Cassazione Penale, Sez. 4, 24 novembre 2010, n. 41591 - Omessa predisposizione di armature di sostegno nella parete di uno scavo


Responsabilità del titolare di un'impresa edile poichè, nel corso dell'esecuzione di lavori di risanamento delle fondazioni e delle mura perimetrali di un fabbricato, per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ometteva di predisporre le necessarie armature di sostegno sulle pareti nei lavori di scavo del terreno (D.P.R. n. 164 del 1956, art. 13) e non impediva il deposito di materiali presso il ciglio dello scavo (D.P.R. n.  64 del 1956, art. 14): così facendo, in cooperazione colposa con altri coimputati, determinava il crollo improvviso di una parete laterale dello scavo il cui materiale investiva il lavoratore D.M., che stava operando all'interno dello scavo, fino a seppellirlo, in tal modo cagionandogli lesioni personali giudicate guaribili in un tempo superiore ai 40 giorni.

Ricorso in Cassazione - Inammissibile.

L'imputato affermava che innanzitutto la Corte  "non teneva debitamente conto del fatto che la persona offesa poneva in essere del tutto autonomamente un comportamento connotato da una condotta imprudente e al  di fuori di ogni prevedibilità per l'imputato";  in secondo luogo che l'imputato non aveva alcun obbligo giuridico di predisporre le armature di sostegno alle quali si deve provvedere man mano che si procede nello scavo e quindi da parte dell'impresa che lo esegue e non già di quella che subentra nella conduzione del cantiere;
peraltro, anche la violazione del divieto di depositare materiali presso il ciglio degli scavi incombeva su altri  che avevano eseguito gli scavi e non già sull'imputato;

La Suprema Corte, ribadendo la logicità del ragionamento della sentenza di appello, afferma che "se le armature devono essere apposte man mano che si procede nello scavo e a tanto non si è provveduto e si sono accumulati depositi nei pressi del ciglio dello scavo, è chiaro che anche la ditta subentrante a quella specificamente incaricata dello scavo, laddove riscontri una situazione non conforme a legge, deve provvedervi tempestivamente prima di consentire ai suoi dipendenti di avventurarsi all'interno dello scavo, in condizioni altamente rischiose poichè in assenza di adeguate protezione normativamente previste.

Correttamente, nel caso di specie, non è stata ritenuta l'autonoma ed imprevedibile iniziativa del lavoratore, che ricorre quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro".

 


 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARZANO Francesco - Presidente
Dott. ROMIS Vincenzo - Consigliere
Dott. MAISANO Giulio - Consigliere
Dott. IZZO Fausto - Consigliere
Dott. MASSAFRA Umberto - rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza

sul ricorso proposto da:
1) D.M.M. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 13/2008 CORTE APPELLO di CAMPOBASSO, del 20/05/2010;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/11/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. MASSAFRA Umberto;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. DELEHAYE Enrico che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

 

Fatto

 

 

Con sentenza in data 26.4.2007 il Tribunale di Larino - sezione distaccata di Termoli, affermava la penale responsabilità di D. M.M. in ordine al reato di lesioni personali colpose aggravate con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, in danno D.M. (commesso il (OMISSIS)) e, con circostanze attenuanti generiche prevalenti sull'aggravante, lo condannava alla pena di mesi uno di reclusione oltre al risarcimento del danno e rifusione delle spese in favore delle parte civile costituita.

Secondo la contestazione l'imputato, titolare dell'omonima impresa edile, nel corso dell'esecuzione di lavori di risanamento delle fondazioni e delle mura perimetrali di un fabbricato di via (OMISSIS), per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ed in particolare per aver omesso di predisporre le necessarie armature di sostegno sulle pareti nei lavori di scavo del terreno (D.P.R. n. 164 del 1956, art. 13) e non aver impedito il deposito di materiali presso il ciglio dello scavo (D.P.R. n.  64 del 1956, art. 14), in cooperazione colposa con altri coimputati, determinava il crollo improvviso di una parete laterale dello scavo il cui materiale investiva il lavoratore D.M., che stava operando all'interno dello scavo, fino a seppellirlo, in tal modo cagionandogli lesioni personali giudicate guaribili in un tempo superiore ai 40 giorni.

 

Tale sentenza veniva parzialmente riformata, in accoglimento dell'appello del solo imputato D.M., dalla Corte di Appello di Campobasso, con sentenza del 20.5.2010 che disponeva la sostituzione della pena detentiva in Euro 1.140,00 di multa e conferma nel resto e condanna dell'imputato alla rifusione delle spese del grado in favore della parte civile.

 

Avverso tale ultima sentenza ricorre per cassazione D.M.M., personalmente, deducendo i seguenti motivi:

1. la violazione e falsa applicazione dell'art. 192 c.p.p. e la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, avendo i giudici di merito affermato che la parte civile stava operando all'interno di uno scavo su ordine impartito da D.M. M., laddove tutti i testi escussi avevano asserito l'esatto contrario e ciò a fronte di uno specifico motivo di gravame; la Corte territoriale, in tal modo, "non teneva debitamente conto del fatto che la persona offesa poneva in essere del tutto autonomamente un comportamento connotato da una condotta imprudente e al  di fuori di ogni prevedibilità per l'imputato";

2. la violazione del D.P.R. n. 164 del 1956, artt. 13 e 14, assumendo che l'imputato non aveva alcun obbligo giuridico di predisporre le armature di sostegno alle quali si deve provvedere (secondo l'art. 13 cit.) man mano che si procede nello scavo e quindi da parte dell'impresa che lo esegue e non già di quella che subentra nella conduzione del cantiere;
peraltro, anche la violazione del divieto di depositare materiali presso il ciglio degli scavi incombeva su altri ( De. N.) che aveva eseguito gli scavi e non già sull'imputato;

3. la violazione dell'art. 174 c.p. e della L. n. 241 del 2006, art. 1, non essendo stato concesso all'imputato l'indulto senza nemmeno riserva in
sede di esecuzione;

4. la violazione dell'art. 533 c.p.p., comma 2, per omessa motivazione della determinazione della pena applicata per ogni singolo reato, essendo state contestate anche le contravvenzioni di cui al D.P.R. n. 164 del 1956, artt. 13 e 14 che all'epoca dei fatti venivano punite penalmente ai sensi del D.P.R. n. 164 del 1956, art. 77.

Diritto

 

Il ricorso è inammissibile.


Le censure mosse risultano generiche, manifestamente infondate o non consentite in questa sede.

Invero, è palese la sostanziale aspecificità delle prime due censure laddove si sono limitate a riproporre in questa sede pedissequamente le medesime doglianze rappresentate dinanzi alla Corte territoriale e da quel giudice disattese con motivazione ampia e congrua, immune da vizi ed assolutamente plausibile, tanto da ribadire la ricostruzione fattuale operata dal giudice di primo grado.
Ed è stato affermato che "è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev'essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell'art. 591, comma 1, lett. c), all'inammissibilità" (Cass. pen. Sez. 4, 29.3.2000, n. 5191 Rv. 216473 e successive conformi, quale: Sez. 2, 15.5.2008 n. 19951, Rv. 240109).


La Corte territoriale, invero, ha fornito adeguata replica alle censure suddette spiegando come, a sostegno della tesi dell'ordine impartito dal
D.M. alla persona offesa di lavorare nello scavo, militasse l'univoca testimonianza della persona offesa, che aveva riferito che il datore di lavoro le aveva dato "i ferri" cioè i pezzi di armatura in ferro (gabbia) della realizzanda trave in cemento armato nello scavo, e che "i ferri" erano stati già trovati dall'operaio G. (addetto anch'egli ai lavori in questione ed intervenuto poco dopo) dentro la profonda trincea stessa.
E' appena il caso di rilevare che laddove la Corte si esprime affermando che "non risulta" che il G. sia rimasto sempre in compagnia del D.M. o che l'asserzione del teste D'.Fa. di aver sentito il D.M. dire, rivolgendosi alla p.o., di "preparare del materiale" e che non si sarebbe entrati nello scavo dopo, chiaramente non intendeva con ciò richiedere alla difesa, come da questa lamentato, la prova negativa e "diabolica" del fatto relativo ma solo esprimere l'inidoneità del dato per smentire la valenza probatoria delle dichiarazioni della p.o. circa la direttiva impartita dal D.M. al D. di lavorare direttamente nello scavo, benchè privo delle obbligatorie armature laterali di protezione.

 

Del pari adeguata motivazione è stata fornita nel respingere l'analoga doglianza sub 2, già formulata in appello, poichè, se le armature devono essere apposte man mano che si procede nello scavo e a tanto non si è provveduto e si sono accumulati depositi nei pressi del ciglio dello scavo, è chiaro che anche la ditta subentrante a quella specificamente incaricata dello scavo, laddove riscontri una situazione non conforme a legge, deve provvedervi tempestivamente prima di consentire ai suoi dipendenti di avventurarsi all'interno dello scavo, in condizioni altamente rischiose poichè in assenza di adeguate protezione normativamente previste.
Correttamente, nel caso di specie, non è stata ritenuta l'autonoma ed imprevedibile iniziativa del lavoratore, che ricorre quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (Cass. pen. Sez. 4, n. 40164 del 3.6.2004, Rv. 229564).

 

Quanto al trattamento sanzionatorio, si osserva che l'applicazione dell'indulto può essere proposta nel giudizio di legittimità soltanto nel caso in cui il giudice di merito lo abbia preso in esame e lo abbia risolto negativamente, escludendo che l'imputato abbia diritto al beneficio, e non, invece, quando abbia omesso di pronunciarsi, riservandone implicitamente l'applicazione al giudice dell'esecuzione. Ne consegue che, allorchè non risulta richiesta, nelle fasi di merito, l'applicazione dell'indulto, la questione non è deducibile in cassazione (Cass. pen. Sez. 2, n. 11851 del 18.2.2004 Rv. 228634 ed altre successive conformi). La censura sub 3 è dunque improponibile in questa sede.
Non risulta una compiuta contestazione anche delle contravvenzioni di cui al D.P.R. n. 164 del 1956, artt. 13 e 14, che sono richiamati solo
nell'imputazione per integrare la colpa specifica contestata.

 

Correttamente, quindi, i giudici di merito non ne hanno tenuto conto; del resto, anche tale censura (sub 4), di violazione di legge, non risulta
proposta con l'atto d'appello, secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata, onde è improponibile ex art. 606 c.p.p., comma 3.


Consegue l'inammissibilità del ricorso e, con essa, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa
delle ammende di una somma che, alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di
colpa, si ritiene equo determinare in Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.