspetti, che pure hanno una notevole rilevanza, considerando la quantità di persone che lavorano in mobilità: autotrasportatori, portalettere, conducenti di mezzi pubblici, ecc.
A questo tema la Commissione ha dedicato anche un apposito gruppo di lavoro, coordinato dal senatore Morra, che ha svolto uno specifico approfondimento tecnico, riportato nel precedente paragrafo 4.6, al quale si rinvia. In questa sede, interessa soprattutto evidenziare un aspetto particolare emerso durante l’inchiesta, ovvero come non si sia avuta finora un'analisi specifica di questa tipologia di infortuni che li distinguesse dal fenomeno più generale degli incidenti stradali; anche a livello statistico, è molto difficile reperire dati disaggregati.
Al fine di contribuire a colmare questa lacuna, la Commissione ha adottato una serie di iniziative. In primo luogo, nel novembre 2009 ha segnalato, tanto alla magistratura quanto alle diverse forze dell’ordine statali e locali, nonché, attraverso i Dicasteri competenti, ai vari organismi tecnici, l’esigenza di tenere conto durante le indagini sugli incidenti stradali che coinvolgano lavoratori nello svolgimento della loro attività, non solo dei profili legati al rispetto del codice della strada, ma anche di quelli relativi alla salute e sicurezza sul lavoro. Quando si deve ricostruire la «scena dell’infortunio», è infatti essenziale che i soggetti preposti ai rilievi e agli accertamenti - in particolare coloro che giungono per primi sul luogo dell’incidente - siano sensibilizzati a cogliere anche tali aspetti, che non sono sempre immediatamente evidenti. Magistratura, forze dell’ordine e organismi tecnici hanno dato positivo riscontro alla segnalazione della Commissione, come testimoniato anche in vari sopralluoghi svolti sul territorio, confermando il loro impegno per una maggiore attenzione a questo particolare fenomeno.
Al fine di approfondire la questione la Commissione ha poi audito, il 2 dicembre 2009, l’ingegner Sergio Dondolini, direttore generale per la sicurezza stradale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. L’ingegner Dondolini ha in primo luogo confermato che non esiste una statistica precisa sugli incidenti stradali occorsi a lavoratori nell'esercizio dell’attività, trattandosi di un aspetto finora non enucleato in modo specifico all'interno del fenomeno generale degli incidenti stradali. Nei questionari ISTAT sulla sicurezza stradale, che sono la fonte ufficiale di rilevazione, uno dei quesiti si limita ad accertare se il conducente è professionale, ovvero se sia o meno in possesso di una patente di tipo professionale che gli consente di svolgere un lavoro su strada. Da questa rilevazione, quindi, sfuggono tutte le casistiche concernenti l’incidentalità stradale da lavoro, riguardante ad esempio i portalettere o altri addetti di aziende che fanno ricorso alla mobilità.
L’attenzione è comunque focalizzata soprattutto sugli incidenti mortali, anche sulla base delle indicazioni dell’Unione europea, nell’ambito del programma di azione volto a ridurre l’incidentalità stradale. Così, dai pochi dati disponibili relativi al 2008 ricavati da fonti INAIL e ISTAT, si evince che, all’interno del totale della incidentalità stradale, gli infortuni stradali sul lavoro hanno causato 335 morti in attività lavorativa e 276 morti in itinere. Essi corrispondono a circa il 12-13 per cento della mortalità su strada complessivamente intesa e quasi al 50 per cento della mortalità sul lavoro registrate nello stesso periodo: nel 2008 si sono avute infatti 4.731 vittime per infortuni stradali e 1.120 per infortuni sul lavoro.
Il problema resta quindi molto grave, ancorché i dati del 2008 indichino una lieve riduzione nel numero degli infortuni stradali mortali riguardanti lavoratori, sia in occasione di lavoro che in itinere, rispetto all’anno precedente, quando sono stati rispettivamente 334 e 307. Tale riduzione è peraltro più contenuta rispetto a quella del totale degli incidenti stradali mortali, che nel periodo 2001-2008 sono scesi del 33 per cento.
L’ingegner Dondolini ha poi dato conto di alcune iniziative assunte dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per studiare e prevenire il fenomeno, mediante politiche mirate volte ad incidere, attraverso le aziende, soprattutto sulla qualità del parco veicoli e sulla formazione del conducente, individuando all’interno dell’azienda compiti e responsabilità. Anche sulla base di tali esperienze, il 22 settembre 2009 il Ministero ha stipulato di un protocollo d intesa con Poste Italiane s.p.a. (con cui già vi erano rapporti di collaborazione) per l’avvio di un progetto pilota che riguarda gli incidenti sul lavoro, progetto che per la sua valenza potrebbe essere esportabile ad altre aziende. A conferma anche della rilevanza della questione posta in precedenza dalla Commissione in merito alla sicurezza del lavoro nel settore postale, l’ingegner Dondolini ha infatti ricordato che Poste Italiane s.p.a. ha una flotta di circa 44.000 veicoli, di cui 28.000 motocicli, 12.000 autovetture, 320 articolati e 4.500 corrieri, che percorrono ogni giorno 550.000 chilometri.
Ciò significa che l’esposizione al rischio stradale di questo settore è estremamente elevata e rappresenta quindi una opportunità molto interessante di verificare una serie di misure, soprattutto in riferimento alla mobilità sulle due ruote, per la quale rimangono gravi problemi. Infatti, mentre la mortalità sulle quattro ruote risulta in forte diminuzione negli ultimi anni, quella sulle due ruote è l’unica che è rimasta abbastanza impermeabile a tutte le misure prese, segnando addirittura un aumento.
Un altro comparto sensibile sotto il profilo della sicurezza del lavoro è quello dell’autotrasporto, seguito da un apposita direzione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che interviene nei controlli su strada in maniera diretta, oltre che con la Polizia stradale, i Carabinieri ed il Ministero del lavoro, grazie a 27 centri mobili di revisione, costituiti da mezzi pesanti appositamente attrezzati per effettuare la revisione del veicolo su strada. In tal modo il Ministero effettua un numero consistente di revisioni che permettono di individuare i mezzi non idonei e di ritirarli alla circolazione, il che contribuisce certamente ad elevare i livelli di sicurezza, vigilando affinché le aziende mettano a disposizione dei conducenti mezzi che siano idonei alla circolazione. A questi controlli su strada sono associate anche le verifiche sui tempi di guida e di riposo, aspetti che incidono anch'essi sulla sicurezza dei lavoratori e che sono sanzionabili sia sotto il profilo del codice della strada che della normativa in materia di lavoro. Non va inoltre dimenticato che nel settore dell’autotrasporto si annidano spesso forme di lavoro irregolare (e a volte anche di lavoro sommerso): anche questo aspetto forma oggetto di specifica attenzione tanto da parte del Ministero delle infrastrutture che di quello del lavoro.
Infine, la Commissione d'inchiesta ha approfondito con l’ISTAT anche il problema della rilevazione dei dati sugli incidenti stradali in occasione di lavoro. L’Istituto nazionale di statistica cura infatti la raccolta di tutti i dati sugli incidenti stradali, inviando ogni anno a tutti i soggetti in possesso dei dati medesimi (forze dell’ordine statali e locali, uffici statistici regionali, ecc.) un'apposita scheda di rilevazione che costituisce la base per le successive elaborazioni da cui scaturiscono le statistiche ufficiali sugli infortuni stradali. Come ricordato in precedenza, però, la scheda in questione (il cosiddetto modello CTT.INC) non riporta l’informazione se l’incidente rilevato sia avvenuto o meno durante un'attività lavorativa, ma solo quella se il conduce abbia o meno una patente di tipo professionale.
Per superare tale inconveniente, il presidente Tofani, a nome della Commissione, ha chiesto all'ISTAT di valutare la possibilità di integrare la suddetta scheda di rilevazione con una o più voci che consentano di precisare se l’incidente in esame è avvenuto nel corso di un'attività lavorativa, in itinere ovvero in altre circostanze. Ove realizzata, tale modifica, pur nella sua semplicità, sarebbe certamente un valido aiuto per accrescere la conoscenza del problema e, soprattutto, per individuare le possibili azioni preventive. Al di la della comprensione del fenomeno, infatti, obiettivo prioritario resta sempre quello di individuare i mezzi e le soluzioni più adeguate per prevenire e ridurre tali gravi forme d'incidente.


5.5. Il controllo sul territorio. Il ruolo delle prefetture e delle forze dell’ordine
Tra i vari elementi emersi nel corso dell’inchiesta, vi è certamente la conferma dell’importanza, ai fini di un'efficace attività di prevenzione e contrasto degli infortuni sul lavoro, dei controlli esercitati sul territorio, che implicano un adeguato coordinamento fra tutti i vari enti e corpi istituzionali preposti alla vigilanza. Si è già parlato diffusamente di questi aspetti nel capitolo 2, illustrando anche l’attività degli organismi ai quali il decreto legislativo n. 81 del 2008 demanda espressamente questo ruolo di coordinamento, ossia il Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale delle attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro previsto dall'articolo 5 e i comitati regionali di coordinamento previsti dall'articolo 7.
Come si è visto in precedenza, l’effettivo insediamento e avvio delle attività di questi organismi ha purtroppo subito una serie di ritardi, al pari di altri istituti del Testo unico: ora però le difficoltà sembrano superate e sia il comitato nazionale che quelli regionali sono finalmente operativi. In particolare, a livello territoriale i comitati regionali stanno dando complessivamente buona prova, seppure in modo non sempre omogeneo da una Regione all'altra.26 Accanto a questi organismi, in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro occorre ricordare però anche l’importante ruolo svolto in ciascuna provincia dai prefetti, nell'esercizio della loro funzione generale di coordinamento a livello locale dell’azione amministrativa affidata agli organi decentrati dello Stato e agli enti pubblici. I prefetti presiedono in genere comitati provinciali nei quali siedono rappresentanti di tutti gli enti istituzionali preposti al controllo della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (Direzione provinciale del lavoro, Vigili del fuoco, ASL, INAIL, INPS), degli enti locali e delle parti sociali, nonché delle forze dell’ordine.
La Commissione, nel corso dei numerosi sopralluoghi effettuati sul territorio, ha avuto modo di verificare e di apprezzare direttamente la preziosa azione di raccordo e di stimolo esercitata dai prefetti e dagli organismi provinciali, che integra a livello locale quella svolta dai comitati regionali soprattutto per quanto riguarda le attività di controllo e di vigilanza. Le prefetture, infatti, affiancano alla presenza degli enti istituzionali anche quella delle forze dell’ordine (Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri, Guardia di finanza), che risulta essenziale per una efficace attività ispettiva finalizzata non solo a reprimere, ma anche a prevenire le violazioni alle disposizioni in tema di salute e sicurezza del lavoro.
Un'importante testimonianza a questo proposito è stata fornita alla Commissione dal dottor Domenico Cuttaia, prefetto di Brindisi, audito nella seduta del 2 febbraio 2010. Il dottor Cuttaia ha illustrato il sistema di coordinamento attuato nella provincia di Brindisi in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, imperniato sia sui controlli nei luoghi di lavoro che sulla prevenzione ed informazione ad imprese e lavoratori.
Per quanto riguarda i controlli, la prefettura di Brindisi si è posta innanzitutto il problema di trovare una formula organizzativa che consentisse di superare gli inconvenienti che spesso si registrano in questa attività: i controlli che si svolgono nei luoghi di lavoro, infatti, pur essendo molteplici sono spesso frammentari. Ciò è dovuto al fatto che i soggetti istituzionali investiti della potestà di controllo sono numerosi e ciascuno, in base al sistema normativo vigente, risponde della sua attività in relazione a determinati obiettivi. Esistono i controlli dei Vigili del fuoco, della Direzione provinciale del lavoro, dello SPESAL, dell’ASL, dell’INAIL, dell’INPS: un'azione variegata e purtroppo molto frammentaria. Ciò pone due ordini di problemi: da una parte, non è possibile monitorare o gestire in forma unitaria questa massa di controlli, con tutto ciò che ne consegue; dall'altra, le imprese si trovano spesso ad essere destinatarie di controlli che possono essere ripetitivi e nuocere all’attività delle stesse.
A Brindisi si è quindi cercato di costruire un sistema che garantisse l’esecuzione dei controlli in forma unitaria e contestuale da parte di tutti i soggetti, in relazione ad una stessa tipologia di interventi. A tal fine, si è individuato il tipo di controlli da operare con tale modalità, concentrandosi sugli appalti di opere e forniture pubbliche di valore superiore al milione di euro e costituendo in prefettura un apposito comitato ristretto, composto dai responsabili di tutti gli enti istituzionali preposti ai controlli e dalle forze dell’ordine. Sulla base della documentazione che perviene dai Comuni, dalle pubbliche amministrazioni, dalle stazioni appaltanti pubbliche, il comitato si riunisce e decide in quali cantieri e luoghi di lavoro verranno effettuati i controlli. Questi ultimi vengono quindi svolti in un unico contesto da tutti i suddetti operatori, a seguito della riunione in prefettura. Ciò ha un duplice effetto: in primo luogo, si ottiene un controllo estremamente completo e approfondito; in secondo luogo, si crea in tutti gli operatori la consapevolezza della presenza attiva dello Stato, particolarmente importante in certe realtà. In questo modo, non solo vengono garantiti tutti gli aspetti connessi alla sicurezza del lavoro, compresa la prevenzione, ma si soddisfa parallelamente anche l’esigenza di tenere lontane dalla pubblica amministrazione quelle imprese che operano ai margini o persino oltre l’ambito della legge.
Tale azione è stata preparata dalla prefettura di Brindisi anche mediante una forte sensibilizzazione nei confronti delle stazioni appaltanti pubbliche, in particolare delle amministrazioni comunali, che sono state invitate ad inserire nei bandi di gara e nelle procedure di affidamento delle gare per gli importi superiori al milione di euro una speciale clausola, del seguente tenore: «Nel corso dell’esecuzione dell’appalto, sulla base di intese collaborative con la prefettura e gli enti preposti, saranno effettuati controlli integrati e contestuali su tutti gli aspetti inerenti le norme in materia di sicurezza e ogni altro obbligo derivante dal contratto di appalto». Ciò è stato fatto proprio per rendere evidente questa azione che viene svolta da parte di tutte le amministrazioni.
Le risultanze dei controlli sono poi riepilogate in una scheda informativa, contenente tutte le voci relative all’osservanza delle norme in materia di sicurezza e igiene del lavoro, di prevenzione incendi, di subappalto, di obblighi previdenziali, assicurativi e fiscali, e così via: in definitiva, una «fotografia» completa della situazione delle imprese e dei lavoratori presenti nel cantiere, che andrà poi ad alimentare un apposita banca dati. La forza di questo metodo sta appunto nel fatto che ogni ispezione vede il coinvolgimento di tutti i soggetti preposti ai controlli, comprese le forze dell’ordine, sotto una direzione unitaria: tutti gli aspetti sono verificati contemporaneamente in maniera più approfondita ed efficace, inoltre ciascun operatore, lavorando congiuntamente con gli altri, osserva il lavoro dei colleghi e può condividere con loro informazioni ed esperienze.
Accanto all'attività di controllo, la prefettura di Brindisi ha messo in campo anche varie iniziative di formazione e informazione a favore della sicurezza del lavoro, rivolte alle imprese e ai lavoratori, sulla base di un protocollo d'intesa sottoscritto il 5 ottobre 2009. Ad esempio nella centrale ENEL a carbone di Cerano (un centro a pochi chilometri da Brindisi), la più grande del genere nel Sud d'Italia, si è avviato un progetto di formazione per la prevenzione antincendio che coinvolge sia i dipendenti dell’ENEL che quelli della cinquantina di ditte impegnate nelle varie attività di appalto, allo scopo di fornire a tutti lo stesso addestramento. In precedenza infatti, mentre l’ENEL formava e informava i propri dipendenti secondo la normativa e con puntualità, le altre imprese - più o meno piccole - operanti al suo interno, non avevano un eguale standard di formazione e informazione dei propri lavoratori, il che aveva causato anche gravi incidenti.
L’attività complessiva di prevenzione avviata dalla prefettura di Brindisi ha ottenuto buoni risultati, come testimonia anche il drastico calo nel numero degli infortuni mortali sul lavoro registrato fra il 2008 e il 2009 in provincia di Brindisi, pari al 46 per cento. L’aspetto più innovativo è costituito, naturalmente, dal sistema coordinato dei controlli: il dottor Cuttaia ha evidenziato come l’opera svolta della prefettura all'interno di questo sistema discenda dai compiti di coordinamento tra gli enti statali e locali ad essa già affidati per legge nell'ambito della conferenza permanente provinciale (presieduta appunto del prefetto). L’iniziativa è inoltre frutto di apposite intese istituzionali, in particolare con la Regione Puglia, che ha la competenza per i controlli in materia di salute e sicurezza sul lavoro e, pur potendo coordinare tra loro i vari enti preposti, non può però fare ricorso - perché il sistema non lo consente - alle forze dell’ordine. In tal modo, invece, la prefettura è in grado di garantire anche il coinvolgimento di queste ultime.
Si tratta di un aspetto importante, soprattutto in quei territori (come purtroppo è la provincia di Brindisi) che devono fronteggiare anche problemi di illegalità legati alla presenza della criminalità organizzata. Proprio la necessità di prevenire le infiltrazioni criminali negli appalti pubblici e la diffusa sensibilità che tutte le istituzioni locali hanno al riguardo, ha facilitato la creazione di questo sistema, superando le difficoltà operative che inevitabilmente sussistono ogni volta che enti diversi, con diverse competenze, obiettivi e strutture organizzative sono chiamati ad operare congiuntamente. Il dottor Cuttaia ha anche fatto presente che l’iniziativa è stata condivisa anche con le parti sociali, che hanno attivamente contribuito ad individuare i settori e le situazioni alle quali indirizzare in via prioritaria i controlli.
Sulla base dei positivi risultati ottenuti, si intende ora verificare la possibilità di applicare questo modello anche ad appalti di valore inferiore al milione di euro e ad altri settori produttivi. Non è naturalmente un compito facile, perché implica un considerevole impegno di uomini, mezzi e risorse che le varie amministrazioni coinvolte non sempre sono disponibili o in grado di concedere, sia per una obiettiva scarsità delle stesse, sia anche per vari vincoli di carattere organizzativo o addirittura normativo. Ciononostante, è auspicabile che si trovi il modo di superare tali ostacoli e che si vada verso un'applicazione sempre più estesa di questo modello di cooperazione tra enti istituzionali e forze dell’ordine nei controlli in materia di salute e sicurezza del lavoro, che si è comunque rivelato vincente.
L’iniziativa della prefettura di Brindisi è stata condivisa sia con il Ministero dell’interno che con quello del lavoro e delle politiche sociali, che hanno manifestato attenzione e apprezzamento. Finora però progetti di questo tipo sono scaturiti più dall'iniziativa delle singole prefetture che da un indirizzo di carattere unitario a livello nazionale, laddove sarebbe invece necessario un approccio più organico e generalizzato. Naturalmente, la funzione delle forze dell’ordine può essere solo integrativa e non sostitutiva di quella dei competenti organismi tecnici di vigilanza, ma è un'integrazione quanto mai utile, specialmente per ciò che riguarda lo scambio di informazioni e l’assistenza nelle operazioni di ispezione.
In proposito, un'iniziativa importante è stata assunta recentemente dal Ministero del lavoro e confermata alla Commissione dallo stesso ministro Sacconi durante l’ultima audizione del 13 ottobre 2010.27 Si tratta del rafforzamento delle attività ispettive centrali mediante nuove ipotesi di collaborazione con altri organismi, tra i quali in particolare l’Arma dei Carabinieri e la Guardia di finanza. Sulla base delle proprie peculiari specializzazioni, ciascuno dei due Corpi potrà segnalare alle Direzioni provinciali del lavoro situazioni di irregolarità dei rapporti di lavoro ovvero di rischio per la sicurezza del lavoro, rilevate anche nell'ordinaria attività di servizio, in modo da consentire tempestivi interventi del personale tecnico competente in materia. Tali forme di collaborazione sono già in corso di sperimentazione nell'attività ispettiva straordinaria delle quattro Regioni del Mezzogiorno, dedicata soprattutto al sommerso totale in edilizia e in agricoltura.
La collaborazione con l’Arma dei Carabinieri, che già si realizza attraverso il Nucleo specializzato presso il Ministero del lavoro, prevede un maggior impiego della componente territoriale dell’Arma, che presidia in maniera diffusa il territorio e che può contribuire ad individuare le situazioni di lavoro maggiormente prive di tutela e foriere di rischi per la salute delle persone. Con la Guardia di finanza si sta invece ipotizzando e già sperimentando nei territori del Mezzogiorno una collaborazione dedicata in particolare alla intelligence che deve precedere la selezione delle attività ispettive, dando priorità ancora una volta a quegli ambiti merceologici e territoriali nei quali il lavoro sommerso costituisce pericolo per la sicurezza e la salute delle persone.
Un interessante approfondimento su tali profili è stato offerto alla Commissione dall'audizione, durante la seduta del 17 marzo 2010, del generale Emilio Borghini, comandante delle Unità mobili e specializzate «Palidoro» dell’Arma dei Carabinieri, alle quali fa capo il Comando o Nucleo per la tutela del lavoro. Tale struttura, al pari delle altre Unità mobili e specializzate dell’Arma, ha una competenza di livello nazionale, integrandosi e affiancandosi ai Comandi territoriali, attraverso gli uomini distaccati presso le varie Direzioni provinciali del lavoro (in tutto 102 unità).
Il Comando per la tutela del lavoro ha recentemente subito una importante riorganizzazione, proprio al fine di garantire una più efficace azione sul territorio: esso è stato organizzato in quattro Gruppi territoriali che, a Milano, Roma, Napoli e Palermo, coordinano rispettivamente per il Nord, il Centro, il Sud Italia e la Sicilia i nuclei attivati presso le singole Direzioni provinciali del lavoro. Ciascun Gruppo territoriale è comandato da un tenente colonnello e sovrintende a più Regioni: ciò consente da un lato di migliorare ulteriormente il raccordo tra le Direzioni provinciali del lavoro e i Comandi territoriali dell’Arma, dall’altro di seguire con maggiore efficacia indagini che possono interessare più province o Regioni, ad esempio quei casi in cui le violazioni sulla sicurezza del lavoro sono connesse anche a reati della criminalità organizzata (si pensi allo sfruttamento della manodopera straniera irregolare).
Al fine di potenziare tale funzione di coordinamento, all’interno di ogni Gruppo territoriale è stato costituito un nucleo specializzato, composto da una decina di persone che operano sull’intero territorio di competenza del Gruppo, senza limitazioni. I Gruppi territoriali fanno capo al Comando generale per la tutela del lavoro con sede a Roma, che si avvale a sua volta di una sezione speciale, con il compito di analizzare i fenomeni in tutto il territorio nazionale, sia per riferire sull’attività svolta, sia per indirizzare gli sforzi dei vari nuclei operativi nell’una o nell’altra direzione. Infine, tale attività di analisi sarà agevolata dalla costituzione di una specifica banca dati.
Naturalmente, il Comando per la tutela del lavoro si muove secondo le indicazioni fornite dal Ministero del lavoro e in piena sintonia con le Direzioni provinciali: ad esempio, come ha ricordato il generale Borghini, dopo i tragici fatti di Rosarno nel corso del 2010 si è deciso di dare una particolare attenzione in Campania, Puglia, Calabria e Sicilia (ossia le Regioni dove è più presente l’attività della criminalità organizzata) ai controlli nei settori dell’edilizia e dell’agricoltura, che sono quelli dove si concentra lo sfruttamento illegale dei lavoratori immigrati.

 


 

6. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE.

Al termine di questa relazione sul secondo anno di attività della Commissione, appare opportuno formulare alcune riflessioni e proposte, per segnalare le principali questioni ancora aperte in materia di salute e sicurezza del lavoro, sulle quali la Commissione ritiene opportuno richiamare l’attenzione e gli sforzi dei vari soggetti competenti, pubblici e privati, nonché per tracciare le direttrici lungo cui intende continuare la sua inchiesta.
La prima esigenza fondamentale è, ancora una volta, quella di assicurare il completamento, in tempi rapidi, dell’attuazione della riforma introdotta dal decreto legislativo n. 81 del 2008, anche alla luce delle successive modifiche e integrazioni. Il punto essenziale, come già ricordato, è quello di procedere all'adozione dei vari atti di normazione secondaria (in particolare decreti ministeriali e interministeriali) che regolano gli aspetti di dettaglio della disciplina. Molto lavoro è già stato compiuto e i competenti organismi tecnici, ormai insediati, sono attivamente impegnati in tale processo, anche al fine di recuperare i ritardi accumulatisi. Un passaggio essenziale sarà l’istituzione, ormai prossima, del Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP), la banca dati che dovrà riunire tutte le informazioni inerenti agli infortuni sul lavoro, alle malattie professionali e alle attività di prevenzione e vigilanza svolte dai vari enti competenti.
La mancanza di un quadro normativo compiutamente definitivo, soprattutto a causa dei ritardi nell'emanazione dei già citati atti di normazione secondaria, crea problemi sia agli enti istituzionali preposti alle azioni di prevenzione e contrasto al fenomeno degli infortuni e delle malattie professionali, sia alle stesse parti sociali che quelle norme sono chiamate ad applicare. Occorre allora proseguire con impegno lungo questa strada, superando le resistenze e le difficoltà che ancora permangono, dovute soprattutto alla oggettiva complessità tecnica della materia e alla necessità di mettere d'accordo i tre diversi gruppi di soggetti ai quali la normativa stessa affida l’elaborazione delle disposizioni di dettaglio, ossia amministrazioni centrali, Regioni e parti sociali.
La Commissione, nell'ambito delle sue competenze istituzionali, intende proseguire il monitoraggio e la verifica dell’attuazione del Testo unico, confrontandosi direttamente con i vari soggetti coinvolti. Come avvenuto finora, tale attività mira a valutare gli effetti concreti derivanti dalle nuove disposizioni, nonché a individuare gli eventuali problemi applicativi e le possibili soluzioni.
A tal fine, la Commissione si propone in particolare di continuare a svolgere sopralluoghi sul territorio, al fine di acquisire informazioni dirette sulle modalità con le quali nelle varie parti del Paese si attuano concretamente le azioni di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro. In tale ambito, un'attenzione specifica sarai rivolta alle istituzioni regionali, alle quali la nuova normativa assegna un ruolo essenziale di coordinamento e programmazione. L’attuazione della nuova disciplina presenta infatti ancora differenze e disomogeneità nelle varie parti d'Italia, che occorre cercare di superare. L’intento della Commissione è quindi, da un lato, quello di raccogliere utili elementi di conoscenza e di riflessione, dall'altro quello di offrire un contributo di attenzione e di sensibilizzazione nei confronti dei soggetti che operano in prima linea sul territorio.
Questo tema si lega strettamente all'esigenza, già segnalata nella precedente relazione, di accrescere sempre più il coordinamento e le sinergie fra tutti gli enti istituzionali preposti alla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, sia in ambito centrale che periferico. Il decreto legislativo n. 81 del 2008 ha posto molta evidenza a tale aspetto, prevedendo tra l’altro appositi istituti per rafforzare la collaborazione tra i vari enti: in particolare, a livello nazionale il Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento delle attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro (articolo 5) e, a livello locale, i comitati regionali di coordinamento (articolo 7).
Come si è detto, l’insediamento e l’avvio dell’attività di questi organismi ha dato risultati positivi, ma molto lavoro resta da fare: tra i vari enti del settore, infatti, si registrano ancora casi di sovrapposizione e duplicazione di competenze (ad esempio in materia di ispezioni e controlli), che rallentano e indeboliscono i risultati dell’azione amministrativa.
Già nella precedente relazione intermedia si è posto in evidenza come questo problema si leghi ad un'esigenza più generale di riorganizzazione della pubblica amministrazione (in special modo degli enti previdenziali ed assistenziali) e di ridefinizione dei rapporti complessivi tra Stato e Regioni nelle materie di legislazione concorrente. Un primo passo è rappresentato dal trasferimento in capo all'INAIL delle competenze prima attribuite all'IPSEMA e all'ISPESL, ma il dibattito politico (e anche culturale) su questi temi, certamente complessi, è quanto mai aperto e lungi dall'essere concluso. Nel frattempo, occorre rafforzare ulteriormente la collaborazione e la sinergia tra i diversi organismi statali e non statali, per rendere sempre migliore, più univoco e più coerente il servizio offerto alla collettività (imprese, lavoratori e cittadini) in questo delicato settore.
La Commissione continuerà a offrire il proprio contributo a questo processo, nel quadro delle proprie competenze istituzionali, favorendo la riflessione su queste temi e il dialogo tra le diverse amministrazioni pubbliche centrali e periferiche, anche al fine di individuare soluzioni condivise per un'eventuale riorganizzazione complessiva del settore, con particolare riguardo al tema della legislazione concorrente Stato-Regioni.
Particolare attenzione deve poi essere dedicata ai controlli e alla repressione delle infrazioni, attraverso un'applicazione equilibrata ma rigorosa delle sanzioni. Anche in questo caso l’azione sinergica degli organismi ispettivi, in stretta collaborazione con le forze dell’ordine, potrà dare risultati sempre migliori, specialmente (ma non solo) nel contrasto alle violazioni più gravi e pericolose. Le convenzioni recentemente stipulate dal Ministero del lavoro con l’Arma dei Carabinieri e la Guardia di finanza sono un importante esempio.
La Commissione ritiene opportuno continuare con decisione lungo questo percorso, rafforzando la collaborazione e il coordinamento tra gli enti ispettivi nell'intento di accrescere l’efficacia dei controlli, razionalizzare gli interventi e assicurare modalità operative uniformi. La banca dati del SINP potrà certamente dare un contributo essenziale in tale direzione, aiutando a programmare meglio gli interventi e la vigilanza su base territoriale ed eliminando duplicazioni e sovrapposizioni. A tal fine, è auspicabile l’adozione di procedure e verbali unificati di rilevazione da parte di tutti gli organi ispettivi.
Un altro aspetto cruciale per la promozione di una vera cultura della sicurezza nei luoghi di lavoro è quello della formazione/informazione dei lavoratori e dei datori di lavoro, che deve essere impostata in un ottica di prevenzione e con un approccio di tipo sistematico, multidisciplinare. L’indagine della Commissione ha infatti dimostrato come i risultati migliori in questo campo non derivino dalla mera trasmissione di nozioni tecniche, magari astratte, ma piuttosto da un approccio concreto volto a creare una consapevolezza, una forma mentis, che accresca il livello di attenzione da parte dei singoli soggetti (lavoratori e datori di lavoro) e dell’intero contesto aziendale.
Ciò implica un addestramento continuo, non limitato al momento dell’ingresso in un nuovo lavoro o settore produttivo e che dovrebbe anzi partire dalla scuola stessa, proprio per creare fin dalla più giovane età quella consapevolezza di cui si è appena detto. La Commissione, anche attraverso l’apposito gruppo di lavoro sulla formazione e prevenzione, intende proseguire nell’approfondimento di questi temi, per focalizzare gli aspetti più critici e stimolare la ricerca di possibili soluzioni. In Italia la formazione/informazione sui temi della sicurezza resta infatti problematica, in quanto non esiste ancora un numero sufficientemente elevato di corsi universitari sull’argomento e non tutte le Regioni hanno organizzato programmi adeguati. A tal fine sono stati comunque stanziati appositi fondi per il triennio 2008-2010, nell'ambito delle azioni promozionali di cui all’articolo 11 del Testo unico, d intesa con le Regioni e le parti sociali. Sebbene si tratti di risorse necessariamente limitate, è tuttavia un segnale importante.
Anche per quanto riguarda l’introduzione dei temi della sicurezza sul lavoro negli insegnamenti scolastici, l’apposita cabina di regia costituita tra il Ministero del lavoro, il Ministero dell’istruzione e l’INAIL ha iniziato la propria attività solo recentemente: l’elaborazione delle linee guida e l’adozione dei necessari provvedimenti richiederà quindi ancora qualche tempo.
La Commissione auspica che si prosegua con decisione lungo questa strada, rafforzando le iniziative già in corso e garantendo sufficienti risorse, anche con il contributo delle organizzazioni sindacali e datoriali, da sempre molto attive su questo fronte. Essa ritiene altresì necessario che vengano definiti indirizzi aggiornati e omogenei sui contenuti e sulle modalità della formazione per il mondo scolastico e universitario, nonché per le iniziative di carattere privato, cosi da garantire insegnamenti adeguati da parte di esperti qualificati.
Accanto al fenomeno degli infortuni sul lavoro, la Commissione segue con attenzione anche le questioni legate alla prevenzione e al contrasto delle malattie professionali. È auspicabile che l’istituzione del Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro possa aiutare l’emersione dei casi di malattia che, per varie ragioni, ancora sfuggono alla rilevazione (le cosiddette «malattie perdute») e favorire cosi le attività di prevenzione e di sorveglianza sanitaria. La Commissione auspica a tal fine il coinvolgimento sempre più ampio non solo dei medici competenti e specialisti, ma anche dei medici generici e di base, che hanno un contatto più frequente con i pazienti. Altrettanto auspicabile è una presa di coscienza sempre maggiore da parte dei lavoratori e uno snellimento delle procedure di riconoscimento e indennizzo da parte dell’INAIL, soprattutto per le patologie «non tabellate».
Gli infortuni sul lavoro hanno spesso un carattere ripetitivo e in molti casi potrebbero essere più facilmente prevenuti prendendo spunto dagli incidenti già accaduti. In questo senso, è auspicabile che le varie banche dati già esistenti, nonché il già citato SINP, possano essere utilizzate anche a tal fine e che le informazioni sugli incidenti occorsi nei vari settori possano, nel rispetto della privacy e degli eventuali segreti istruttori, essere messe a disposizione riguardo ai dati tecnici e a tutti gli aspetti utili ai fini della prevenzione.
La Commissione ritiene opportuna l’introduzione di forme di incentivazione volte a premiare le imprese «virtuose» che investono nella sicurezza sul lavoro, attraverso sgravi e agevolazioni fiscali e contributive. In quest'ambito, auspica altresì la prosecuzione della concessione di incentivi per favorire la rottamazione e la messa in sicurezza delle macchine ed attrezzature agricole, forestali ed edili, spesso obsolete ovvero prive di adeguati dispositivi di protezione e causa di infortuni anche gravi. Appare soprattutto opportuno estendere le misure già previste per talune macchine e attrezzature anche alle cosiddette «opere provvisionali» dell’edilizia (impalcature, ponteggi, piani di lavoro), la cui efficienza e adeguatezza sono essenziali per la prevenzione degli infortuni del settore.
Uno dei settori più critici per il rispetto delle norme in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro è certamente quello degli appalti dove, malgrado l’esistenza di disposizioni assai avanzate, si riscontrano talora ribassi eccessivi nelle offerte sia per la realizzazione che per la progettazione dei lavori, con il rischio di comprimere i costi della sicurezza e di abbassare la stessa qualità delle prestazioni. Ciò accade soprattutto nel settore privato, dove non esistono regole cogenti in materia di appalti e molti operatori sono privi di adeguata qualificazione, nel caso delle piccole e piccolissime imprese appaltatrici, meno attente ai profili della sicurezza, e nelle catene più lunghe dei subappalti, dove i controlli sono più difficili e a volte si inserisce anche la criminalità organizzata. Nel settore pubblico c’è poi la difficoltà di molte amministrazioni pubbliche appaltanti di valutare la congruità delle offerte e le giustificazioni delle eventuali anomalie addotte dalle imprese partecipanti alle gare, che spesso avviano lunghi e pesanti contenziosi.
Per superare tale situazione, la Commissione ritiene essenziale, accanto ad un rafforzamento dei controlli e delle sanzioni, un ripensamento della normativa vigente che, nel rispetto delle disposizioni comunitarie e della libertà d'impresa, fissi regole più certe e selettive, limitando il ricorso al massimo ribasso quale criterio di valutazione delle offerte, accrescendo la qualificazione delle imprese e contenendo la pratica del subappalto. Occorre estendere, per quanto possibile, anche al settore privato le garanzie e i controlli vigenti nel settore pubblico nonché, in quest'ultimo, rafforzare la capacità tecnica delle stazioni appaltanti di verificare la congruità delle offerte e le eventuali anomalie, anche in sede di contenzioso.
A tal fine, la Commissione intende contribuire ad un'ampia riflessione sul tema, per giungere all'elaborazione di specifiche proposte di modifica normative e amministrative, in collaborazione con le organizzazioni di categoria e in stretto raccordo con i competenti Ministeri.
Un altro tema emerso nel corso dell’inchiesta è quello della tutela della salute e sicurezza dei lavoratori impegnati nelle operazioni di smaltimento del trattamento dei rifiuti. Come si è visto nel corso di alcuni sopralluoghi (in particolare quello a Villa Santa Lucia e a Paderno Dugnano), tali attività presentano, oggettivamente, un elevato grado di rischio e postulano, dunque, l’adozione di misure di sicurezza corrispondentemente adeguate. Le disposizioni vigenti sono certamente idonee, ma nello svolgimento concreto delle attività possono crearsi «coni d'ombra», con un conseguente abbassamento del livello delle tutele. Ad esempio, si è riscontrato che alcune aziende di questo settore possono operare con i contratti del comparto del commercio: pur essendo tale scelta del tutto legittima, occorre riflettere se Ciò non si traduca in minori obblighi per le imprese dal punto di vista degli adempimenti legati alla tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.
Al di la delle formule contrattuali e delle vesti giuridico-formali, quindi, occorre assicurare un adeguato livello di protezione dei lavoratori in questione, esposti a rischi spesso pesanti (si pensi alle attività di smaltimento dei rifiuti contenenti amianto), che si coniuga all'esigenza di un rafforzamento dei controlli e delle correlative sanzioni a carico delle imprese inadempienti.
Infine un altro aspetto di grande rilevanza ai fini della salute e sicurezza sul lavoro è quello della adeguatezza degli edifici pubblici. Infatti, i luoghi nei quali sono ospitate le pubbliche amministrazioni (ospedali, scuole, amministrazioni comunali, ecc.) sono spesso non idonei o addirittura fatiscenti: Ciò ha evidenti implicazioni sulla sicurezza dei lavoratori e postula urgenti interventi di adeguamento e di messa in sicurezza. In mancanza di indicazioni precise di carattere normativo o amministrativo, la responsabilità ricade spesso sulle spalle dei singoli dirigenti o amministratori, che devono d'altra parte fare i conti con la cronica mancanza di risorse finanziarie del settore pubblico.
Il discorso si presenta particolarmente rilevante per quanto attiene agli edifici scolastici, dove l’esigenza di tutela dei lavoratori si sposa con quella degli studenti. Il problema è all'attenzione del Governo, che sta valutando appositi interventi, anche mediante formule di carattere innovativo, nonché degli enti territoriali. La Commissione auspica dunque che su questo fronte vi sia un impegno concreto, garantendo risorse adeguate e una indispensabile sinergia delle amministrazioni centrali e periferiche preposte, atteso che la materia rientra in competenze di carattere necessariamente concorrente.

 

 



 

 

1 In passato, il Parlamento aveva già affrontato, per mezzo di apposite commissioni d'inchiesta o indagini conoscitive, il tema della sicurezza sul lavoro. In particolare, nella X legislatura, venne istituita una Commissione parlamentare monocamerale d'inchiesta del Senato «sulle condizioni di lavoro nelle aziende», presieduta dal senatore Lama, la quale opero tra il 1988 ed il 1989. Durante la XIII legislatura, negli anni 1996-1997, la 11a Commissione permanente del Senato (Lavoro e previdenza sociale) e la XI Commissione permanente della Camera (Lavoro pubblico e privato) svolsero congiuntamente un'indagine conoscitiva sulla sicurezza e l’igiene del lavoro. Nel corso della medesima legislatura, dal 1999 al 2000, la 11a Commissione del Senato condusse una nuova indagine conoscitiva, ai fini della «verifica della situazione a due anni» dalla precedente indagine.

2 La Commissione si è costituita con il decreto ministeriale 3 dicembre 2008; insediatasi in data 17 marzo 2009, ha istituito i gruppi di lavoro in data 26 marzo 2010.

3 Ai sensi dei commi 2 e 7 dell’articolo 11, in sede di prima applicazione i fondi per il 2008 sono stati assegnati sulla base di un accordo adottato (previa consultazione delle parti sociali) il 20 novembre 2008 in sede di Conferenza Stato-Regioni, mentre per gli anni successivi essi, acquisito il parere della Conferenza, sono erogati mediante un apposito decreto interministeriale, che stabilisce il riparto delle somme tra le varie attività promozionali.

4 Il Comitato, istituito con il decreto ministeriale 26 maggio 2009, si è insediato in data 24 giugno 2010.

5 Al patto è stata data esecuzione con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 17 dicembre 2007.

6 Si tratta dell’ordine del giorno n. G54 al disegno di legge n. 2228, di conversione del decreto-legge n. 78 del 2010.

7 Tale argomento sarà approfondito nel successivo paragrafo 5.5.

8 Articolo 6, comma 9-ter, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito con modificazioni dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25.

9 Com'è noto, nel processo Eternit sono imputati due responsabili della omonima multinazionale, accusati delle morti legate alla lavorazione dell’amianto nelle quattro sedi italiane del gruppo. Le imputazioni principali sono: disastro ambientale doloso, inosservanza volontaria delle norme sulla sicurezza e omissione dolosa di cautele antinfortunistiche. Il processo ThyssenKrupp coinvolge invece sei imputati, chiamati a rispondere di omicidio volontario per la morte di sette operai della linea 5 dello stabilimento torinese della ThyssenKrupp, a seguito dell’incendio del 6 dicembre 2007. Per la prima volta in un caso di infortunio sul lavoro è stato contestato il reato di omicidio volontario, sia pure sotto il profilo del dolo eventuale.

10 Un'analisi dettagliata delle malattie professionali legate all'amianto è contenuta nel paragrafo 4.2.3.

11 Il primo riferimento è la legge 27 marzo 1992, n. 257, che detta le norme relative alla cessazione dell’impiego dell’ amianto; vi è poi il decreto ministeriale 29 luglio 2004, n. 248, che disciplina le attività di recupero dei prodotti e dei beni contenenti amianto; il decreto ministeriale 3 agosto 2005, che stabilisce i criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica e, infine, il decreto ministeriale 29 gennaio 2007 relativo alle linee guida per l’individuazione e l’utilizzazione delle migliori tecniche disponibili in materia di gestione dei rifiuti, per le attività elencate nell'allegato I del decreto legislativo n. 59 del 2005. Altre norme si ritrovano poi nel decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, il cosiddetto Codice dell’ambiente.

12 Si veda, ad esempio, l’articolo «La morte in cisterna, i precedenti», ANSA, 11 settembre 2010.

13 Articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 30 marzo 2001: «Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane. e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale».

14 I principali dati riportati sono stati ricavati da ricerche del Servizio studi del Senato della Repubblica in merito all'edilizia scolastica, aggiornate a febbraio 2009.

15 I principali interventi su questo tema si sono avuti: in Commissione:
- 8 ottobre 2008: audizione del Presidente dell’INAIL;
- 21 e 28 aprile 2009: audizione del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali;
- 18 novembre 2009: audizione del Ministro dell’istruzione, dell’Università e della ricerca;
- 3 novembre 2010: audizione del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;
- 10 novembre 2010: audizione dei rappresentanti dell’ANCE;
in Assemblea:
- 21 ottobre 2009: discussione sulla prima relazione intermedia della Commissione d'inchiesta.

16 Si veda il precedente paragrafo 4.3.4.

17 Altri aspetti emersi nel corso dell’inchiesta sulla sicurezza del lavoro nel settore dei trasporti saranno affrontati nel paragrafo 5.4.

18 Fonte: www.inail.it - www.insic.it.

19 A tal fine, il medesimo comma 3-bis precisa i criteri per la determinazione del costo del lavoro, il cui valore è fissato periodicamente, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, in apposite tabelle.

20 Per un approfondimento sul tema del verbale ispettivo unico e della sicurezza degli edifici scolastici si vedano, rispettivamente, i precedenti paragrafi 4.5.3 e 4.5.6.

21 Si tratta dell’emendamento 4.15 all’Atto Senato n. 2165.

22 In particolare l’articolo 11, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 81 del 2008, in attuazione dell’articolo 1, comma 2, lettera p), della legge n. 123 del 2007.
23 Da ultimo, la risoluzione dell’Assemblea del Senato del 21 ottobre 2009, più volte citata.
24 Nel precedente paragrafo 4.1, nel contributo del gruppo di lavoro su prevenzione e formazione curato dalla senatrice Bugnano, si descrive anche un'interessante esperienza di formazione sui temi della sicurezza (nel caso specifico contro i pericoli d'incendio) per i bambini delle elementari, condotta dagli studiosi di scienze della prevenzione dell’Università Ca' Foscari di Venezia.

25 Al tema della sicurezza degli edifici scolastici è dedicato l’apposito paragrafo 4.5.3.

26 Si veda in proposito il paragrafo 2.4.

27 Si veda al riguardo il paragrafo 2.7.

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Fonte: Senato della Repubblica